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ALTALEX NEWS


lunedì 8 giugno 2020

Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act (Cloud Act), la legge che solleva timori sulla sovranità dei dati




Qualche mese fa, ero parte di un panel con un accademico straniero che ha descritto il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act (o Cloud Act) come un aggressivo tentativo di supremazia da parte degli Stati Uniti – quello che lui ha definito “sovranità espansiva”. Non avevo mai sentito questo particolare termine prima d’ora. Ma ho sentito lo stesso epiteto di base da numerosi funzionari governativi stranieri, molti dei quali temono che il Cloud Act venga usato dagli Stati Uniti per raccogliere dati sugli stranieri.

Il mondo, comprensibilmente, ha in serbo alcune domande sul Cloud Act. Il problema è che la retorica non corrisponde alla realtà. A differenza di quanto si è raccontato, il Cloud Act è una legge di applicazione e portata limitata. Il Cloud Act specifica che i funzionari delle forze dell’ordine statunitensi possono, in relazione a un’indagine penale e secondo norme e procedure dettagliate e specifiche, richiedere contatti e-mail e altri dati in possesso delle società soggette alla giurisdizione statunitense. L’obbligo di produrre i dati richiesti si applica indipendentemente dal luogo in cui sono conservati gli 0 e gli 1 sottostanti.

Il Cloud Act non è uno strumento di raccolta di dati e informazioniNon è uno strumento di spionaggio economico. Le forze dell’ordine possono richiedere l’accesso ai dati solo se stanno svolgendo un’indagine penale su cui gli Stati Uniti sono competenti a perseguire penalmente.  Per poter accedere ai dati, le forze dell’ordine devono soddisfare determinati standard e seguire specifiche procedure, che si applicano a tutti i livelli – sia che gli Stati Uniti stiano cercando i dati di un cittadino statunitense, residente o straniero. Per il contenuto, le forze dell’ordine hanno bisogno di un mandato emesso da un giudice indipendente, sulla base di una constatazione di causa probabile, imponendo un limite relativamente alto per le forze dell’ordine. In realtà, si tratta di uno standard di protezione della privacy più robusto e più severo di quello applicato in quasi tutti gli altri paesi del mondo.

Inoltre, la portata è limitata in quanto le forze dell’ordine statunitensi non possono emettere istanze per e-mail, e altri contenuti di comunicazione, da parte di società straniere che operano interamente al di fuori degli Stati Uniti.  Si tratterebbe di una rivendicazione di autorità extraterritoriale, e la legge statunitense non prevede alcun meccanismo per l’emissione di mandati extraterritoriali.

In contrasto con la bozza di direttiva Ue sulle prove elettroniche, che richiede a qualsiasi società che offra servizi ai residenti dell’Ue di configurare un rappresentante con sede nell’Ue, garantendo così la giurisdizione su società con sede altrimenti extraterritoriale non esiste un requisito equivalente nella legge statunitense.

(estratto da CorCom clicca qui per leggere l'articolo integrale)

giovedì 4 giugno 2020

Moduli EMdom_2020 e EMsub_2020

Moduli EMdom_2020 e EMsub_2020

Sanatoria 2020 - Link utili

Ministero dell'Interno (con varia documentazione)


Circolari 30 maggio 2020 - Di Lullo e Bontempi


Materiale e link informativi Ministero dell'Interno

Sanatoria 2020 - Schede illustrative Ministero dell'Interno

schede-illustrative_emersione_dei_rapporti_di_lavoro.pdf

Ministero dell'Interno - Circolare N.400/C/2020 Sicurezza Pubblica 30 maggio 2020 Circolare Bontempi


Ministero dell'Interno - Circolare N.400/C/2020 Sicurezza Pubblica 30 maggio 2020
OGGETTO: Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, in G. U n. 128 del 19 maggio 2020-Suppl.Ord.n. 21. Art. 103 - emersione di rapporti di lavoro.

Sanatoria 2020 - Ambasciata di Nigeria in Italia

Sanatoria 2020 - Ambasciata di Nigeria in Italia

Circolare emersione Ministero dell'Interno 30 maggio 2020 - Circolare Di Lullo

Circolare emersione Ministero dell'Interno 30 maggio 2020

Video tutorial per la compilazione dei modelli EM-DOM e EM-SUB emersione dei rapporti di lavoro


DECRETO 27 maggio 2020 Modalita' di presentazione dell'istanza di emersione di rapporti di lavoro. (20A03026) - Sanatoria 2020

Modalità di presentazione dell'istanza di emersione di rapporti di lavoro. (GU Serie Generale n.137 del 29-05-2020)

ART 103 DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 - Sanatoria 2020


ART 103 DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34
Misure  urgenti  in  materia  di  salute,  sostegno   al   lavoro   e
all'economia, nonche' di  politiche  sociali  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19. (20G00052) 


Capo II
Altre misure urgenti in materia di lavoro e politiche sociali

Art. 103

Emersione di rapporti di lavoro

1. Al fine di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamita' derivante dalla diffusione del contagio da -COVID-19 e favorire l'emersione di rapporti di lavoro irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, possono presentare istanza, con le modalita' di cui ai commi 4, 5, 6 e 7 , per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri. A tal fine, i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 ovvero devono aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazioni di data certa proveniente da organismi pubblici; in entrambi i casi, i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale dall'8 marzo 2020.
2. Per le medesime finalita' di cui al comma 1, i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno, possono richiedere con le modalita' di cui al comma 16, un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di mesi sei dalla presentazione dell'istanza. A tal fine, i predetti cittadini devono risultare presenti sul territorio nazionale alla data dell'8 marzo 2020, senza che se ne siano allontanati dalla medesima data, e devono aver svolto attivita' di lavoro, nei settori di cui al comma 3, antecedentemente al 31 ottobre 2019, comprovata secondo le modalita' di cui al comma 16. Se nel termine della durata del permesso di soggiorno temporaneo, il cittadino esibisce un contratto di lavoro subordinato ovvero la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell'attivita' lavorativa in conformita' alle previsioni di legge nei settori di cui al comma 3, il permesso viene convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo, si applicano ai seguenti settori di attivita':
a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attivita' connesse;
b) assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorche' non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza;
c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
4. Nell'istanza di cui al comma 1 e' indicata la durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta, non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, se il rapporto di lavoro cessa, anche nel caso di contratto a carattere stagionale, trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 22, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, al fine di svolgere ulteriore attivita' lavorativa.
5. L'istanza di cui ai commi 1 e 2, e' presentata dal 1° giugno al 15 luglio 2020, con le modalita' stabilite con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali da adottarsi entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso:
a) l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per i lavoratori italiani o per i cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea;
b) lo sportello unico per l'immigrazione, di cui all'art. 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni per i lavoratori stranieri, di cui al comma 1;
c) la Questura per il rilascio dei permessi di soggiorno, di cui al comma 2.
6. Con il medesimo decreto di cui al comma 5 sono altresi' stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per la conclusione del rapporto di lavoro, la documentazione idonea a comprovare l'attivita' lavorativa di cui al comma 16 nonche' le modalita' di dettaglio di svolgimento del procedimento. Nelle more della definizione dei procedimenti di cui ai commi 1 e 2 la presentazione delle istanze consente lo svolgimento dell'attivita' lavorativa; nell'ipotesi di cui al comma 1 il cittadino straniero svolge l'attivita' di lavoro esclusivamente alle dipendenze del datore di lavoro che ha presentato l'istanza.
7. Le istanze sono presentate previo pagamento, con le modalita' previste dal decreto interministeriale di cui al comma 5, di un contributo forfettario stabilito nella misura di 500 euro per ciascun lavoratore; per la procedura di cui al comma 2, il contributo e' pari a 130 euro, al netto dei costi di cui al comma 16 che restano comunque a carico dell'interessato. E' inoltre previsto il pagamento di un contributo forfettario per le somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, la cui determinazione e le relative modalita' di acquisizione sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro dell'interno ed il Ministro delle politiche agricole e forestali.
8. Costituisce causa di inammissibilita' delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per:
a) favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'immigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite, nonche' per il reato di cui all'art.600 del codice penale;
b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis del codice penale;
c) reati previsti dall'articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
9. Costituisce altresi' causa di rigetto delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione, da parte del datore di lavoro, del contratto di soggiorno presso lo sportello unico per l'immigrazione ovvero la successiva mancata assunzione del lavoratore straniero, salvo cause di forza maggiore non imputabili al datore medesimo, comunque intervenute a seguito dell'espletamento di procedure di ingresso di cittadini stranieri per motivi di lavoro subordinato ovvero di procedure di emersione dal lavoro irregolare.
10. Non sono ammessi alle procedure previste dai commi 1 e 2 del presente articolo i cittadini stranieri:
a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell'articolo 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni.
b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l'Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato;
c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale o per i delitti contro la liberta' personale ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite;
d) che comunque siano considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone. Nella valutazione della pericolosita' dello straniero si tiene conto anche di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva, compresa quella di applicazione pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall'articolo 381 del codice di procedura penale.
11. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino alla conclusione dei procedimenti di cui ai commi 1 e 2, sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore, rispettivamente:
a) per l'impiego di lavoratori per i quali e' stata presentata la dichiarazione di emersione, anche se di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale;
b) per l'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale, con esclusione degli illeciti di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
12. Non sono in ogni caso sospesi i procedimenti penali nei confronti dei datori di lavoro per le seguenti ipotesi di reato:
a) favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'immigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite, nonche' per il reato di cui all'articolo 600 del codice penale;
b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis del codice penale.
13. La sospensione di cui al comma 11 cessa nel caso in cui non venga presentata l'istanza di cui ai commi 1 e 2, ovvero si proceda al rigetto o all'archiviazione della medesima, ivi compresa la mancata presentazione delle parti di cui al comma 15. Si procede comunque all'archiviazione dei procedimenti penali e amministrativi a carico del datore di lavoro se l'esito negativo del procedimento derivi da cause indipendenti dalla volonta' o dal comportamento del datore medesimo.
14. Nel caso in cui il datore di lavoro impieghi quali lavoratori subordinati, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2, sono raddoppiate le sanzioni previste dall'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, dall'articolo 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dall'articolo 82, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797 e dall'articolo 5, primo comma, della legge 5 gennaio 1953, n. 4. Quando i fatti di cui all'articolo 603-bis del codice penale sono commessi ai danni di stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2, la pena prevista al primo comma dello stesso articolo e' aumentata da un terzo alla meta'.
15. Lo sportello unico per l'immigrazione, verificata l'ammissibilita' della dichiarazione di cui al comma 1 e acquisito il parere della questura sull'insussistenza di motivi ostativi all'accesso alle procedure ovvero al rilascio del permesso di soggiorno, nonche' il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro in ordine alla capacita' economica del datore di lavoro e alla congruita' delle condizioni di lavoro applicate, convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l'archiviazione del procedimento.
16. L'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2 e' presentata dal cittadino straniero al Questore, dal 1° giugno al 15 luglio 2020, unitamente alla documentazione in possesso, individuata dal decreto di cui al comma 6 idonea a comprovare l'attivita' lavorativa svolta nei settori di cui al comma 3 e riscontrabile da parte dell'Ispettorato Nazionale del lavoro cui l'istanza e' altresi' diretta. All'atto della presentazione della richiesta, e' consegnata un'attestazione che consente all'interessato di soggiornare legittimamente nel territorio dello Stato fino ad eventuale comunicazione dell'Autorita' di pubblica sicurezza, di svolgere lavoro subordinato, esclusivamente nei settori di attivita' di cui al comma 3, nonche' di presentare l'eventuale domanda di conversione del permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. E' consentito all'istante altresi' di iscriversi al registro di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.150, esibendo agli Uffici per l'impiego l'attestazione rilasciata dal Questore di cui al presente articolo. Per gli adempimenti di cui al comma 2, si applica l'articolo 39, commi 4-bis e 4-ter della legge 16 gennaio 2003, n. 3; il relativo onere a carico dell'interessato e' determinato con il decreto di cui al comma 5, nella misura massima di 30 euro.
17. Nelle more della definizione dei procedimenti di cui al presente articolo, lo straniero non puo' essere espulso, tranne che nei casi previsti al comma 10. Nei casi di cui al comma 1, la sottoscrizione del contratto di soggiorno congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione di cui al comma 15 e il rilascio del permesso di soggiorno comportano, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 11. Nel caso di istanza di emersione riferita a lavoratori italiani o a cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, la relativa presentazione ai sensi del comma 5, lettera a) comporta l'estinzione dei reati e degli illeciti di cui al comma 11, lettera a). Nei casi di cui al comma 2, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 11 consegue esclusivamente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
18. Il contratto di soggiorno stipulato sulla base di un'istanza contenente dati non rispondenti al vero e' nullo ai sensi dell'articolo 1344 del codice civile. In tal caso, il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato e' revocato ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
19. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, e' determinata la destinazione del contributo forfettario, di cui all'ultimo periodo del comma 7.
20. Al fine di contrastare efficacemente i fenomeni di concentrazione dei cittadini stranieri di cui ai commi 1 e 2 in condizioni inadeguate a garantire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie necessarie al fine di prevenire la diffusione del contagio da Covid-19, le Amministrazioni dello Stato competenti e le Regioni, anche mediante l'implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrita' e la sicurezza delle condizioni alloggiative, nonche' ulteriori interventi di contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato. Per i predetti scopi il Tavolo operativo istituito dall'art. 25 quater del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, puo' avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, del supporto del Servizio nazionale di protezione civile e della Croce Rossa Italiana. All'attuazione del presente comma le Amministrazioni pubbliche interessate provvedono nell'ambito delle rispettive risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
21. Al comma 1 dell'articolo 25-quater del decreto legge decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, dopo le parole rappresentanti sono aggiunte le seguenti "dell'Autorita' politica delegata per la coesione territoriale, nonche' dell'Autorita' politica delegata per le pari opportunita'".
22. Salvo che il fatto costituisca reato piu' grave, chiunque presenta false dichiarazioni o attestazioni, ovvero concorre al fatto nell'ambito delle procedure previste dal presente articolo, e' punito ai sensi dell'articolo 76 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Se il fatto e' commesso attraverso la contraffazione o l'alterazione di documenti oppure con l'utilizzazione di uno di tali documenti, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni. La pena e' aumentata fino ad un terzo se il fatto e' commesso da un pubblico ufficiale.
23. Per consentire una piu' rapida definizione delle procedure di cui al presente articolo, il Ministero dell'interno e' autorizzato ad utilizzare per un periodo non superiore a mesi sei, tramite una o piu' agenzie di somministrazione di lavoro, prestazioni di lavoro a contratto a termine, nel limite massimo di spesa di 30.000.000 di euro per il 2020, da ripartire nelle sedi di servizio interessate nelle procedure di regolarizzazione, in deroga ai limiti di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. A tal fine il Ministero dell'interno puo' utilizzare procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell'articolo 63, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e successive modificazioni.
24. In relazione agli effetti derivanti dall'attuazione del presente articolo, il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre ordinariamente lo Stato e' incrementato di 170 milioni di euro per l'anno 2020 e di 340 milioni di euro a decorrere dall'anno 2021. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, i relativi importi sono ripartiti tra le regioni in relazione al numero dei lavoratori extracomunitari emersi ai sensi del presente articolo.
25. Per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo e' autorizzata la spesa di euro 6.399.000, per l'anno 2020, ed euro 6.399.000, per l'anno 2021, per prestazioni di lavoro straordinario per il personale dell'Amministrazione civile del Ministero dell'interno; di euro 24.234.834, per l'anno 2020, per prestazioni di lavoro straordinario per il personale della Polizia di Stato; nel limite massimo di euro 30.000.000, per l'anno 2020, per l'utilizzo di prestazioni di lavoro a contratto a termine; di euro 4.480.980, per l'anno 2020, per l'utilizzo di servizi di mediazione culturale; di euro 3.477.430, per l'anno 2020, per l'acquisto di materiale igienico-sanitario, dispositivi di protezione individuale e servizi di sanificazione ed euro 200.000 per l'adeguamento della piattaforma informatica del Ministero dell'interno - Dipartimento per le liberta' civili e l'immigrazione. Ai relativi oneri si provvede ai sensi del comma 26.
26. Agli oneri netti derivanti dal presente articolo, pari a 238.792.244 euro per l'anno 2020, a 346.399.000 euro per l'anno 2021 e a 340 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022, si provvede:
a) quanto a 35.000.000 di euro per l'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte, per il medesimo anno, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, relative all'attivazione, la locazione e la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio;
b) quanto ad euro 93.720.000 per l'anno 2020 con le risorse provenienti dal versamento dei contributi di cui al primo periodo del comma 7, che sono versate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario;
c) quanto ad euro 110.072.744 per l'anno 2020, ad euro 346.399.000 per l'anno 2021 e ad euro 340.000.000 a decorrere dall'anno 2022 ai sensi dell'articolo 265.

mercoledì 1 agosto 2018

Il mercenarismo. Profili penali -

Il mercenarismo. Profili penali - L'importanza della L. n. 210/1995. - Le fattispecie criminose pertinenti al mercenarismo militare; Lo "statuto penale" di chi arruola, finanzia od istruisce mercenari; Lo "statuto penale" dei mercenari.
di TENCATI A.
1. L'importanza della L. n. 210/1995

Recependo nell'ordinamento italiano la Convenzione Onu contro il reclutamento, il finanziamento e l'istruzione dei mercenari il nostro Parlamento (1) ha riaperto il dibattito su alcune fattispecie criminose scarsamente presentatesi ai giudici.

Nella giurisprudenza penale militare non si è infatti rinvenuto nessun precedente edito riguardante l'art. 77 del c.p.m.p. in connessione con l'art. 288 del c.p.(2) [la cui unica applicazione giurisprudenziale risale oltre tutto a quasi sessant'anni or sono (3)], mentre l'art. 244 di quest'ultimo codice è stato impiegato nelle aule giudiziarie soltanto negli anni Cinquanta (4), ed oltre tutto senza troppa frequenza neanche allora (5). Giunge quindi opportuno l'intervento normativo recato dalla recente L. n. 210/1995, alla quale va anzi attribuito un ulteriore merito: quello di far comprendere agli italiani che la solidarietà verso le vittime di una guerra ingiusta o di un regime politico oppressivo non può esprimersi attraverso la partecipazione di nostri armati al conflitto od all'insurrezione in corso in un Paese straniero. Tale concetto emergeva tuttavia già dai principi costituzionali che, quindi, la cit. L. n. 210/1995 si è soltanto limitata a ribadire: l'art. 78 (6) della Costituzione che attribuisce solo al Parlamento il potere di dichiarare (oltre tutto con finalità esclusivamente difensive) la guerra in soccorso di uno Stato estero minacciato da un altro che potrebbe offendere pure la nostra sovranità, mentre allo stesso Parlamento l'art. 80 della Carta costi-tuzionale affida la funzione di impegnare l'Italia nelle alleanze militari legittimanti l'impiego delle sue forze armate oltre i confini nazionali.

Se il riferimento ai Trattati internazionali viene poi esplicitamente elevato dall'art. 5 della L. n. 210/1995 a scriminante dell'arruolamento, dell'istruzione o del finan-ziamento dei mercenari, tale riferimento è comunque già implicitamente contenuto negli artt. 244 e 288 del codice penale quando parlano dell'"approvazione del Governo": perchè questa sia legittima occorre infatti la sua conformità alle intese internazionali stipulate dall'Italia, la cui menzione costituisce quindi una costante sia della normativa penalistica comune e militare sia della più recente disciplina repressiva del mercenarismo. Dalla lettura coordinata di tutte queste norme sorge nondimeno una

domanda: cosa accade se l'approvazione governativa degli arruolamenti, dell'istruzione o del finanziamento dei mercenari contraddice ai Trattati sottoscritti dall'Italia? Nessuna disposizione attinente al mercenarismo richiede invero espressamente che tale approvazione sia legittima: questa omis-sione normativa non consente però ancora di condividere l'idea(7) secondo cui gli artt. 244 e 288 del c.p., 77 e 103 del c.p.m.p., 85 del c.p.m.g., nonchè 3 e 4 della L. n. 210/1995 sarebbero inoperanti solo perchè il Governo ha concesso la sua appro-vazione, prescindendo quindi da qualunque indagine inerente ai metodi (eventualmente lesivi dell'altrui libertà morale) pretesamente utilizzati dai giudicabili per conseguirla.

Le più acute indagini dottrinali(8) hanno infatti concluso che il giudice penale resta sempre libero di apprezzare la legalità dell'atto governativo approvativo degli arruolamenti, dei finanziamenti o dell'istruzione di soggetti destinati a combattere all'estero, in quanto la presunzione di legittimità che assiste tale atto opera soltanto sul versante amministrativo.

Se accogliendo questa tesi(9) si determina poi la sanzionabilità di chi si veda imputato dei vari reati cui il mercenarismo militare potrebbe dar luogo solo perché un giudice penale ha creduto illegittima la pur esistente approvazione governativa, i ragionamenti inerenti all'elemento intenzionale salvano tuttavia il giudicabile da un'interpretazione apparentemente troppo rigorosa della normativa che tra poco sarà esaminata nei dettagli: perchè i delitti puniti da questa siano configurabili in tutti i loro elementi occorre infatti dimostrare che il giudicabile ha fatto rientrare nella sua volontà colpevole anche l'illegalità dell'approvazione governativa, salvo così gravare l'accusa di una prova sicuramente onerosa.

Un'approvazione legittima potrebbe, sia pure in casi forse marginali, venir conseguita pure coartando la libertà morale dei soggetti chiamati a concederla, sicchè è per defi-nizione spezzato il nesso automatico tra l'illegittimità della stessa approvazione ed i metodi malavitosi(10) even-tualmente utilizzati dai giudicabili per conseguirla.

2. Le fattispecie criminose pertinenti al mercenarismo militare: 

2.1. Lo "statuto penale" di chi arruola, finanzia od istruisce mercenari


Se i problemi relativi al sindacato del giudice penale sull'approvazione governativa dell'arruolamento, del finanziamento o dell'istruzione dei mercenari(11) presentano poi la cornice sistematica entro cui svolgere il discorso, questo va nondimeno ora concretizzato con attinenza alle

fattispecie criminose integrate dall'illecita operatività tramite gli stessi mercenari.

Il loro arruolamento, finanziamento od istruzione sono infatti pregiudizialmente sanzionati ("salvo che il fatto non costituisca un più grave reato", che però non riesce di facile individuazione) dall'art. 4 della L. n. 210/1995, cui spetta comunque il merito di colmare i vuoti sanzionatori presentati dalla preesistente legislazione, rispetto alla quale la recente normativa repressiva del mercenarismo non rappresenta comunque un inutile doppione.

Ed infatti l'art. 77 del c.p.m.p., in relazione all'art. 288 del c.p., sanziona esclusivamente gli arruolamenti illeciti avvenuti nel territorio nazionale sicchè, fino alla recente normativa, la stessa condotta posta in essere all'estero risultava irrilevante per il nostro diritto punitivo.

Se questo [grazie all'art. 6, comma 1, lettera a), della L. n. 210/1995] ha poi finalmente considerato gli aspetti inter-nazionali del mercenarismo militare, la situazione risul-tante dalla coordinazione tra le varie norme che lo repri-mono si sottrae d'altronde ad ogni censura di incostituzionalità prioritariamente sul versante processuale.

Il militare che si veda imputato per l'alto tradimento consistente nell'arruolamento dei mercenari può invero essere processato solo previa l'autorizzazione a procedere del Ministro di grazia e giustizia(12), mentre la procedibilità della condotta identica, pretesamente consumata all'estero, è subordinata alla richiesta dello stesso Ministro. Sia pure mediante differenti strumenti processuali viene quindi raggiunto il medesimo fine: assoggettare ad un filtro ministeriale l'avvio dell'azione penale(13) per reati comunque rientranti tra quelli politici

I reati puniti dagli articoli 244 e 288 del c.p., 77 e 103 del c.p.m.p.(14) nonchè 4 della L. n. 210/1995 offendono infatti la pretesa (sicuramente rientrante tra gli interessi od i motivi politici cui allude l'art. 8, comma 3, del c.p.) dell'Italia a non ingerirsi in guerre od insurrezioni che si stanno svolgendo all'estero. L'identico inquadramento sistematico dei vari reati integrati dal mercenarismo militare non impedisce tuttavia che tra le fattispecie costituenti ciascun delitto vi sia qualche significativa differenza.

Ed infatti basta confrontare l'art. 4 della L. n. 210/1995 con l'art. 288, comma 1, del c.p. (quest'ultimo applicato all'ambito marziale grazie all'art. 77 del codice di pace) per rilevare subito che la prima norma incriminatrice contiene un elemento specializzante rispetto alla seconda: la finalizzazione della condotta punibile a far combattere il soggetto passivo del mercenarismo in un conflitto svoltosi all'estero (ovvero a farlo partecipare ad un'in-surrezione armata contro i pubblici Poteri dello Stato straniero), mentre la normativa penalistica esistente nei codici ritiene sufficiente il semplice arruolamento di persone od il loro armamento in favore del Paese estero che ne beneficia, astraendo quindi dall'intervento alle ostilità od alle insurrezioni.

Ma neppure qualificando l'arruolamento a termini dell'art. 244(15) del c.p. si otterrebbero migliori risultati: tale articolo [applicabile all'ambiente marziale grazie al principio di complementarità dettato dall'art. 16 dello stesso codice(16)] punisce infatti il semplice fatto di arruolare persone legate al giudicabile dalla gerarchia militare(17), mentre il mercenarismo presuppone la coscienza e la volontà di far combattere gli arruolati in una guerra che si svolge all'estero (ovvero ad un'insurrezione armata esistente nello Stato straniero) per un corrispettivo corrisposto od almeno promesso.

Questa conclusione d'altra parte non si modifica neanche considerando la fattispecie aggravata enunciata dal II periodo del I comma del cit. art. 244: mentre tale norma identifica infatti nello scoppio della guerra tra l'Italia ed un Paese straniero un evento futuro, legato dal nesso causale all'arruolamento non auto-rizzato, l'art. 4 della L. n. 210/1995 ravvisa invece la condotta sanzionabile nell'arruolamento, nell'istruzione o nel finanziamento di mercenari da impiegare in una guerra già in atto. Il comportamento punito da quest'ultimo articolo consiste inoltre nell'arruolamento delle persone destinate ad intervenire ad un'insurrezione armata ormai in corso in un Paese straniero, dove quindi si sta svolgendo un evento che va nettamente distinto dalla guerra in senso tecnico.

In previsione del suo verificarsi potrebbero tuttavia effettuarsi arruolamenti od armamenti a favore di uno Stato straniero. Tali condotte rientrano nondimeno nella portata della normativa incriminatrice preesistente alla L. n. 210/1995, il cui art. 4 contribuisce d'altra parte a risolvere un problema: è sanzionabile chi arruola, finanzia od istruisce una persona singola per farla combattere in una guerra od in un'insurrezione che sta svolgendosi all'estero? Se la soluzione di questo forse scolastico quesito sembra infatti affermativa in base all'interpretazione giurisprudenziale(18) dell'art. 288 del c.p., il riferimento alle persone contenuto nell'art. 4 della L. n. 210/1995 fa viceversa propendere per la rile-vanza penale dei soli arruolamenti, finanziamenti od istru-zioni diretti ad una pluralità di soggetti, secondo quanto del resto avviene in pratica.

Se la nuova disciplina incriminatrice del mercenarismo esercita poi la sua influenza sull'interpretazione delle norme anteriori, queste conservano comunque la loro originaria validità quando l'accusa non riesca a dimostrare l'esistenza del dolo specifico richiesto dall'art. 4 della L. n. 210/1995: anche rispetto al mercenarismo militare il discorso si sposta allora sul sempre delicato terreno inerente alla valutazione dell'elemento volontaristico(19).

Si tratta infatti di stabilire a quali scopi la volontà colpevole si sia indirizzata, compiendo così un'indagine indispensabile a qualunque corretta riflessione penalistica.

2.2. Lo "statuto penale" dei mercenari

Se questa ricerca deve poi essere particolarmente raffinata in ordine all'arruolamento dove, come dimostrato in precedenza, esistono fattispecie criminose contigue ad esso, la discussione della recente normativa sul mercenarismo non può tuttavia concentrarsi esclusiva-mente sullo stesso arruolamento. Lo prova del resto l'art. 4 della L. n. 210/1995, comunque importante pure ad altro titolo. In principalità questo articolo suggerisce infatti l'incriminabilità anche dell'istruzione o del finanziamento dei mercenari, mentre in subordine questi sono identificati come i destinatari delle varie condotte ascritte alle loro controparti.

Quando l'art. 4 della L. n. 210/1995 fa rientrare nell'oggetto della volontà colpevole le condotte previste dall'art. 3(20) della stessa legge conferma anzi con l'autorità del legislatore lo stretto rapporto tra le varie ipotesi criminose raggruppate sotto la generica etichetta del mercenarismo militare. E' quindi doveroso seguire il legislatore nel costruire tale rapporto, la cui creazione costituisce anzi una notevole innovazione rispetto al preesistente assetto normativo. Sia l'art. 244 del c.p.(21) sia l'art. 288(22) dello stesso codice non menzionano infatti mai gli arruolati o gli armati per combattere all'estero sicchè questi, fino all'entrata in vigore della recente legislazione, commettevano soltanto il reato di diserzione(23), "a termine" ex art. 148 del c.p.m.p.(24) od immediata ex art. 149, comma 1, n. 4)(25) dello stesso codice secondo le circostanze.

L'aggravante posta al comma II dell'art. 288 del c.p. non può da parte sua invocarsi contro questa tesi: l'essere i mercenari militari od attualmente soggetti agli obblighi di leva perchè non ancora collocati in congedo assoluto per età costituisce infatti un elemento da valutarsi a carico del loro arruolatore(26), sicchè l'art. 3 della L. n. 210/1995 introduce una disposizione incriminatrice finora ignota al nostro ordinamento. Mentre l'innovazione legislativa così realizzata lascia poi sussistere un autonomo spazio applicativo alla diserzione immediata ex art. 149, comma 1, n. 4), del c.p.m.p., il confine con la diserzione "a termine" sanzionata dall'art. 148 dello stesso codice viene viceversa ancora una volta segnato dalle indagini attinenti all'elemento intenzionale: se infatti il preteso disertore abbandona il proprio Reparto senza auto-rizzazione per ragioni diverse dall'andare a combattere all'estero per una retribuzione corrispostagli od almeno promessagli trova applicazione la normativa sulla diserzione "a termine". Allorchè invece le indagini giudiziarie dimostrino la relazione causale tra la dazione o la promessa accettata(27) e la partenza per partecipare ad una guerra ovvero ad un'insurrezione armata in corso all'estero, con conseguente illecita assenza dal servizio alle armi in Italia, entra invece in scena l'art. 3 della L. n. 210/1995. Dal coordi-namento tra tale norma incriminatrice e le altre disposi-zioni ordinarie e militari citate in questo scritto emerge poi una fondamentale conclusione: evitare, comminando gravi sanzioni penali, che individui senza scrupoli, al soldo di persone altrettanto spregiudicate, costituiscano una perma-nente minaccia all'ordinato svolgersi delle relazioni internazionali. La repressione del loro turbamento ha anzi prevalso, nel determinare il bene giuridico protetto da tutte le norme incriminatrici finora esaminate, sulla tutela del monopolio statuale(28) relativo alla costituzione, all'addestramento od al finanziamento delle forze armate, ponendo così anche all'attenzione dei penalisti italiani i nuovi valori professati dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite mediante la Convenzione contro il mercenarismo militare.

Dott. Proc. Adolfo TENCATI



Note

(1) Con la L. n. 210 del 12 maggio 1995, recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il reclutamento, l'utilizzazione, il finan-ziamento e l'istruzione di mercenari, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989, pubblicata sul Suppl. Ord. alla Gazz. Uff. ? Serie Gen., n. 126 del 1°giugno 1995.

(2) Mentre la conclusione della II guerra mondiale da oltre un cinquantennio ha consegnato all'attenzione dei soli storici del diritto penale militare quanto detta l'art. 85 del c.p.m.g., in ordine al quale comunque si consultino MALIZIA, Voce Arruolamento illecito nel volume III dell'Enc. dir., Milano, 1958, pagg. 89 e seguenti e specialmente a pag. 90; MILAZZO, Voce Arruolamento illecito di guerra nel volume I del Noviss. dig. it., Torino, 1957, pag. 1012, nonchè MESSINA, Voce Arruolamento illecito di guerra nel volume I del Dig. disc. pen., Torino, 1991, pagg. 275-276. Ma le ragioni storiche non sono le sole a suggerire di non dedicare troppo spazio al cit. art. 85 del c.p.m.g.: quando l'art. 4 della L. n. 210/1995 reprime l'arruolamento, l'istruzione od il finanziamento dei soggetti destinati a combattere in uno Stato estero od a partecipare all'insurrezione armata contro i Poteri locali non presuppone necessariamente che tale Stato sia nemico dell'Italia nel senso internazionalistico di questo concetto. Nella malaugurata ipotesi in cui fosse in atto la guerra tra il nostro Paese e quello dove vanno a combattere i mercenari arruolati dal giudicabile la questione inerente a rapporti tra gli artt. 4 della L. n. 210/1995 ed il II comma dell'art. 85 del c.p.m.g. indubbiamente si porrebbe, ma sarebbe risolta in base ai principi sul "concorso apparente delle norme incriminatrici": considerando infatti che la disposizione bellica contiene l'elemento ulteriormente specializzante consistente proprio nella guerra tra l'Italia ed il Paese verso cui avviene l'illecito arruolamento, sarebbe infatti il cit. art. 85, comma 2, del c.p.m.g. a disciplinare in esclusiva la fattispecie proposta in questa nota. Sperando che la detta evenienza resti al livello meramente ipotetico ora prospettato, giova comunque ricordare che all'arruolatore dei mercenari per farli combattere in un Paese in guerra con l'Italia si applicherebbe l'ergastolo, essendo la pena capitale stata cancellata anche dalla legislazione militare di guerra dalla L. n. 589/1994, relativamente alla quale si consulti MAZZI, L'abolizione della pena di morte nelle leggi militari di guerra, in Rassegna, n. 3-4/1994, pagg. 97 e seguenti.

(3) Si veda infatti Cass. pen., sent. del 5 dicembre 1939 (Pacini), in "Giust. pen.", 1940, II, coll. 430 e seguenti.

(4) Così FIANDACA-MUSCO, Diritto penale - Parte speciale, Bologna, 1993, pagg. 91-93.

(5) Si vedano infatti Ass. di Roma, sent. del 7 marzo 1953, in"Foro it.", 1953, II, coll. 183 e seguenti; Ass. di Mantova, sent. del 23 giugno 1955, in "Riv. it. dir. pen.", 1955, pagg. 645 e seguenti; Cass. pen., sent. del 7 giugno 1950, ivi, 1952, pagg. 101 e seguenti nonchè Cass. pen., sent. del 17 ottobre 1958 (Troilo), in "Giust. pen.", 1959, II, col. 799. Nei successivi decenni non sono più stati reperiti precedenti editi in ordine all'art. 244 del c.p.

(6) Norma relativamente alla quale si veda per tutti CASSESE, Il Presidente della Repubblica nel Commentario della Costituzione diretto dal Branca, Bologna-Roma, 1978, pag. 274 dove, alla nota (14), si sono riscontrate altre indicazioni sulla funzione della dichiarazione di guerra nell'ambito internazionale ed in quello interno.

(7) Del MAZZACUVA, Le autorizzazioni e la loro rilevanza in sede penale, in "Riv. it. dir. proc. pen.", 1976, pagg. 774 e seguenti dove si rinvengono pure altre indicazioni bibliografiche.

(8) Per le quali si veda VENDITTI, Il sindacato del giudice penale sugli atti amministrativi, in "Riv. it. dir. proc. pen.", 1965, pag. 28 dove quest'Autore annota infatti in maniera del tutto condivisibile: "la disciplina di cui agli artt. 4 e 5 della Lac (Legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 20 marzo 1865, n. 2248, All. E) non è suscettibile di alcun concreto riferimento al giudizio penale dove la cognizione del giudice non presenta mai il pericolo dell'intervento giudiziale nella sfera riservata al potere amministrativo. Esso sfocia infatti sempre in una pronuncia di carattere dichiarativo".

(9) Contro la quale sembra vano invocare la sent. cost. n. 61 del 20-24 febbraio 1995 (pubblicata anche in Rassegna, n. 5-6/1994, pagg. 279 e seguenti con commenti del NUNZIATA, Caducato perchè costituzionalmente illegittimo l'art. 39 c.p.m.p. sulla inescusabilità della ignoranza dei doveri militari, nella parte in cui non esclude l'ignoranza "inevitabile", ivi, n. cit., pagg. 279 e seguenti nonchè del MACCIONI, L'art. 39 c.p.m.p. alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 61/95, ivi, n. cit., pagg. 289 e seguenti): ed infatti tale sentenza ritiene l'ignoranza invincibile di quanto l'ordinamento pretende dai cittadini esclusiva della volontà colpevole quando l'invincibilità della stessa ignoranza non derivi nè dalla volontaria disinformazione nè dalla negligenza nell'informarsi. Tale ultimo profilo resta tuttavia disatteso nel nostro caso dall'essere la forma colposa ignota ai delitti costruiti dalla legislazione incriminatrice ordinaria e militare qui analizzata. La pretesa punitiva avanzata dal Procuratore militare della Repubblica diviene pertanto fondata solo qualora tale magistrato dimostri che il giudicabile ha volontariamente ignorato le ragioni giuridiche sottostanti all'illegittimità dell'approvazione governativa: se è vero che per affermare la responsabilità penale in ordine al mercenarismo basta (in omaggio ai principi generali) anche il dolo eventuale, non va tuttavia taciuta la difficoltà dell'onere probatorio gravante sull'organo accusatore.

(10) Comunque costituenti reato ad un differente titolo quale, tanto per esemplificare, estorsione, violenza privata o minacce.

(11) Ossia di coloro che, senza essere cittadini dello Stato in cui operano, nè appartenenti alle locali forze armate od inviati in missione ufficiale dallo Stato italiano, combattono o partecipano ad un'insurrezione armata in un Paese straniero avendo ricevuto l'offerta o la promessa di denaro od altre utilità patrimonialmente apprezzabili: per tale definizione si veda l'art. 3 della L. n. 210/1995.

(12) Sulla cui determinazione di non concedere l'autorizzazione potrebbe comunque influire l'approvazione postuma dell'arruolamento considerato: così la Relazione sul Progetto definitivo del codice penale, Roma, 1930, volume II, paragrafo 16.

(13) Posto che il Procuratore militare della Repubblica è obbligato a svolgere comunque le indagini preliminari, salvo poi chiedere l'archiviazione degli atti per difetto di una condizione di procedibilità.

(14) Norma incriminatrice la cui collocazione tra i reati che sanzionano la "violazione di doveri generali inerenti al comando" sembra pertanto parziale: tale violazione rappresenterebbe infatti soltanto un aspetto della plurioffensività di tale delitto. Alla luce di quanto precisato nel testo esso offende infatti anche la personalità statuale, similmente del resto a quanto va sostenuto rispetto alla fattispecie sanzionata dall'art. 77 del codice di pace e dall'art. 85 della codificazione bellica. Rispetto alla collocazione sistematica dei reati militari contro la fedeltà si veda comunque MESSINA, I reati contro la fedeltà e la difesa militare, in Rassegna, 1987, pagg. 181 e seguenti e pagg. 289 e seguenti e Sull'infedeltà nel diritto penale militare, ivi, 1983, pagg. 517 e seguenti, dove pure si trovano altre indicazioni dottrinali.

(15) Alla cui esclusiva applicabilità dovrebbe anzi pensarsi qualora chi arruola i combattenti faccia appello alle loro motivazioni ideali, piuttosto che al freddo calcolo economico, per indurli a partecipare alla guerra od all'insurrezione che sta svolgendosi all'estero: per la nozione dell'arruolamento comprensiva anche di quello gratuito si esprime del resto il QUADRI, Voce Atti ostili verso uno Stato estero nel volume IV dell'Enc. dir., Milano, 1959, pagg. 65 e seguenti e specialmente a pag. 72. La nozione dell'arruolamento viene tuttavia analizzata pure dalla restante dottrina occupatasi dell'art. 244 del c.p.: senza pretesa della completezza sono comunque rilevanti i contributi del DI VICO, Degli atti ostili in tempo di pace (art.244 c.p.), in "Riv. pen.", 1934, pagg. 441 e seguenti; del DEAN, Il delitto di cui all'art. 244 c.p. e la nozione di atti ostili, in "Scuola pos.", 1961, pagg. 301 e seguenti nonchè del DELL'ANDRO, Il secondo comma dell'art. 244 cod. pen. e il secondo comma dell'art. 8 del Trattato del Laterano in relazione al processo Scattolini, in "Riv. it. dir. pen.", 1952, pagg. 101 e seguenti.

(16) Fatta comunque salva l'entrata in scena dell'art. 103 del codice di pace qualora il giudicabile possa qualificarsi comandante: se infatti la norma penale militare non riproduce il riferimento agli arruolamenti, presente invece nel diritto punitivo comune, sembra difficile negare che anche questi, effettuati da chi rivesta gradi talora anche elevati nelle forze armate, costituiscano condotte "la cui tolleranza da parte dello Stato territoriale implica una violazione o rottura delle neutralità". Si veda in tal senso ancora QUADRI, Atti ostili, cit., pag. 71 e DEAN, Brevi osservazioni in tema di atti ostili, in "Riv. it. dir. proc. pen.", 1959, pag. 1239, le cui osservazioni vanno condivise. Contrapponendosi a quanto sostenuto dal MANZINI, Trattato di diritto penale, Torino, 1950, volume IV, pag. 86, questi Autori sostengono infatti una nozione restrittiva degli atti ostili sanzionati sia dall'art. 244 del c.p. sia dall'art. 103 del c.p.m.p., ma nel suo ridotto contenuto gli arruolamenti non approvati dal Governo dovrebbero comunque rientrare con una certa facilità. 

(17) Secondo la definizione dell'arruolamento fornita, pressochè in questi precisi termini, dal QUADRI, Atti ostili, cit., pag. 72.

(18) Proposta dalla Cass. pen. nella ricordata sent. del 5 dicembre 1939.

(19) Il cui accertamento resta comunque escluso quando si applichi al reato di arruolamento, istruzione o finanziamento dei mercenari quanto la dottrina (FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 111) rileva in ordine all'art. 288 del c.p. esteso all'ambito marziale dall'art. 77 del codice di pace: tale dottrina ritiene infatti ammissibile il tentativo dell'arruolamento illecito in base ad un ragionamento che sembra estensibile anche al caso previsto dall'art. 4 della L. n. 210/1995, posto che pure in tal caso si può individuare una condotta snodatasi attraverso un percorso criminoso suscettibile di interrompersi per volontà del giudicabile.

(20) Ossia il combattimento in una guerra o la partecipazione ad un'insurrezione armata in uno Stato straniero senza essere: 1) cittadino di quello Stato nè ivi stabilmente residente; 2) appartenente alle locali forze armate od a quelle formalmente nemiche dello Stato dove la guerra o l'insurrezione si svolgono; 3) inviato in missione ufficiale dal proprio Paese, ovviamente estraneo alla guerra od all'insurrezione. Anche successivamente alla L. n. 210/1995 le condotte sanzionate da questa legge dovrebbero invece essere punite come costituzione di banda armata, insurrezione armata contro i poteri dello Stato, delitto del cittadino che porta le armi contro lo stesso Stato o guerra civile se consumate sul fronte interno.

(21) Similmente all'art. 103 del c.p.m.p.

(22) Applicabile ai militari in base all'art. 77 del c.p.m.p., come varie volte ricordato in questo scritto.

(23) Eventualmente pure al nemico ex art. 143 del c.p.m.g. quando si ipotizzi la guerra tra lo Stato italiano e quello dove i mercenari sono inviati a combattere: sui rapporti tra la fattispecie qui menzionata e quella descritta dall'art. 85, comma 1, dello stesso codice si consulti MILAZZO, Arruolamento, cit., pag. 1012, mentre la diserzione al nemico viene analiticamente discussa dal VENDITTI, I reati contro il servizio militare e contro la disciplina militare, III edizione, Milano, 1985, pag. 190, nonchè IV ed., Milano, 1995. Nessuno di tali Autori sembra tuttavia analizzare il rapporto tra la diserzione al nemico e le fattispecie descritte dall'art. 3 della L. n. 210/1995. Si ritiene però possibile, anche nel caso ora proposto, risolvere il "conflitto apparente delle norme incriminatrici" mediante l'applicazione dell'art. 143 del c.p.m.g. in quanto contenente il maggior numero di elementi specializzanti, salvo sostituire pure nel caso ora discusso la pena capitale con l'ergastolo ex L. n. 589/1994.

(24) Qualora i giudicabili si fossero allontanati dai rispettivi Reparti per combattere come mercenari nel senso corrente del termine, del resto recepito pure dall'art. 3, comma 1, della L. n. 210/1995: a termini dell'art. 148 del c.p.m.p. è infatti irrilevante la ragione per cui i giudicabili si sarebbero illecitamente assentati dal servizio alle armi, potendo quindi la partenza per servire in bande armate al soldo altrui al massimo influire sulla quantificazione della pena. La coscienza sociale disapprova invero con particolare acutezza il mercenarismo militare, sicchè la diserzione per andare mercenari all'estero potrebbe risultare aggravata dai motivi abbietti di cui all'art. 61, n. 1), del c.p. A riequilibrare il carico sanzionatorio potrebbe tuttavia intervenire il bilanciamento con le attenuanti specifiche, comuni o militari, ovvero con le generiche.

(25) Qualora i giudicabili partecipassero alle operazioni militari volte a rovesciare i Poteri costituiti in un Paese straniero unendosi alle forze armate "golpiste" o comunque rivoluzionarie.

(26) Che il MALIZIA, Arruolamento, cit., pag. 90 ha correttamente qualificato concorrente in diserzione (semplice od immediata in base a quanto precisato alle due precedenti note) presentando tuttavia un ragionamento superato dalla recente legislazione sul mercenarismo militare.

(27) La cui dimostrazione diviene comunque particolarmente difficile quando gli accertamenti patrimoniali o bancari non evidenzino il passaggio di denaro in favore del preteso mercenario.

(28) Cui accennava la Relazione, cit., volume II, pag. 72 quando testualmente sosteneva che il mercenarismo "costituisce una usurpazione del potere di coscrizione militare, che spetta esclusivamente allo Stato, ed una violazione del diritto, che spetta egualmente allo Stato, di mandare all'estero il proprio soccorso militare".

L'articolo in originale è reperibile al seguente link https://www.difesa.it/Giustizia_Militare/Rassegna/Bimestrale/1995/Pagine/Vol34Saggi02.aspx

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mercoledì 28 giugno 2017

Stato liberale e Stato etico




Attento sostenitore del carattere razionale e dimostrativo dell’etica, John Locke ritiene invece che non si può proporre nessuna regola morale di cui non si debba dar ragione, e la ragione di tali regole dovrebbe essere la loro utilità per la conservazione della società civile e la felicità pubblica. Nella disparità delle regole morali che affollano la nostra società si dovrebbe, pertanto, selezionare quelle utili a tale scopo. “Vivi secondo ragione”, afferma Locke.

In uno Stato liberale, al contrario di uno Stato etico, gli individui sono ‘liberi’ e tutti esattamente ‘uguali’; liberi di agire e di pensare, liberi di decidere, di gestire se stessi e la propria esistenza. Le regole morali, in particolare – come sottolinea Mill – “proibiscono agli uomini di nuocersi reciprocamente (fra cui non dovremmo mai dimenticare di includere l’indebita ingerenza nella libertà individuale altrui) hanno per il nostro benessere un interesse più vitale di qualsiasi altra massima che, per quanto importante, si limiti ad indicare il modo migliore di amministrare un certo settore delle faccende umane”. L’uomo liberale considera inoltre la tolleranza – virtù scarsamente praticata in uno Stato etico – una virtù morale di fondamentale importanza per il progresso umano e civile della società: “Il liberale ama la tolleranza ela libertà. Ilsuo amore per la tolleranza è la necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili”, afferma Karl Popper.

Nel contempo, però, secondo l’epistemologo austriaco è necessario difendersi da coloro che non sono tolleranti e che quindi pretendono di dettare comportamenti e regole morali, instaurando così un’etica assoluta che non dà spazio alla discussione critica. Il liberale “è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. […] Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”. >


Stato liberale e Stato etico Di Barbara Speca

Il caso di Charlie Gard



La vicenda e i fatti


Le ordinanze della CEDU

Interim measures





sabato 18 marzo 2017

Corte di giustizia dell’Unione europea 
COMUNICATO STAMPA n. 30/17 Lussemburgo, 14 marzo 2017 
Sentenze nelle cause C-157/15 Achbita, Centrum voor Gelijkheid van kansen en voor racismebestrijding / G4S Secure Solutions e C-188/15 Bougnaoui e Association de défense des droits de l’homme (ADDH) / Micropole Univers 
Non costituisce una discriminazione diretta la norma interna di un’impresa che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso Tuttavia, in mancanza di siffatta norma, la volontà di un datore di lavoro di tener conto del desiderio del cliente che i suoi servizi non siano più prestati da una dipendente che indossa un velo islamico non può essere considerata un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa tale da escludere l’esistenza di una discriminazione Causa C-157/15, G4S Secure Solutions Il 12 febbraio 2003, Samira Achbita, di fede musulmana, è stata assunta come receptionist dall’impresa G4S. Tale impresa privata fornisce, in particolare, servizi di ricevimento e accoglienza a clienti sia del settore pubblico sia del settore privato. All’epoca dell’assunzione della sig.ra Achbita, una regola non scritta interna alla G4S vietava ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose. Nell’aprile 2006, la sig.ra Achbita ha informato il datore di lavoro del fatto che intendeva indossare il velo islamico durante l’orario di lavoro. In risposta, la direzione della G4S le ha comunicato che il fatto di indossare un velo non sarebbe stato tollerato in quanto portare in modo visibile segni politici, filosofici o religiosi era contrario alla neutralità cui si atteneva l’impresa nei suoi contatti con i clienti. Il 12 maggio 2006, dopo un periodo di assenza dal lavoro per malattia, la sig.ra Achbita ha comunicato al proprio datore di lavoro che avrebbe ripreso l’attività lavorativa il 15 maggio e che da allora in poi avrebbe indossato il velo islamico. Il 29 maggio 2006, il comitato aziendale della G4S ha approvato una modifica del regolamento interno, entrata in vigore il 13 giugno 2006. Essa prevede che «è fatto divieto ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose e/o manifestare qualsiasi rituale che ne derivi». Il 12 giugno 2006, a causa del perdurare della sua volontà di indossare il velo islamico sul luogo di lavoro, la sig.ra Achbita è stata licenziata. Essa ha contestato tale licenziamento dinanzi ai giudici del Belgio. Adito della controversia, lo Hof van Cassatie (Corte di cassazione, Belgio) si interroga sull’interpretazione della direttiva dell’Unione sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro  . In sostanza, tale giudice intende sapere se il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna generale di un’impresa privata, costituisca una discriminazione diretta. Nella sua sentenza odierna, la Corte di giustizia rammenta innanzitutto che nella direttiva si intende per «principio di parità di trattamento» l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata, tra le altre cose, sulla religione. Sebbene la direttiva non contenga alcuna definizione della nozione di «religione», il legislatore dell’Unione ha fatto riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nonché alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, riaffermate nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Pertanto, la nozione di 1 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16) religione deve essere interpretata nel senso che essa comprende sia il fatto di avere convinzioni religiose, sia la libertà degli individui di manifestarle pubblicamente. La Corte rileva che la norma interna della G4S si riferisce al fatto di indossare segni visibili di convinzioni politiche, filosofiche o religiose e riguarda quindi qualsiasi manifestazione di tali convinzioni, senza distinzione alcuna. Tale norma tratta, pertanto, in maniera identica tutti i dipendenti dell’impresa, imponendo loro, segnatamente, in maniera generale ed indiscriminata, una neutralità di abbigliamento. Dagli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che tale norma interna sia stata applicata in modo diverso alla sig.ra Achbita rispetto agli altri dipendenti della G4S. Di conseguenza, siffatta norma interna non implica una disparità di trattamento direttamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi della direttiva. La Corte rileva che non è tuttavia escluso che il giudice nazionale possa arrivare alla conclusione che la norma interna istituisca indirettamente una disparità di trattamento fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, qualora fosse dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro in essa contenuto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia. Tuttavia, siffatta disparità di trattamento non costituirebbe una discriminazione indiretta qualora fosse giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento fossero appropriati e necessari. La Corte, pur sottolineando che il giudice nazionale investito della controversia è l’unico competente a stabilire se e in quale misura la norma interna sia conforme a tali requisiti, fornisce indicazioni al riguardo. Essa rileva che è legittima la volontà di un datore di lavoro di mostrare ai suoi clienti, sia pubblici sia privati, un’immagine di neutralità, in particolare qualora siano coinvolti soltanto i dipendenti che entrano in contatto con i clienti. Tale intenzione, infatti, rientra nell’ambito della libertà d’impresa, riconosciuta dalla Carta. Inoltre, il divieto di indossare in modo visibile segni di convinzioni politiche, filosofiche o religiose è idoneo ad assicurare la corretta applicazione di una politica di neutralità, a condizione che tale politica sia realmente perseguita in modo coerente e sistematico. A tale proposito, il giudice nazionale deve verificare se la G4S avesse stabilito, prima del licenziamento della sig.ra Achbita, una politica generale ed indifferenziata al riguardo. Nel caso di specie, occorre altresì verificare se il divieto interessi unicamente i dipendenti della G4S che hanno rapporti con i clienti. In caso affermativo, il divieto deve essere considerato strettamente necessario per il conseguimento della finalità perseguita. Occorre inoltre verificare se, tenendo conto dei vincoli inerenti all’impresa, e senza che quest’ultima debba sostenere un onere aggiuntivo, fosse possibile per la G4S proporre alla sig.ra Achbita un posto di lavoro che non comportasse un contatto visivo con i clienti, invece di procedere al suo licenziamento. La Corte conclude, pertanto, che il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna di un’impresa privata che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi della direttiva. Siffatto divieto può invece costituire una discriminazione indiretta qualora venga dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia. Tuttavia, tale discriminazione indiretta può essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, purché i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Spetta alla Corte di cassazione belga verificare se sussistono tali condizioni.
Causa C-188/15, Bougnaoui e ADDH Asma Bougnaoui ha incontrato, nell’ottobre del 2007, durante una fiera dello studente, prima di essere assunta dall’impresa privata Micropole, un rappresentante di quest’ultima, che l’ha informata della circostanza che il fatto di indossare il velo islamico avrebbe potuto porre problemi quando fosse stata a contatto con i clienti di tale società. Quando la sig.ra Bougnaoui si è presentata, il 4 febbraio 2008, alla Micropole per effettuarvi il proprio tirocinio di fine studi, indossava una semplice fascia. Successivamente, sul luogo di lavoro ha indossato un velo islamico. Alla fine del tirocinio, la Micropole l’ha assunta, a decorrere dal 15 luglio 2008, sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in qualità di ingegnere progettista. In seguito alla lamentela di un cliente cui era stata assegnata dalla Micropole, tale impresa ha ribadito il principio di necessaria neutralità nei confronti della clientela e le ha chiesto di non indossare più il velo. La sig.ra Bougnaoui ha risposto negativamente ed è stata di conseguenza licenziata. Essa ha contestato il suo licenziamento dinanzi ai giudici francesi. Adita della controversia, la Corte di cassazione francese chiede alla Corte di giustizia se la volontà di un datore di lavoro di tener conto del desiderio di un cliente che i suoi servizi non siano più forniti da una dipendente che indossa il velo islamico possa essere considerata un «requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa» ai sensi della direttiva. Nella sua sentenza odierna, la Corte rileva innanzitutto che la decisione di rinvio non consente di sapere se la questione della Corte di cassazione si basi sulla constatazione di una disparità di trattamento direttamente o indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali. Spetta pertanto alla Corte di cassazione verificare se il licenziamento della sig.ra Bougnaoui si sia basato sul mancato rispetto di una norma interna che vieta di indossare in modo visibile segni di convinzioni politiche, filosofiche o religiose. In caso affermativo, spetta a tale giudice verificare se ricorrono le condizioni rilevate nella sentenza G4S Secure Solutions, ossia se la disparità di trattamento, derivante da una norma interna apparentemente neutra che rischia di comportare, di fatto, un particolare svantaggio per talune persone, sia oggettivamente giustificata dal perseguimento di una politica di neutralità e se sia appropriata e necessaria. Per contro, nel caso in cui il licenziamento della sig.ra Bougnaoui non si basasse sull’esistenza di siffatta norma interna, occorrerebbe determinare se la volontà di un datore di lavoro di tener conto del desiderio di un cliente che i suoi servizi non siano più prestati da una dipendente che indossa un velo islamico sia giustificata ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva, secondo la quale gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento vietata dalla direttiva non costituisce discriminazione laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato. A tale riguardo, la Corte rammenta che è solo in casi strettamente limitati che una caratteristica collegata, in particolare, alla religione può costituire un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Infatti, tale nozione rinvia a un requisito oggettivamente dettato dalla natura o dal contesto in cui viene espletata un’attività lavorativa e non include considerazioni soggettive, quali la volontà del datore di lavoro di tener conto dei desideri particolari del cliente. La Corte risponde quindi che la volontà di un datore di lavoro di tener conto del desiderio del cliente che i suoi servizi non siano più assicurati da una dipendente che indossa un velo islamico non può essere considerata un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa ai sensi della direttiva. 

Il testo integrale delle sentenze : C-157/15 http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-157/15
e C-188/15 http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-188/15

Il comunicato stampa è reperibile qui   http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2017-03/cp170030it.pdf 

Comunicato stampa

C 157/15

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