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ALTALEX NEWS


venerdì 28 gennaio 2011

Amnesty International: la Tunisia deve rompere definitivamente col passato

Amnesty International: la Tunisia deve rompere definitivamente col passato
(24 gennaio 2011)
Amnesty International ha chiesto oggi alle autorità tunisine di revisionare a fondo il sistema giudiziario e l'apparato repressivo di sicurezza del paese. L'organizzazione intende sottoporre al nuovo governo di Tunisi una "Agenda per il cambiamento in tema di diritti umani", che possa introdurre riforme profonde e stabili, in grado di rompere definitivamente con un passato fatto di decenni di violazioni dei diritti umani. "È un momento decisivo per la Tunisia. Occorrono cambiamenti reali e non di facciata. Come primo passo, il governo deve immediatamente riprendere il controllo delle forze di sicurezza e fare in modo che siano chiamate a rispondere del loro operato. I diritti umani devono essere il nucleo centrale, e non un'opzione, del programma del nuovo governo" - ha dichiarato Claudio Cordone, direttore della ricerche e dei programmi regionali di Amnesty International.
Amnesty International ha apprezzato l'impegno del governo a rilasciare tutti i prigionieri politici, ma chiede altre azioni urgenti e di ampia portata:
le forze di sicurezza dovranno essere riportate in un ambito di legalità, nessun appartenente al loro apparato dovrà essere al di sopra della legge e dovranno essere emanate chiare indicazioni sull'impiego della forza, per evitare che munizioni letali vengano ancora utilizzate per disperdere le manifestazioni;
le autorità dovranno condannare pubblicamente l'uso della tortura e agire rapidamente per sradicarla, tra l'altro portando di fronte alla giustizia chi ha ordinato, commesso o insabbiato atti di tortura e fornendo riparazione alle vittime;
i tunisini dovranno avere fiducia nel fatto che il sistema giudiziario li tratterà con equità, i giudici dovranno essere indipendenti e certi che non saranno rimossi;
i tunisini dovranno poter parlare e agire liberamente, le autorità dovranno annullare tutte le leggi che hanno criminalizzato il pacifico esercizio dei diritti alla libertà di espressione, associazione e assemblea, cessare di perseguitare gli ex prigionieri politici e abolire le restrizioni ai viaggi all'estero;
le autorità dovranno affrontare le cause profonde delle attuali proteste, ponendo fine alle discriminazioni, agli abusi di potere, all'ineguale accesso ai servizi pubblici essenziali e assicurando il livello minimo essenziale di diritti economici, sociali e culturali a tutta la popolazione.
Infine, Amnesty International sottolinea che le riforme senza indagini sulle violazioni del passato, che hanno contraddistinto il governo di Ben Alì, suonerebbero vuote. Per questa ragione, l'organizzazione per i diritti umani chiede alle autorità tunisine di indagare a tutto tondo sugli ultimi due decenni, così come sugli eventi delle ultime due settimane, per dare ai tunisini verità, giustizia e riparazione. "I tunisini desiderano indagini come si deve, non commissioni prive di potere e non in grado di chiamare le autorità a testimoniare. Vogliono sapere la verità sulla repressione e gli abusi di potere e le vittime di questi ultimi devono avere accesso alla giustizia e alla riparazione" - ha commentato Cordone.

Leggi in inglese l'"Agenda per il cambiamento in tema di diritti umani" indirizzata al governo di Tunisi
(20 gennaio 2011) Tunisia, rilasciati tutti i prigionieri politici (17 gennaio 2011) Tunisia: annullare la licenza di "sparare a vista" (10 gennaio 2011) Tunisia: weekend di sangue, le autorità devono proteggere i manifestanti

Direttiva rimpatri e art. 14 t.u. immigrazione


Direttiva rimpatri e art. 14 t.u. immigrazione

Intervento in dibattito [ Tomaso Epidendio]

SOMMARIO1. La rilevanza penale interna della direttiva rimpatri

2. L'efficacia diretta o indiretta della direttiva rimpatri

3. Conclusioni

1. La rilevanza penale interna della direttiva rimpatri Come ormai noto, con l’entrata in vigore (1.12.2009) del Trattato di Lisbona, si prevede la possibilità di emanare direttive e regolamenti (con tutte le conseguenze relative al carattere di tale normativa europea e ai suoi effetti negli Stati membri) in materia di diritto penale e di polizia nei limiti delle competenze stabilite dagli artt. 69 A (82), 69 B (83), 69 C (84), 69 D (85), 69 E (86), 69 F (87), 69 G (88) e 69 H (89) con conseguente estensione al riguardo delle competenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (già della Comunità europea). Tuttavia, ai sensi degli artt. 9 e 10, titolo VII del Protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie del medesimo Trattato di Lisbona, gli atti adottati anteriormente continueranno ad applicarsi secondo la valenza ad essi attribuita prima all’entrata in vigore del Trattato citato. [1] Orbene, la cd. direttiva rimpatri (direttiva 2008/115/CE) è stata adottata anteriormente al citato Trattato di Lisbona[2], con la conseguenza che, in forza della citata disposizione transitoria, a tale direttiva potrà riconoscersi, in ambito penale, la valenza attribuita a tali atti prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, almeno sino a che le istituzioni comunitarie non si avvarranno delle nuove competenze loro attribuita direttamente in materia penale. Secondo l’assetto anteriore al Trattato di Lisbona – quale delineato nelle note sentenze emanate dalla Grande Sezione della Corte nel 2005: Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, 13 settembre 2005, Commissione c. Consiglio, che aveva annullato la decisione quadro del Consiglio UE 27 gennaio 2003 (2003/80/GAI) relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, accogliendo il ricorso della Commissione che aveva rivendicato le competenze comunitarie in materia ambientale, quali enunciate negli artt. 3, n.1 lett. I), 174 e 176 Trattato CE; Corte di Giustizia CE, Grande Sezione 3 maggio 2005 Berlusconi e altri; Corte di Giustizia CE Grande Sezione 16 giugno 2005 Pupino – le istituzioni comunitarie non hanno competenza ad emanare atti dotati di diretta efficacia penale nell’ordinamento dello Stato membro (quali regolamenti o direttive auto applicative). Tuttavia, norme comunitarie direttamente efficaci, emanate in materia di competenza comunitaria (come ad esempio la protezione dell’ambiente), in forza del principio di prevalenza del diritto comunitario su quello interno, possono influire sulle norme penali interne quando la fattispecie in esse prevista comprenda elementi normativi di fattispecie inclusi nelle norme incriminatrici statali, cioè elementi per definire i quali è necessario applicare norme stabilite per altre materie (civile, amministrativa, commerciale, ecc…). Quando la norma interna che consente di definire l’elemento normativo di fattispecie non può essere applicata (cd. “in applicazione” o più impropriamente “disapplicazione” comunitaria) per contrasto con normativa comunitaria direttamente efficace (che, in quanto tale, si deve applicare in sua vece), il precetto penale non può ritenersi integrato, di tal che l’imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste (ad esempio, l’abrogazione dei dazi intracomunitari impedisce di integrare il contrabbando di merci importate in ambito comunitario). Occorre peraltro fare attenzione al fatto che la norma extrapenale integratrice non è di per sé illegittima, ma semplicemente non viene in rilievo nell’ambito di competenza comunitaria, residuando la sua applicazione fuori da tale ambito, ciò che distingue l’istituto della cd. “disapplicazione comunitaria” dal diverso istituto della disapplicazione da parte del giudice ordinario dell’atto amministrativo (che implica invece un giudizio di illegittimità dell’atto).[3] Simile distinzione tra i due istituti della “in applicazione” e della “disapplicazione” non rappresenta una mera sottigliezza teorica, in quanto consente di capire perché la Corte costituzionale abbia potuto riconoscere anche al giudice comune tale potere di “in applicazione” (o “disapplicazione comunitaria”), proprio in quanto esso non implica un giudizio di illegittimità della legge interna (che la nostra Costituzione riserva alla Corte), ma solo un riconoscimento (interpretativo, tipico del giudice comune) di diversi ambiti applicativi di differenti disposizioni normative (comunitaria e interna). Questa è l’impostazione adottata dalla nostra Corte costituzionale - all’esito del suo cd. “cammino comunitario” che, in relazione al contrasto tra norme interne e norme comunitarie, l’ha portata ad abbandonare successivamente le vie del criterio cronologico, della illegittimità costituzionale della norma interna per giungere appunto quello della non applicazione della norma interna da parte del giudice comune, con la nota sentenza emessa nel caso Granital nel 1984 (Corte cost. n. 170/1984), secondo cui: - l’ordinamento comunitario e quello dello Stato sono separati e autonomi, con la conseguenza che la normativa comunitaria non entra a far parte dell’ordinamento dello Stato, ciascuna norma restando valida ed efficace nel proprio ordinamento secondo le condizioni poste dall’ordinamento stesso (cd. teoria dualistica, sgradita alla giurisprudenza della Corte di Giustizia); - gli eventuali conflitti tra norme interne e norme comunitarie direttamente efficaci devono essere risolti secondo il criterio della competenza, nel senso che, ove la norma comunitaria abbia effetto diretto e venga riconosciuto l’ambito di competenza comunitaria, la norma interna contrastante non viene abrogata (come avverrebbe in applicazione del criterio cronologico) e neppure dichiarata illegittima (in forza del criterio di gerarchia), ma semplicemente non applicata in forza del criterio di competenza, posto che, con la ratifica ed esecuzione del Trattato, lo Stato ha consentito ex art.11 comma 2 Cost. a quelle limitazioni di sovranità che consentono alla sola norma comunitaria di venire in rilievo, ritirandosi in modo corrispondente l’ambito di applicazione della norma interna; - la norma comunitaria priva di effetti diretti, invece, ove contrasti con il diritto interno, legittimerà solo il giudice comune a sollevare incidente di costituzionalità, il quale dovrà sempre procedervi (denunciando l’ordine di esecuzione del Trattato) ove ritenga che la norma comunitaria violi i principi fondamentali dell’ordine costituzionale (cd. teoria dei contro-limiti). La cd. direttiva rimpatri è stata adottata nell’ambito delle competenze comunitarie in punto di armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di espulsione, con la conseguenza che essa, ove venissero rispettate le condizioni a ciò necessarie, potrebbe astrattamente avere diretta efficacia solo in tale materia (di rilevanza comunitaria): infatti, posto che l’art. 14 d.lgs. n. 286/1998 sanziona a titolo penale l’inottemperanza a provvedimenti amministrativi adottati nella procedura di espulsione prevista dalla legge italiana, l’eventuale incidenza diretta della normativa comunitaria su tale procedura amministrativa, può riverberarsi sulla norma penale, anche in forza degli assetti anteriori all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, seppure in modo piuttosto articolato e niente affatto perspicuo, tanto da poter essere fonte di facili equivoci. Invero, se (e si ribadisce se) la direttiva rimpatri avesse diretta efficacia e si ritenesse che le norme di legge interna contrastino con tale direttiva, allora tali norme di legge interna sull’espulsione non dovrebbero essere applicate (disapplicazione comunitaria) dovendosi in loro vece applicare le norme contenute nella direttiva: a questo punto il provvedimento amministrativo potrebbe essere considerato illegittimo per violazione delle norme comunitarie che l’autorità amministrativa (quale organo dello Stato tenuto a rispettare il diritto comunitario) deve applicare in vece di quelle interne, e, conseguentemente, il provvedimento amministrativo di allontanamento potrebbe essere disapplicato (disapplicazione amministrativa) dal giudice penale per illegittimità conseguente a violazione della legge (comunitaria) da applicarsi in vece di quella statale interna contrastante (“inapplicata”). Pertanto, anche ove si riconoscesse diretta efficacia alla direttiva comunitaria, questa comporterebbe “solo” la disapplicazione dell’atto amministrativo di allontanamento e mai la inapplicazione diretta della norma penale di cui all’art. 14 d. lgs. n.286/98, trattandosi di norma che, in quanto penale, prima del Trattato di Lisbona e in base al citato Protocollo sulle disposizioni transitorie, non rientra direttamente nell’ambito di rilevanza comunitaria.[4] Deve solo rimarcarsi come la disapplicazione della norma penale non potrebbe neppure giustificarsi ove si ritenesse che la direttiva rimpatri codifichi un principio di proporzione sulle limitazioni massime della libertà personale riguardanti il soggetto che si oppone all’allontanamento, così concretizzando il corrispondente principio dell’art. 49 della cd. Carta di Nizza. E’ pur vero, infatti, che l’art. 6 comma 1 del Trattato sull’Unione europea prevede ora il riconoscimento de “i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000” (cd. Carta di Nizza), stabilendo che la Carta “ha lo stesso valore giuridico dei Trattati”. Tuttavia la Corte costituzionale ha già precisato, con una fondamentale sentenza in materia di mandato di arresto europeo, che neppure la contrarietà con un principio del Trattato possa sempre essere considerata di per sé sufficiente a giustificare la disapplicazione (rectius “inapplicazione”) della norma penale interna configgente.[5] Infatti, si è affermato nella sentenza Corte cost. 12 maggio - 21 giugno 2010 n.196, che “il contrasto della norma [statale interna] con il principio [nella specie di non discriminazione di cui all’art. 12] del Trattato CE, non è sempre di per sé sufficiente a consentire la non applicazione della configgente norma interna da parte del giudice comune”, in quanto “pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non è dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti” essendo consentito al legislatore nazionale di derogarvi: in altre parole, la natura “defettibile” che connota i principi non consente la disapplicazione, ritenuta ugualmente preclusa dal fatto che si verta in materia penale, cioè in materia non regolata da norme comunitarie di efficacia diretta prima del Trattato di Lisbona e per la quale, in forza della normativa transitoria, si continuerà ad applicare il regime previgente sino a che l’Unione non interverrà con disposizioni dotate di efficacia diretta penale. 2. L'efficacia diretta o indiretta della direttiva rimpatri Deve peraltro dubitarsi che la direttiva rimpatri abbia efficacia diretta. Infatti, perché un atto normativo comunitario possa considerarsi dotato di efficacia diretta occorre che: - la direttiva sia dettagliata, intendendosi con ciò che sia
chiara, vale a dire non ambigua od equivoca
precisa, sufficientemente specifica e tale da non necessitare di ulteriori interventi per poter essere applicata;
incondizionata, cioè prevedere una disciplina non sottoposta a condizioni per poter essere applicata; - sia scaduto il termine di attuazione per lo Stato.[6] Orbene, se appare chiaramente integrato il requisito della scadenza del termine per l’attuazione (effettivamente scaduto il 24 dicembre 2010)[7], la parziale puntualità della disciplina della direttiva non consente di trascurare il fatto che la medesima non può ritenersi affatto incondizionata e precisa, per gli spazi lasciati alla discrezionalità del legislatore nazionale, in particolare da: l’art.2.2 che prevede la possibilità di non applicare la direttiva ai soggetti già “fermati” o “scoperti” in sede di attraversamento irregolare delle frontiere, con difetto di chiarezza anche del termine “scoperto”, che potrebbe legittimare l’esclusione dell’applicazione della direttiva anche per l’accertamento successivo del transito irregolare, conclusione coerente con la regola generale dell’allontanamento volontario (certamente ragionevole in caso di ingresso regolare sul territorio nazionale ma assai meno fuori da questa ipotesi); l’art. 7 che prevede l’intervento del legislatore nazionale per stabilire deroghe essenziali al funzionamento del sistema di espulsione delineato nella direttiva, tale da implicare un precisa definizione di regole ed eccezioni, ad esempio, in punto pericolo di fuga (i cui parametri di commisurazione devono essere stabiliti dal legislatore nazionale ai sensi dell’art. 2 della medesima direttiva), di esistenza di legami familiari e sociali, alla concessione di un termine solo su richiesta, ecc. La bontà delle conclusioni di cui sopra è facilmente verificabile alla luce del fatto che, ove si ritenesse la diretta efficacia, occorrerebbe anche ritenere che l’autorità amministrativa possa adottare i provvedimenti relativi alla procedura di espulsione sulla base delle sole prescrizioni contenute nella direttiva, senza bisogno di nessun altra integrazione, dovendo la medesima applicare tale normativa comunitaria al posto di quella interna contrastante. E’ pur vero che la Circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – prot. 400/B/2010, ipotizzando una problematica compatibilità della procedura di espulsione regolata dalla legge nazionale con la direttiva comunitaria, ha inteso attribuire alle Prefetture e alle Questure il compito di adeguarsi mediante l’adempimento di adeguati oneri motivazionali. Ciò nondimeno non si vede come il Questore possa, sulla sola base della direttiva, creare dal nulla provvedimenti privi di qualsiasi disciplina di dettaglio, quali l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o di costituire adeguate garanzie finanziarie, ovvero individuare il pericolo di fuga in assenza dei parametri legislativi che la stessa direttiva comunitaria ritiene indispensabili, oltre tutto rovesciando la natura del provvedimento esistente (ordine di allontanamento, che presuppone la motivazione sull’assenza del pericolo di fuga e richiede la motivazione sull’impossibilità di trattenimento in CIE). 3. Conclusioni In assenza dei predetti requisiti la direttiva comunitaria non può ritenersi direttamente efficace, ma resta pur sempre un atto normativo comunitario dotato di efficacia indiretta che, in caso di contrasto della normativa interna, determina altri obblighi per il giudice. Oltre all’obbligo di tentare l’interpretazione conforme, si sono in particolare quelli: - di sollevare pregiudiziale interpretativa dinanzi alla Corte di Giustizia (rimessione obbligatoria per il giudice di ultima istanza in caso di atto non chiaro ovvero in assenza di precedenti pronunciamenti della medesima Corte di Giustizia, avente il monopolio interpretativo sulle norme comunitarie); - di sollevare questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117 Cost. quale integrato dalla direttiva (eventualmente quale interpretata dalla Corte di Giustizia). Sotto quest’ultimo profilo, peraltro, deve rilevarsi come possa addirittura dubitarsi di un effettivo contrasto delle specifiche previsioni penali contenute nell’art. 14 d.lgs. n.286/98 con quelle della direttiva rimpatri. Infatti il meccanismo presupposto dall’incriminazione ex art. 14 cit., è un meccanismo fondato proprio sulla partenza volontaria, come espressamente stabilito dalla direttiva e lo spazio lasciato allo Stato (in forza dell’art. 8 della direttiva comunitaria) per l’adozione di tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio dopo l’omesso allontanamento volontario, deve ritenersi in ogni caso tale da legittimare pienamente la previsione di un delitto come l’art. 14 cit. che, attraverso la minaccia di sanzioni penali per il soggetto inottemperante, favorisce indubbiamente tale allontanamento volontario. D’altro canto la previsione di simili misure dimostra, altresì, come lo stesso legislatore comunitario distingua nettamente le privazioni della libertà personale finalizzate all’espulsione coatta dalle privazioni della libertà personale stabilite come punizione per inottemperanza all’allontanamento volontario (fatte salve, appunto, dall’art. 8 della direttiva), con conseguente impossibilità di utilizzare ai fini della concretizzazione del principio fondamentale di proporzionalità della pena (ritenuto ripetutamente non violato dalla nostra Corte costituzionale nei precedenti scrutini di costituzionalità), la durata della restrizione della libertà per l’esecuzione coattiva dell’espulsione (già stabilita, dalla legge interna, in un periodo di tempo nettamente inferiore a quello massimo previsto dalla direttiva). Il fatto che non appaia corretto comparare la detenzione disposta per sanzionare un delitto (di inottemperanza all’allontanamento volontario) alle restrizioni della libertà personale finalizzate all’espulsione coatta lo si evince anche dalla seguente pronuncia della stessa Corte di Giustizia della CE proprio in materia interpretativa della stessa Direttiva rimpatri. Con sentenza della Corte (Grande Sezione) del 30 novembre 2009 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia-grad — Bulgaria) — Said Shalimovich Kadzoev (Huchbarov) (Causa C-357/09 PPU) è stato affermato che un trattenimento disposto nell’ambito di una procedura di asilo, diversa dalla procedura di trattenimento finalizzato all’espulsione, non può essere equiparato al trattenimento ai fini dell’allontanamento disciplinato dall’art. 15 della direttiva. La stessa Corte costituzionale italiana, nell’esaminare, prima ella scadenza del termine della direttiva, il contrasto tra la direttiva stessa e l’art. 10 bis del d.lgs. n. 286/1998 che punisce la semplice condizione di clandestino, ha voluto anticipare che eventuali contrasti della normativa interna non riguarderebbero il reato oggetto di scrutinio quanto piuttosto le norme interne che individuano nell’accompagnamento coattivo alla frontiera la modalità normale di esecuzione dei provvedimenti espulsivi. E quella dell’accompagnamento coattivo è norma diversa da quelle qui in esame che puniscono l’inottemperanza all’obbligo di allontanamento nel termine dato proprio in luogo dell’accompagnamento coattivo. Il contrasto tra norma comunitaria e norme interne deve, quindi, ritenersi con la procedura amministrativa di accompagnamento alla frontiera, senza che la direttiva impedisca che lo Stato, dato un termine per la partenza volontaria, sanzioni penalmente chi non ottemperi. In assenza di contrasto sembra, quindi, che non possano ritenersi esperibili in sede penale neppure le vie della pregiudiziale interpretativa o della questione di costituzionalità.[8]
[1] Cfr. S. PEERS, The ‘Third Pillar acquis’ after the Treaty of Lisbon enters into force, in Statewatch Analysis, december 2009.[2] Occorre, infatti distinguere il momento dell’entrata in vigore della direttiva (in cui si producono gli effetti tipici, quali appunto l’obbligo di produzione normativa per lo Stato) da quello, successivo, in cui si possono verificare ulteriori effetti eventuali (come appunto la diretta efficacia nell’ordinamento interno alla scadenza del termine stabilito per la sua attuazione).[3] La distinzione è elementare e di livello teorico istituzionale (per una chiara e sintetica esposizione cfr. R. BIN – P. CARETTI, Profili costituzionali dell’Unione Europea, Bologna, 2005, 130 ss.).[4] Del resto che la direttiva rimpatri non intendesse occuparsi della materia penale è esplicitato nei “considerando” della direttiva medesima.[5] In verità queste forme di “non applicazione”, per contrasto a principi fondamentali, sono suscettibili di mettere in crisi il sistema della cd. “inapplicazione” (potendo non residuare, invero, alcuno spazio, esterno a quello comunitario, in cui la norma statale, secondo il criterio di competenza, possa trovare applicazione). Verranno così inevitabilmente al pettine i nodi problematici della differente concezione, monistica e dualistica, dei rapporti tra ordinamento comunitario e statale interno (caratterizzante rispettivamente la giurisprudenza delle Corti sovranazionali e costituzionali dello Stato). Le differenze teorico-concettuali delle due concezioni di fondo, sino ad ora, non avevano impedito nella pratica al sistema di funzionare, ma il delicato equilibrio su cui detto sistema di fondava rischia ora di collassare , senza che la concezione cd. “multilivello” del sistema medesimo riesca a dipanare tutti i problemi pratici che i rapporti tra Stati e Unione comportano e che, forse, sarebbero superabili solo ove si applicassero al tema gli approdi cui è giunta la teoria delle “reti normative” negli studi in corso sui cd. “diritti complessi”: su questo difficile tema, non affrontabile in questa sede, sia consentito rimandare al mio T.E. EPIDENDIO, Diritto comunitario e diritto penale interno. Guida alla prassi giurisprudenziale, Milano, 2007; nonché ad AA.VV., La complessità del diritto. Nuovi itinerari del pensiero giuridico contemporaneo, a cura di CALBUCCI, Napoli, 2009.[6] I punti di riferimento tradizionali della giurisprudenza comunitaria in materia sono CGCE 4.12.1979 C-41/74,Duyn; CGCE 5.4.1979 C-148/78 Ratti; CGCE 19.1.1982 -8/81 Becker; CGCE 26.2.1986 Marshall C-152/84; CGCE 26.9.2000 C-443/98 Unilever[7] La mancata scadenza di detto termine aveva determinato la Corte cost. a non prendere in considerazione la direttiva nella recente sentenza n. 250/2010.[8] Diversamente potrebbe invece valutarsi l’impatto della direttiva rimpatri sull’interpretazione (“conforme”) da dare alla clausola generale del “giustificato motivo” (contenuta nell’art.14 cit.), clausola nella quale occorrerebbe ora certamente ricomprendere le situazioni poste dalla direttiva a base della possibilità di proroga del termine per l’allontanamento volontario, ciò in quanto l’obbligo di interpretazione conforme scatta anche in presenza di norme comunitarie non direttamente efficaci ed occorre, comunque, prevenire il contrasto che si verrebbe a creare, ammettendo di sanzionare penalmente l’inottemperanza da un allontanamento volontario in un termine fisso di cinque giorni che il legislatore comunitario non solo vuole ordinariamente più ampio, ma che stabilisce come da prorogare in tali determinate situazioni: proprio il fatto che il termine ordinario di sette giorni non sia incondizionatamente posto dalla direttiva, che consente deroghe sia in melius che in peius, impedisce di ravvisare un contrasto tale da legittimare l’incidente di costituzionalità o dubbi da risolvere con la pregiudiziale interpretativa, oltre tutto incompatibile con la “chiarezza” dell’atto che necessariamente deve sussistere per i sostenitori dell’efficacia diretta della direttiva, ma le proroghe da concedere per l’allontanamento volontario in base alla direttiva, certamente consentono di individuare il contenuto minimo della clausola generale del giustificato motivo, integrando le indicazioni già fornite in proposito dalla Corte costituzionale.

estratto da http://www.penalecontemporaneo.it/materia/3-/41-/-/332-direttiva_rimpatri_e_art__14_t_u__immigrazione/

mercoledì 26 gennaio 2011

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mercoledì 19 gennaio 2011

Confessioni religiose e sette sataniche: profili di tutela dell’ordine pubblico

Confessioni religiose e sette sataniche: profili di tutela dell’ordine pubblico
Articolo di Gianmichele Pavone 06.12.2005

CONFESSIONI RELIGIOSE E SETTE SATANICHE
Profili di tutela dell’ordine pubblico
di Gianmichele Pavone
1- Introduzione al problema
Riguardo al satanismo potremmo parlare per delle ore, perché è una questione analizzabile su più fronti, ma cercherò di limitare la mia analisi agli aspetti che più rilevano in questa sede.
Innanzitutto ci troviamo dinanzi ad un fenomeno che è in continua evoluzione e resta per lo più sconosciuto.
Stiamo assistendo infatti in questi anni all’incalzare di una religiosità post-moderna alimentata da un crescente disagio sociale.
Le stesse religioni storiche guardano al ritorno del magico e del miracoloso con disincanto, liquidando tale questione come superstizione popolare.
Vero è invece che occorre un approccio sistematico e razionale del fenomeno, che va analizzato in ogni suo punto.
Sono all’ordine del giorno esempi di efferata violenza come nel caso delle “Bestie di Satana” così come vi sono molteplici delitti di matrice satanica fatti passare per episodi circoscritti di follia, commettendo in alcuni casi il grave errore di sottovalutare dettagli e simbologie rilevanti a causa di una scarsa conoscenza del fenomeno.
2- Il satanismo e le varie classificazioni
Definire il satanismo e circoscriverlo non è un’impresa semplice perché tale termine ha avuto ed ha più significati a seconda dell’evoluzione storica e del contesto sociale in cui attecchisce.
Possiamo delimitare tre macro settori: un satanismo organizzato, un satanismo giovanile ed un para-satanismo.
Il primo è il satanismo della tradizione, dei c.d. “grandi vecchi”. Ad esso si possono ricondurre le chiese sataniche più grandi ed affermate, in particolare la “Chiesa di Satana”, fondata in america dal padre del satanismo moderno Anton La Vey le cui ramificazioni si estendono in tutto il mondo, anche da noi a Torino.
Tale chiesa ha partorito poi al suo interno il “Tempio di Set” di Michael Aquino (ex socio di La Vey), avente sede italiana a Napoli, la “First Satanic Church”, con a capo una figlia di La Vey (un’altra “milita” nel Tempio di Set) e La “First Church of Satan” che ha come guida Daemon Egan.
Non deve sorprenderci sapere che in Italia, soltanto a Roma hanno sede altre tre organizzazioni similari: “Setta del Laterano”, “Orgasmo Nero” e “Chiesa Nera Luciferina”.
Il secondo settore è invece quello del satanismo giovanile.
Giovanile è un’espressione impropria ma rende l’idea su questa tipologia di ritualità fai da te, i cui consumatori sono per lo più giovani, soliti all’ascolto di un certo tipo di musica (“rock satanico” o “black metal”), e veicolata grazie ad internet ed alle sue enormi potenzialità.
Potenzialità rilevanti anche per il giurista che voglia condurre un indagine ab esterno, magari non invischiandosi necessariamente in un’adesione sotto le mentite spoglie di adepto.
Dall’analisi dei newsgroups (i gruppi di discussione), dei forum e delle chat emerge un panorama complesso, fatto di soggetti liberi di attingere materiale informativo e liberi di reinterpretarlo a modo proprio, un po’ per credo un po’ per moda, solitamente privi di rigide gerarchie e organizzazioni, slegati quindi dal controllo dei “grandi vecchi”.
E’ per questo motivo che il noto sociologo Massimo Introvigne parla a tal proposito di “balordi” o “cani sciolti”, commettendo in tal modo, a mio avviso una grave leggerezza.
Il responsabile del CESNUR (Centro studi nuove religioni) infatti, ritiene che tale tipologia di satanismo sia solo frutto di una condizione di disagio giovanile che va affrontata sul piano educativo, familiare, religioso e che di conseguenza non costituisce un pericolo per la società. Invece è proprio tale disorganizzazione ed autonomia a rendere il satanismo giovanile più pericoloso ed ingestibile, diversamente da quanto accade con i movimenti satanici noti, affermati e osservabili dalle forze dell’ordine.
Per ultimo abbiamo un c.d. para-satanismo, un settore composito nel quale possiamo inserire l’insieme di ritualità stratificate nel folklore malavitoso (come lo scempio dei cadaveri dei rivali), ma anche i comportamenti di soggetti che utilizzano i gruppi satanici per dare sfogo alle proprie pulsioni orgiastiche sadomaso o feticiste, in alcuni casi legate anche all’impiego di cadaveri.
Dal punto di vista ideologico, invece, il quadro si complica, potendo parlare di:
Satanismo razionale: L’adorazione di Satana è vista come anticonformismo e ribellione.
Satanismo occultista: E’ il satanismo classico che si oppone al cristianesimo rovesciandone le simbologie (messe nere, croci capovolte…).
Luciferismo: Si ricollega alle teorie manichee o gnostiche e vede satana come uno dei due opposti del mondo, necessario quanto dio.
Satanismo acido: Le convinzioni religiose sono per lo più una copertura per l’uso di stupefacenti e per le perversioni più disparate.
3- Problematica individuazione di un modello e pericoli concreti
Il problema è capire quale sia l’approccio giuridico più soddisfacente.
Uno dei pilastri su cui si basa la democrazia, d’altronde, è dato dall’equilibrio tra tutela della libertà religiosa e tutela del cittadino; quest’ultima messa a repentaglio da una vasta gamma di reati: dall’istigazione all’omicidio alla violenza sessuale, dalla truffa alla profanazione di cimiteri.
Taluni reati possono essere commessi ai danni dell’adepto:
Truffa
Minacce
Violenza morale
Estorsione
Sequestro di persona
Sfruttamento
Lesioni
Abusi sessuali
Pedofilia
Spaccio di stupefacenti
Induzione al suicidio
Con riguardo all’istigazione al suicidio, in particolare, va messa in evidenza l’esistenza di un gruppo religioso chiamato “Chiesa dell’Eutanasia”, che loda il suicidio come esigenza per ripristinare l’equilibrio con il mondo, con la natura selvaggia, personificata in Satana, non più in grado di sopportare la crescita smisurata della popolazione.
Capeggiata da tale “Scott La Morte”, tale chiesa ordina di non procreare, professa l’aborto e la sodomia e fornisce gratuitamente pillole per interrompere la gravidanza, oltre a fornire assistenza telefonica diretta per chiunque scegliesse di morire.
Inoltre su internet è a disposizione di chiunque una guida al suicidio, che descrive dettagliatamente le più svariate tecniche per togliersi la vita.
Altri reati possono essere commessi dagli adepti stessi a danno di altri “confratelli” o di soggetti esterni alla setta:
(gli stessi su menzionati)
Reati familiari
Detenzione e spaccio di stupefacenti
Profanazione di cimiteri
Danneggiamenti
Furti comuni e furto d’informazioni
Maltrattamento di animali
Molto spesso le difficoltà maggiori si rinvengono soprattutto sul piano probatorio, essendo spesso lo stesso soggetto quantomeno consenziente o addirittura vittima e carnefice di sé stesso (come nel caso delle scarnificazioni rituali, dell’autolesionismo, del vampirismo).
4- Definizione di “religione”
Nel nostro ordinamento non abbiamo una definizione di religione e già questo è un problema.
Nella Costituzione, tra l’altro, si parla di “confessione religiosa” all’articolo 8 e di “professione di fede” all’articolo 19, ma mai di “religione” tout court.
Per la tendenza diffusa, religione è la fede in un essere perfetto e soprannaturale che voglia il bene degli uomini, ma alcune credenze non vedono l’esistenza di un essere supremo.
Un criterio orientativo è dato dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza numero 195 del 1993 indica come indici dai quali desumere la natura di confessione religiosa:
la sussistenza di un’intesa con lo Stato ex art 8 Cost
precedenti riconoscimenti pubblici
autoqualificazione come confessione religiosa nello statuto (criterio che, si badi bene, deve operare salvo prova contraria e smentite da parte delle autorità che eventualmente dovessero accertarne l’infondatezza)
comune considerazione
Ma di fondo resta che la religione serve a fornire risposte ai quesiti esistenziali dell’uomo, gestendo, quindi, le relazioni tra terreno e trascendente.
5- Approccio al problema a livello europeo
Questa ondata di misticismo post-moderno ha trovato come contraltare rapporti e dossier ufficiali altalenanti, dal repressivo al tollerante, in tutti i paesi d’Europa, raggruppabili però all’interno di due tipologie caratterizzate da modalità distinte di approccio al problema.
Una prima tipologia, rilevabile in Francia, Belgio e Austria, da voce soprattutto alle organizzazioni anti-setta più che agli specialisti, prendendo posizioni dure e generalizzando anche su argomenti delicatissimi come il concetto di manipolazione mentale.
La seconda tipologia è riscontrabile in Germania, Italia, Svizzera e soprattutto Svezia.
Emerge un atteggiamento più maturo: si prende atto della difficoltà di dare definizioni di “setta” e “religione”, si utilizza una pluralità di fonti, non lasciando quindi il monopolio alle organizzazioni anti-setta, e, cosa importantissima, si incentivano ulteriori ricerche e studi sul problema.
Stesso orientamento ha avuto anche il Consiglio D’Europa, che si è occupato dell’argomento in due Risoluzioni nel 1992 e nel 1996, suggerendo di prevedere un’informazione maggiore favorendo l’integrazione ma anche, alla luce di ulteriori fatti di sangue, di non concedere automaticamente lo status di confessione religiosa.
Con la medesima finalità informativa nel 1987 è nato in Italia il G.R.I.S. (all’epoca “Gruppo di ricerca e informazione sulle sette”, ora chiamato “Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa”), la cui attività tuttavia si svolge in sordina.
6- Situazione italiana
In Italia costituisce tutt’ora punto di riferimento ufficiale il Rapporto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza dell’aprile 1998 che, pur inquadrabile nella tipologia più evoluta di approccio alla tematica è stato ed è tutt’ora criticato da molti.
Tale dossier è stato redatto con la paura che, approssimandosi il nuovo millennio, alcune sette particolarmente ispirate si spingessero a gesti estremi. E’ quindi facile individuarvi un messaggio di fondo allarmistico e per certi versi persecutorio nello stesso titolo “Sette Religiose”.
Nel dossier è riportato un sommario censimento dei “nuovi movimenti religiosi” e dei “nuovi movimenti magici” e, in particolare, in questa seconda categoria sono elencati otto gruppi di matrice satanica per ognuno dei quali si riportano poche righe circa voci non verificate, fonti indirette e segnalazioni anonime.
Il pericolo è in realtà per lo più ideologico e sono soprattutto le religioni storiche a fare ostracismo.
Dopo la pubblicazione di tale documento, infatti, non sono stati registrati episodi criminali rilevanti ascrivibili ai gruppi enumerati nella “lista di proscrizione”, in molti sono stati processati e poi assolti.
Una delle più grandi organizzazioni in Italia, “I Bambini di Satana”, ad esempio, è stata processata e condannata solo per una violazione in materia tributaria, una leggerezza alla Al Capone possiamo definirla, essendosi reso responsabile il capo spirituale di tale gruppo (Marco Dimitri ex guardia giurata) di mancata fatturazione per i compensi percepiti in relazione a dei rituali ai quali assistevano i suoi adepti.
7- Individuazione di una soluzione e conclusioni
Allora quale soluzione adottare per quanto riguarda le sette sataniche?
Capite bene che ci muoviamo su un campo minato, dovendo, come ho già detto, bilanciare da un lato la libertà religiosa e dall’altro la tutela del cittadino, due valori parimenti importantissimi.
C’è chi ha provato a configurare un reato di tipo associativo (come nel caso di Scientology, Corte di Cassazione 13-10-97), ma è stato un tentativo vano.
Si può chiamare comunque a rispondere ogni singolo membro per qualsivoglia reato.
In particolare la tutela dei minori contro violenze e sfruttamenti di tipo sessuale è assicurata dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitu'."
Altri tentativi di legislazione speciale in materia di sette giacciono in parlamento a causa delle evidenti difficoltà che incontrano e della semplicistica trattazione del problema: il disegno di legge 800 del novembre 2001, sulla manipolazione psicologica e la più recente proposta di legge 3770 presentata nel marzo del 2003, che si prefigge la tutela contro i reati commessi dalle sette introducendo la nuova figura di reato di "abuso di rituale esoterico-satanista", equiparando le sette sataniche alle associazioni segrete.
Il nostro codice penale inoltre è ispirato al principio di laicità: non viene calcolato l’ammontare della pena con maggiore o minore rigidità a seconda della maggiore o minore importanza o diffusione della confessione religiosa.
Come hanno evidenziato alcuni sociologi e criminologi, non basta esporre un modello deviante per cagionare come conseguenza diretta il comportamento deviato del soggetto.
Ogni individuo, infatti, conserva, grazie al cielo, una cospicua capacità decisionale, eccezion fatta naturalmente per chi ha una personalità debole e instabile ed è più sensibile ai condizionamenti.
Dobbiamo quindi sforzarci di affrontare il problema con un approccio tollerante e multireligioso oltre che multietnico, perché a questo ci porta il progresso e la comunicazione globale.
Certamente il riconoscimento va concesso solo dopo un vaglio attento e scrupoloso, ma il riconoscimento, cosa che comunque non è detto che tutti i gruppi satanici vogliano, porterebbe tali sette alla luce del sole sottoponendole al controllo delle forze dell’ordine e dell’opinione pubblica e ponendo il cittadino al riparo da ogni abuso e illegalità, che invece, volente o nolente, subisce in questa situazione attuale nella quale il c.d. “sommerso” ha quanto mai dimensioni rilevanti e dannose.
_____________________________Fonti di riferimento
- Sette religiose e movimenti magici in Italia, a cura de Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia e Prevenzione; ed “Sapere 2000”, Roma 2001
- a href="http://www.altalex.com/index.php?idnot=2007" Legge 3 agosto 1998, n. 269, "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitu'.", Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998
- Proposta di legge “Misure contro i movimenti sedicenti religiosi, esoterici o magici ed i seguaci del "culto”, Camera dei Deputati n°3770, Atti Parlamentari XIV legislatura, presentata 11 marzo 2003
- Arona D. e Panizza G. M., “Satana ti vuole”, Milano 1995.
- G.Ballario, “Il satanismo giovanile cresce su internet”, La Stampa, 6 Giugno 2004
- R.Botta, “Manuale di dir Ecclesiastico”, Torino 1998
- C.Cardia, “Principi di diritto ecclesiastico”, Giappichelli, Torino 2002
- N.Colaianni, “Libertà religiosa nella Costituzione Italiana”, postfazione a Dossier Ministero Interno in testo suddetto, 2001
- N.Colaianni, “Tutela della personalità e diritti della coscienza”, Cacucci, Bari 2004
- G.Cosco., “Il ritorno di Satana”, Udine 1995.
- G.Cosco, “Politica, magia e satanismo”, Udine 1997.
- M.C.Del Re, “Riti e crimini del satanismo”, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino, 1994.
- A. M.Di Nola, “Il diavolo”, Roma 1987.
- G.Fasano, “Cinquemila devoti nell’Italia satanista”, Corriere della Sera, 6 Giugno 2004
- G.Ferrari, “I nuovi movimenti religiosi, un fenomeno in crescita”, Jesus mensile di cultura
e attualità religiosa. N. 9, Settembre 1998
- M.Introvigne, “Le nuove religioni”, Milano 1989
- M.Introvigne, “Il cappello del mago, i nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo”, Milano 1990
- M.Introvigne, “Indagine sul satanismo”, Milano 1994.
- M.Introvigne, “Rapporti parlamentari e governativi sulle sette in europa occidentale, 1996-1999”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica n°2, Agosto 1999
- M.Introvigne, “Quelli che la messa la fanno nera”, L’espresso, anno XLIX, n. 50, 11 dicembre 2003, p. 128
- M.Introvigne, “La resistibile seduzione dell’occulto”, La Stampa, 26 Aprile 2002
- M.Introvigne, “Chiese e cimiteri profanati: il baby satanismo fai-da-te”,Il Giornale, 13 giugno 2004
- M.Introvigne, “Balordi o satanisti?”, Famiglia Cristiana, anno LXXIV, n. 40, 3 ottobre 2004
- E.Lévi, “Storia della magia”, Orsa maggiore ed, 1993
- A.Menegotto, “La sociologia del demonio”, il Domenicale, anno 2, numero 21, 24 maggio
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- “Dossier Sette”, www.alternativamente.net
- www.cesnur.org

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martedì 11 gennaio 2011

La figura del Serial Killer tra diritto e criminologia

La figura del Serial Killer tra diritto e criminologia
Gianluca Massaro
English abstract
Introduzione
Capitolo 1Fenomenologia del serial killer e dell'omicidio seriale
Chi sono i serial killer
1.1.
Definizione di serial killer
1.2.
Nuove prospettive per un'analisi contemporanea dell'omicidio seriale
Gli assassini seriali nel mondo: tabelle e statistiche
2.1.
Il "numero oscuro" e casi recenti irrisolti di omicidio seriale
2.2.
La "Banca Dati Europea sui Serial Killer" (E.S.KI.DA.B. 2000)
Meccanismi psicologici e classificazione dell'omicidio seriale
3.1.
Classificazione dell'omicidio seriale basata sul movente
3.2.
Classificazione dell'omicidio seriale in base al numero dei soggetti che uccidono
3.3.
Classificazione modale dell'omicidio seriale
3.4.
Classificazione relativa alle componenti psicodinamiche e comportamentali comuni a tutti i serial killer
3.5.
Classificazione delle fasi dell'omicidio seriale
Forme atipiche di omicidio seriale
La donna serial killer
5.1.
Differenze tra omicidio seriale maschile e femminile
5.2.
Classificazione dell'omicidio seriale femminile
5.3.
La donna che uccide in coppia con un uomo
5.4.
"Complesso di Medea" e "sindrome di Munchausen per procura"
Vittimologia dell'omicidio seriale
Capitolo 2La ricostruzione del profilo psicologico-comportamentale del serial killer
L'infanzia e l'adolescenza dei serial killer
1.1.
La famiglia dell'assassino seriale come "famiglia multiproblematica"
1.2.
La vita relazionale durante l'infanzia e l'adolescenza
1.3.
Segni premonitori del comportamento omicidiario seriale
La società industrializzata come luogo d'elezione per la crescita degli assassini seriali
2.1.
La "sindrome dell'alienazione" negli assassini seriali
2.2.
L'alienazione nelle società consumistiche come fattore facilitante il comportamento omicidiario seriale
Il lavoro e gli assassini seriali
La sessualità e gli assassini seriali
4.1.
La sessualità infantile ed adolescenziale degli assassini seriali
4.2.
Le perversioni sessuali negli assassini seriali
4.3.
L'influenza della pornografia e delle fantasie sul comportamento omicidiario seriale
Il modus operandi e la scelta delle vittime
Il carattere della mostruosità secondo Bruno
La psicodinamica del "mostro": un tentativo di interpretazione
Vittimologia allargata: i parenti "sopravvissuti" e le reazioni della comunità
Serial killer e mass media
Capitolo 3Tecniche di investigazione relativamente a casi di omicidio seriale
Trappole per mostri: identificazione del caso e dell'assassino
1.1.
Problemi investigativi in un caso di omicidio seriale
1.2.
Profilo psicologico. Applicazione del profilo psicologico all'omicidio seriale
1.3.
Italia: la "Unità per l'Analisi del Crimine Violento" (U.A.C.V.) e il "Sistema per l'Analisi della Scena del Crimine" (S.A.S.C.)
1.4.
Il rapporto informativo ed il profilo geografico
1.5.
Tecniche di cattura utilizzate dagli assassini seriali
1.6.
Relazioni internazionali con il National Center for the Analysis of Violent Crime (N.C.A.V.C.)
1.7.
Applicazioni investigativa del "Modello S.I.R." e il "Gruppo Osservatorio di Ricerca, Intervento e Studio sulla Criminalità" (G.O.R.I.S.C.)
Aspetti giuridici connessi al fenomeno dell'omicidio seriale
2.1.
Aspetti connessi all'imputabilità dei serial killer
2.1.1.
Folli o sani di mente: evoluzione storica; la psichiatria in aiuto della legge
2.1.2.
L'aspetto giuridico e le classificazioni legali della capacità di intendere e di volere
2.1.3.
Profili comparatistici: l'imputabilità nella giustizia Inglese e in quella Americana
2.2.
Altri aspetti giuridici: il reato continuato
2.3.
L'impulso a confessare
2.4.
La vita in carcere
Diagnosi e trattamento degli assassini seriali
Lineamenti preventivi del comportamento omicidiario seriale
Capitolo 4Serial killer in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin, Donato Bilancia, Luigi Chiatti
Gianfranco Stevanin: il "mostro di Terrazzo"
1.1.
L'arresto, le indagini, il rinvio a giudizio
1.2.
La storia della sua vita
1.3.
Il materiale sequestrato nell'abitazione di Stevanin
1.4.
Esame delle perizie
1.4.1.
Le perizie d'ufficio
1.4.2.
Le perizie dell'accusa
1.4.3.
Le perizie della difesa
1.5.
Il processo davanti la Corte d'Assise
1.5.1.
Anche Stevanin sale sul banco dei testimoni
1.5.2.
Il pubblico ministero chiede il massimo della pena
1.5.3.
La sentenza della Corte d'Assise
1.6.
Il processo davanti la Corte d'Assise d'Appello
1.6.1.
La sentenza della Corte d'Assise d'Appello
1.6.2.
La revisione del processo d'Appello
1.7.
Stevanin e la città di Verona
Donato Bilancia: il serial killer più atipico e prolifico della storia italiana
2.1.
I fatti
2.2.
La storia della sua vita. Vicende biografico-giudiziarie
2.3.
Caratteristiche delle vittime e modus operandi dell'aggressore
2.4.
La confessione
2.5.
Il processo in Corte d'Assise
2.5.1.
Le perizie psichiatriche su Bilancia
2.5.2.
Conclusioni del pubblico ministero, delle parti civili, del difensore dell'imputato
2.5.3.
La sentenza della Corte d'Assise
2.6.
Il processo e la sentenza della Corte d'Assise d'Appello. Sentenza della Corte di Cassazione
2.7.
Tratti salienti della personalità di Bilancia. Elementi comuni e difformità rispetto alla figura prototipica di serial killer tratteggiata dalla letteratura criminologica-investigativa internazionale
Luigi Chiatti: il "mostro" di Foligno
3.1.
I fatti
3.2.
La storia di Luigi Chiatti
3.3.
L'interrogatorio
3.4.
Il processo davanti alla Corte d'Assise
3.4.1.
Le perizie psichiatriche sull'imputato
3.4.2.
La sentenza della Corte d'Assise
3.5.
Il processo davanti alla Corte d'Assise d'Appello
3.5.1.
Le perizie psichiatriche sull'imputato
3.5.2.
La sentenza della Corte d'Assise d'Appello
3.6.
Luigi Chiatti serial killer "tipico"
Conclusione
Bibliografia

serial killer donna

Capitolo 1Fenomenologia del serial killer e dell'omicidio seriale
1. Chi sono i serial killer.
Killer (da to kill, uccidere) indica, letteralmente, l'uccisore, l'assassino; tale termine, impostosi nel linguaggio comune, è andato assumendo il significato più specifico di chi uccide per mandato altrui: un tempo si sarebbe chiamato sicario. Killer è dunque un soggetto che esercita il mestiere di assassino, ad esempio l'uomo di mafia; una sorta, dunque, di specialista dell'omicidio, professionista o dilettante che sia. Del resto la cronaca nera, di questi tempi, è prodiga di episodi del genere.
In questa sede, in ogni modo, non è degli assassini "a pagamento" che si vuole parlare, ma dei serial killer, gli autori cioè di "omicidi in serie", che sono un'altra cosa. A questo punto occorre fare un'altra precisazione. Con il termine serial killer non si vuole indicare neppure chi compie semplicemente più omicidi, chi uccide più persone in uno stesso momento (pluriomicidi) o in tempi successivi (assassini recidivi), alla stregua del significato che si è imposto nel linguaggio comune e dei media; costoro non sono in senso stretto serial killer. Gli assassini seriali sono altra cosa e chi è "del mestiere", cioè chi si occupa di criminologia e di psicopatologia forense (1), ha, tradizionalmente, usato questo termine per indicare soltanto coloro che hanno ucciso più persone in momenti successivi, per il ripetersi di una particolare motivazione: "la distruttiva e sadica associazione di sesso e morte". Quest'ultimo è un binomio esplosivo, niente di meglio per suscitare in tanti curiosità, per alimentare morbosi interessi o per scatenare fantasie proibite. L'uccidere per sesso o facendo sesso è dunque ciò che, tradizionalmente, ha definito il serial killer, anche se, come vedremo, questa è soltanto una delle motivazioni alla base del comportamento omicidiario seriale. Del resto, i più moderni ed innovativi studi relativi all'omicidio seriale, hanno dimostrato come questo sia un fenomeno molto più complesso.
Il termine serial killer è piuttosto recente, ma il fenomeno è risalente nel tempo: gli assassini seriali ci sono sempre stati, anche se l'omicidio seriale non veniva riconosciuto e definito come tale ed anche se può sembrare un fenomeno dei nostri tempi visto che, oggi, se ne sente parlare così di frequente. Certamente gli imperatori Nerone e Caligola erano degli assassini seriali in piena regola: uccidevano per il solo gusto di sperimentare nuove emozioni, quando erano annoiati dalla monotonia della vita quotidiana. Intorno al XV secolo, è stato documentato il caso del maresciallo di Francia Gilles de Rais. Si stima che, dal 1432 al 1440, egli abbia ucciso circa ottocento bambini usandoli come vittime sacrificali a causa del suo interesse per la magia nera; prima degli omicidi, alimentava le sue fantasie perverse con l'assunzione di alcool e droghe, che incrementavano il suo stato di eccitazione e di delirio; poi torturava le vittime e le faceva decapitare assistendo alla loro agonia. Si può affermare che, questo caso, segna l'inizio, in epoca moderna, dell'omicidio seriale di natura sessuale e delirante, non legato alla conquista del potere politico o a guerre in atto. Un altro caso storico è quello della contessa ungherese Elisabeth Bathory, la quale, all'inizio del XVI secolo, venne condannata per aver ucciso circa seicentocinquanta giovani donne, allo scopo di fare il bagno nel loro sangue.
Nell'Ottocento, vi furono vari casi accertati di cui abbiamo notizia, dei quali i più eclatanti furono quello di Jack "lo Squartatore" (verificatosi nel 1888 nel quartiere di White Chapel a Londra) e dell'italiano Vincenzo Verzeni (accaduto intorno al 1870 nel Pavese) e sottoposto da Lombroso a perizia psichiatrica, anche se, purtroppo, quasi nulla di quell'indagine è giunto fino a noi. (2)
Nel XX secolo, le prime tracce di quello che, solo più tardi, verrà denominato omicidio seriale sessuale le troviamo in Psychopatia Sexualis di Richard von Krafft-Ebing (3), il quale definisce "uccisione per libidine" quel particolare tipo di omicidio in cui l'uccisione della vittima contribuisce direttamente alla stimolazione del piacere sessuale; questa categoria trova corrispondenza nella definizione di lust murderer di Holmes e De Burger, i quali parlano di assassino per libidine (appunto lust murderer), quando l'eccitazione e la gratificazione sessuale si verificano al momento dell'atto omicida. (4)
In questo secolo, il problema dell'omicidio seriale è diventato particolarmente evidente, sia a causa di un notevole incremento numerico degli assassini seriali, sia a causa della maggiore attenzione prestata dai mass media a casi di questo genere. Fino all'inizio degli anni '80, il termine serial killer non esisteva e questo tipo di criminale veniva genericamente definito multiple killer (assassino multiplo). Sotto questa denominazione erano raggruppati tutti gli assassini che uccidevano più di una vittima, senza però operare alcuna distinzione fra i diversi eventi delittuosi. L'espressione serial killer venne coniata negli Stati Uniti e, precisamente, dagli agenti dell'F.B.I.; la paternità di questo termine non è casuale, dato che gli Stati Uniti sono il paese che presenta il numero più alto di assassini seriali nel mondo. La definizione data dall'F.B.I., che tuttavia si rivela minimalistica e piuttosto asettica, è la seguente: "un serial killer è un soggetto che uccide più persone, generalmente più di due, in tempi e luoghi diversi, senza che sia immediatamente chiaro il perché, anche se lo sfondo sessuale del delitto è quasi sempre riconoscibile". (5)
Non deve perciò stupire che, generalmente, si identifichi il serial killer con l'omicida sadico che rapisce le sue vittime e le uccide secondo un rituale di ferocia, che può prevedere ogni genere di sevizie, torture e violenze sessuali pre o post mortem, compresi fenomeni di cannibalismo, vampirismo e necrofilia. Occorre, però, avvisare che il legame sesso-violenza è si un movente fondamentale del meccanismo psicodinamico dell'assassino seriale, ma è altresì soltanto una parte, seppur la più consistente, dell'ampio ventaglio di motivazioni alla base del comportamento omicidiario seriale.
1.1. Definizione di serial killer
Molti sono gli autori che, in questi ultimi anni, hanno affrontato l'argomento serial killer e che, di conseguenza, hanno approfondito la definizione e la descrizione degli assassini seriali. Ho ritenuto perciò opportuno, in questa sede, riportare soltanto le definizioni che hanno apportato effettivamente un contributo importante per la migliore comprensione del "fenomeno serial killer".
Fino all'inizio degli anni '80, come abbiamo visto, si parlava genericamente di "omicidio multiplo", quando ci si trovava di fronte ad un unico assassino che uccideva più di una vittima ed è per merito dell'F.B.I. che si comincia a parlare di serial killer. Gli assassini multipli, ad eccezione di quelli che uccidono due vittime nello stesso tempo e in un solo luogo ("double killer") oppure tre vittime nelle stesse condizioni ("triple killer"), sono suddivisi dall'F.B.I. in tre categorie:
mass murderer ("assassino di massa"). Uccide quattro o più vittime nello stesso luogo e in un unico evento; di solito il soggetto non conosce le proprie vittime e la scelta è per lo più casuale;
spree killer ("assassino compulsivo"). Uccide due o più vittime in luoghi diversi ed in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti spesso hanno un'unica causa scatenante e sono tra loro concatenati; anche in questo caso, il soggetto non conosce le sue vittime e, dato che non nasconde le sue tracce, viene catturato facilmente;
serial killer. Uccide tre o più vittime, in luoghi diversi e con un periodo di "intervallo emotivo" ("cooling off time") fra un omicidio e l'altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima; può colpire a caso oppure sceglierla accuratamente; spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato. (6)
Newton fa notare che il difetto principale della tassonomia creata dall'F.B.I. è di non specificare la lunghezza del periodo di "cooling off" tra un omicidio e l'altro, affinché si possa parlare di assassino seriale piuttosto che di omicidio compulsivo o di massa; inoltre rimangono esclusi dalla definizione tutti gli assassini che vengono catturati dopo il secondo omicidio, ma che, se liberi, avrebbero continuato ad uccidere. (7)
Un importante passo avanti in materia di definizioni è stato compiuto da De Luca, che ha proposto una definizione molto più adatta a rappresentare la complessità di un fenomeno come l'omicidio seriale:
L'assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al suo posto. Per parlare di assassino seriale, è necessario che il soggetto mostri una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono e le vittime sopravvivono: l'elemento centrale è la "ripetitività dell'azione omicidiaria". L'intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio possono essere più di una. L'assassino seriale agisce preferibilmente da solo, ma può agire anche in coppia o come membro di un gruppo. Le motivazioni sono varie, ma c'è sempre una componente psicologica interna al soggetto che lo spinge al comportamento omicidiario ripetitivo. In alcuni casi, vanno considerati assassini seriali anche i soggetti che uccidono nell'ambito della criminalità organizzata, i terroristi, i soldati. (8)
I vantaggi di questa definizione, per la comprensione di un fenomeno così complesso, sono numerosi. Innanzi tutto viene considerato serial killer chiunque commetta anche solo due azioni omicidiarie (e non tre come richiesto dall'F.B.I.), perché queste sono sufficienti a stabilire il circuito ripetitivo patologico, ed elimina l'ambigua categoria dello spree killer; un assassino seriale è anche chi commette un omicidio ogni ora; la sua unica particolarità è che tutte le fasi dell'omicidio seriale si consumano in un arco di tempo estremamente rapido. Oltre a ciò, tale definizione si rivela particolarmente utile perché parla di "azioni omicidiarie", in quanto, per classificare un soggetto nella categoria degli assassini seriali, è importante la sua intenzione, non il risultato pratico.
La novità più importante di questa definizione è l'introduzione di un nuovo tipo di assassino seriale: il serial killer "per induzione". A volte, una persona può esercitare un grado di influenza su altri individui talmente forte da indurli a commettere omicidi in sua vece; materialmente, il soggetto in questione non compie alcun crimine, moralmente è il vero responsabile della serie omicidiaria. In questo caso sono da considerare assassini seriali, pur con un diverso grado di responsabilità, sia l'istigatore sia l'esecutore materiale degli omicidi.
Un'altra questione controversa è l'ambito di applicabilità della categoria degli omicidi seriali: se si considera soltanto il numero delle vittime, anche il killer di mafia o il terrorista diventano assassini seriali, se si prendono in considerazione, invece, le motivazioni che spingono ad uccidere, sono fenomeni distinti. Possono avere, però, dei punti in comune e la differenza è minima quando anche il killer su commissione o il terrorista hanno dei motivi psicologici per entrare a far parte di un tale gruppo. Fondamentalmente, questi ultimi entrano a far parte di una "sottocultura criminale estesa", mentre l'assassino seriale classico conduce una guerra solitaria contro la società. Anche gli assassini seriali che agiscono in gruppo, in realtà, uccidono spinti da un bisogno psicologico personale, il bisogno di sentirsi realizzati attraverso il controllo del potere; il gruppo rappresenta una copertura nel quale il soggetto si sente più protetto; ed è proprio in esso che un soggetto con caratteristiche da assassino seriale può raggiungere uno status elevato manifestando quella patologia che, invece, lo relegherebbe ai margini della società convenzionale.
Altri autori hanno approfondito la definizione, creando delle sottocategorie in base al tipo di motivazione dei delitti, alla indicazione della scena dell'omicidio e ad altri aspetti. Lunde considera gli individui che commettono più di un omicidio quasi sempre malati mentali, rispetto a chi compie un omicidio singolo. Divide gli assassini seriali in due categorie: gli schizofrenici paranoici, caratterizzati da un comportamento aggressivo e sospettoso, da allucinazioni (spesso uditive) e da illusioni di grandezza e/o di persecuzione ed i sadici sessuali, che uccidono, torturano e/o mutilano le vittime per raggiungere l'eccitazione e il piacere sessuale; questi, in particolare, deumanizzano le vittime considerandoli oggetti. (9)
Hickey definisce assassino seriale chiunque uccida, mostrando premeditazione, tre o più vittime in un periodo di giorni, mesi o anni. Secondo il grado di mobilità mostrato dagli assassini, distingue tre categorie:
assassini seriali "itineranti", soggetti che spesso coprono distanze enormi ogni anno, uccidendo vittime in diversi Stati;
assassini seriali "locali", che cercano vittime nello stesso Stato in cui hanno compiuto il primo omicidio;
assassini seriali "stazionari", soggetti che non lasciano mai la loro casa e il posto d'impiego; le vittime risiedono nella stessa struttura o vengono catturate ogni volta nello stesso posto. (10)
Ressler, Burgess, Douglas, invece, introducono un'importante distinzione nell'ambito della definizione coniata dall'F.B.I., cioè quella tra comportamento organizzato e disorganizzato, distinzione utile soprattutto dal punto di vista pratico dell'investigazione. Il serial killer organizzato pianifica con cura i propri delitti, scegliendo un tipo particolare di vittima che, in qualche modo, ha un legame simbolico con lui. Il serial killer disorganizzato, al contrario, agisce per un impulso improvviso che lo porta a uccidere vittime scelte casualmente, senza preoccuparsi di coprire tutte le sue tracce; di conseguenza, è molto più facile da catturare. (11)
Alcuni autori, come Holmes e De Burger, hanno definito quelli che, secondo loro, sono gli elementi caratteristici dell'omicidio seriale: (12)
l'elemento centrale è la ripetizione dell'omicidio; l'assassino seriale continua ad uccidere finché non viene fermato; il periodo in cui avvengono gli omicidi può estendersi per molti mesi o anni;
l'omicidio seriale avviene "uno contro uno", tranne rare eccezioni;
di solito, fra l'assassino e la sua vittima non c'è alcun tipo di relazione oppure, se c'è, è superficiale;
l'assassino seriale prova "l'impulso ad uccidere"; gli omicidi seriali non sono crimini di passione né originati da una provocazione della vittima;
negli omicidi seriali, mancano, tipicamente, motivi evidenti.
Wilson e Seaman, riprendendo gli studi dello psicologo Albert Maslow, definiscono la "teoria dei bisogni progressivi". Facendo riferimento ai quattro livelli della gerarchia dei bisogni di Maslow, essi sostengono che le persone inizialmente uccidevano spinte dalla povertà e dalla fame; verso la metà dell'Ottocento, uccidevano per lo più per tutelare la propria sicurezza domestica; una volta soddisfatti questi bisogni, la persona sente il bisogno di gratificazione emozionale e sessuale, da qui la nascita dell'omicidio a sfondo sessuale; infine, una volta che si sono garantiti cibo, rifugio e gratificazioni emotive, si uccide per un bisogno di autostima, per ottenere rispetto. È questo il caso dell'omicidio seriale; l'insicurezza e la mancanza di un'identità precisa, vengono prepotentemente ad opprimere il soggetto, costringendolo a ripetere il comportamento omicidiario nella speranza di affermare il proprio sé. (13)
Per finire, Simon analizza in particolare gli assassini seriali sessuali, affermando che in essi agiscono in maniera conscia quegli impulsi antisociali che le persone normali tengono relegati nella loro parte inconscia, e li paragona ai tossicodipendenti: anche il serial killer ha bisogno di dosi sempre più frequenti per raggiungere lo stesso grado di eccitazione emozionale. (14)
Queste definizioni di omicidio seriale non mostrano molta eterogeneità tra loro e, soprattutto, gli autori non indicano il campione di riferimento per cui non è possibile fare confronti adeguati. Per contro, c'è accordo tra quasi tutti gli autori indicati nell'escludere dalla definizione di omicidio seriale, gli omicidi di matrice terroristica, quelli politici e quelli compiuti nel corso di guerre (gli unici che ammettono l'esistenza di queste forme atipiche di omicidio seriale sono Lester, Dietz e De Luca). Oltre a ciò, alcuni autori (Ressler, Burgess, Douglas e Holmes, De Burger) tendono erroneamente ad enfatizzare l'assenza di relazioni con le vittime ed il fatto che l'omicidio seriale sia una situazione di "uno contro uno"; così facendo, essi vengono praticamente a negare l'esistenza dell'omicidio seriale compiuto da donne (ritenuto, invece, un dato certo da parte di tutti i restanti studiosi del fenomeno), dato che la quasi totalità di esse uccide persone con le quali ha una relazione molto stretta. Questi autori non considerano, inoltre, che non è affatto raro imbattersi in coppie o gruppi che compiono omicidi seriali e che, in alcuni paesi (Ungheria e Messico), questa è la modalità operativa prevalente.
Pochi, inoltre, sono gli autori che pongono a due omicidi il limite minimo per poter parlare di serial killer; la stragrande maggioranza, sulla scorta delle indicazioni dell'F.B.I., comincia a parlare di omicidio seriale solo dopo il terzo omicidio, senza considerare che il processo psicologico che porta al comportamento omicidiario seriale si è già instaurato dopo due omicidi e che il soggetto può essere catturato prima della commissione del terzo delitto.
1.2. Nuove prospettive per un'analisi contemporanea dell'omicidio seriale
Negli ultimi anni, si nota una tendenza da parte degli studiosi di questo fenomeno a cercare di analizzare l'omicidio seriale seguendo nuove strade che permettano di fornire una migliore comprensione della personalità degli assassini seriali.
Negli anni '80 e nella prima metà dei '90, la preoccupazione maggiore era quella di trovare delle categorie in cui definire e classificare un comportamento che, pur essendo sempre esistito, non era mai stato riconosciuto e studiato in maniera approfondita. Allo stato attuale, ci si è accorti, invece, che non basta stabilire se un serial killer è "organizzato" o "disorganizzato", ma bisogna considerare altre variabili, proprio perché si tratta di un comportamento complesso, in cui entrano in gioco una moltitudine di fattori.
Nella sua definizione, De Luca, come abbiamo visto, include nella categoria di omicidio seriale alcuni casi particolari di mafiosi, terroristi e soldati che uccidono, appunto, in serie, spinti da una motivazione psicologica personale. Generalmente, infatti, si tende a considerare veramente serial killer solo quel soggetto in cui è presente una componente sessuale che lo spinge ad agire in tal modo. Già nel 1995, del resto, lo psichiatra americano David Lester faceva notare come le tipologie proposte fossero principalmente orientate all'omicidio seriale sessuale, trascurando di analizzare altre categorie ritenute meno interessanti dall'opinione pubblica. Le categorie innovative considerate da Lester sono:
gli assassini seriali tra i criminali nazisti
gli assassini della criminalità organizzata
i terroristi
gli assassini seriali nelle bande giovanili.
Secondo questo psichiatra, è impossibile costruire un vero profilo del serial killer senza approfondire lo studio di tali categorie.
Un altro autore che ha cercato di analizzare in maniera più approfondita questo fenomeno è il sociologo americano Joseph Fisher, il quale analizza i mutamenti che avvengono in una comunità che si accorge improvvisamente di accogliere un assassino seriale. L'approccio da questa prospettiva è particolarmente interessante ed attuale (se ne parlerà più approfonditamente nel cap. 2, par. 8), dato che analizza il ruolo tutt'altro che marginale rivestito dai mezzi di comunicazione nell'incrementare uno stato di panico sociale attraverso un'informazione puntata al sensazionalismo. Quando, in una comunità, si verifica un caso di omicidio seriale, l'elemento centrale che attira l'opinione pubblica è la figura dell'assassino e tutto ciò che la riguarda (vita, personalità, abitudini, ecc.), mentre ben poca attenzione riceve la società che deve assorbire l'impatto di un crimine così devastante.
La tesi di Richard Tithecott, invece, è che il serial killer è una delle più potenti icone della cultura americana, qualcosa che ripugna, ma attrae allo stesso tempo. Le storie e le immagini con le quali vengono descritti gli omicidi seriali, sia reali che di fantasia, sono indicatori importanti della cultura di riferimento, dei valori, dei desideri e delle angosce di essa. La costruzione sociale del serial killer, secondo questo autore, è una figura tipica del mondo americano; Tithecott sostiene che è, in qualche modo, la società, con le sue contraddizioni e la sua competitività a favorire il verificarsi di comportamenti omicidiari seriali. Sintomatico è, senza dubbio, il morboso interesse dei media riguardo al "fenomeno serial killer", che può spingere soggetti frustrati dalla vita quotidiana ed in cerca di affermazione del proprio Io, a uccidere barbaramente molte vittime per dimostrare qualcosa a se stesso e agli altri e per ricevere l'attenzione dei media, consolidando così la propria autostima.
Sul terreno classificatorio e descrittivo, Holmes e De Burger differenziano, invece, l'omicidio seriale dalla strage, anch'essa una diramazione dell'omicidio plurimo. Gli elementi che caratterizzano l'omicidio seriale sono tre: (15)
ripetitività compulsiva
rapporto diretto con vittima sconosciuta
assenza di motivazioni evidenti e ben definite.
Particolarmente interessante è la sezione dedicata alle problematiche principali dell'investigazione in un caso di omicidio seriale, dove viene ribadito che è necessaria una preparazione specifica per affrontare un caso del genere, che presenta delle peculiarità rispetto ad un normale caso di omicidio.
Leyton, infine, sottolinea come ci sia una mancanza assoluta di dati credibili, nazionali e internazionali; asserisce, inoltre, che sia necessario creare una banca-dati internazionale realmente attendibile, ma che tale obiettivo è assai difficile per una scarsa collaborazione multinazionale. Quest'autore mette in dubbio anche il fatto che il serial killer sia egli stesso vittima di abusi infantili, dato che non c'è, secondo la sua opinione, una verifica statistica solida sulle notizie biografiche raccolte. Ritiene anche che sia ancora aperta la questione relativa all'importanza del ruolo di squilibri ormonali, biologici e chimici nella costruzione della personalità omicida, dato che la ricerca non ha prodotto alcun risultato conclusivo.
2. Gli assassini seriali nel mondo: tabelle e statistiche.
Quanto è diffuso il fenomeno del serial killer? Quante vittime ha causato? Queste sono le principali questioni da affrontare in questa sede.
Per quanto possa sembrare strano, fino a pochissimi anni fa non esistevano studi approfonditi e sistematici sull'argomento e le varie statistiche effettuate erano tra loro discordanti. Sono stati pubblicati validi saggi su casi specifici, ma una visione d'insieme del fenomeno ancora non era stata elaborata.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il Paese maggiormente interessato dal fenomeno, cifre fantasiose sono state evocate da scrittori e giornalisti, che hanno indicato la presenza di parecchie migliaia di serial killer attivi, che avrebbero massacrato all'incirca settemila persone; purtroppo l'Uniform Crime Reports del Dipartimento di Giustizia, che ogni anno pubblica le statistiche dei crimini avvenuti negli Stati Uniti, non fa menzione diretta degli assassini seriali e delle loro vittime. Gli agenti dell'F.B.I. che si occupano di questo fenomeno stimano, in maniera ufficiosa, che, negli Stati Uniti, vi siano dai trentacinque ai cento serial killer attivi.
Una più completa ricerca in tal senso è stata avviata soltanto ultimamente e necessita di una premessa. Innanzi tutto, è preferibile prendere in considerazione, ai fini di una migliore comprensione del fenomeno, la variabile "assassino seriale" anziché quella di "omicidio seriale"; questo perché, all'interno di quella che, a prima vista, può sembrare un'unica serie omicidiaria, ci possono essere due o più assassini che agiscono indipendentemente, ma con modalità esecutive simili. L'altra possibilità di creare un errore statistico utilizzando la variabile "omicidio seriale" è che un assassino catturato confessi anche delitti non commessi da lui o che taccia su altri delitti che lo vedono colpevole, ma attribuibili ad altra serie omicidiaria.
Un altro problema di metodo riguarda l'esatta indicazione delle vittime di omicidio seriale, perché molti assassini seriali tendono, una volta catturati, a dichiarare di aver ucciso più vittime di quante non sia vero, per far acquistare importanza alla loro figura; altri, per posticipare il processo o un'eventuale esecuzione, tendono a rivelare il nome di una nuova vittima ad intervalli periodici, così da ritardare le indagini e da rinnovare l'interesse dei mass media nei loro confronti. Infine, come per altri reati, anche le statistiche dell'omicidio seriale devono tenere presente il problema costituito dal "numero oscuro".
Conclusa questa indispensabile premessa sui molti problemi di metodo passiamo ora ad analizzare i dati riscontrati. Questi dimostrano che il fenomeno non è così limitato come sembrerebbe, o come si vorrebbe far credere, specialmente se consideriamo che ogni serial killer ha causato in media quattro, cinque vittime. Il nostro paese si colloca al terzo posto, dopo gli Stati Uniti (che dà i natali al 55% degli assassini seriali presenti su scala mondiale) ed il Regno Unito (6%) nella triste graduatoria delle nazioni colpite da questa forma di criminalità (nonostante che la percentuale di assassini seriali nel nostro paese si attesti soltanto intorno al 5% presenti nel mondo). (16)
Per quanto riguarda la tipologia degli assassini seriali, la maggioranza di loro agisce individualmente (72% circa), mentre i serial killer che agiscono in coppia o in gruppo si attestano su percentuali minori (rispettivamente 12 e 16%); da notare che in Italia gli assassini seriali che agiscono in gruppo sono, in percentuale, meno presenti (intorno all'8%). Relativamente, invece, al sesso, la stragrande maggioranza degli assassini seriali sono uomini (84%). Rispetto al delinquente comune, che normalmente utilizza un'arma da fuoco, nel serial killer la percentuale di chi impiega questo mezzo di offesa si abbassa: si nota (nonostante che, anche in queste ipotesi l'arma da fuoco sia il mezzo offensivo più utilizzato), una certa predilezione per il contatto con la vittima; questo ci è dimostrato dalla ampia percentuale di strangolamenti, soffocamenti, annegamenti e dal massiccio uso di armi bianche. È da sottolineare che le donne rispetto agli uomini prediligono l'uso di sostanze venefiche come mezzo di offesa (66% circa). (17)
Il serial killer è, in sostanza, un uomo giovane: al momento del suo primo delitto ha, in media, ventinove anni. È generalmente un soggetto di razza bianca (per l'83% dei casi), che, se eterosessuale, attacca di preferenza le donne (55% circa). Uccide le sue vittime in un territorio ben definito, una città o uno Stato, nelle vicinanze del luogo in cui abita nel 63% dei casi. È nomade nel 29% dei casi e può assassinare una persona in diversi Stati. Infine, può uccidere in casa propria o sul posto di lavoro, nell'8% dei casi per gli uomini, nel 29% dei casi per le donne. (18)
2.1. Il "numero oscuro" e casi recenti irrisolti di omicidio seriale
Il "numero oscuro" rappresenta quella quota di casi che, in ogni tipo di reato, non vengono registrati dalle agenzie di controllo e, quindi, non finiscono nelle statistiche ufficiali, perché non sono stati denunciati dalla vittima, non vengono scoperti oppure c'è un indiziato che non viene condannato. In alcuni tipi di reato, il "numero oscuro" è più basso che in altri. L'omicidio, ad esempio, è un reato che provoca un forte impatto sociale e sollecita un'investigazione particolarmente approfondita: per questo motivo è uno dei reati con il "numero oscuro" più basso. Nell'omicidio seriale, probabilmente, quest'ultimo è ancora più basso, perché, in questo caso, l'assassino, invece di compiere un gesto isolato, esegue diverse azioni in un intervallo di tempo più o meno lungo e, anche se pianifica con cura ogni azione, è più facile che, a lungo andare, possa commettere un errore che lo faccia scoprire.
Fra le numerose persone che scompaiono ogni anno, sicuramente alcune sono vittime di assassini seriali che ancora non sono stati identificati. Del resto, con l'accresciuta mobilità che si è avuta in questo secolo, gli assassini hanno imparato a spostarsi da un luogo ad un altro per compiere i propri crimini; così due omicidi commessi a distanza di centinaia di chilometri possono essere opera di un'unica persona, senza che la polizia riesca a collegarli ed a trovare il colpevole. Il problema è amplificato al massimo negli Stati Uniti, dove il territorio è così vasto che è quasi impossibile che la polizia pensi a collegare omicidi avvenuti in vari Stati.
In diversi casi, le agenzie di controllo sono riuscite a identificare una serie omicidiaria, senza però identificare il colpevole. Anche qui, bisogna procedere con attenzione perché esiste il problema dei "copycat serial murder" ("omicidi seriali per imitazione"): un soggetto, che dimostra di avere una personalità instabile ed un'identità non ben definita, seguendo un caso di omicidio seriale attraverso i resoconti dei mass media, può identificarsi a tal punto con l'ignoto assassino da decidere di ripeterne le gesta; quindi, in quella che apparentemente sembra essere un'unica serie, ci sono, in realtà, due assassini che agiscono indipendentemente e separatamente.
Le serie interrotte bruscamente vanno a accrescere i ranghi del "numero oscuro", perché spesso la polizia non riesce a collegare gli omicidi tra loro. Quando un assassino seriale cessa improvvisamente la serie omicidiaria, si possono formulare quattro ipotesi:
l'assassino seriale è morto (spesso suicida);
il serial killer viene arrestato per un altro crimine che non ha niente a che vedere con la serie omicidiaria (che quindi s'interrompe) ed è costretto a scontare una lunga pena detentiva;
l'assassino seriale cambia zona di operazione a causa di un trasferimento lavorativo, di motivi personali oppure perché si sente braccato e decide di uccidere in un'altra città; in questo caso può modificare il proprio modus operandi, facendo in modo che le due serie di omicidi non vengano collegate;
la compulsione che spinge l'assassino seriale ad uccidere può interrompersi perché avviene un cambiamento nella sua vita ed il soggetto rivive gli omicidi solo nella sua immaginazione o investe l'energia aggressiva in altre attività per lui estremamente gratificanti (quest'ultima ipotesi è estremamente rara).
Per alcuni paesi del mondo è impossibile avere un quadro completo del fenomeno dell'omicidio seriale, perché, oltre al problema del "numero oscuro", si aggiunge quello della scarsità di informazioni riportate dai mass media. Per quanto riguarda gli Stati Uniti e i paesi dell'Europa occidentale, le fonti di informazione sono piuttosto ampie. Il discorso è più complicato per gli Stati dell'Europa orientale e, soprattutto, per i paesi dell'ex Unione Sovietica. Solo negli ultimi anni, con il crollo dei regimi comunisti, si è cominciato ad avere notizie attendibili sulla situazione della criminalità in quei paesi.
Una quantità particolarmente rilevante di omicidi seriali che vanno a ricadere nel "numero oscuro" è data dagli assassini seriali che agiscono in ospedali o case di cura. Ci sono vari casi di omicidio seriale avvenuti in questi luoghi in cui non si è riusciti a trovare il responsabile. A volte, pur avendo forti sospetti su una o più persone, è molto difficile provarne l'effettiva colpevolezza perché non esistono prove concrete o testimoni oculari degli omicidi. Se l'imputato non confessa e gli indizi raccolti non sono sufficienti, il processo terminerà inevitabilmente con l'assoluzione. In alcuni casi, quando gli omicidi seriali sono commessi da minorenni, i mezzi d'informazione, spontaneamente o su invito dell'autorità giudiziaria, possono decidere di omettere il nome per proteggere l'autore del reato o la sua famiglia, per cui, anche questi casi, sono difficili da inserire in una statistica ufficiale.
Nonostante gli indubbi progressi registrati nel campo dell'investigazione nei casi di omicidio seriale, ancora oggi la maggior parte dei serial killer vengono scoperti per puro caso, grazie a controlli casuali oppure perché vengono fermati in relazione ad altri reati che nulla hanno a che vedere con la catena degli omicidi. In ogni parte del mondo, esistono assassini seriali che sono riusciti a sfuggire alla cattura, grazie al livello elevato dell'organizzazione degli omicidi e, in alcuni casi, a limiti delle forze dell'ordine nell'affrontare il caso dal punto di vista più appropriato. Questo perché molti inquirenti sono, spesso, scettici sulla possibilità di trovarsi di fronte ad un caso di omicidio seriale e per il mancato coordinamento tra gli investigatori.
Dai primi anni '70, in Texas, sono state uccise o sono scomparse trentadue donne e, secondo la polizia, c'è in attività più di un serial killer. L'ultima vittima è stata rinvenuta nel 1999 e gli unici elementi comuni a tutti gli omicidi sono, appunto, la scelta delle vittime, tutte donne basse, magre, coi capelli castani e il luogo d'azione è raccolto nell'arco di pochi chilometri.A partire dal 1995, più di venti prostitute sono sparite nel nulla a Vancouver, in Canada, e la polizia ha fornito tutte le prostitute un cellulare, nella speranza che riescano a segnalare tempestivamente la presenza di un maniaco. Dal 1999 ad oggi, a Denver (Colorado) sono stati uccisi sette vagabondi e su tutti i cadaveri l'assassino si è accanito selvaggiamente. La polizia è convinta che si aggiri per la città un serial killer "missionario" che si è lanciato in una crociata il cui scopo sarebbe quello di annientare tutti gli "esseri inferiori".
2.2. La "Banca Dati Europea sui Serial Killer" (E.S.KI.DA.B. 2000)
Abbiamo in precedenza notato come la maggior parte degli assassini seriali opera negli Stati Uniti (quasi il 60%), ma è anche vero che, subito dopo, ci sono tutti Stati europei, Inghilterra, Italia, Germania, Francia e paesi dell'ex Unione Sovietica.
La sigla E.S.KI.DA.B. 2000 sta per European Serial Killer Data Bank 2000, ovvero una banca dati europea sui serial killer aggiornata al 2000. Per i paesi europei in cui è presente una percentuale significativa di assassini seriali, viene effettuata un'analisi mirata ad individuare le caratteristiche distintive di ogni nazione, raffrontandole con il campione americano per evidenziare similitudini e differenze. In generale, l'omicidio seriale è più frequente nei paesi dell'Europa settentrionale, mentre negli Stati dell'area mediterranea i casi sono numericamente inferiori. Anche in nazioni mediterranee come Italia e Francia, l'omicidio seriale è concentrato prevalentemente nelle zone settentrionali, a conferma del fatto che esiste un rapporto inversamente proporzionale fra omicidio seriale e omicidio passionale.
Nelle nazioni più industrializzate, quelle appunto ai primi posti per numero di omicidi seriali, il grado di alienazione è molto alto, le famiglie sono sempre più disgregate e i rapporti sociali sempre più frammentati. Tutto questo porta l'individuo a sentirsi più solo e la competitività sfrenata, che è una costante di quei paesi estremamente sviluppati, diventa insopportabile per chi non ha capacità adeguate di affermarsi. Non a caso le grandi metropoli sono i luoghi prediletti dagli assassini seriali europei; in ognuna di queste città ci sono stati diversi serial killer e la stessa cosa avviene negli Stati Uniti. La grande città permette una mimetizzazione migliore ed è proprio in questo tipo di ambiente che è più pesante il grado di alienazione vissuto dal soggetto. Gli assassini seriali europei, inoltre, tendono ad essere molto più sedentari di quelli americani, che si spostano con estrema facilità da uno stato all'altro.
Anche il fattore immigrazione è praticamente nullo e la quasi totalità dei serial killer è della stessa nazionalità del paese dove vengono commessi gli omicidi.
3. Meccanismi psicologici e classificazione dell'omicidio seriale.
Nel corso degli anni gli studiosi che si sono occupati del fenomeno dell'omicidio seriale hanno cercato di spiegare le cause che lo originano. A seconda delle diverse correnti teoriche, sono state avanzate spiegazioni che tendono, alternativamente, a chiamare in causa fattori di natura organica o di natura sociale, ma nessuna di queste è riuscita a rispondere a due domande fondamentali:
perché alcuni individui diventano assassini seriali?
perché, tra tutti i tipi di comportamento deviante, alcuni soggetti scelgono proprio questo?
Comunque sia, gli autori che si sono occupati di questo argomento concordano tutti su un punto, cioè l'importanza della presenza di esperienze traumatiche nell'infanzia e nell'adolescenza degli assassini seriali. Bisogna però notare che molti bambini traumatizzati durante l'infanzia e molti adolescenti cresciuti in condizioni di emarginazione e di abbandono, non diventano assassini seriali, preferendo invece mettere in atto altre modalità comportamentali, devianti o meno. Perché, allora, alcuni diventano proprio dei serial killer?
Probabilmente la prospettiva teorica che fornisce una spiegazione migliore è quella basata sul modello sistemico- relazionale; secondo tale spiegazione, l'individuo, tenuto conto delle sue caratteristiche innate, che hanno la loro importanza, subisce tuttavia l'influenza dei sistemi nei quali è inserito e delle relazioni che ha instaurato con gli altri nell'ambiente.
Secondo questa teoria, gli assassini seriali sono il prodotto della famiglia di provenienza e del sistema di pensiero genitoriale ed a questo elemento si unisce la personalità individuale ed eventuali caratteristiche fisiologiche particolari. Quando poi le relazioni diventano negative e disgreganti, non tengono più insieme il sistema dell'assassino seriale, che quindi va a pezzi ed il soggetto perde così il senso della realtà. L'azione omicidiaria ricompone temporaneamente il sistema del soggetto, fino a quando altre relazioni negative non ne compromettono nuovamente l'esistenza. In quest'ottica, il comportamento omicidiario seriale può essere visto come la risultante di tre fattori (individuale, socio-ambientale, relazionale), che si intrecciano tra loro, con importanza diversa da soggetto a soggetto. Il fattore individuale include tutte le caratteristiche personali dell'assassino seriale. Il fattore socio-ambientale comprende tutte le componenti sociali che possono influenzare il comportamento di un assassino seriale. Il fattore relazionale è una sintesi dei due fattori, il loro punto d'incontro; questo fattore è una misura del grado di scambio esistente tra individuo e ambiente e del modo in cui il soggetto si rapporta agli altri.
In questo campo, si nota la tendenza di molti autori, primi tra tutti gli esperti dell'F.B.I., a considerare assassini seriali solo quei soggetti i cui omicidi sono, in qualche modo, collegati a turbe di natura sessuale. In realtà, una spiegazione unica per tutti gli assassini seriali non esiste, in quanto le motivazioni alla base del comportamento omicidiario seriale possono essere molteplici.
Per quanto riguarda la tassonomia degli omicidi seriali dobbiamo precisare che esistono più modi di classificazione degli stessi. La principale modalità di ripartizione dell'omicidio seriale è quella relativa al movente, in cui si mette a fuoco il motivo che ha spinto il soggetto verso la condotta omicidiaria seriale; in secondo luogo, è possibile effettuare una classificazione dell'omicidio seriale in relazione al numero di persone che uccidono: infatti, alcuni serial killer agiscono individualmente, altri in coppia o in gruppo oppure possono compiere alcuni omicidi singolarmente ed altri in coppia o in gruppo (si parla di omicidi seriali in numero variabile). Un altro criterio di classificazione riguarda il grado di pianificazione dell'omicidio: il comportamento omicidiario può oscillare tra una pianificazione assoluta di tutti gli aspetti del delitto ed una totale assenza di organizzazione, oppure l'assassino seriale può pianificare soltanto alcuni momenti, ritenuti più importanti nella realizzazione del proprio rituale. Infine, alcuni autori hanno individuato varie fasi all'interno della condotta omicidiaria seriale.
3.1. Classificazione dell'omicidio seriale basata sul movente
Relativamente alla tassonomia dell'omicidio seriale, il punto di riferimento rimane la classificazione operata dal Crime Classification Manual, il manuale di ripartizione del crimine violento creato dagli agenti dell'F.B.I. (19) Secondo questo modello classificatorio, le cause che spiegano i diversi tipi di omicidio sono interpretabili in base a vari fattori; il fattore primario è quello principalmente responsabile del comportamento omicidiario seriale, mentre quello secondario ha un ruolo causativo di minore importanza. È, comunque, necessario sottolineare come il comportamento omicidiario seriale è sempre il risultato della mescolanza tra i vari fattori.
I criteri in base ai quali classificare l'omicidio seriale in relazione al movente sono i seguenti:
omicidio seriale per guadagno personale. In questa categoria di omicidio seriale, l'assassino commette una serie di delitti prevalentemente allo scopo di entrare in possesso di un'eredità o per incassare polizze di assicurazione stipulate sulla vita delle vittime. Solitamente esiste una relazione ben precisa tra assassino e vittima. In questi casi, quindi, l'omicida sceglie le sue vittime in base al guadagno che può ricavare dalla loro morte: questo serial killer vive dei proventi dei suoi omicidi. I più frequenti sono gli omicidi seriali in ambito coniugale. È questa una delle categorie in cui le donne assassine sono in numero maggiore e si tratta, in genere, di persone che hanno una vita privata insoddisfacente e nessun lavoro oppure uno scarsamente retribuito.
In questo tipo di omicidi seriali, il fattore principale è dato dalla motivazione individuale del soggetto, dalla ricerca della soddisfazione di una serie di bisogni personali, che assumono, per lui, importanza prioritaria rispetto a considerazioni di ordine morale.
In secondo luogo la relazione tra assassino e vittima è completamente distorta, dato che il soggetto deve operare un profondo processo di depersonalizzazione delle vittime che gli consenta di privarle delle qualità umane, trasformandole in semplici oggetti. Gli assassini seriali di questa categoria sono dei sociopatici puri in quanto sono privi di qualsiasi sentimento empatico nei confronti del prossimo.
È un tipo di assassino seriale estremamente sedentario, non ama la pubblicità, perché il suo obiettivo è quello di vivere una vita serena e agiata. In questa categoria di serial killer rientra il francese Henry Landru, che uccise diverse donne depresse dalla solitudine che, ben liete di accettare le sue attenzioni, gli affidarono tutti i loro beni;
omicidio seriale situazionale. Gli omicidi seriali di questo tipo non sono premeditati ma vengono compiuti nell'atto di commettere un altro reato oppure mentre il soggetto sta cercando di mettersi in fuga dopo il reato stesso. Gli omicidi sono causati da un impulso improvviso oppure dal panico o da uno stato confusionale in cui si viene a trovare il criminale che viene colto sul fatto. Gli omicidi non trovano giustificazione concreta nel contesto situazionale, in quanto le vittime non rappresentano un potenziale pericolo per l'assassino: in questi casi si prova un desiderio di uccidere proprio del soggetto, che si ripete in ogni situazione analoga.
Gli omicidi sono compiuti con armi da fuoco e le vittime sono casuali, scelte sul luogo in cui si trova anche l'assassino. Il fattore predominante è dato da un "corto circuito" nella mente del criminale che si determina per la presenza improvvisa nel primo contesto di reato di un testimone o di un potenziale ostacolo. Per quanto riguarda il fattore individuale, di solito, si tratta di persone impulsive, con scarso controllo della propria aggressività ed emotività e che difettano del necessario sangue freddo per affrontare una situazione di stress acuto ed improvviso.
Un esempio tipico di assassino seriale rientrante in questa categoria è quello di Francis Crowley, il quale, nel 1931, fece una serie di rapine per provare di essere un "vero duro", durante le quali uccise un possibile testimone, una donna che gli aveva opposto resistenza ed un poliziotto che lo aveva fermato per un normale controllo di documenti;
omicidio seriale motivato da erotomania. In questo tipo di omicidio seriale, la causa scatenante è data da una particolare fissazione dell'assassino, appunto l'erotomania (uno stato di permanente eccitazione sessuale, localizzata soprattutto a livello psichico). L'assassino vagheggia un amore idealizzato, che lo porta a ritenere inadeguati tutti i suoi amanti. Gli esempi di omicidio seriale di questo tipo sono piuttosto rari e messi in atto prevalentemente da donne.
Il fattore trainante è di tipo individuale, per uno stato di insoddisfazione emozionale che porta il soggetto a rifugiarsi in un mondo fantastico. Per quanto riguarda il fattore relazionale, queste donne non trovano soddisfacenti i rapporti emotivi con i compagni, che le costringono ad una vita piatta e squallida spesso a causa del loro comportamento violento.
Un caso emblematico è quello di Nannie Ross, che uccise i suoi tre mariti, la madre, le sorelle e i figli; quando venne arrestata, disse di aver ucciso perché cercava il "vero amore";
omicidio seriale provocato da una conflitto. Questo tipo di omicidio si verifica quando, a seguito di una lite tra due persone, una perde il controllo ed uccide l'altra; la stessa sequenza si verifica in diverse occasioni.
Il fattore principale è in questo caso di tipo relazionale, cioè la risultante di un'interazione negativa, di durata variabile, tra l'autore e la vittima. Come fattore secondario, si fa riferimento alla personalità dell'individuo, generalmente violento, con scarso controllo dei propri impulsi aggressivi, di umore instabile. Prevalentemente, l'omicidio seriale motivato da un conflitto è commesso da uomini, anche se esistono casi in cui l'assassino è donna; anche questo tipo di omicidio, come l'omicidio seriale situazionale, non è premeditato.
Emblematico, a tal proposito, è il caso di Jack Henry Abbott, il quale uccideva quando era in preda ad attacchi di rabbia e gli bastava il più piccolo pretesto; analogamente, alcuni delitti compiuti da Donato Bilancia possono essere ricondotti in questa categoria (vedi più approfonditamente cap. 4, par. 2);
omicidio seriale per vendetta simbolica. In queste ipotesi, l'assassino uccide una serie di vittime contro le quali vuole vendicarsi, perché pensa di aver subito un grave torto e lo ingigantisce fino a farlo diventare insostenibile, in maniera del tutto irrazionale. Il serial killer uccide però dei soggetti che, personalmente, non gli hanno fatto nulla ma che rappresentano un'autorità che lui vuole punire per un comportamento che ritiene scorretto nei suoi confronti.
Anche in questo tipo di omicidio seriale il fattore relazionale è prevalente; l'assassinio ha origine nella distorsione della relazione tra due soggetti, nella quale un soggetto è convinto di aver subito un danno irreparabile; il secondo soggetto rappresenta solo la proiezione del vero nemico dell'assassino, che invece è irraggiungibile.
Secondariamente, è necessario che l'assassino abbia un certo tipo di personalità, che sia incapace cioè di tollerare le frustrazioni e le sconfitte e con delle spiccate reazioni paranoiche. In questi casi, a differenza dell'omicidio seriale provocato da un conflitto, il rapporto con le vittime è inesistente ed esse sono il capro espiatorio sul quale si indirizza la rabbia e l'aggressività accumulata dall'assassino. La vittima diventa il tramite inconsapevole, simbolico, del messaggio dell'assassino.
In questa tipologia di omicidio seriale rientra il caso di Unabomber, che da 1978 al 1996 ha spedito una serie di pacchi bomba a professori universitari ed a dirigenti di compagnie aeree, uccidendo tre persone e ferendone ventitré.
Molte volte, l'assassino desidera vendicarsi di una o più donne che egli ritiene responsabili del suo fallimento come uomo. Uccidendo donne scelte a caso, egli si prende la sua vendetta contro tutte loro, riaffermando così la propria superiorità di uomo. Di solito si tratta di individui cresciuti da una madre tirannica, dominante, che ha avuto l'effetto di castrare la mascolinità del figlio;
omicidio seriale con movente irrazionale. È il tipo di omicidio seriale tipico dei soggetti schizofrenici paranoici, secondo Lunde.
L'omicidio sembra essere motivato da un movente irrazionale, conosciuto solo dalla mente dell'assassino.
In questi casi il primo fattore da considerare è quello individuale, dato che, per gli assassini seriali psicotici, gli omicidi sono dettati esclusivamente dal loro stato psichico. Le vittime di solito sono scelte a caso e possono essere estremamente eterogenee come età, classe sociale, sesso. La giustificazione preferita da questi serial killer è quella di udire delle voci, che ordinano di commettere gli omicidi. Un esempio classico di assassino seriale di questa categoria è quello di Joseph Kallinger, il quale sosteneva che una testa decapitata di nome "Charlie" gli ordinasse di uccidere ragazzi, mutilandone i genitali. Il fattore secondario è di tipo socio-ambientale; di solito, questi individui già da piccoli mostrano segni premonitori della loro evoluzione psicotica.
A volte, gli assassini seriali sostengono di non essere responsabili degli omicidi, perché questi sono compiuti da un'altra personalità che loro non sono in grado di controllare. Ad esempio, Kenneth Bianchi ingannò diversi psichiatri che lo avevano esaminato, simulando un "disturbo di personalità multipla" (DPM) ed accusando degli omicidi un certo "Steve";
omicidio seriale motivato da estremismo. L'assassino seriale che compie questo tipo di omicidio è motivato dalla fede in una serie di idee basate su un particolare sistema politico, religioso e sociale. Questo tipo di assassino può agire da solo, ma più spesso, fa parte di un gruppo. Si distinguono quattro sottogruppi:
omicidio seriale causato da estremismo politico: l'assassino seriale uccide diversi rappresentanti del governo o persone di cui, comunque, non condivide le opinioni politiche;
omicidio seriale causato da estremismo religioso: in questo caso, l'assassino seriale mostra una fede smisurata in un sistema di credenze basato su agenti sovrannaturali o su un capo carismatico che esercita il suo influsso psicologico per far compiere al soggetto una serie di omicidi; spesso questo assassino, quando agisce da solo, presenta anche una forma di psicosi che lo porta ad avere allucinazioni auditive e/o visive, per cui è convinto di ricevere l'ordine di uccidere "direttamente da Dio";
omicidio seriale causato da estremismo socioeconomico: l'assassino seriale uccide persone appartenenti ad un certo gruppo etnico, sociale o religioso, verso cui prova un'intensa ostilità. In questa categoria rientra il gruppo denominato "La Legione Nera", un organizzazione che combatteva contro neri, ebrei cattolici, comunisti e anarchici, che tra il 1933 e il 1936, nel Michigan (USA), uccisero più di cinquanta persone;
omicidio seriale causato da estremismo paramilitare: questo assassino seriale uccide le proprie vittime come se fossero "bersagli" da eliminare. Ogni azione diventa una "missione speciale" e l'assassino si equipaggia di conseguenza. È il caso di Arrigo Candela, una guardia giurata, la cui passione erano le armi e le tecniche di sopravvivenza; nel paese in cui viveva (in provincia di Torino), era considerato una "macchietta", perché spesso passava intere notti in campagna, in uniforme e armato di tutto punto, esercitandosi a "fare il Rambo". Fra il 1991 e il 1992, commise tre omicidi, semplicemente per dimostrare di essere un "duro";
omicidio seriale per eutanasia. In questo caso l'assassino seriale sceglie come vittime persone che, secondo lui, stanno soffrendo ingiustamente: è convinto che sia suo dovere alleviare le sofferenze del prossimo, anche se, nella maggior parte delle volte, il vero motivo è la sensazione di potere e controllo che l'assassino ottiene dal suo delitto. I casi di omicidio seriale di questo genere sono piuttosto numerosi e vedono coinvolti come colpevoli sia uomini che donne, soprattutto personale sanitario. Gli omicidi sono commessi in modo da far pensare ad una morte naturale: tra i metodi più usati c'è l'iniezione di sostanze tossiche o velenose ed il soffocamento.
È molto difficile scoprire questo tipo di omicidio seriale, in quanto i sintomi provati dalle vittime sono compatibili con un decesso per cause naturali. A ciò si aggiunge il fatto che, spesso, gli ospedali e le case di cura sono interessate a tenere nascosto un tasso di mortalità elevato tra i pazienti per paura di uno scandalo o di perdere clienti. Generalmente si arriva ad una conclusione positiva del caso solo se il sospettato si decide a confessare;
omicidio seriale per il controllo del potere. In questo caso, il soggetto sceglie l'omicidio come attività che gli permette di manifestare il suo bisogno di onnipotenza. Spesso si tratta di omicidi seriali particolarmente brutali nell'esecuzione, in cui l'assassino provoca un notevole grado di sofferenza alla vittima.
Questo tipo di omicidi seriale si divide in tre sottocategorie:
omicidio seriale per essere al centro dell'attenzione: l'assassino seriale crea volontariamente una situazione di pericolo per le vittime e, in seguito, tenta, inutilmente, di salvarle allo scopo di assumere un atteggiamento da eroe. Questo tipo di omicidio viene di solito attuato da donne che mettono in pericolo la vita dei propri figli o di altri bambini (infermiere, baby-sitter, ecc.);
omicidio seriale sadico: questo serial killer si distingue per il piacere che prova nell'uccidere; l'assassino seriale uccide le vittime solo dopo averle torturate a lungo. In questo caso il piacere principale sta nell'infliggere alle vittime il massimo dolore fisico e psicologico, pratica che permette al serial killer di sentirsi onnipotente. L'assassino, cioè, deriva la sua soddisfazione dalle reazioni di dolore della vittima;
omicidio seriale "missionario": questo tipo di serial killer sente di dover compiere una missione, in questo caso, eliminare un certo gruppo di persone, perché ritiene che non siano degne di vivere e questo compito gli procura un piacere molto intenso. Questo assassino seriale, pur non soffrendo di una psicosi, è spesso condizionato da personali convinzioni sostenute da alcune percezioni di tipo paranoide. Un caso emblematico di assassino seriale rientrante in questa categoria è quello di Gaspare Zinnanti, che nel 1999 uccise due tossicodipendenti a Milano allo scopo di "ripulire il mondo da tali soggetti".
In questi casi fattori individuali si compenetrano con quelli socio-ambientali; si tratta, infatti, di soggetti che non hanno un senso dell'identità ben preciso, che si sentono inadeguate e che hanno un bisogno prioritario di sentirsi importanti, bisogno che non può essere realizzato in nessun'altra sfera della vita sociale; per cui il potere esercitato sulla vittima è la loro possibilità di rivincita sulla società nella quale non riescono ad inserirsi in modo vincente;
omicidio seriale sessuale. Questo tipo di omicidio seriale implica un elemento sessuale che sta alla base delle azioni che conducono alla morte della vittima. Il genere di atto sessuale e il suo significato simbolico variano a seconda della personalità dell'assassino ed i serial killer sessuali vengono identificati perché nell'acting out delle proprie fantasie lasciano una firma caratteristica sul corpo delle vittime e sugli altri elementi della scena del delitto.
Anche qui, in genere, si possono distinguere due sottogruppi:
omicidio seriale sessuale sadico: in questo caso, l'assassino ottiene la gratificazione sessuale infliggendo grandi sofferenze alle vittime. Lo stupro, quando c'è, è particolarmente violento e accompagnato da percosse e/o torture di vario genere;
omicidio seriale sessuale necrofilo: l'esatto opposto del precedente; l'assassino uccide le vittime nel modo più veloce possibile e, generalmente, con una metodica non lesiva dei tessuti corporei, perché gli interessa avere accanto a sé un corpo inanimato intatto. A distanza di alcuni giorni dall'omicidio, l'assassino può decidere di sezionare il cadavere per conservarne alcune parti (feticismo) e disfarsi del resto.
Si tratta di soggetti spesso provenienti da ambienti familiari traumatizzanti soprattutto per quello che riguarda la sfera sessuale. Sono individui che possono aver subito abusi e violenze sessuali o un'educazione troppo severa e repressiva, in cui è stato loro insegnato che "il sesso è peccato". Tutti questi elementi vengono però filtrati dalla singola personalità di ogni individuo. L'omicidio a sfondo sessuale è un modo per l'assassino per raggiungere la gratificazione sessuale e la ripetizione dell'atto omicidiario gli permette di rivivere all'infinito il piacere che ha provato la prima volta;
omicidio seriale a movente misto. Ci sono diversi casi di omicidio seriale in cui il movente varia da un delitto all'altro. Le vittime possono essere alternativamente persone del nucleo familiare, conoscenti o sconosciuti. Questi omicidi, spesso, proprio a causa della variabilità del movente, sono scarsamente pianificati.
Il fattore individuale è predominante, in quanto il soggetto sembra spinto ad uccidere da un suo bisogno interno, indipendentemente dal fatto che il movente giustifichi l'omicidio o meno.
Di solito, comunque, si tratta di soggetti che, al momento del primo omicidio, hanno già una carriera criminale alle spalle, per cui l'omicidio è l'ultima tappa di un processo di devianza ben consolidato dall'ambiente nel quale sono inseriti.
3.2. Classificazione dell'omicidio seriale in base al numero di soggetti che uccidono
In letteratura, quando si parla di serial killer, in genere, si pensa ad una specie di "lupo solitario", cioè ad una persona che vive e commette i suoi crimini in completa solitudine. Nella realtà, però, questo quadro non è sempre veritiero, perché quasi un terzo degli assassini seriali nel mondo uccide in coppia o in gruppo.
In relazione al numero di persone coinvolte nell'azione omicidiaria si possono distinguere quattro categorie:
omicidio seriale individuale. È l'omicidio seriale classico, quello più pubblicizzato e meglio studiato, anche perché è la categoria in cui rientrano tutti i casi più famosi. Questo assassino è il "predatore solitario" che tende la trappola alle sue vittime, colpisce e sparisce nel nulla; è inafferrabile proprio perché non lascia tracce dietro di sé e, di solito, non ha alcun legame con le vittime che permetta di risalire alla sua identità: spesso vive da solo ed uccide da solo e, se non commette qualche errore, è molto difficile che venga catturato.
La caratteristica principale di questi assassini è quella di avere una vita immaginativa molto ricca, che va a compensare la carenza di stimoli ricevuti dal mondo esterno. Sono soggetti che provengono quasi sempre da "famiglie multiproblematiche" e, durante l'infanzia, sono stati prevalentemente dei bambini introversi e con gravi problemi ad instaurare dei legami con gli altri coetanei. La loro solitudine li porta a sviluppare maggiormente un mondo di fantasia che, col passare degli anni, diventa quello nel quale preferiscono vivere.
Attraverso l'omicidio, il soggetto vuole trasferire le sue fantasie nella realtà, operazione che gli procura una soddisfazione solo transitoria, perché, dopo un certo periodo di tempo (il periodo di intervallo emotivo), si accorge di non essere riuscito a cambiare sostanzialmente la realtà in cui vive e, così, deve compiere un nuovo omicidio ed un altro ancora per provare almeno una soddisfazione transitoria, in un processo che diventa senza fine.
Andando avanti con gli omicidi, il periodo di soddisfazione diventa sempre più breve ed il soggetto ha bisogno di intensificare la frequenza degli omicidi; si nota anche, una progressiva brutalizzazione della vittima, in quanto l'assassino, che dopo ogni omicidio diventa sempre più sicuro di sé, cerca degli stimoli nuovi in quella che possiamo chiamare "sindrome di assuefazione omicidiaria".
In questi casi lo stato mentale particolare in cui si viene a trovare il soggetto (erotomania, psicosi, ecc.) lo spinge a mettere in atto il comportamento omicidiario seriale alla ricerca della soddisfazione del suo mondo immaginario.
Il "mondo perfetto" vagheggiato dall'assassino seriale non può essere condiviso con altri, perché il soggetto non sopporterebbe il rischio che questo venisse sminuito da altre persone, per cui difende gelosamente il suo mondo interno dagli sguardi estranei;
omicidio seriale in coppia. In questo caso, abbiamo due individui che compiono insieme l'omicidio seriale. Si parla di coppia assassina anche quando, in realtà, è uno solo dei soggetti a commettere concretamente l'omicidio, mentre l'altro assiste al fatto e aiuta poi a disporre il cadavere, nel caso in cui vogliano lanciare qualche messaggio particolare agli inquirenti.
Le coppie sono sempre formate da un soggetto con personalità dominante e da uno con personalità sottomessa. Il soggetto dominante, che nelle coppie uomo/donna è quasi sempre l'uomo, pianifica l'azione omicidiaria e la metterebbe in atto anche senza la presenza dell'altro. Spesso si tratta di un individuo fortemente manipolatorio e con un disturbo antisociale della personalità, che lo porta ad utilizzare il prossimo per ottenere i suoi scopi; frequentemente, ha già dei precedenti penali.
L'altro membro della coppia è un soggetto passivo, che non è in grado di opporre resistenza alla volontà del dominante. Si tratta di persona che, probabilmente, non sarebbe mai diventata un serial killer senza l'incontro con il partner.
Praticamente, si verifica quello che Wilson e Seaman hanno chiamato "follia a due" (20): due individui si incontrano, scoprono d avere molti punti in comune e nasce un'empatia immediata; da questo momento, si sviluppa una miscela esplosiva il cui risultato finale è l'omicidio seriale;
omicidio seriale di gruppo. Il fenomeno degli omicidi seriali commessi da gruppi organizzati richiama, invece, uno dei temi più inquietanti di questo fine secolo: il bisogno patologico di fedi e verità assolute, capaci di arginare quel grande male che è la solitudine.
In questa categoria compendiamo tutti gli omicidi seriali commessi da gruppi di tre o più persone, in cui abbiamo forme patologiche di associazionismo, di dedizione assoluta a credi religiosi, culture esoteriche o movimenti politici, ispirati spesso ad una visione del mondo dominata dal male e dall'ingiustizia. Gli omicidi di questo tipo possono essere compiuti effettivamente da tutti i membri del gruppo, oppure ci può essere un soggetto deputato a portare a termine l'azione omicidiaria, mentre gli altri si rendono complici, non facendo nulla, di fatto, per impedire le uccisioni.
Ci possono essere diversi tipi di gruppo coinvolti negli omicidi seriali. Vediamoli in dettaglio:
gruppo criminale semplice: è un gruppo prevalentemente di piccole dimensioni. Si tratta di soggetti soprattutto di sesso maschile, che stanno insieme al solo scopo di compiere azioni criminali, senza essere spinti da alcuna ideologia comune. In questa categoria rientrano le bande giovanili, formate da ragazzi minorenni o poco più che maggiorenni che uccidono in modo seriale per il solo gusto di farlo. Sono, invece, estremamente rari i gruppi criminali semplici composti da sole donne.
La definizione di gruppo criminale semplice serve appunto per distinguere queste formazioni dalla criminalità organizzata e dai gruppi terroristici, all'interno dei quali, comunque, possono esserci degli assassini seriali;
gruppo razzista: è un gruppo generalmente di media numerosità, di solito organizzato su basi paramilitari; la gerarchia del gruppo è molto rigida e gli omicidi sono motivati da un odio profondo nei confronti di particolari gruppi etnici; l'esempio classico è quello del Ku Klux Klan, un gruppo composto da fanatici bianchi operante negli Stati Uniti meridionali;
setta religiosa. La pericolosità delle sette religiose sta nel fatto che, oltre agli omicidi seriali commettono omicidi di massa, a volte mascherati da suicidi collettivi. In essa spesso si verifica l'omicidio seriale "per induzione": il capo carismatico della setta non compie personalmente gli omicidi, ma istiga i seguaci a farli, creando delle vere e proprie "squadre della morte". Spesso, i leader di questi culti possono manifestare tratti di personalità borderline, specialmente nel momento della crisi. Gli elementi di questa sono:
la tendenza a dividere il mondo in buoni e cattivi
un quadro di relazioni interpersonali instabili ma intense
rapidi cambiamenti d'umore
rabbia intensa e mal controllata
in situazioni di stress, rottura temporanea del contatto con la realtà o ideazione paranoide transitoria;
omicidio seriale in numero variabile. A volte, gli assassini seriali commettono alcuni omicidi individualmente, altri in coppia e altri ancora in gruppo.
Il caso più importante di omicidio seriale di questo tipo è quello che vede coinvolto il dottor Morris Bolber; negli Stati Uniti, durante gli anni della Depressione, ideò un piano criminoso particolarmente efficace: aiutato da due cugini, che avevano il compito di sedurre alcune donne suggerendo loro di stipulare una polizza di assicurazione sulla vita dei mariti, uccideva con vari metodi i suoi pazienti, intascando i premi; ad essi si unì, poi, Carina Favato, una donna d'origine italiana, che aveva già ucciso tre dei suoi mariti e si era messa a tempo pieno a fare la "consulente matrimoniale", avvelenando i mariti scomodi dietro pingue compenso.
3.3. Classificazione modale dell'omicidio seriale
Gli omicidi seriali sono molto diversi tra loro, non soltanto per il numero di soggetti che uccidono, per il movente che li origina o per il tipo di vittima coinvolto, ma anche per le modalità esecutive con le quali vengono commessi.
La schematizzazione delle fasi esecutive descritta da Lavorino è utile da questo punto di vista e prevede varie fasi: (21)
immaginazione e decisione dell'omicidio
progettazione e organizzazione
predisposizione per entrare nell'ambito della vittima
preparazione della scena del crimine, dei mezzi, degli strumenti e delle opportunità
impossessamento della vittima tramite blitz, sotterfugio o trappola
esecuzione del piano omicida e attuazione dell'uccisione
interventi sulla vittima del tipo prestabilito, del tipo inconscio e del tipo simbolico
attuazione di overkilling e afterkilling
attuazione dello staging e dell'autocopertura
presa di distanza dall'omicidio e dalla scena del crimine.
In relazione alle modalità in base alle quali viene eseguito l'omicidio seriale, possiamo distinguere:
serial killer organizzati e disorganizzati. Questa classificazione relativa alle modalità esecutive degli assassini seriali, seppur riduttiva e, per molti aspetti, riconducibile alle altre modalità presentate (vedi le classificazioni seguenti), rappresenta il sistema tradizionalmente utilizzato, in particolar modo dagli agenti dell'F.B.I., per distinguere i serial killer in relazione al modo in cui essi agiscono. Vediamola nel dettaglio.
I serial killer organizzati pianificano con meticolosità i propri delitti, selezionano le vittime meno rischiose e le conducono sul luogo del delitto; per lo più si tratta di psicopatici, inguaribili, con un alto quoziente d'intelligenza; lasciano pochissime tracce dietro di sé, ad eccezione di quando praticano un rituale, come nel caso in cui mordano le proprie vittime; molto spesso portano con sé un kit con l'occorrente: una corda, del nastro adesivo, delle manette, dei guanti, dei vestiti di ricambio, un'arma da fuoco, un coltello ... Generalmente si tratta di soggetti molto socievoli e capaci di integrarsi alla perfezione senza destare sospetti, hanno un buon impiego, inferiore però a quello cui potrebbero aspirare, sono competenti sessualmente, hanno ricevuto una disciplina severa durante l'infanzia, vivono con un partner o hanno famiglia propria.
Spesso sono soggetti che non amano la società ma non se ne isolano manifestamente; sono soliti fantasticare soprattutto prima di aver commesso il primo omicidio, ma quando uccidono lo fanno con premeditazione, sono meticolosi e dimostrano grande autocontrollo al momento del crimine; le vittime sono sconosciuti scelti sulla base di un tipo determinato; sono soliti legare la propria vittima e, dopo l'uccisione, nascondere o sotterrare il cadavere oppure portarlo in posti diversi dalla scena del crimine. L'omicida organizzato, anche nell'assalto sessuale, segue un piano preordinato, che prevede il raggiungimento della soddisfazione sessuale prima di eliminare la propria vittima e, per questo, può infierire e torturare cercando di uccidere molto lentamente.
I serial killer disorganizzati, invece, non agiscono secondo piani preordinati e sono per lo più degli immaturi, meno esperti e meno intelligenti, commettono più errori. Hanno un'intelligenza inferiore alla media e un'appartenenza ad una classe sociale subalterna, una famiglia non ricca ma neanche necessariamente povera. Quasi sempre questi soggetti sono disoccupati o impiegati in lavori precari, figli di genitori anch'essi senza occupazione stabile. Hanno subito un'educazione particolarmente rigida durante l'infanzia, sono sessualmente incompetenti, vivono da soli o con i genitori in una località molto spesso vicina al luogo dove avviene il primo omicidio.
Gli assassini seriali disorganizzati rifiutano manifestamente la società, hanno una tendenza all'ansia al momento del crimine, commettono delitti spontanei con vittime sconosciute, anche se in certi casi possono conoscere la vittima; compiono atti di libidine post-mortem e lasciano il cadavere sul luogo del misfatto.
Le violenze sul cadavere, come il depezzamento, lo squartamento, l'eviscerazione, vengono fatte per spersonalizzare la vittima e renderla irriconoscibile, soprattutto nel caso in cui questa sia conosciuta dall'aggressore.
Questi soggetti non si preoccupano di un'eventuale cattura, ma commettono il crimine partendo da un'allucinazione ed il luogo dell'omicidio, dal quale spesso non rimuovono il cadavere, generalmente riflette questo disordine mentale. Inoltre, il più delle volte, non organizzano il delitto, che è dovuto all'impulso del momento: vedono qualcuno per strada e decidono di attaccarlo. Le sue armi sono pezzi di legno, sassi, pietre, pezzi di mobili al posto di armi e coltelli; se l'assassino è intelligente ma inesperto, tenterà, dopo il crimine, di nascondere la tracce, ma se è al suo primo delitto commetterà inevitabilmente degli errori;
omicidio seriale a pianificazione totale. In questo tipo di omicidio seriale, l'assassino non lascia nulla al caso, ma organizza in ogni dettaglio l'azione esecutiva, quindi corrisponde per larga parte alla categoria di serial killer organizzato coniata dall'F.B.I.
La pianificazione investe tutte le fasi dell'omicidio seriale:
la scelta delle vittime
la preparazione e l'esecuzione degli omicidi
la disposizione dei cadaveri.
In realtà, è difficile trovare un assassino seriale di questo tipo, perché qualche dettaglio sfugge sempre al suo controllo. Si nota, poi, una tendenza progressiva a pianificare i delitti sempre meno, man mano che si va avanti nella serie omicidiaria, perché l'assassino agisce in maniera maggiormente compulsiva, diventa prioritario il suo bisogno di uccidere ancora, senza curarsi più di eventuali imprudenze.
Gli assassini seriali che agiscono per guadagno personale sono i più organizzati in assoluto, perché il loro obiettivo è di vivere con quello che ricavano dagli omicidi e la loro capacità organizzativa non è offuscata da impulsi sessuali che possono fargli perdere il controllo;
omicidio seriale a pianificazione parziale. L'assassino seriale di questo tipo non organizza tutte le fasi dell'omicidio, ma soltanto quella che per lui ha la maggiore importanza simbolica. Alcuni assassini seriali scelgono con molta cura le vittime; per fare questo, sono capaci di seguirle per intere settimane, studiandone le abitudini e gli orari. Altri assassini seriali non sono interessati ad un tipo particolare di vittima, mentre è di vitale importanza che tutta l'azione omicidiaria sia organizzata nei minimi dettagli. Per questi assassini è fondamentale la "ritualità dell'azione omicidiaria", mentre la vittima è scelta in base all'opportunità;
omicidio seriale a pianificazione zero. In questo caso, l'assassino esegue gli omicidi seguendo un impulso momentaneo e senza preoccuparsi di organizzare l'azione. Uccide le vittime scelte a caso e, indifferentemente, uomini, donne e bambini. Ricalca per molti aspetti la categoria di serial killer disorganizzato precedentemente citata.
Secondo Lavorino, questo assassino seriale è spinto ad uccidere da uno dei seguenti quattro impulsi: (22)
la "voce di dentro": l'assassino si aggira in attesa che l'istinto omicida emerga completamente, e, al momento giusto, colpisce senza preoccuparsi delle vie di fuga, degli alibi o delle modalità esecutive. Obbedisce ad una sorta di "voce di dentro" che lo obbliga ad uccidere, senza indicargli le modalità esecutive;
il "raptus omicida": l'assassino è già predisposto all'azione, ma è necessario che si creino quelle condizioni psico-ambientali ed oggettive che scatenano l'istinto omicida. In questa tipologia rientra Luigi Chiatti (vedi cap. 4, par. 3): mentre giocava tranquillamente con dei bambini, gli scattava improvvisamente il desiderio di ucciderli, senza curarsi minimamente delle conseguenze;
la "trance assassina": l'assassino entra in un vortice omicida ed agisce avendo già predisposto, più o meno a livello inconscio, una sorta di rituale. Dopo ogni omicidio ha dei ricordi vaghi e confusi, come se avesse agito in trance;
"l'obbligo di uccidere": è la spinta che subiscono alcuni sociopatici puri, le cosiddette "belve assassine". Uccidono perché devono farlo. Tutte le altre motivazioni che, a prima vista, possono essere alla base degli omicidi, in realtà sono subordinate al bisogno impellente di uccidere;
omicidio seriale a pianificazione mista. L'assassino esegue i vari omicidi della serie ognuno in maniera peculiare; così, può succedere che, in uno stesso caso di omicidio seriale, alcune uccisioni siano condotte in modo completamente organizzato, altre in maniera parziale, altre ancora in modo disorganizzato. In tutti gli omicidi, anche se usa armi diverse, l'assassino lascia sempre la sua "firma";
omicidio seriale a pianificazione fasica. Alcuni assassini seriali invece di pianificare tutte le fasi esecutive del progetto omicida (oppure nessuna), ne pianificano solo qualcuna, mentre le altre vengono agite d'istinto, per caso o con improvvisazione, così gli omicidi hanno un andamento incoerente e consequenziale.
Mentre nell'omicidio seriale a pianificazione mista le differenze di pianificazione si verificano tra un omicidio e l'altro, nell'omicidio seriale a pianificazione fasica le differenze sono all'interno di ogni singolo omicidio appunto nelle varie fasi esecutive.
3.4. Classificazione relativa alle componenti psicodinamiche e comportamentali comuni a tutti i serial killer
Pur tenendo conto delle notevoli difformità nel modo di agire e nel movente alla base del comportamento omicidiario seriale, è tuttavia utile indicare gli elementi comuni alla maggioranza dei serial killer. Trattasi di varie componenti, non sempre presenti in toto in tutti gli assassini seriali, ma che si notano nella stragrande maggioranza dei casi, con prevalenza di una o dell'altra a seconda del singolo evento omicidiario. L'assassino seriale che uccide per il piacere di uccidere è, spesso, una persona all'apparenza del tutto normale, generalmente timido e molto riservato. Dietro questa facciata si nasconde una personalità fredda, cinica, incapace di empatia, manipolatrice, solitaria ed isolata. L'unico tratto caratteristico è lo sguardo di chi nasconde un segreto inconfessabile e la consapevolezza di provare piacere solo nel dare la morte di suoi simili, eccitandosi nel ricordo dei delitti compiuti.
Vi sono alcune costanti psicobiografiche: infanzia difficile, violenza subita nella fase prepuberale o puberale, scarsa comunicabilità, disturbi della personalità. Tutti quanti i serial killer sentono la loro esistenza come negativa e degradata, vivono forti sensi di inferiorità fisica e psichica, sociale e sessuale. Si sentono insicuri, rifiutati e disperatamente soli e compensano queste mancanze con un forte narcisismo e uno sfrenato bisogno di protagonismo. Si sdoppiano in una vita pubblica convenzionale e in una vita segreta perversa e ricchissima di fantasie sadiche, ma, col passare del tempo, è quest'ultima che prevale. Possono racchiudere nella sua personalità complessa tutte le perversioni, dal sadismo alla necrofilia, ma nessuna di queste lo caratterizza in modo assoluto.
Tutto ciò determina la ripetitività dell'omicidio; dal momento in cui passa dalla fantasia alla pratica e, cioè, dopo aver provato piacere nel dare la morte, non riesce più a fermare l'istinto; altri elementi comuni sono, inoltre, l'assenza di motivazioni evidenti e di relazioni con le vittime (quantomeno per quanto riguarda l'omicidio seriale maschile), che vede non come persone ma come cose, degli oggetti da utilizzare per soddisfare la propria deviazione; una finalità di tipo edonistico o di tipo fanatico, un legame più o meno netto con la sessualità ed infine la presenza frequente, ma non assoluta, di diverse forme di patologia mentale.
3.5. Classificazione delle fasi dell'omicidio seriale
Joel Norris, psicologo americano, autore di un fondamentale studio sui serial killer, sostiene che essi sono dei soggetti fisicamente e psicologicamente danneggiati in modo irreparabile; danni all'ipotalamo, se sono il risultato di ripetuti traumi alla testa o difetti di nascita, possono destabilizzare il sistema ormonale ed alterare la capacità del cervello di misurare le emozioni.
Scrive Norris: "se con il termine sano s'intende la capacità di esercitare un controllo volontario sulle proprie azioni, questi individui non possono in nessuna caso esser definiti sani. Eredità biologica ed ambiente sono un fatto ineluttabile". (23)
Il punto di vista di Norris è che il serial killer passa attraverso delle fasi: (24)
fase aurorale, in cui si manifestano fantasie compulsive dove l'omicida è un motore biologico guidato da un istinto primario nella soddisfazione dei propri intimi desideri;
fase di puntamento, in cui si manifestano comportamenti di tipo paraniode; nel cervello dell'assassino seriale avviene una sorta di incendio neuronale, che provoca una turbolenza delle memorie e delle emozioni primarie nella recezione dei dati sensoriali;
fase della seduzione, in cui avviene l'approccio con la vittima;
fase della cattura, in cui il serial killer riesce a avere il controllo della vittima e può realizzare i suoi scopi;
fase omicidiaria; è quella c'è il sollievo orgasmico provocato dall'intrappolare ed uccidere la vittima;
fase totemica caratterizzata dall'asportazione degli organi, da atti di cannibalismo cui segue, immancabilmente, la depressione;
fase depressiva; quando l'assassino seriale leggerà sui giornali di aver ucciso un padre di famiglia, proverà un atroce senso di colpa; tuttavia non cercherà affatto ammenda attraverso la costituzione alle forze dell'ordine, ma continuerà a fuggire. Resta quindi in una solitudine buia, perversa e lacerante e si rifugia in quelle fantasie primarie che sono alla base delle sue gesta. La notte non dorme e riflette, non riesce più a dimenticare quella persona moribonda, i rantoli, il sangue che scorre (debriefing). Lentamente scivola in una sorta di ambivalenza fatta di orrore e piacere ed ecco diffondersi la nostalgia della morte; i sentimenti ed i ricordi non si possono più negare né trascurare; qualsiasi cosa faccia per uscire da questa esperienza, gli ripropone il desiderio spasmodico di continuare ad uccidere. Per cui, a differenza di altri criminale, il serial killer si muove in un vissuto irrefrenabile di pulsioni omicide.
La riabilitazione, per Norris, è impossibile.
4. Forme atipiche di omicidio seriale
Analizzando l'ampia casistica internazionale, appare evidente come sia riduttivo parlare di serial killer solo quando ci si trova in presenza di omicidi a sfondo sessuale (come invece sostiene gran parte degli studiosi del fenomeno). Esistono, infatti, delle forme ibride di omicidio che, apparentemente, non sembrano aver niente a che fare con l'omicidio seriale, mentre, esaminandole più a fondo possono avere degli elementi in comune con questo. Ci riferiamo a quegli omicidi che avvengono all'interno di organizzazioni criminali, sia di stampo mafioso che di altro genere, o nell'ambito di azioni di guerra.
Nelle organizzazioni criminali, si possono nascondere dei soggetti psicopatici che uccidono non soltanto per ordine dei capi, ma anche per soddisfare una propria esigenza interna. In questo caso, i serial killer canalizzano la propria pulsione omicida all'interno di una struttura organizzata che accetta l'omicidio come mezzo legittimo per raggiungere certi obiettivi. In una situazione del genere, si verifica un vantaggio. Il serial killer che agisce per conto proprio deve nascondersi da tutti e non può comunicare a nessuno le proprie fantasie, è escluso da tutta la società; l'assassino seriale che fa parte di una struttura criminale non è isolato, appartiene a una sottocultura che lo protegge e gli riconosce un certo grado di importanza. Lo svantaggio è dato dal fatto che il soggetto non può soddisfare le proprie fantasie di morte autonomamente, perciò deve essere in grado di esercitare un certo controllo sulle sue pulsioni. Del resto, uno dei motivi principali per cui la maggior parte degli assassini seriali agisce individualmente è proprio l'incapacità di addomesticare le proprie pulsioni. Infatti, diversi elementi che vengono considerati tipici dell'omicidio seriale classico, come la violenza sessuale, le torture e lo smembramento, si riscontrano anche in omicidi commessi da bande o da organizzazioni criminali.
In Italia, all'interno della criminalità organizzata, si nota, negli ultimi anni, un aumento notevole del tasso di violenza di alcuni omicidi, con un elevato grado di overkilling. Questi omicidi sono indubbiamente di stampo mafioso, ma sono attuati con crudeltà tale da manifestare una funzione "dimostrativa". È evidente che, per commettere questi omicidi, vengono scelti soggetti che mostrano di avere una predisposizione particolare per uccidere sadicamente. Uno degli esempi più evidenti di sicari mafiosi con caratteristiche di personalità simili a quelle degli assassini seriali, è quello di "Joey", un assassino della mafia americana che ha ammesso di aver ucciso trentotto persone. "Joey" ha scritto un'autobiografia, quindi sono disponibili delle informazioni approfondite sulla sua vita; egli sostiene che uccidere lo diverte, lo gratifica in modo particolare la conturbante sensazione di potere che prova in qualità di sicario, il senso di onnipotenza che lo pervade quando deve decidere se il "bersaglio" deve vivere o morire. Si tratta di un tipo di sensazione comune alla maggioranza dei serial killer, soprattutto di quelli che vengono considerati assassini seriali tradizionali che uccidono per una motivazione sessuale. Nonostante le similitudini, "Joey" non diventa un classico serial killer perché cresce in una sottocultura criminale che lo assorbe completamente e indirizza i suoi istinti psicopatici in modo tale che essi gli permettano di acquisire prestigio nell'ambito della sottocultura stessa.
Del resto, il criminologo canadese Robert Ratner considera l'omicidio seriale come omicidio ideologico, ideologia che sta anche alla base della filosofia terroristica: sia il serial killer che il terrorista sono degli elementi di rottura dell'ordine sociale costituito e le loro azioni tendono al sovvertimento della società che non vuole accettare le loro richieste.
Secondo molti autori (in particolare De Luca) è possibile inserire alcuni assassini di guerra nella categoria degli assassini seriali. È indubbiamente vero che molti soldati hanno commesso crimini di guerra tra i quali si sono verificati degli omicidi seriali, ma ben pochi sono stati riconosciuti come tali. De Luca sostiene che, molte volte, la condotta di alcuni soldati è del tutto paragonabile a quella dei serial killer. (25) Del resto, abbiamo molte notizie di militari che hanno ucciso decine di persone dopo averle torturate barbaramente o, nel caso in cui le vittime sono donne, dopo aver abusato di loro. Questo comportamento è del tutto assimilabile a quello degli assassini seriali, quando la spinta all'omicidio è data da un fattore psicologico personale e quello dello stato di guerra è solo un pretesto ed una copertura per dare sfogo ai propri istinti di morte.
Un'altra forma atipica di omicidio seriale è l'omicidio rituale seriale. È una forma di omicidio seriale scarsamente studiata, perché riguarda principalmente la cultura africana, ben lontana dai parametri della nostra cultura occidentale. Barresi definisce come omicidio rituale un "omicidio attuato da un soggetto che uccide una o più persone, dette vittime sacrificali, per offrirle in sacrificio ad un'entità soprannaturale in cambio di vantaggi spirituali o profitti terreni". (26)
Presso diverse etnie del continente africano persiste l'abitudine dell'assassinio rituale, in cui vengono commessi degli omicidi semplicemente per "ingraziarsi gli spiriti". Quel che è certo è che, in Africa, la stregoneria è ancora molto diffusa ed è associata a pratiche di antropofagia, dato che il consumo di carne umana presenta delle implicazioni di ordine magico. Particolarmente pericolosi sono i riti caraibici che subiscono deformazioni venendo a contatto con le sette sataniche e che creano una nuova forma di culto più violento e sanguinario, in cui trova spazio l'omicidio rituale seriale. Queste forme di satanismo ibrido sono diffuse soprattutto negli Stati Uniti, nei ghetti di città come Miami o New Orleans, nutrite di migliaia di immigrati provenienti dai paesi centroamericani e dalle isole, rappresentanti delle classi più povere e arretrate dei rispettivi paesi.
Altra figura atipica di omicidio seriale è quella legata al satanismo contemporaneo. Nella maggior parte dei casi in cui un serial killer spiega i propri delitti con il satanismo, si tratta di una semplice giustificazione, dato che è molto probabile che ci si trovi di fronte un caso di pseudosatanismo: il soggetto è una sorta di satanista autodidatta, ma non fa parte di nessun gruppo organizzato. In molti casi, sono soggetti con problemi psichici, più precisamente sono affetti da "ebefrenia sistematica", una forma clinica della schizofrenia paranoide che, nei soggetti adulti, può provocare deliri di tipo persecutorio o di tipo allucinatorio tardivo, che si concretano in allucinazioni auditive che possono sfociare in condotte devianti. Holmes chiama un soggetto di questo tipo "serial killer allucinato" (27), cioè uno psicotico che soffre di un grave distacco dalla realtà che può spingerlo a credere di essere costretto ad agire in un certo modo da entità demoniache. Questi soggetti, che facciano parte o meno di una setta, seguono comunque un loro rituale del quale fanno parte diverse perversioni sessuali:
antropofagia e necrofagia
necrofilia
necromania
necrosadismo
vampirismo.
L'omicidio rituale è di fondamentale importanza nelle credenze sataniste, dato che l'atto diventa propiziatorio per ingraziarsi la divinità infernale allo scopo di ricevere determinati vantaggi. Chiaramente, i profitti non si manifestano dopo il sacrificio e il soggetto è costretto a ripetere l'omicidio ingraziante con modalità seriale, nella convinzione che gli omicidi precedenti non siano sufficienti a soddisfare l'entità maligna.
5. La donna serial killer
È raro trovare degli studi sull'omicidio commesso da donne e sono ancora più rare le ricerche sull'omicidio seriale commesso da queste.
Come abbiamo visto, alcuni autori che si sono occupati di quest'argomento (Ressler, Burgess, Douglas e Holmes, De Burger), sono propensi, erroneamente, a credere che non esistano donne serial killer, soprattutto se si considera assassino seriale soltanto chi uccide con un movente sessuale, manifestando una o più perversioni (caratteristica, questa, tipica degli individui di sesso maschile). In particolar modo il movimento femminista, soprattutto la sua frangia più radicale, nega qualsiasi possibilità che ci possano essere serial killer donne. L'argomento principale a sostegno di questa teoria è che gli assassini seriali sono il prodotto della società patriarcale. Cameron e Frazer sostengono che "solo gli uomini sono dei cacciatori compulsivi guidati dal bisogno di uccidere". (28) La "criminologia femminista" tende ad analizzare solamente i casi in cui gli uomini uccidono sadicamente le donne, mentre alcuni autori parlano addirittura di "terrorismo sessuale". Questa corrente va ad aggiungersi a tutti gli studiosi di sesso maschile che tendono a sottostimare l'entità dell'omicidio seriale femminile. In molti casi, infatti, se la donna non uccide con un elemento di sadismo, non viene considerata serial killer. Segrave ritiene, infatti, che sia più giusto parlare di "assassine multiple", perché negli omicidi commessi da donne non è presente la componente sadica tipicamente maschile. (29)
Anche gli autori che ammettono la presenza femminile in questo tipo di omicidio, la considerano una percentuale minima: a seconda degli autori, vengono stimate dal 5% al 15% (quota che riteniamo più attendibile) di donne assassine seriali rispetto al numero complessivo di serial killer.
Relativamente a questo argomento è necessario effettuare una premessa. È un dato di fatto che la sessualità riguarda indifferentemente uomini e donne e coinvolge questioni anche apparentemente al di fuori della sfera sessuale. Come ricordano molti autori, è stato Freud ad insegnarci che la storia sessuale di un uomo ci offre le chiavi per aprire le porte della sua vita, poiché è nel suo modo di vivere la sessualità che sono impresse le tracce del suo modo di essere nel mondo. La dimensione della corporeità, cambia a seconda del fatto di essere uomini o donne; sappiamo che gli uomini presentano, rispetto alle donne, la maggior parte delle devianze sessuali, almeno nelle forme più estreme e questo può essere attribuibile ad una presunta maggiore vulnerabilità dell'uomo riguardo alla propria identità di genere, così come ad un minor controllo delle pulsioni sessuali.
Il connubio tra comportamento omicidiario e pulsioni sessuali perverse differisce a seconda del genere: la psicoanalisi e la biologia ci insegnano come diverse siano le istanze del desiderio tra uomini e donne. Del resto, il comportamento delle donne serial killer sembra avere connotazioni differenti ed essere fenomeno meno dipendente da problematiche riguardanti la sfera sessuale.
Di solito, il grado di aggressività sadica è inferiore nelle assassine, forse a causa dell'acculturazione delle donne, che scoraggia le manifestazioni violente, e della relativa assenza dell'ormone maschile legato all'aggressività, il testosterone. Di fatto, l'esperienza ci porta ad affermare che le donne sono più inclini ad interiorizzare i fattori scatenanti lo stress. Invece di prendersela con gli altri, tendono a punirsi mediante l'alcolismo, l'assunzione di droghe, la prostituzione, il suicidio. Del resto, tra i serial killer, quelli sessuali formano una sottocategoria specifica. Non tutti gli assassini seriali sono, perciò, serial killer sessuali. Alcuni uccidono per ragioni diverse dal sesso: per denaro, gelosia, vendetta, potere o dominio. È proprio in questa cerchia di motivazioni che può essere ricondotta la causa scatenante del comportamento omicidiario seriale femminile. Per cui, possiamo asserire che la maggior parte delle donne sia estranea all'esperienza di fantasie omicide sessualmente sadiche, mentre agisce per motivazioni economiche o di potere.
Relativamente alle modalità d'azione, raramente le donne serial killer fanno a pezzi i cadaveri; di solito optano per l'uccisione mediante sostanze venefiche e strangolamento, per ragioni di forza fisica ma non soltanto. Sono astute, adescano con grande abilità e seduzione, ma poi diventano glaciali e spietate. La donna serial killer tende, inoltre, a crearsi un alibi inattaccabile e nega fino all'ultimo i suoi delitti. L'occupazione prevalente delle assassine seriali sembra essere quella di casalinga, seguita da professioni quali l'infermiera, la domestica, la cameriera.
Come detto, la percentuale di assassine seriali è relativamente bassa, ma è destinata ad aumentare, proprio perché le donne svolgono oggi attività più mobili e saltuarie. Inoltre, dato che il loro potere è aumentato sia sul lavoro sia nella vita privata, avremo un numero sempre maggiore di assassine seriali che cedono ad una motivazione di controllo del potere, anche se con caratteri meno violenti rispetto all'uomo.
5.1. Differenze tra omicidio seriale maschile e femminile
Le assassine seriali, spesso, riescono a portare avanti per anni e anni la catena di omicidi e, dal punto di vista investigativo, sono ancora più difficili da scoprire e catturare dei loro corrispettivi maschili. Il tempo medio di durata di un omicidio seriale commesso da una donna è di otto anni, il doppio di quello maschile. La scelta delle armi, l'accurata selezione delle vittime e una pianificazione metodica dei delitti volta a simulare una morte naturale, sono tutti elementi che, combinati con una forte resistenza culturale e sociale che nega l'esistenza dell'omicidio seriale femminile, sono alla base di questa loro maggiore longevità.
Per quanto riguarda l'arma usata, sono rarissime le ipotesi nel quale vengono usate metodiche quali percosse o uso di armi bianche, in poche parole metodiche che implicano contatto fisico con la vittima. L'arma preferita dalle donne è il veleno, perché è un'arma discreta, silenziosa e che, se usata bene, non lascia tracce e permette di far considerare la morte della vittima come un decesso da intossicazione. Ci sono poi armi specifiche per ogni contesto in cui avvengono gli omicidi; ad esempio, in ospedale, è logico che venga praticata l'iniezione di sostanze letali, dato che quella di fare le iniezioni è un'attività di routine ospedaliera destinata a passare inosservata.
Mentre gli uomini scelgono generalmente delle vittime con le quali non c'è nessun tipo di relazione, le donne selezionano soprattutto vittime con le quali hanno qualche tipo di rapporto. Proprio per questo motivo, le assassine seriali raramente sono coinvolte in omicidi a sfondo sessuale, che, invece, rappresenta una motivazione fondamentale della controparte maschile. Oltre a ciò, i maschi sono più o meno distribuiti tra stanziali e mobili, le donne, invece, sono quasi esclusivamente stabili dal punto di vista geografico, cioè tendono ad uccidere sempre nello stesso luogo e forse questa differenza è dovuta al tradizionale accentramento delle attività femminili intorno alla casa e alla famiglia. Le donne che mostrano una maggiore mobilità sono quelle che uccidono in coppia o in gruppo, che decidono appunto di seguire il maschio nei suoi spostamenti. Le assassine seriali, di solito, non infieriscono sui cadaveri con manifestazioni di overkilling, mutilazioni, smembramenti o aggressioni sessuali. Alcune donne fanno eccezione e i loro omicidi possono raggiungere notevoli livelli di brutalità che li avvicinano a quelli maschili. In Italia, Leonarda Cianciulli tagliava a pezzi i corpi delle donne che aveva appena ucciso e, con alcune parti, fabbricava delle saponette e dei dolcetti da offrire agli ospiti. (30) In effetti, analizzando alcuni casi di omicidio seriale femminile tra i più recenti, si nota l'uso di modalità più violente, anche se l'arma preferita rimane il veleno.
Pur dovendo sempre fare i conti con i problemi connessi con il "numero oscuro", ci sembra corretto affermare che, in quei paesi in cui la figura femminile è ancora massicciamente sottomessa al dominio maschile (ad esempio nei paesi arabi), difficilmente ci possono essere casi di donne che uccidono serialmente.
Le donne che uccidono individualmente non torturano le vittime prima di ucciderle e non si gratificano sessualmente alle loro sofferenze. Le vittime scelte dalle assassine seriali hanno, generalmente, un qualche grado di relazione con loro: sono mariti, amanti, genitori, figli, parenti e conoscenti e vengono uccisi prevalentemente con modalità sedentarie, cioè nella stessa casa dell'assassina, in case di cura, ospedali e altri luoghi chiusi. Non si notano comportamenti predatori nei confronti delle vittime, ad eccezione delle donne che uccidono in coppia con un uomo. Le donne che uccidono in gruppo, di norma, ne fanno parte come membri passivi e sono sottomesse alla volontà di un leader maschile.
Esaminando la casistica internazionale, si nota come la maggioranza delle storie di vita delle assassine seriali presentino molti elementi in comune. Esattamente come gli uomini, la maggior parte delle donne serial killer sono cresciute in "famiglie multiproblematiche" e quasi tutte hanno subito una qualche forma di abuso durante l'infanzia. Un'altra caratteristica abbastanza comune è lo svilupparsi di una sessualità precoce e molto intensa, accompagnata ad una personalità aggressiva, violenta e bisognosa di dominare gli altri.
Numericamente non sono molte, però le assassine seriali sono altrettanto pericolose degli uomini, perché hanno una capacità di manipolazione di gran lunga superiore. Non è un caso che, mediamente, la donna continui ad uccidere per un tempo più lungo rispetto all'uomo, e ciò è dovuto al fatto che, spesso, uccide le sue vittime mediante un avvelenamento progressivo che fa classificare le morti come naturali.
5.2. Classificazione dell'omicidio seriale femminile
La classificazione di Kelleher è senza dubbio la più completa nel descrivere l'omicidio seriale femminile: l'autore in questione ha analizzato cinquanta assassine seriali e ha riscontrato che le tipologie più frequenti sono la "vedova nera" e l'assassina in gruppo. Le categorie in base alle quali Kelleher ha suddiviso la donna serial killer sono le seguenti: (31)
la vedova nera: si tratta di una donna che uccide sistematicamente i mariti, gli amanti o altri membri della famiglia. Può uccidere anche vittime al di fuori dell'ambito familiare. È la più attenta e metodica delle assassine e i motivi degli omicidi possono essere diversi, ma, spesso, c'è un interesse economico. La "vedova nera" tipica inizia ad uccidere in età matura, è molto intelligente, manipolativa, estremamente organizzata e paziente. Gli omicidi sono, di solito, perpetrati in un periodo di tempo molto lungo ed è difficile che venga sospettata;
l'angelo della morte: è una donna che uccide sistematicamente le persone che sono affidate alle sue cure o delle quali, comunque, si deve occupare per qualche motivo. Le motivazione di questi omicidi sono diverse, ma la spinta principale sembra essere il suo Io onnipotente e il suo bisogno di dominio. È ossessionata dal bisogno di controllare le vite delle persone di cui si occupa.
"L'angelo della morte" uccide sovente negli ospedali e nelle case di cura, attaccando i pazienti di cui si occupa, i deboli e gli indifesi. Purtroppo, ci si accorge dell'esistenza di una serie omicidiaria di questo tipo solo dopo moltissimi omicidi, anche perché le amministrazioni ospedaliere non pensano che ci possa essere un serial killer all'interno delle loro strutture. Se l'assassina si sposta da un ospedale all'altro, diventa quasi impossibile identificare lo schema omicida o focalizzare l'attenzione su un determinato sospetto, dato che, di solito, si tratta di una persona stimata dai superiori, dai colleghi e dalle potenziali vittime;
la predatrice sessuale: è il tipo più raro di assassina seriale, agisce da sola e sceglie le proprie vittime in base al sesso. Il movente principale di questi delitti è quindi di natura sessuale. Probabilmente, col passare degli anni, questa tipologia di assassine seriali è destinata ad aumentare e ci sarà un progressivo avvicinamento delle modalità femminili a quelle maschili, fenomeno che, in qualche misura, è già avviato;
la vendicatrice: uccide sistematicamente le vittime per motivi di gelosia o di vendetta. Di solito uccide i membri della sua stessa famiglia ed è motivata da un incontenibile senso di rifiuto e di abbandono.
L'omicidio seriale per vendetta è piuttosto raro nelle donne, ma anche in generale, perché, la condotta vendicativa, solitamente, viene esercitata senza misura e in un unico episodio. Per fare in modo che la vendetta sia il motore di una serie omicidiaria, l'intensità emozionale della compulsione dev'essere preservata attraverso i vari periodi di intervallo emotivo tra un omicidio e l'altro.
La condizione psicologica dell'assassino seriale deve essere, quindi, di tipo profondamente patologico e, almeno in qualche misura, gestibile, per evitare che interferisca con la pianificazione degli omicidi;
l'assassina per profitto: uccide sistematicamente le vittime durante la commissione di altre attività criminali oppure per un guadagno economico, agisce da sola e non è assimilabile alla "vedova nera".
Le due caratteristiche che la differenziano da questa sono:
deve chiaramente uccidere per un guadagno economico
deve concentrare l'energia distruttiva su vittime estranee alla sua famiglia.
È un'omicida molto organizzata, piena di risorse e difficile da catturare;
l'assassina in gruppo: uccide con altre donne o con uomini e i suoi omicidi, in genere, sono i più brutali e di natura sessuale, anche se i motivi possono essere diversi ed è anche possibile che la donna non uccida personalmente, ma abbia un ruolo accessorio che, però, non diminuisce la sua responsabilità;
l'assassina psicotica: soffre di una psicosi ed uccide in risposta ad un delirio interiore accompagnato da allucinazioni. Gli omicidi sono commessi in modo casuale, senza movente chiaro ed in presenza di effettivi disturbi psicologici nell'assassina.
5.3. La donna che uccide in coppia con un uomo
Roy Hazelwood, agente speciale dell'F.B.I., ha intervistato quindici donne che sono state in relazione con dei sadici sessuali coinvolti in stupri e omicidi seriali. (32) Tutte quante provenivano dalla borghesia media e medio-alta, avevano un'intelligenza media e svolgevano un lavoro rispettabile. Dopo essersi lasciate trascinare nella "follia a due", tutte hanno preso a bere o drogarsi e, una volta arrestate, sono andate in trattamento psichiatrico.
I dati di Hazelwood mostrano quanto possa essere pervasiva in tutti gli strati della personalità di un certo tipo di donna l'influenza di un sadico dotato di una personalità "dominante". Si tratta, in genere, di donne che hanno un'autostima molto bassa e una mancanza di sicurezza che le rende fragili e vulnerabili. Proprio per questo motivo vengono attratte da una figura maschile carismatica, che mostra una sicurezza di sé che sfocia nella sfrontatezza.
Hazelwood nota che tutte le donne da lui intervistate hanno subito abusi sessuali, emozionali e fisici estremamente gravi e tutte sono passate attraverso lo stesso processo di trasformazione che le ha fatte diventare delle appendici compiacenti del loro compagno sadico sessuale. Non tutte le donne che uccidono in coppia sono, però, così passive e plagiabili dal loro compagno. Alcune, dopo un po' di tempo, provano un reale piacere nell'uccidere, come accadde a Carol Bundy, la quale, dopo esser stata trascinata dal compagno nelle sue ossessioni sadiche ebbe a dichiarare: "è divertente uccidere le persone, penso che se mi dovessero liberare, probabilmente lo farei di nuovo".
Nelle coppie uomo/donna, si è verificato solo un caso in cui la donna era la personalità dominante, quello di Martha Beck e Raymond Fernandez, verificatosi in California a metà degli anni '80, in cui l'uomo subì la forte personalità della donna che lo indusse a compiere insieme a lei i propri omicidi.
5.4. "Complesso di Medea" e "sindrome di Munchausen per procura"
Il "complesso di Medea" e la "sindrome di Munchausen per procura" sono comportamenti accomunati dal fatto che entrambi riguardano l'infanticidio e il figlicidio, o comunque reati di aggressione violenta contro minori, compiuti quasi esclusivamente da donne. Entrambi i comportamenti, se ripetuti nel tempo, possono dar luogo a casi di omicidio seriale. Il primo prende il nome dal mito greco di Medea che uccise i suoi due figli per vendicarsi del tradimento subito dal coniuge. Alcune donne, poste in una situazione di stress emotivo con il compagno, utilizzano i figli per scaricare la loro aggressività, arrivando addirittura ad ucciderli, allo scopo di far del male all'altro coniuge. La madre, in crisi psicotica, soffre di un delirio di onnipotenza materna e si autonomina giudice di vita e di morte, uccidendo il figlio per non farlo soffrire; in questo modo, si rimpossessa completamente dei figli, estromettendo il padre. Il secondo comportamento patologico deriva il suo nome dal barone di Munchausen, un personaggio letterario che intratteneva i suoi ospiti raccontando avventure impossibili. Il primo studioso ad usare questa espressione fu il dottor Asher, nel 1951, utilizzandola per descrivere le persone che si rivolgono insistentemente e inutilmente a medici, lamentando continuamente dei disturbi che, in realtà, sono inesistenti, fino al punto di riportare conseguenze dannose a causa dei ripetuti accertamenti o addirittura dei numerosi interventi chirurgici.
Nel 1977, il pediatra Roy Meadows è il primo ad utilizzare il termine "sindrome di Munchausen per procura", descrivendo la situazione nella quale uno o entrambi i genitori inventano sintomi nei propri figli o addirittura procurano loro disturbi e poi li sottopongono ad una serie di esami ed interventi che raggiungono il risultato di danneggiarli. Meadows analizzò personalmente diversi casi e, in ogni circostanza, era la madre a provocare i sintomi e la metà di loro possedeva capacità infermieristiche apprese in qualche corso. Gran parte delle madri aveva, in precedenza, sofferto a sua volta della "sindrome". Meadows verificò anche che, in tutti i casi, il padre era l'elemento passivo della coppia e, spesso, era presente una notevole discrepanza, sia a livello intellettuale che sociale tra i coniugi, con la donna di livello più elevato.
6. Vittimologia dell'omicidio seriale
Gli studi classici di criminologia in tema di omicidio hanno incentrato la loro attenzione soprattutto sulla personalità e sulle caratteristiche dell'autore di questo reato, mentre solo piuttosto recentemente è emersa la necessità di prendere in esame anche le caratteristiche della vittima.
Spesso gli assassini seriali scelgono un tipo particolare di vittima, che diventa l'obiettivo costante dei loro attacchi; mentre, in altri casi, non ci sono significati simbolici particolari associati alla scelta delle vittime e lo scopo principale dell'assassino è indirizzato verso l'atto di uccidere in sé. A seconda del tipo di vittima, l'omicidio seriale assume caratteristiche ben precise. Vediamole nel dettaglio:
omicidio seriale di uomini. Non è questo un tipo di omicidio seriale molto frequente, dato che questa vittima può causare molti problemi all'assassino, in quanto è capace di opporre una notevole resistenza fisica. È la preda elettiva nell'omicidio seriale motivato da erotomania, data la particolarità di questo tipo di omicidio seriale (solo donne serial killer), e degli assassini seriali omosessuali. Questi ultimi scelgono come vittime altri omosessuali. Spesso gli assassini seriali omosessuali mostrano segni evidenti di necrofilia, piuttosto che di sadismo; il cadavere della vittima di turno viene conservato anche per diversi giorni dall'assassino che può indulgere in pratiche sessuali indirette o complete.
I serial killer omosessuali egodistonici esprimono negli omicidi la rabbia che li pervade perché non accettano la loro condizione. In questo caso abbiamo due quadri diversi:
l'assassino, messo a confronto in maniera improvvisa con un lato della sua personalità che non accetta, si ribella e uccide chi ha turbato la sua pace fittizia; successivamente, si presentano altre occasioni in cui il conflitto si ripropone e il soggetto mette in atto la modalità di reazione già impiegata nel primo caso; in questo modo, si instaura il circolo vizioso dell'omicidio seriale;
l'assassino, non accettando la sua omosessualità di fondo, improvvisamente si sente investito da una "missione", quella di "ripulire" il mondo da tutti gli omosessuali; in questo modo il soggetto uccide ripetutamente, anche se in maniera simbolica, la parte di sé che non accetta.
Il 14% degli assassini seriali che agisce in coppia è formato da coppie omosessuali di sesso maschile. In questo caso, uno dei due membri della coppia (il recessivo) ha il compito di adescare la vittima e di portarla nel luogo in cui l'altro membro (il dominante) potrà uccidere a suo piacimento; (33)
omicidio seriale di donne. Le donne sono le vittime più frequenti degli omicidio seriali. Preferibilmente, l'assassino seriale sceglie o ragazze molto giovani o donne piuttosto anziane, per avere un vantaggio fisico che gli permetta di sopraffare la vittima. Negli omicidi seriali per il controllo del potere e in quelli sessuali è la vittima per eccellenza, mentre l'assassino è sempre di sesso maschile. Il serial killer gioca sul fattore sorpresa per catturare la sua vittima e spesso usa tecniche seduttive e manipolative per conquistarne la fiducia. Abbiamo due quadri fondamentali:
l'assassino seriale è sessualmente inadeguato e questa situazione si trasforma in frustrazione che, ad un certo punto diventa insopportabile: attraverso la cattura e l'uccisione della vittima, il soggetto riafferma la propria virilità; la donna è l'oggetto amato e temuto allo stesso tempo, perché è capace di annullare completamente l'autostima del soggetto, mettendo a nudo i suoi problemi. La figura femminile, quindi, va distrutta, perché con la sua scomparsa l'omicida recupera la stima di se stesso; la soddisfazione conseguita dall'omicidio però è di breve durata, per cui il serial killer deve ripetere l'azione omicidiaria all'infinito;
l'assassino è ipersessuato, ha una sessualità prepotente che lo spinge ad aver più rapporti al giorno. In questo caso, l'omicidio seriale rappresenta l'ultima tappa di una carriera criminale caratterizzata da molestie sessuali, aggressione e stupro seriale. L'uccisione rappresenta il completamento della violenza sessuale e anche un mezzo per eliminare un testimone di reato.
Fra le donne, ci sono alcune categorie caratterizzate da una maggior "predisposizione vittimogena", perché per l'assassino seriale simboleggiano l'universo femminile che lui vuole distruggere.
Molti assassini seriali non ce l'hanno con un tipo di donna in particolare, ma con la donna in generale. Qualsiasi età essa abbia, è una figura capace di suscitare sentimenti negativi che l'assassino non e i grado di sopportare. In questo caso, le vittime sono scelte in base alla loro appartenenza al genere femminile.
Un esempio di assassino seriale di questo tipo è quello del russo Serghei Kashinzev era un vagabondo, rimasto storpio a causa di una poliomielite infantile, che non era mai riuscito ad avere rapporti normali con le donne; fino a quando non venne arrestato, uccise un numero imprecisato di donne: alla polizia affermò che odiava tutte le donne con ferocia ossessiva e che il suo desiderio era di sterminarne quante più gli era possibile.
Marco Bergamo, secondo Ponti, Fornari e Bruno, era giunto alla perversione estrema: uccidere per godimento. Dopo il primo assassinio ha scoperto che uccidendo appagava il suo piacere e nello stesso tempo distruggeva l'oggetto temuto ed odiato: la donna. Per Bergamo uccidere rappresentava l'estrema perversione sadica, la modalità più forte per possedere una donna.
La prostituta è la vittima per eccellenza dell'assassino seriale e, dal punto di vista logistico, la più facile da avvicinare. Gli elementi principali che fanno della prostituta la vittima ideale del serial killer sono i seguenti:
la prostituta è abituata ad essere avvicinata da uomini sconosciuti, senza diventare diffidente;
è disposta a seguire il cliente di turno in un posto isolato per consumare il rapporto;
quando una prostituta sparisce o viene ritrovato il suo cadavere, spesso si pensa che sia stata uccisa dal protettore o comunque da qualcuno collegato all'ambiente della prostituzione;
a meno che l'assassino seriale non sia un cliente abituale, non è possibile collegarlo alla morte della prostituta, se non è lui stesso a confessare;
rappresenta il simbolo massimo del peccato e questo può far scattare dei meccanismi psicologici violenti al potenziale assassino seriale.
Accanto a questi motivi di opportunità, ce ne sono altri di carattere psicologico che fanno della prostituta la vittima ideale dell'assassino seriale.
Il serial killer che prende di mira questo tipo di vittime, di solito, è un soggetto disturbato nella sfera sessuale. Questo disturbo, piuttosto che ad un problema biologico, è dovuto all'incapacità del soggetto ad avere una relazione affettiva duratura con una donna. Petiziol sostiene che il compenso, in cambio di una prestazione sessuale, esclude ogni sforzo personale di conquista, dato che non sono necessarie manovre particolari di seduzione e non c'è bisogno di stabilire una relazione duratura. (34)
Spesso, questi assassini seriali sono frequentatori abituali di prostitute: con alcune riescono ad avere un rapporto sessuale normale, mentre, in altre circostanze, l'incontro finisce in omicidio. Gli assassini seriali, infatti, sono individui che hanno un senso di autostima molto basso e con le donne si sentono dei perdenti. La prostituta permette loro di affermare la propria superiorità. Ma se anche con loro il rapporto non si consuma, scatta la violenza omicida.
La donna anziana. Questa tipologia di vittima si trova abbastanza frequentemente negli omicidi seriali. In questa categoria vanno incluse anche le donne di mezza età, sopprimendo le quali è probabile che l'assassino uccida ripetutamente e simbolicamente la madre con la quale ha avuto un rapporto traumatico durante l'infanzia; si tratta, generalmente, di soggetti che hanno avuto una madre dominante ed oppressiva e, in questo caso, l'assassino non solo non è riuscito a risolvere il suo complesso di Edipo, ma è anche rimasto indissolubilmente legato alla figura materna, per cui ha bisogno di richiamarla nel momentaneo rapporto stabilito con la vittima; i ruoli, però, sono invertiti e il figlio, questa volta, può prendere il sopravvento e la sua rivincita.
Se le vittime sono anziane o molto vecchie è probabile che l'assassino, come nel caso dell'uccisione di bambini, sia semplicemente alla ricerca di un soggetto sessuale poco impegnativo; si tratta di soggetti altamente insicuri delle proprie capacità sessuali, per i quali la donna dell'età giusta è un obiettivo che impaurisce e suscita angoscia.
La studentessa. Questa è una tipologia di vittima specifica soltanto degli Stati Uniti. La struttura universitaria americana prevede una visibilità massima degli studenti, che diventano un obiettivo piuttosto facile da avvicinare non solo per un interno, ma anche per soggetti estranei al mondo universitario. La vulnerabilità di questo tipo di vittima è data dal fatto che gli studenti, nei campus universitari, vivono da soli o con altri compagni e non c'è la sorveglianza dei genitori.
Gli assassini seriali che prendono di mira questo obiettivo sono fondamentalmente più sicuri di sé rispetto a quelli che attaccano le prostitute. L'assassino si sente molto intelligente ed è convinto di poter competere con successo con l'intelligenza della vittima; comunque sia, l'assassino si cautela scegliendo ragazze molto giovani, con una predominanza caratteriale dell'emotività sulla razionalità. La "fase di cattura" è sempre molto elaborata e il serial killer fa ricorso a stratagemmi per avvicinarsi alla vittima e coglierla di sorpresa; ad esempio, Ted Bundy, un assassino seriale americano che agiva in California negli anni '80, andava in giro con un braccio fasciato e legato al collo per dare un'impressione di vulnerabilità alle sue vittime.
Il fatto di "andare a caccia" di una vittima appartenente ad una classe sociale più elevata dalla sua, eccita enormemente l'assassino seriale e, più lunga è la serie, più aumenta il suo senso di onnipotenza;
omicidio seriale di bambini. Questo tipo di omicidio seriale si divide in due importanti categorie: l'omicidio seriale motivato da pedofilia e l'infanticidio seriale.
I bambini sono delle vittime ideali in quanto non hanno la capacità di controllare l'ambiente che li circonda e sono facilmente influenzabili e manipolabili da un adulto. Il serial killer che vuole adescare un bambino si presenta con un aspetto rassicurante e a volte può farsi vedere vestito da poliziotto o da prete o comunque sfruttare una delle tante figure per le quali viene insegnato ad avere rispetto.
Per quanto riguarda l'omicidio seriale motivato da pedofilia, l'assassino è sempre un soggetto che rimane fissato ad una sessualità immatura. Il bambino è, infatti, un partner meno impegnativo dell'adulto, perché può opporre una resistenza molto modesta. Spesso l'omicidio è preceduto da molestie sessuali o da veri e propri atti di violenza, mentre l'uccisione può avere la funzione di eliminare un possibile testimone. In alcuni paesi, sono le stesse condizioni ambientali ed economiche a favorire la scelta dei bambini come vittime da parte degli assassini. In Russia il mercato per pedofili e trafficanti di minori è particolarmente florido, perché, dopo il crollo delle strutture sovietiche, migliaia di fanciulli abbandonati o fuggiti da orfanotrofi vagabondano nelle strade delle grandi città e possono essere facilmente adescati.
Per infanticidio seriale, invece, si intende l'uccisione di bambini con i quali l'assassino non ha un legame di sangue diretto. In questa tipologia rientrano tutti i casi di infermiera e baby-sitter che uccidono bambini e neonati a loro affidati. Si parla, invece, di figlicidio seriale quando sono i genitori stessi (prevalentemente la madre) a uccidere in serie i propri figli.
L'infanticidio seriale avviene soprattutto negli ospedali, rientra nella categoria dell'omicidio seriale per il controllo del potere e vede coinvolto personale sanitario affetto da "sindrome di Munchausen per procura". Il figlicidio seriale può, invece, essere provocato da una psicosi puerperale. Sandford e Hines (35) la descrivono come una condizione che, normalmente, dura solo poche settimane dopo il parto; per alcune madri il disturbo è più grave e può durare più a lungo, facendo entrare in uno stato depressivo o provocando un grave disturbo d'ansia. A questo punto le fantasie di uccidere i propri figli possono insinuarsi nella mente della donna;
omicidio seriale di massa. È un tipo particolare di omicidio seriale che ha molte caratteristiche in comune con il mass murder. In questo caso, il soggetto non sceglie sempre una vittima o una coppia, ma può uccidere diverse persone nella stessa azione omicidiaria. Viene classificato come omicidio seriale, perché, l'elemento centrale è dato dalla ripetitività dell'azione omicidiaria; l'assassino seriale uccide più persone contemporaneamente perché, così facendo, si sente ancora più onnipotente e ciò gli procura una soddisfazione maggiore.
L'omicidio seriale di massa si differenzia dall'omicidio di massa "classico", in quanto quest'ultimo è una sorta di "suicidio allargato": l'assassino, con l'azione omicidiaria singola, porta a termine la sua missione di rivendicazione verso la società e non ha più nulla da dire, tant'è che, generalmente, si suicida o si lascia catturare dalla polizia. L'assassino seriale di massa, non vuole farsi catturare né farsi uccidere, per cui pianifica con cura le vie di fuga; l'uccisione di più persone simultaneamente gli porta, infatti, una soddisfazione più intensa.
Generalmente, in questi casi, non c'è un contatto fisico tra assassino e vittima; quello che importa all'autore del reato è di aver il controllo assoluto della scena, per cui vengono usate armi da fuoco, che garantiscono il massimo risultato distruttivo nel minor tempo possibile. All'interno di quest'ottica, un caso particolarmente esemplificativo è quello degli omicidi compiuti dalla setta guidata da Charles Manson, "La Famiglia": il 9 agosto 1969, Manson ed i suoi seguaci (che avevano già compiuto almeno sette omicidi con modalità seriale) decidono di mandare un messaggio dirompente alla buona società americana, e compiendo una strage nella villa dell'attrice Sharon Tate (uccidono cinque persone), fanno capire che la loro mano può arrivare ovunque;
omicidio seriale di coppie. In alcuni casi, l'assassino seriale prende di mira come vittima d'elezione non un individuo singolo, ma una coppia, formata da un uomo e una donna, generalmente in macchina e in atteggiamento di intimità fisica. Lo scopo dell'assassino è quello di punire la coppia, di cancellare la relazione uomo-donna che, per lui, è impossibile da sopportare. Si tratta di soggetti con gravissimi problemi relazionali, che non riescono ad aver alcun tipo di rapporto con la donna (si tratta sempre di assassini seriali di sesso maschile) e che vivono completamente isolati in un loro mondo fantastico. L'uccisione delle coppie è una sorta di vendetta dettata dall'invidia e dalla rabbia verso un piacere che gli è precluso.
Nonostante il fatto che la rabbia dell'assassino sia centrata sulla coppia, generalmente, si nota una maggiore aggressività nei confronti della figura femminile. Per conservare in ogni modo il controllo della situazione, l'assassino, di solito, utilizza subito un'arma da fuoco per uccidere le vittime, cominciando dal maschio, cioè l'elemento potenzialmente più pericoloso, per passare poi alla femmina, sulla quale il soggetto si accanisce con un arma bianca, infliggendo pugnalate ripetute e mutilazioni di vario tipo.
Il caso più famoso è quello del "mostro di Firenze", un assassino seriale che per più di vent'anni ha ucciso coppiette appartate in macchina nella campagna fiorentina; le armi utilizzate sono una Beretta calibro 22 e un'arma da taglio con la quale l'assassino infieriva soprattutto sulla vittima di sesso femminile, praticando mutilazioni di varia entità;
omicidio seriale a vittimologia mista. Alcuni assassini seriali hanno un bisogno di uccidere che va al di là del tipo di vittima scelto. Questi serial killer possono uccidere indifferentemente vittime di sesso e di età diverse, in quanto la centralità del loro impulso è l'omicidio in sé per sé. Il piacere di uccidere è più forte di qualsiasi altra considerazione e la vittima non è investita di un particolare simbolismo psicologico.
Un caso emblematico è quello di James Edward Woods; egli non ha un tipo di vittima preferita, né una particolare preferenza sessuale. Nella sua ventennale attività omicidiaria ha molestato, aggredito stuprato, mutilato e ucciso vittime a caso e, una volta arrestato, ha candidamente dichiarato: "Sono un mostro. Ci sono i demoni dentro di me".
Note
1. G. Ponti e U. Fornari, Il fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano, pp. 5-14.
2. Questo caso permise a Lombroso di elaborare la teoria sull'atavismo, ma egli non scrisse una parola su Verzeni. Ne parla, invece la figlia Gina nella biografia che dedicò al padre.
3. R. von Krafft-Ebing, Psychopatia sexualis, Homerus, Bologna 1971.
4. R. Holmes, J. De Burger, Serial Murder, Sage, Newbury Park 1988.
5. J. Douglas, et. al., Crime Classification Manual, Lexington Books, New York 1992.
6. J. Douglas et al., op. cit.
7. M. Newton, Serial Slaughter, Loompanics, Washington 1992.
8. R. De Luca, Anatomia del Serial Killer 2000, Giuffrè, Milano 2001.
9. D. Lunde, Murder and Madness, San Francisco Book Company, San Francisco 1975.
10. E.W. Hickey, Serial Murder: An Elusive Phenomenon, Praeger, New York 1990.
11. R., Ressler, A. Burgess, J. Douglas, Sexual Homicide Patterns and Motives, Simon & Schuster, Londra 1988.
12. R. Holmes, J. De Burger, Serial Murder, Sage, Newbury Park 1988.
13. C. Wilson, D. Seaman, The Serial Killers: A Study in the Psychology of Violence, True Crime, Londra 1990.
14. R. Simon, I Buoni lo sognano, i Cattivi lo fanno, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996.
15. R. Holmes, J. De Burger, op. cit.
16. De Luca, op. cit., pp. 65-75.
17. Ibidem.
18. Ivi.
19. R. Ressler, et al., Crime Classification Manual, Lexington Books, New York 1992.
20. C. Wilson, D. Seaman, op. cit.
21. C. Lavorino, Analisi investigativa sull'omicidio seriale, Detective and Crime, Roma 2000.
22. C. Lavorino, I Serial Killer: il movente, la vittima e l'azione omicidiaria, in Detective & Crime, 1993 n.1-2, pp. 48-51.
23. J. Norris, Serial Killers, Anchor Books, New York 1988.
24. Ibidem.
25. R. De Luca, op. cit., p. 192.
26. F. Barresi, Demonomanie ed omicidi rituali seriali nel satanismo contemporaneo, Convegno "Gli dei morti sono diventati malattie", Roma 4-5 Marzo 2000.
27. R.M. Holmes, Serial Murder, Sage, Newbury Park 1998.
28. J. Cluff, et. al., Feminist Perspective on Serial Murder, in Homicide Studies, 1,3, 1997.
29. J. Cluff, et. al. op. cit., p. 295.
30. E. Catania, Morire d'orrore. Cent'anni di Serial Killer raccontati come in un romanzo, Gli Specchi Marsilio, Venezia 1998, p. 225-242.
31. M.D. Kelleher, Murder Most Rare: The Female Serial Killer, Praeger, Westport 1998.
32. R. Hazelwood, The Lust Murderer, in F.B.I. Law Enforcement Bullettin, 49/4, pp. 18-22.
33. M. Newton, op. cit.
34. A. Petiziol, La Prostituta, Edizioni Nazionali, Roma 1963.
35. J. Sandford, S. Hines, Dying Dreams, Pocket Book, New York 1993.


http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap1.htm#h4


La classificazione di Kelleher è senza dubbio la più completa nel descrivere l'omicidio seriale femminile: l'autore in questione ha analizzato cinquanta assassine seriali e ha riscontrato che le tipologie più frequenti sono la "vedova nera" e l'assassina in gruppo. Le categorie in base alle quali Kelleher ha suddiviso la donna serial killer sono le seguenti: 1)la vedova nera: si tratta di una donna che uccide sistematicamente i mariti, gli amanti o altri membri della famiglia. Può uccidere anche vittime al di fuori dell'ambito familiare. È la più attenta e metodica delle assassine e i motivi degli omicidi possono essere diversi, ma, spesso, c'è un interesse economico. La "vedova nera" tipica inizia ad uccidere in età matura, è molto intelligente, manipolativa, estremamente organizzata e paziente. Gli omicidi sono, di solito, perpetrati in un periodo di tempo molto lungo ed è difficile che venga sospettata; l'angelo della morte: è una donna che uccide sistematicamente le persone che sono affidate alle sue cure o delle quali, comunque, si deve occupare per qualche motivo. Le motivazione di questi omicidi sono diverse, ma la spinta principale sembra essere il suo Io onnipotente e il suo bisogno di dominio. È ossessionata dal bisogno di controllare le vite delle persone di cui si occupa. 2)"L'angelo della morte" uccide sovente negli ospedali e nelle case di cura, attaccando i pazienti di cui si occupa, i deboli e gli indifesi. Purtroppo, ci si accorge dell'esistenza di una serie omicidiaria di questo tipo solo dopo moltissimi omicidi, anche perché le amministrazioni ospedaliere non pensano che ci possa essere un serial killer all'interno delle loro strutture. Se l'assassina si sposta da un ospedale all'altro, diventa quasi impossibile identificare lo schema omicida o focalizzare l'attenzione su un determinato sospetto, dato che, di solito, si tratta di una persona stimata dai superiori, dai colleghi e dalle potenziali vittime; 3)la predatrice sessuale: è il tipo più raro di assassina seriale, agisce da sola e sceglie le proprie vittime in base al sesso. Il movente principale di questi delitti è quindi di natura sessuale. Probabilmente, col passare degli anni, questa tipologia di assassine seriali è destinata ad aumentare e ci sarà un progressivo avvicinamento delle modalità femminili a quelle maschili, fenomeno che, in qualche misura, è già avviato; 4)la vendicatrice: uccide sistematicamente le vittime per motivi di gelosia o di vendetta. Di solito uccide i membri della sua stessa famiglia ed è motivata da un incontenibile senso di rifiuto e di abbandono. L'omicidio seriale per vendetta è piuttosto raro nelle donne, ma anche in generale, perché, la condotta vendicativa, solitamente, viene esercitata senza misura e in un unico episodio. Per fare in modo che la vendetta sia il motore di una serie omicidiaria, l'intensità emozionale della compulsione dev'essere preservata attraverso i vari periodi di intervallo emotivo tra un omicidio e l'altro. La condizione psicologica dell'assassino seriale deve essere, quindi, di tipo profondamente patologico e, almeno in qualche misura, gestibile, per evitare che interferisca con la pianificazione degli omicidi; 5)l'assassina per profitto: uccide sistematicamente le vittime durante la commissione di altre attività criminali oppure per un guadagno economico, agisce da sola e non è assimilabile alla "vedova nera". Le due caratteristiche che la differenziano da questa sono: deve chiaramente uccidere per un guadagno economico deve concentrare l'energia distruttiva su vittime estranee alla sua famiglia. È un'omicida molto organizzata, piena di risorse e difficile da catturare; 6)l'assassina in gruppo: uccide con altre donne o con uomini e i suoi omicidi, in genere, sono i più brutali e di natura sessuale, anche se i motivi possono essere diversi ed è anche possibile che la donna non uccida personalmente, ma abbia un ruolo accessorio che, però, non diminuisce la sua responsabilità; 7)l'assassina psicotica: soffre di una psicosi ed uccide in risposta ad un delirio interiore accompagnato da allucinazioni. Gli omicidi sono commessi in modo casuale, senza movente chiaro ed in presenza di effettivi disturbi psicologici nell'assassina.

http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/anche-la-donna-serial-killer/D4142872.html

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