Informativa Privacy e Privacy Policy

Informativa resa ai sensi dell'art. 13 del Codice che trovi alla pagina: http://www.shinystat.com/it/informativa_privacy_generale_free.html


Se desideri che ShinyStat™ non raccolga alcun dato statistico relativo alla tua navigazione, clicca sul pulsante OPT-OUT.

AVVERTENZA: l'OPT-OUT avviene installando un cookie (nome cookie ShinyStat di opt-out: OPTOUT) se cancelli i cookies, sarà necessario ripetere l'opt-out in quanto cancellarei anche il cookie di opt-out

http://www.shinystat.com/it/opt-out_free.html

ALTALEX NEWS


lunedì 28 marzo 2011

Stranieri irregolari:alle Sezioni unite la questione se sia ancora penalmente rilevante l’omessa esibizione dei documenti

Cass., Sez. I, camera di consiglio dell’11 novembre 2010, Pres. Silvestri, Rel. Vecchio, ric. P.m. in proc. Alacev Stranieri «irregolari»: alle Sezioni unite la questione se sia ancora penalmente rilevante l’omessa esibizione dei documenti [Guglielmo Leo]


Si è determinato un contrasto relativamente al reato di omessa esibizione dei documenti da parte dello straniero che ne sia richiesto da ufficiali od agenti di pubblica sicurezza. Nel testo antecedente alla recente riforma, il comma 3 dell’art. 6 del T.u. immigrazione stabiliva: «Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno è punito con l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a lire ottocentomila». Dopo la novella – attuata con la lettera h) del comma 22 dell’art. 1 della legge n. 94 del 2009 – la disposizione recita: «lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda fino ad euro 2.000».Con un primo arresto la Cassazione si era orientata nel senso che sarebbe ancora penalmente rilevante, anche per lo straniero in condizione di soggiorno irregolare, e sempre che non sussista un giustificato motivo, l’omessa esibizione dei documenti di identificazione o dei documenti di soggiorno (Cass., Sez. I, 23 settembre 2009, n. 44157, P.g. in proc. Calmus, in C.E.D. Cass., n. 245555).Si è avuta notizia però che la stessa I sezione della Suprema Corte, in esito alla camera di consiglio dell’11 novembre scorso (ric. P.m. in proc. Alacev), si è orientata nel senso opposto: a seguito della nuova formulazione letterale, la norma attualmente sanziona l’omessa esibizione sia di un documento idoneo ad accertare l’identità dello straniero sia di un documento idoneo a comprovarne la regolare presenza nel territorio dello Stato; ne conseguirebbe, poiché i documenti da esibire sono ormai indicati in forma cumulativa e non più alternativa, che soggetti attivi del reato potrebbero essere solo gli stranieri legittimamente presenti nel territorio nazionale, e non anche quelli entrati clandestinamente in Italia.Rilevato il contrasto, con propria ordinanza n. 2585 del 2010, la Corte ha rimesso la questione alle Sezioni unite. Copia dell’ordinanza in allegato . Download Documento

diritto di accesso del difensore agli atti per l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo (SS. UU. n. 36212 del 2010)

Cass., Sez. Un., 30.9.2010 (dep. 11.10.2010), n. 36212, ric. X, Pres. Lupo, Est. Macchia Sul diritto di accesso del difensore agli atti per l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo[Guglielmo Leo]

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, a proposito del diritto di accesso difensivo agli atti nel procedimento per la convalida dell’arresto o del fermo (artt. 390 e seguenti c.p.p.), hanno ritenuto di ribaltare l’orientamento largamente dominante nella giurisprudenza di legittimità, che escludeva un tale diritto nella fase antecedente all’udienza di convalida ed al provvedimento conclusivo del giudice. La soluzione veniva giustificata in ragione delle particolari esigenze di speditezza del procedimento, tali da giustificare modalità peculiari di esercizio del diritto di difesa. Si riteneva sufficiente, a tale ultimo proposito, l’informazione preliminare derivante dall’esposizione iniziale del pubblico ministero o dalla lettura delle sue richieste scritte. Il giudice inoltre, dovendo procedere all’interrogatorio nel rispetto degli adempimenti prescritti all’art. 65 c.p.p., è comunque tenuto ad illustrare in forma chiara e precisa gli elementi di prova raccolti nel corso dell’indagine. Le Sezioni unite hanno stabilito, di contro, che «il difensore dell’arrestato o del fermato ha diritto di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida del fermo o dell’arresto e di applicazione della misura cautelare. Il rigetto di tale richiesta, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida, che resta sanata a norma dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., se non viene eccepita nella udienza di convalida». A sostegno dell’assunto, tra gli altri, l’argomento essenziale della equipollenza istituita dal legislatore tra l’interrogatorio assunto nell’udienza di convalida e quello che altrimenti, a norma dell’art. 294 c.p.p., deve far seguito all’adozione di un provvedimento restrittivo, e deve essere preceduto dal deposito degli atti in favore del difensore. La «selezione» delle risultanze ad opera del pubblico ministero e del giudice – si è detto – non può sostituire la cognizione diretta e preventiva da parte del difensore, alla quale non osta neppure il segreto investigativo, che viene meno quando le risultanze sono conoscibili dall’indagato. Il documento allegato è posto a disposizione dal sito istituzionale della Corte di cassazione. (A cura di Guglielmo Leo) Download Documento


GIURISPRUDENZA NEWS

GIURISPRUDENZA ORDINARIA 22 Marzo 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. I, 22 marzo 2011, Pres. Giordano, Rel. Vecchio, ric. CancianNuove questioni di legittimità sulla custodia in carcere «obbligatoria» per il delitto di omicidio 27 Gennaio 2011Elisabetta Tiani Cass. pen., sez. III, 27.01.2011 (dep. 23.02.2011), n. 6890, Pres. De Maio, Rel. Ramacci, Ric. De Ieso Sul sequestro preventivo e sulla confisca del mezzo di trasporto impiegato per il trasporto illecito di rifiuti 19 Gennaio 2011Francesco Carlo Milanesi Cass., sez. III, 19.1.2011 (dep. 10.2.2011), n. 115, Pres, De Maio, Est. Ramacci, ric. C.Sull’acquisizione di dichiarazioni del cittadino straniero irregolare residente all’estero e sulla validità della nomina a difensore trasmessa a mezzo fax 1 Dicembre 2010Francesco Carlo Milanesi Cass. pen., sez. III,1.12.2010 (dep. 11.1.2011), n. 1784, Pres. Squassoni, Est. Ramacci, ric. AllaA proposito del termine per la presentazione dei documenti a sostegno della dichiarazione di ricusazione 1 Dicembre 2010Francesco Carlo Milanesi Cass. pen., sez. III, 1.12.2010 (dep. 11.1.2011), n. 1799, Pres. Squassoni, Est. Ramacci, ric. TrincasLa rinuncia ad un’impugnazione nel procedimento cautelare non determina il c.d. “giudicato cautelare" 22 Marzo 2011Alberto Scirè Cass. pen., sez. V, 1.2.2011 (dep. 28.2.2011), n. 7592, Pres. Marasca, Rel. Dubolino (violenza privata e parcheggio dell'automobile)Configurabile il delitto di violenza privata nel caso di chi ostruisce dolosamente l'uscita di un parcheggio condominiale con la propria auto 18 Marzo 2011Guglielmo Leo Cass. pen., sez. I, u.p. 8.3.2011 (dep. 18.3.2011), n. 11050, Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Ngagne (inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento: la Cassazione rinvia gli atti alla Corte di giustizia)Depositata l’ordinanza della Corte di cassazione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per l’interpretazione della ‘direttiva rimpatri’ 14 Marzo 2011 Cass. pen., sez. VI, 3.3.2011 (dep. 11.3.2011), Pres. De Roberto, Rel. Fidelbo, ric. MastellaDepositata la "sentenza Mastella". Per la Cassazione non è abnorme l'ordinanza con cui il g.u.p. esclude la natura ministeriale del reato senza darne comunicazione alla Camera d'appartenenza del ministro 8 Marzo 2011 Cass. pen., sez. I, 8.3.2011, Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Ngagne (inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento: la Cassazione rinvia gli atti alla Corte di giustizia)Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE da parte della Cassazione sulla possibile illegittimità comunitaria dei delitti di cui all'art. 14 t.u. 4 Marzo 2011Angela Colella Cass. pen., sez. III, 19.1.2011 (dep. 23.2.2011), Pres. De Maio, Rel. Amoresano, ric. TrincaUna nuova ipotesi di applicazione diretta in malam partem del diritto della UE: la Corte di Cassazione disapplica la normativa interna che prevede un margine di tolleranza del 10% al divieto di pesca e commercializzazione del novellame e afferma, conseguentemente, la responsabilità penale dell'imputato 3 Marzo 2011Luca Pistorelli Cass. pen., S.U., 16.12.2010 (dep. 1.3.2011), Pres. Lupo, Rel. Cortese, Ric. TestiniSulle interferenze tra impugnazione pendente e nuova richiesta cautelare: il pubblico ministero che disponga di nuovi elementi, che siano immediatamente spendibili in entrambi i procedimenti, deve optare per uno tra essi, con conseguente preclusione di sviluppo per quello ulteriore 28 Febbraio 2011Stefano Marcolini Cass. pen., sez. I, ud. 18.01.2011 (dep. 22.02.2011), n. 171 (sent.), Pres. Chieffi, Rel. Bonito, ric. RaffaelliInammissibile l’incidente di esecuzione volto a paralizzare l’esecuzione di un giudicato penale asseritamente contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo 28 Febbraio 2011 Cass., sez. V pen. , 10 gennaio 2011 (dep. 24 febbraio 2011), Pres. Amato, Est. Sabeone (sequestro di articolo su sito internet)Ammissibile il sequestro preventivo di un articolo pubblicato su di un sito internet 28 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass. pen., S.U., 16.12.2010 (dep. 25.2.2011), Pres. Lupo, Rel. Fiale, ric. PizzutoLa presentazione di false attestazioni sul reddito a fini di esenzione dal ticket sanitario, ove risulti sufficiente a conseguire la prestazione senza versamento del contributo, integra il delitto di cui all’art. 316-ter c.p. 25 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 24 febbraio 2011, Pres. Lupo, Rel. Romis, ric. NaccaratoLa recidiva reiterata non si computa per la determinazione della pena a fini cautelari 25 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., udienza pubblica del 24 febbraio 2011, Pres. Lupo, Rel. Cassano, ric. P.g. in c. IndelicatoLa recidiva, ai fini del computo della pena in caso di concorso tra circostanze, è circostanza ad effetto speciale 25 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 24 febbraio 2011, Pres. Lupo, Rel. Ippolito, ric. P.m. in c. Alacev (omessa esibizione dei documenti di identità e del permesso di soggiorno: abolitio criminis per gli stranieri 'irregolari')L’obbligo penalmente sanzionato di esibire documenti e permesso di soggiorno vale solo per gli stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale 25 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., udienza pubblica del 24 febbraio 2011, Pres. Lupo, Rel. Conti, ric. E.Il perito trascrittore delle conversazioni intercettate non può assumere, per incompatibilità, il ruolo di interprete 25 Febbraio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 24 febbraio 2011, Pres. Lupo, Rel. Squassoni, ric. FatihiAnche senza espressa delega, il vice procuratore onorario designato per l’udienza di convalida può chiedere l’applicazione di misure cautelari 14 Febbraio 2011Gioacchino Romeo Alle S.U. la questione del regime intertemporale della presunzione di adeguatezza della custodia cautelareNota a Cass. pen., sez. I, 13.10.2010 (dep. 19.1.2011), n. 1338 (ord.), Pres. Silvestri, Rel. Bonito, ric. Pellegrino 3 Febbraio 2011 Cass. civ. S.U., 9.11.2010 (dep. 26.1.2011), n. 1768, Pres. Vittoria, Rel. Spirito (negata l'efficacia extrapenale alle sentenze che dichiarano il reato estinto per prescrizione o amnistia)Per le S.U. civili l'art. 652 c.p.p. ('Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno') è disposizione eccezionale e non applicabile in via analogica alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia 29 Gennaio 2011Luca Pistorelli Cass. pen., sez. VI, 5.10.2010 (dep. 22.1.2011), n. 2251 (esclusa la costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti ex d.lgs. n. 231/2001)Nella sua prima pronuncia sul tema, la S.C. ha escluso l'ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti ex d.lgs. n. 231/231 28 Gennaio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 27 gennaio 2011, Pres. Cosentino, Rel. Milo, ric. P.m. in proc. Loy (bancarotta: la pluralità di condotte nell'ambito dello stesso fallimento genera pluralità di reati)Sull’unità o pluralità dei reati in caso di concorso tra più condotte tipiche di bancarotta nell’ambito della medesima procedura fallimentare 28 Gennaio 2011Gioacchino Romeo Cass. pen., Sez. III, 2.7.2010 (dep. 19.10.2010), n. 37198 (ord.), Pres. Onorato, Rel. Franco, Ric. Naccarato (recidiva e misure cautelari e precautelari: rimessione alle S.U.)Rimessa alle S.U. la questione della rilevanza della recidiva reiterata, se e in quanto circostanza ad effetto speciale, per la determinazione della pena ai fini dell'applicazione delle misure cautelari e precautelari 28 Gennaio 2011Paolo Caccialanza Cass., Sez. Un. 28.10.2010 (dep. 19.1.2011), n. 1235, Pres. Lupo, Rel. Fiandanese, ric. Giordano (sul concorso tra truffa e reati fiscali)Le Sezioni Unite escludono il concorso fra reati fiscali e truffa aggravata ai danni dello Stato 28 Gennaio 2011Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 27 gennaio 2011, Pres. Cosentino, Rel. Di Tomassi, ric. TanziSulla validità dei provvedimenti assunti dal giudice ricusato 24 Gennaio 2011 Cass. S.U., ud. 26.10.2010 (dep. 21.01.2011), n. 1963, Pres. Lupo, Rel. Brusco, ric. Di Lorenzo (circolazione con veicolo sottoposto a sequestro amministrativo)Escluso il concorso tra l'illecito amministrativo di cui all'art. 213 co. 4 cod. strad. e il delitto di cui all'art. 334 c.p. 20 Gennaio 2011Luca Pistorelli Le recenti pronunce della Corte di Cassazione - Diritto penale sostanzialeRelazione al corso di aggiornamento svoltosi il 17 gennaio 2011, organizzato dall'Ufficio dei referenti per la formazione dei magistrati del distretto di Milano 20 Gennaio 2011Luca Pistorelli Le recenti pronunce della Corte di Cassazione - Diritto processuale penaleRelazione al corso di aggiornamento svoltosi il 17 gennaio 2011, organizzato dall'Ufficio dei referenti per la formazione dei magistrati del distretto di Milano 12 Gennaio 2011Stefano Zirulia Cass. pen., sez. IV, 17.9.2010 (dep. 13.12.2010), n. 43786, Pres. Marzano, Rel. Blaiotta (amianto e nesso di causalità)L’accertamento del nesso causale tra il cumulo di esposizioni ad amianto e l’accelerazione della cancerogenesi nel mesotelioma pleurico: la Quarta Sezione indica i criteri per la scelta della legge scientifica più affidabile, nonché per lo svolgimento del giudizio di cd. causalità individuale 5 Gennaio 2011 Trib. Torino, 5.01.2011 (sent.), Giud. Bosio (inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento)Un primo caso di disapplicazione da parte del giudice penale del delitto di inosservanza dell'ordine di allontanamento del questore per contrasto con la direttiva rimpatri UE 29 Dicembre 2010Angela Colella Cass. pen., sez. VI, ud. 28 ottobre 2010, n. 41365, Pres. Lattanzi, Rel. Matera, ric. StrafaceSui presupposti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche 22 Dicembre 2010Pier Francesco Poli Cass. pen., sez. III, ud. 11 novembre 2010, n. 42498, Pres. Petti, Est. Amoresano (auto in doppia fila e omicidio colposo)Responsabile di omicidio colposo chi parcheggia l’auto in doppia fila, con lo sportello semi aperto, se un altro utente della strada muore a seguito dell’impatto col veicolo 17 Dicembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 16 dicembre 2010, Pres. Lupo, Rel. Marasca, ric. DigiacomantonioSui presupposti di efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato 17 Dicembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 16 dicembre 2010, Pres. Lupo, Rel. Fiale, ric. PizzutoLa qualificazione giuridica delle false attestazioni sul reddito a fini di esenzione dal ticket sanitario 17 Dicembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 16 dicembre 2010, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. N.M.T.Sulle interferenze tra procedimenti cautelari in fasi diverse e sulle conseguenti preclusioni 15 Dicembre 2010 C. App. Milano, Sez. III pen., sent. 15 dicembre 2010, imp. Adler e a. (caso Abu Omar)Il dispositivo della sentenza d'appello 13 Dicembre 2010Stefano Zirulia Cass. pen., sez. VI, 3 giugno 2010 (dep. 18 novembre 2010), n. 40830, Pres. Rel. Mannino (malversazione a danno dello Stato)Malversazione a danno dello Stato: un’interessante pronuncia della Cassazione sulla nozione di “ente pubblico” e sul dies a quo della prescrizione 13 Dicembre 2010Tommaso Trinchera Cass. pen., sez. VI, sent. 30 settembre 2010 (dep. 1 dicembre 2010), n. 42701, Pres. De Roberto, Rel. Fidelbo (responsabilità degli enti e delitti di corruzione internazionale)Applicabili all'ente le misure cautelari interdittive in relazione ai delitti di corruzione internazionale 13 Dicembre 2010Tommaso Trinchera Cass. pen., Sez. IV, sent. 21 aprile 2010 (dep. 6 agosto 2010), n. 31391, Pres. Marzano, Rel. Izzo, ric. Sorace (danno patrimoniale di speciale tenuità)Furto di parmigiano in un supermercato per un valore di 120 euro: negata l'attenuante 8 Dicembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., 30.9.2010 (dep. 7.12.2010), n. 43428, Pres. Lupo, Rel Cortese, ric. Corsini (responsabilità del 'liquidatore concordatario' per i reati fallimentari)Le Sezioni unite escludono la reponsabilità del «liquidatore concordatario» per i reati fallimentari 6 Dicembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., 30.9.2010 (dep. 3.12.2010), n. 43055, Pres. Lupo, Rel. Galbiati, Ric. Dalla SerraContro la sentenza di proscioglimento pronunciata a fronte della richiesta di decreto penale è ammissibile solo il ricorso per cassazione 29 Novembre 2010Gioacchino Romeo Cass., Sez. II, 4.11.2010 (dep. 11.11.2010), n. 39855, Pres. Cosentino, Rel. Fiandanese, ric. P.G. in proc. IndelicatoAlle Sezioni unite il quesito se la recidiva, quando possa comportare un aumento di pena superiore ad un terzo, e concorra con altre circostanze, vada considerata circostanza ad effetto speciale (art. 63, quarto comma, c.p.) 26 Novembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. Un., camera di consiglio del 25 novembre 2010, Pres. Fazzioli, Rel. Franco, ric. De FrancescoLe Sezioni unite sulla lettura delle dichiarazioni di persona residente all’estero 19 Novembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. I, camera di consiglio dell’11 novembre 2010, Pres. Silvestri, Rel. Di Tomassi, ric. N.M.T.Alle Sezioni unite il tema delle interferenze tra procedimenti cautelari in fasi diverse e delle conseguenti preclusioni 17 Novembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. I, camera di consiglio dell’11 novembre 2010, Pres. Silvestri, Rel. Vecchio, ric. P.m. in proc. AlacevStranieri «irregolari»: alle Sezioni unite la questione se sia ancora penalmente rilevante l’omessa esibizione dei documenti 10 Novembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. Un., 15.7.2010 (dep. 20.10.2010), n. 37501, Pres. Fazzioli, Est. Conti, ric. DonadioCriminalità organizzata: la sospensione feriale dei termini non opera per il riesame di misure cautelari reali 9 Novembre 2010Stefano Zirulia Cass., Sez. IV, udienza del 10 giugno 2010, Pres. Mocali, Rel. Izzo, ric. Quaglierini e altri (esposizione ad amianto e nesso di causalità)L'accertamento del nesso causale tra mesotelioma pleurico ed esposizioni all'amianto successive alla prima: scegliere la “legge di copertura” in contesti di incertezza scientifica 4 Novembre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. I, camera di consiglio del 28 ottobre 2010, Pres. Silvestri, Rel. Iannelli, ric. BrunettiUna nuova questione di legittimità costituzionale in materia di retrodatazione dei termini massimi di custodia cautelare 28 Ottobre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 28 ottobre 2010, Pres. Lupo, Rel. Fiandanese, ric. GiordanoSui rapporti fra truffa a danno dello Stato e reati fiscali 28 Ottobre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. un., camera di consiglio del 28 ottobre 2010, Pres. Lupo, Rel. Brusco, ric. P.g. in proc. Di LorenzoSull’indebito utilizzo della cosa in sequestro da parte del custode giudiziario 15 Ottobre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. Un., 30.9.2010 (dep. 11.10.2010), n. 36212, ric. X, Pres. Lupo, Est. MacchiaSul diritto di accesso del difensore agli atti per l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo 21 Ottobre 2010Guglielmo Leo Cass, Sez. un., 15.7.2010 (dep. 15.10.2010), n. 36837, ric. P.g. in c. Bracco, Pres. Fazzioli, Est. SiottoIn caso di sospensione condizionale della pena non può essere contestualmente applicato il beneficio dell’indulto 18 Ottobre 2010Guglielmo Leo Cass., Sez. Un., 27.5.2010 (dep. 5.10.2010), n. 35738, ric. Calibè, Pres. Carbone, Est. FumuGli effetti preclusivi della recidiva reiterata non si producono quando il giudice ritiene di non applicare il relativo aumento di pena

C. cost., 11 marzo 2011, n. 80 - pubblicità del procedimento di prevenzione ed attuale efficacia della CEDU nell'ordinamento italiano

C. cost., 11 marzo 2011, n. 80 (sent.), Pres. De Siervo, Rel. Frigo (pubblicità del procedimento di prevenzione ed attuale efficacia della CEDU nell'ordinamento italiano)

Una fondamentale pronuncia in tema di rapporti tra Convenzione europea e ordinamento italiano: trattando il tema della pubblicità delle udienze in Cassazione, la Consulta conferma l'impianto delle sentenze 'gemelle' del 2007 pur dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona[Guglielmo Leo]


1. Trattando l’annosa questione della pubblicità delle udienze nei procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione, la Corte costituzionale ha segnato un nuovo passaggio della propria riflessione sul sistema delle fonti, ed in particolare circa l’efficacia, nel nostro ordinamento, delle Carte europee a tutela dei diritti umani. 2. Il problema di partenza è noto. L’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo assicura ad ogni persona il diritto ad un’equa e pubblica udienza per la determinazione dei suoi diritti o per la verifica di fondatezza delle accuse che le vengono rivolte. La Corte di Strasburgo ha più volte stabilito che, in applicazione di tale principio, il nostro ordinamento deve riconoscere la possibilità, per coloro nei cui confronti sia proposta l’applicazione di una misura di prevenzione, di chiedere ed ottenere la trattazione della causa in regime di pubblicità (tra le altre, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia). Proprio alla luce della giurisprudenza indicata, facendo applicazione del parametro rappresentato dal primo comma dell’art. 117 Cost., la Corte costituzionale ha recentemente stabilito l’illegittimità della norma che precludeva al giudice, nella fase di merito del procedimento di prevenzione, la possibilità di disporre, su richiesta dell’interessato, che il procedimento stesso fosse celebrato in forma pubblica (sentenza n. 93 del 2010). Il problema si è riproposto per la fase di legittimità del procedimento, ed infatti la questione oggi risolta dalla Corte era stata sollevata dalla Cassazione, ancora una volta con riguardo al primo comma dell’art. 117 Cost.: si chiedeva fossero dichiarati illegittimi gli artt. 4 della legge n. 1423 del 1956 e 2-ter della legge n. 575 del 1965, n. 575, che riguardano rispettivamente la prevenzione in materia di criminalità comune e quella concernente la criminalità mafiosa. Lo schema di ragionamento era quello ormai consueto: la norma interna contrasta con la norma convenzionale, che funge da parametro interposto. Ebbene, la Corte ha esordito riconoscendo come, nella prospettiva della C.e.d.u., la pubblicità delle udienze debba rappresentare una regola, che ammette eccezioni solo in base a peculiari caratteristiche del caso concreto, oppure per procedure particolari, di contenuto essenzialmente tecnico. Tali eccezioni, per altro, sono state generalmente ammesse dai giudici di Strasburgo in procedure che, comunque, contemplano una fase pubblica di discussione della causa portata in giudizio. Ora, proprio per effetto della già citata sentenza n. 93 del 2010 (successiva all’ordinanza di rimessione), anche il nostro procedimento di prevenzione è ormai segnato dalla pubblicità (o meglio, dalla possibilità di uno svolgimento in forma pubblica), nella fase che si svolge innanzi al Tribunale ed in quella concernente la Corte di appello. È rimasto tuttavia sul tappeto il dubbio di compatibilità con la Convenzione delle norme, non incise dalla sentenza, che regolano il giudizio di prevenzione innanzi alla Corte di cassazione. 3. Per comprendere come mai la Consulta abbia deciso di verificare l’eventualità di una sopravvenuta efficacia diretta delle norme convenzionali, occorre sapere che la parte privata del giudizio a quo, costituitasi anche nel giudizio di costituzionalità, ha sostenuto proprio la tesi secondo cui la Corte di cassazione avrebbe dovuto disapplicare la norma interna configgente, e disporre direttamente che la trattazione del ricorso fosse compiuta in forma pubblica. Sennonché, ha osservato la stessa Consulta, se l’assunto della parte fosse stato fondato, la questione sollevata dalla Cassazione avrebbe dovuto considerarsi inammissibile per irrilevanza. È un dato acquisito della giurisprudenza costituzionale: se il giudice interno assume che la norma nazionale pertinente alla fattispecie concreta si trovi in conflitto con una disposizione “comunitaria” (ma dovrebbe ormai dirsi “dell’Unione”), e ritiene tale disposizione munita di efficacia diretta nel nostro ordinamento, non deve fare applicazione della norma interna; e tutti sanno, naturalmente, che la necessità di applicare la norma censurata nel giudizio a quo è la prima condizione di rilevanza della questione di legittimità costituzionale. 4. Sono ormai noti gli argomenti principali a sostegno di una «rinnovata» prospettazione di efficacia diretta per la C.e.d.u. e per la Carta di Nizza, dopo che, con riguardo alla prima, le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007 avevano espresso l’assunto contrario. L’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, nel testo in vigore dopo il 30 novembre 2009 per effetto del Trattato di Lisbona, stabilisce al primo paragrafo che l’«Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». La norma prosegue – per quanto interessa – prevedendo, al paragrafo 2, che «l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Infine, il terzo paragrafo recita che «i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione […] e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali». Rinviando com’è ovvio alla trattazione analitica che si trova in sentenza, si può dire con sintesi estrema come la Corte abbia «neutralizzato» i tre elementi di novità. Anzitutto l’adesione della UE, quale soggetto della comunità internazionale, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: come in altre occasioni (ad esempio, la sentenza n. 250 del 2010 in materia di diritto penale dell’immigrazione), la Corte ha negato alla norma ogni attualità di effetti, posto che la relativa procedura è ancora in corso (non senza avvertire, con tono incidentale, della possibilità di «altri rilievi»). In secondo luogo, la valenza dei diritti riconosciuti dalla Convenzione quali principi generali del diritto dell’Unione era già stabilita nel testo precedente dell’art. 6 del Trattato UE, e la Corte aveva già ritenuto nel 2007 (con argomenti richiamati nell’occasione odierna) la sua irrilevanza a fini di determinazione dell’efficacia delle norme convenzionali negli ordinamenti nazionali: «i principi in questione rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie cui il diritto comunitario (…) è applicabile, e non anche alle fattispecie regolate dalla sola normativa nazionale». Altrettanto va detto infine, a parere della Consulta, quanto alla equiparazione ai Trattati della Carta di Nizza. Secondo parte degli interpreti, tale equiparazione conferirebbe alla Carta gli stessi effetti «interni» delle norme trattatistiche. Non solo: poiché il terzo paragrafo dell’art. 52 contiene la nota «clausola di equivalenza» tra i livelli di tutela garantiti dalla Carta e quelli assicurati dalla Convenzione europea, l’effetto di «trattatizzazione» si estenderebbe, appunto, anche alla Convenzione. In realtà – osserva la Corte – gli Stati riuniti a Lisbona hanno molto chiaramente espresso il concetto che, pur doverosamente manifestando un’opportuna tensione verso la generalizzata promozione ed assicurazione dei diritti umani al proprio interno, l’Unione non ha inteso estendere le proprie competenze in siffatta direzione (lo stesso art. 6 del Trattato UE, al paragrafo 1, primo alinea, stabilisce che «le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati»). Un concetto già espresso nell’ambito della stessa Carta di Nizza, la quale, all’art. 51, stabilisce come le disposizioni in essa contenute si applichino «alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione». Che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea è stato già escluso più volte dalla Corte di giustizia, sia prima che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (tra le altre, sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10 PPU). Insomma, il presupposto per applicabilità della Carta di Nizza è che «la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto». 5. La Corte può dunque tornare al problema di partenza. L’eventuale contrasto della norma censurata con l’art. 6 della C.e.d.u. non potrebbe che condurre ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale. La questione sollevata dalla Corte di cassazione, nella parte in cui non è stata risolta dalla sentenza n. 93 del 2010, è dunque ammissibile. L’ipotizzato contrasto, tuttavia, non sussiste. I giudici di Strasburgo non hanno mai affermato violazioni della norma convenzionale riguardo a procedure non pubbliche che avessero ad oggetto questioni di diritto. L’omissione, secondo la Consulta, corrisponde all’essenza dei principi enunciati nella materia in esame. Per verificarne la compatibilità con il principio di pubblicità, i modelli procedimentali vanno infatti apprezzati nel loro complesso,di talchè, quando è preceduta da udienze che sono (o possono essere) aperte al pubblico, una fase finale dedicata esclusivamente alla verifica di legittimità può utilmente essere celebrata in forma non partecipata (da ultimo, sentenza 21 luglio 2009, Seliwiak contro Polonia). In effetti, l’esigenza del controllo pubblico sul corretto esercizio della giurisdizione è particolarmente pressante nella fase di assunzione delle prove, e delle prove dichiarative in particolare, mentre si attenua riguardo a procedure assolutamente tecniche, centrate sulla discussione tra operatori del processo. 6. In definitiva – e la conclusione sembra valevole per l’intero modello del giudizio camerale di legittimità (art. 611 c.p.p.), almeno quando lo stesso consegue a procedimenti di merito aperti alla partecipazione del pubblico – il giudizio di cassazione può svolgersi nella necessaria assenza di estranei, senza che da questo derivi una violazione dell’art. 6 della C.e.d.u., così come interpretato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo. Download Documento

Inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento: la Cassazione rinvia gli atti alla Corte di giustizia

Cass. pen., sez. I, u.p. 8.3.2011 (dep. 18.3.2011), n. 11050, Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Ngagne (inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento: la Cassazione rinvia gli atti alla Corte di giustizia)

Depositata l’ordinanza della Corte di cassazione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per l’interpretazione della ‘direttiva rimpatri’[Guglielmo Leo]


La Prima sezione penale della Corte di cassazione ha depositato il provvedimento deliberato in data 8 marzo 2011, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per l’interpretazione di numerose disposizioni della Direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatrio degli stranieri cittadini di Stati non appartenenti all’Unione. Ecco in particolare i quesiti formulati dalla nostra Corte: a) se l’art. 7, par. 1 e 4; l’art. 8, par. 1, 3 e 4; l’art. 15, par. 1, della Direttiva 2008/115/CE, devono essere interpretati nel senso che è precluso allo Stato membro, invertendo le priorità e l’ordine procedurale indicato da tali norme, di intimare allo straniero irregolare di lasciare il territorio nazionale quando non è possibile dare corso all’allontanamento coattivo, immediato o previo trattenimento; b) se l’art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE, deve essere quindi interpretato nel senso che è precluso allo Stato membro fare conseguire alla ingiustificata mancanza di collaborazione dello straniero al rimpatrio volontario, e per questa sola ragione, la sua incriminazione a titolo di delitto e una sanzione detentiva (reclusione) quantitativamente superiore (fino a dieci volte) rispetto al già esaurito o oggettivamente impossibile trattenimento a fini di allontanamento; c) se l’art. 2, par. 2, lettera b), della Direttiva 2008/115/CE, può essere interpretato, anche alla luce dell’art. 8 della Direttiva medesima e degli ambiti della politica comune individuati in particolare dall’art. 79 TFUE, nel senso che basta che lo Stato membro decida di configurare come reato la mancata cooperazione dello straniero al suo rimpatrio volontario, perché la Direttiva non trovi applicazione; d) se gli artt. 2, par. 2, lettera b), e 15, par. 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE, devono essere all’inverso interpretati, anche alla luce dell’art. 5 della Convenzione EDU, nel senso che essi sono d’ostacolo alla sottoposizione dello straniero irregolare, per il quale non è oggettivamente possibile o non è più possibile il trattenimento, ad una spirale di intimazioni al rimpatrio volontario e di restrizioni della libertà che dipendono da titoli di condanna per delitti di disobbedienza a tali intimazioni; e) se, conclusivamente, anche alla luce del decimo “considerando”, del previgente art. 23 C.A.A.S., delle raccomandazioni e degli orientamenti richiamati in premessa dalla Direttiva 2008/115, dell’art. 5 della Convenzione EDU, è possibile affermare che l’art. 7, par. 1 e 4, l’art. 8, par. 1, 3 e 4, l’art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, conferiscono valore di regola ai principî che la restrizione della libertà ai fini del rimpatrio va considerata alla stregua di extrema ratio e che nessuna misura detentiva é giustificata se collegata a una procedura espulsiva in relazione alla quale non esiste alcuna prospettiva ragionevole di rimpatrio.

Il testo del provvedimento è qui allegato e può essere scaricato in formato PDF.

Delitto di omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. 74/00)

Delitto di omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. 74/00) e (non) rimproverabilità dell’amministratore della società insolvente: qualche spunto di riflessione

Tra possibili profili di illegittimità costituzionale e interpretazione conforme al principio di colpevolezza del delitto di cui all'art. 10 ter [Alfio Valsecchi]

1. Due recenti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Torino offrono lo spunto per una riflessione sui problemi applicativi che presenta la nuova fattispecie di “Omesso versamento di IVA”, di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 – introdotta nel nostro ordinamento dal d.l. 4.7.2006 n. 223, conv. in l. 248/06, entrato in vigore lo stesso 4 luglio 2006 –; fattispecie che punisce, con la reclusione da sei mesi a due anni, “chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo” – ossia entro il 27 dicembre dell’anno successivo a quello cui l’IVA si riferisce (cfr. art. 6 co. 2 l. 405/90 e Cass., sez. III, 14.10.10, Mazzieri, Rv 248626) –, sempre che il mancato versamento superi l’ammontare di cinquantamila euro. 1.1. In particolare, il Tribunale di Torino, con l’ordinanza del 22.9.2010 (annotata in questa Rivista da Marco Scoletta), ha ritenuto non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 ter per violazione dell’art. 3 Cost. limitatamente alle omissioni contributive relative all’anno 2005. Osserva il giudice che, se normalmente il contribuente, per non incorrere nella sanzione penale, ha tempo fino al 27 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è maturato l’obbligo per versare all’erario l’IVA riscossa – come previsto dall’art. 10 ter –, in relazione all’IVA del 2005 il contribuente ha avuto a disposizione solo sei mesi, e più precisamente dal 4 luglio 2006 – data dell’entrata in vigore della nuova norma incriminatrice – al 27 dicembre dello stesso anno: il che determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla situazione in cui si sono trovati i contribuenti negli anni successivi. Con la medesima ordinanza, il Tribunale di Torino ha invece rigettato per manifesta infondatezza una seconda questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 ter per contrasto con l’art. 25 co. 2 Cost., rilevando come – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato – non si verifichi una (illegittima) applicazione retroattiva della nuova incriminazione ove si chiami a rispondere del delitto l’amministratore che non abbia versato l’IVA ‘maturata’ nel 2005, in quanto “la condotta penalmente rilevante introdotta non è l’omesso versamento IVA nel termine previsto dalla normativa fiscale, ma l’omesso versamento nel maggior termine del versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo [i.e., il 27 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’IVA è maturata]”. 1.2. Altrettanto interessante è la questione oggetto della sentenza del Tribunale di Milano del 9.11.10 parimenti pubblicata in questa Rivista. L’imputato era l’amministratore di una società, entrato in carica nell’ottobre del 2005, accusato della commissione del delitto ex art. 10 ter per non aver versato, entro il termine del 27 dicembre 2006, l’IVA relativa al 2005, il quale aveva “inteso giustificare l’omesso versamento in relazione alla mancanza di liquidità della società conseguente al mancato soddisfacimento di crediti di ingente ammontare”. Il Tribunale ha condannato l’imputato in quanto “appare assolutamente irrilevante il fatto che la società non disponesse, alla data prevista per il versamento dell’IVA relativa all’anno 2005, della liquidità sufficiente a far fronte all’adempimento di tale obbligo, non potendosi configurare lo stato di insolvenza quale causa scriminante in materia di omesso versamento dei tributi erariali”. A sostegno di tale affermazione, il Tribunale cita un precedente della Suprema Corte in materia di mancato versamento dei contributi (Cass.18.6.99, Tiriticco, dove la Corte aveva affermato che l’imprenditore, il quale decida, in presenza di una situazione economica difficile, di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario, non potrà addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato). * * *2. Prendendo le mosse proprio da quest’ultimo caso, mi chiedo, innanzitutto, se la nuova fattispecie di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/00 non presenti un possibile ulteriore profilo di incostituzionalità per contrasto con l’art. 27 co. 1 Cost. 2.1. Ricostruiamo in sintesi il caso risolto dal Tribunale di Milano: Tizio ha amministrato la società X fino a quasi tutto il 2005, senza accantonare l’IVA sulle vendite. A ottobre 2005, l’amministrazione della società è passata a un nuovo soggetto, Caio, che si è trovato a dover far fronte a una condizione di grave insolvenza (risulta accertata la “totale assenza di fondi nelle casse della società a gennaio 2006”). Al 27 dicembre 2006 – data ultima per adempiere all’obbligo di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/00 –, Caio non è stato in grado di adempiere all’obbligo di versare i ca. 73.000 Euro di IVA maturata dalla società nel corso del 2005, sicché è stato chiamato a rispondere del delitto in esame e condannato, in quanto lo stato di insolvenza della società – si legge nella sentenza – non può essere invocato dall’amministratore quale causa scriminante del mancato versamento dell’IVA. Il Tribunale, infatti, rileva come il contribuente, una volta incassata l’IVA, debba semplicemente versarla al fisco, senza poter fare di quelle somme alcun diverso uso. In altre parole, secondo il condivisibile ragionamento del giudice, il ‘buon contribuente’ non deve disporre dell’IVA incassata come se fossero ‘soldi propri’, ma deve limitarsi ad accantonarla, per poi versarla all’erario. Se così non fa, risponde del mancato versamento, senza poter invocare a propria scusa lo stato di insolvenza che ha contribuito colposamente a provocare. 2.2. Fin qui, la ricostruzione della fattispecie da parte del Tribunale mi pare non ponga particolari problemi: il delitto si consuma il 27 dicembre con il volontario omesso versamento dell’IVA dovuta per l’anno precedente; il fatto, poi, che l’omissione sia ’imposta’ dal grave stato di insolvenza in cui versa la società è ininfluente per il diritto penale, in quanto il contribuente, non avendo versato periodicamente l’IVA e non essendosi premurato di accantonare una somma sufficiente per far fronte – seppur in ritardo rispetto alle scadenze ‘fiscali’ – all’obbligo di versamento, si è volontariamente messo nella condizione di non poter più adempiere entro il termine ultimo fissato dalla norma penale (una sorta di ‘actio libera in causa’). 2.3. Ma che cosa accade quando – come nel caso di specie – del reato di mancato versamento dell’IVA viene chiamato a rispondere un soggetto – il nuovo amministratore – che non ha avuto la possibilità di accantonare l’IVA nel corso dell’esercizio perché entrato in carica solo alla fine dell’esercizio stesso? Qual è il rimprovero che viene mosso a questo soggetto e che esige l’applicazione di una pena detentiva da 6 mesi a 2 anni e delle pene accessorie di cui all’art. 12 co. 1 d.lgs. 74/00? Ebbene, accogliendo l’impostazione del Tribunale di Milano, il nuovo amministratore avrebbe dovuto accantonare una quantità di denaro sufficiente a far fronte, entro il 27 dicembre 2006, all’obbligo di versare l’IVA del 2005. E ciò avrebbe dovuto fare perlomeno a partire dal luglio 2006, ossia da quando, introdotta nell’ordinamento la fattispecie di cui all’art. 10 ter, l’amministratore ha avuto (o avrebbe dovuto avere, ex art. 5 c.p.) contezza che il mancato versamento dell’IVA aveva assunto penale rilevanza. Ciò, naturalmente, l’amministratore avrebbe dovuto fare contemporaneamente senza venir meno all’obbligo del versamento periodico dell’IVA incassata nell’anno in corso nonché agli altri obblighi fiscali e contributivi (pure presidiati penalmente!), esponendo altrimenti la società al rischio di dover pagare interessi moratori e sanzioni amministrative, e sé stesso al rischio di dover rispondere, in seguito, in sede civile, per aver male amministrato la società, e, in sede penale, magari proprio per aver omesso il versamento dell’IVA relativa al 2006… 2.4. È questa una condotta realmente esigibile da un amministratore che si trovi a dover ‘far quadrare i conti’ – peraltro ‘ereditati’ dalla precedente amministrazione – di una società in grave crisi economica? Pare, in verità, che nel caso di specie l’imputato nemmeno si fosse posto il problema, avendo ammesso nel corso del procedimento che non si era affatto curato degli aspetti fiscali dell’amministrazione, fidandosi ciecamente dell’operato del proprio collaboratore di studio. Ma astraiamo per un attimo dal caso di specie e immaginiamo di trovarci di fronte il ‘buon amministratore’, che fa del suo meglio per risanare l’azienda e che ciononostante non riesce nel ‘miracolo’ di accantonare, in sei mesi, sia l’IVA dell’esercizio corrente sia l’IVA dell’intero esercizio precedente, non potendo così adempiere all’obbligo di versare, entro il 27 dicembre 2006, l’IVA di tutto il 2005: risponderà questo soggetto del delitto in esame? Facendo applicazione dei principi di diritto espressi dalla sentenza del Tribunale di Milano del 9.11.10 e dall’ordinanza del Tribunale di Torino del 22.9.10, pare proprio che per questo (ipotetico) amministratore non vi sarebbe scampo: infatti, (a) ha commesso il reato sotto la vigenza della nuova norma (entrata in vigore sei mesi prima della scadenza dell’obbligo di versamento), sicché non vi è violazione del principio di irretroattività, e (b) non può invocare a propria scusa lo stato di insolvenza dell’azienda. 2.5. Se questa è la corretta interpretazione da dare alla norma, allora mi pare di ravvisare un profilo di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 27 co. 1 Cost. laddove l’art. 10 ter consente di punire un soggetto per un fatto in realtà a lui non rimproverabile – secondo la concezione di ‘rimproverabilità’ della violazione della norma fatta propria dalla Corte costituzionale, nella nota sent. 364/88, quale “manifestazione di un contrasto con (o indifferenza ai) valori della convivenza espressi dalle norme penali” – per inesigibilità della condotta. Infatti, senz’altro il delitto di omesso versamento dell’IVA è integrato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi (il 27 dicembre l’amministratore ha volontariamente omesso di versare l’IVA); ma la sua consumazione è stata determinata da una condotta pregressa, realizzata da altri (la condotta del vecchio amministratore che non ha versato periodicamente l’IVA e che, incurante dell’obbligo nei confronti del fisco, ha lasciato la società con le ‘casse vuote’ prima di abbandonare l’incarico), che ha reso impossibile al soggetto uniformare la propria condotta al precetto penale. Ignorare questo secondo profilo, fermandosi alla formale verifica della presenza di tutti gli elementi del delitto di cui all’art. 10 ter per procedere alla condanna dell’amministratore in carica il 27 dicembre, significa rimproverare al soggetto di non aver tenuto una condotta doverosa di fatto inesigibile, così ignorando l’insegnamento della Corte costituzionale: non può essere preteso, infatti, che il nuovo amministratore, per ‘sanare’ l’inadempimento fiscale del precedente amministratore ed evitare la condanna ai sensi dell’art. 10 ter, si metta nella condizione di rendere la società inadempiente agli obblighi contributivi e fiscali dell’anno in corso, così peraltro esponendosi al rischio di dover comunque rispondere, l’anno successivo, a meno che le finanze della società non trovino nuova linfa, a un omesso versamento dell’IVA imputabile – questo sì – proprio alla sua amministrazione. 2.6. E lo stesso profilo di illegittimità costituzionale mi pare emerga esattamente negli stessi termini anche nel caso in cui l’avvicendamento fra vecchio e nuovo amministratore sia avvenuto interamente sotto la vigenza dell’art. 10 ter, come nel caso in cui il primo amministratore sia rimasto in carica fino al luglio del 2010, senza mai darsi la pena di versare o di accantonare l’IVA riscossa, e il nuovo amministratore, erede di una situazione economica disastrosa, si sia trovato nell’impossibilità di pagare, il 27 dicembre 2010, il debito IVA maturato nel corso dell’esercizio precedente, senza al contempo venir meno agli obblighi fiscali dell’anno in corso. Anche in questo caso l’accertamento della reale sussistenza del potere di adempiere all’obbligo imposto dalla norma incriminatrice dovrebbe tener conto dell’effettiva possibilità per il nuovo amministratore di accumulare, tra il luglio e il 27 dicembre 2010, una ‘riserva’ sufficiente a far fronte sia al debito IVA del 2009 sia a quello del 2010 (e agli altri obblighi fiscali e contributivi dell’anno in corso). 2.7. Una possibile obiezione alla tesi qui espressa è che il nuovo amministratore, nel momento in cui assume l’incarico, deve premurarsi di verificare i ‘conti’ della società e accertare che i versamenti IVA siano avvenuti regolarmente; se non lo fa, si assume il rischio di non poter versare l’IVA dovuta il successivo 27 dicembre, sicché è giusto che sia lui a rispondere del delitto di cui all’art. 10 ter. 2.8. Ma una simile obiezione non sarebbe persuasiva. Nessuno dubita che sia preciso compito del nuovo amministratore verificare da subito che il precedente amministratore abbia regolarmente versato o perlomeno accantonato una somma sufficiente a versare l’IVA dovuta; non mi convince per nulla, invece, che, nel caso in cui questo amministratore dovesse rendersi conto che per l’anno precedente vi è un debito IVA insanabile – se non a costo di rendere la società inadempiente al debito IVA che va via via maturando nel corso del nuovo anno e agli altri obblighi fiscali e contributivi –, l’unica alternativa che gli resta sia la rinuncia ad assumersi l’incarico ovvero, al limite, la tempestiva rassegnazione delle dimissioni prima del 27 dicembre, dovendo altrimenti rispondere, dopo il 27 dicembre, del delitto in esame. Mi pare, piuttosto, che la condotta del nuovo amministratore che – assunto l’incarico e continuando a ricoprirlo almeno fino al 27 dicembre – non versi l’IVA dell’anno precedente per poter far fronte agli obblighi del nuovo anno, o che addirittura si ritrovi con le casse della società totalmente vuote, non sia rimproverabile, non manifestando in alcun modo il disvalore che la norma incriminatrice è destinata a sanzionare. La norma, infatti, è stata introdotta per rafforzare il quadro sanzionatorio della disciplina in materia di versamento dell’IVA, disciplina che prevede che il contribuente versi subito (mensilmente o trimestralmente, a seconda dei casi) l’IVA incassata; il legislatore ha però attenuato la severità del precetto penale concedendo una ‘seconda chance’ al contribuente inadempiente, ossia lasciandogli un lasso di tempo ulteriore (fino al 27 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è maturata l’IVA) a quello previsto dalla normativa tributaria per adempiere all’obbligo di versamento ed evitare la sanzione penale. L’obbligo di versamento, però, non si forma al 27 dicembre dell’anno successivo, ma fin dall’anno precedente, mano a mano che l’IVA viene incassata dal contribuente; dunque la condotta che mi pare essere davvero meritevole di sanzione, in quanto reale manifestazione del disvalore punito dalla norma, è quella del soggetto che deliberatamente non ha versato l’IVA secondo le scadenze fissate dalla normativa fiscale – ad esempio per poter utilizzare altrimenti quelle somme – ‘scommettendo’ sulla possibilità di recuperare in seguito il denaro necessario ad adempiere l’obbligo in tempo utile per evitare, perlomeno, la sanzione penale, e che abbia poi perso la ‘scommessa’. Al contrario, è una tesi puramente formalistica quella che pretende di far gravare gli effetti di questa ‘scommessa persa’ sulle spalle del soggetto che, dopo aver deciso di assumersi l’onere di amministrare una società sull’orlo del fallimento, si trovi a ricoprire per avventura il ruolo di rappresentante legale della società proprio al 27 dicembre e che, per ciò solo, debba rispondere degli effetti dell’unico comportamento realmente lesivo del bene giuridico protetto dalla norma, ossia il comportamento del vecchio amministratore che ha creato i presupposti del mancato versamento. Si tratta, inoltre, di una tesi che finisce col condannare la società in crisi ad essere amministrata da soggetti spregiudicati, incuranti del rischio di incappare in una sanzione penale o, piuttosto, pronti a lasciare l’incarico un attimo prima del fatidico 27 dicembre, senz’altro disincentivando i soggetti più coscienziosi dall’assumersi un incarico di amministratore che potrebbe portarli inesorabilmente verso un processo penale… 2.9. Se i rilievi sopra espressi sono corretti, l’art. 10 ter dovrebbe essere dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 27 co. 1 Cost. perché, per come formulato, non consente al giudice di discriminare fra le ipotesi in cui il doloso mancato versamento dell’IVA è il frutto di una libera scelta del contribuente – ipotesi che ricomprende anche il caso in cui il contribuente si ritrovi al 27 dicembre a non disporre del denaro sufficiente ad adempiere all’obbligo di versare l’IVA dell’anno precedente per non aver effettuato i doverosi versamenti periodici e per non essersi curato di accumulare una riserva sufficiente ad adempiere, seppur in ritardo rispetto alle scadenze ‘fiscali’, tale obbligo –, dalle ipotesi in cui il volontario mancato pagamento dell’IVA è frutto di una scelta obbligata, imposta dallo sconsiderato comportamento di altri, dovendo in alternativa il contribuente omettere – per mancanza di fondi – di versare l’IVA dell’esercizio corrente, così verosimilmente solo procrastinando all’anno successivo la commissione del reato, o comunque di adempiere agli altri obblighi – fiscali e contributivi – gravanti sull’amministrazione della società, taluni dei quali sanzionati anche penalmente. In forma sintetica, la Corte potrebbe allora sancire l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui consente di punire un soggetto per un fatto a lui non rimproverabile per mancanza del presupposto, desumibile dall’art. 27 co. 1 Cost., dell’esigibilità della condotta doverosa. * * *3. Ma la norma incriminatrice di cui all’art. 10 ter contrasta con l’art. 27 co. 1 Cost. – sempre laddove condiziona l’applicazione della sanzione penale all’effettiva rimproverabilità del fatto – anche sotto un diverso profilo. 3.1. La situazione è quella del contribuente che per tutto il 2005 e fino al luglio 2006 abbia deliberatamente omesso di accantonare e, quindi, di versare l’IVA alle ordinarie scadenze fiscali, trovandosi poi al 27 dicembre 2006, dopo l’entrata in vigore della nuova fattispecie delittuosa (il 4 luglio 2006), nell’assoluta impossibilità di versare all’erario quanto dovuto (per totale assenza di liquidità, mancanza di accesso al credito, etc.). Il problema, come si può facilmente intuire, e come si è già accennato sopra, è legato al fatto che solo dal luglio 2006 il contribuente ha potuto iniziare a orientare il proprio comportamento alla luce del nuovo quadro sanzionatorio in materia di omesso versamento dell’IVA, ‘arricchito’ dalla sanzione penale di cui all’art. 10 ter. In questo caso, dunque, il requisito della rimproverabilità del fatto – sancito dall’art. 27 co. 1 Cost. secondo l’interpretazione datane dalla Corte costituzionale con la sent. 364/88 – viene in rilevo sotto il profilo dell’effettiva possibilità, per l’agente, di prevedere, nel momento in cui realizza il comportamento che successivamente renderà impossibile adempiere all’obbligo sanzionato dalla norma penale, che tale condotta sarà fonte di responsabilità penale. 3.2. La punizione del contribuente per non avere versato l’IVA alla data del 27 dicembre 2006, dunque, non confliggerebbe qui a rigore – come pure si è sostenuto – con il principio di irretroattività della norma penale: come rileva correttamente il Tribunale di Torino, l’art. 10 ter è entrato in vigore il 4 luglio 2006, e dunque ben prima della data di consumazione del delitto di mancato versamento dell’IVA dell’anno precedente, che coincide per l’appunto con la scadenza del termine ultimo del 27 dicembre 2006. Il problema è piuttosto che, ogniqualvolta il contribuente abbia cagionato una propria futura situazione di incapacità di far fronte agli obblighi IVA a mezzo di proprie condotte antecedenti all’entrata in vigore della nuova norma incriminatrice, e tuttavia determinanti ai fini della successiva violazione della legge penale alla scadenza del 27 dicembre 2006, tali condotte sono state da lui compiute prima che lo spettro della sanzione penale intervenisse ad orientare il suo comportamento, e pertanto prima che egli fosse in grado di prevedere una propria possibile responsabilità penale (oltre che amministrativo-fiscale) in conseguenza del mancato pagamento dell’IVA dovuta per l’anno precedente. La norma penale interviene, in queste ipotesi, a cose fatte: per così dire, quando il latte è già stato versato – ed è stato versato in modo irreparabile –, in un’epoca però in cui non era possibile per il soggetto calcolare l’entità delle conseguenze cui si stava in tal modo esponendo. 3.3. Vero è – si obietterà – che il soggetto era già prima del luglio 2006 obbligato al pagamento dell’IVA, e che pertanto i mancati accantonamenti e i mancati versamenti della stessa alle ordinarie scadenze fiscali già costituivano una condotta gravemente imprudente ed antigiuridica; ma l’inflizione della sanzione penale esige, ai sensi dell’art. 27 co. 1 Cost., una speciale rimproverabilità, legata alla peculiare funzione del principio di colpevolezza in materia criminale: che è quella di garantire, secondo le fondamentali indicazioni della già citata sent. 364/1988 della Corte costituzionale, che il soggetto non venga chiamato a rispondere penalmente di condotte per le quali tale specifica sanzione non era, per l’appunto, prevedibile al momento della loro commissione. La generica illiceità della condotta ai sensi di rami diversi dell’ordinamento non basta a fondare il rimprovero che la pena presuppone: è invece necessario che sia proprio lo spettro della sanzione penale a profilarsi con nettezza all’agente come possibile conseguenza della propria condotta 3.4. Questa lettura del principio di colpevolezza – in effetti già chiaramente desumibile dalla sent. 364/1988, tanto lodata dalla dottrina ma assai poco valorizzata dalla giurisprudenza, anche costituzionale, successiva – trova ora decisiva conferma nella interpretazione, ad opera della costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo, dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rilevante nel nostro ordinamento ex art. 117 co. 1 Cost.; interpretazione che illumina il significato dello stesso principio costituzionale di colpevolezza ex art. 27 co. 1 Cost., oltre che di quello di irretroattività di cui all’art. 25 co. 2 Cost., in materia penale. L’art. 7 CEDU infatti, laddove sancisce il principio ‘nulla poena sine lege’, esprime una doppia necessità: da un lato, che il precetto penalmente sanzionato sia accessibile al suo destinatario, e cioè a lui conoscibile, eventualmente anche grazie alla sua elaborazione da parte della giurisprudenza;, dall’altro, che nel momento in cui il soggetto pone in essere la condotta il soggetto sia in grado di prevedere la sanzione penale cui si espone nel momento in cui commette la condotta[1]. Proprio quest’ultimo è il requisito che difetta nel caso di specie: la sanzione penale non era prevedibile al momento in cui il soggetto ha realizzato quella condotta che ha poi reso inevitabile l’omissione penalmente rilevante. 3.5. Se i rilievi ora formulati sono corretti, dunque, l’art. 10 ter dovrebbe altresì essere dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 27 co. 1 Cost. e con l’art. 117 co. 1 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU, nella parte in cui, con riferimento al mancato versamento dell’IVA relativa al 2005, impone di punire il contribuente anche allorché tale mancato versamento dipenda da condotte a lui penalmente non rimproverabili, in quanto compiute quando egli non aveva la possibilità di prevedere le conseguenze penali della propria condotta. 3.6. Non osterebbe all’ipotetico accoglimento della questione di illegittimità costituzionale qui prospettata (relativa agli artt. 27 co. 1 e 117 co. 1 Cost.) l’ordinanza dello scorso 3 novembre 2010, n. 319, della Corte costituzionale, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 ter per contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost. “in relazione all’art. 5 del medesimo d.lgs. 74/2000, nella parte in cui [l’art. 10 ter] prevede l’applicazione della normativa ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore”. In quel caso, infatti, la Corte è pervenuta alla ricordata decisione rilevando che il giudice a quo (i) aveva omesso di motivare sulla rilevanza, nel caso di specie, della questione; (ii) aveva motivato in maniera “insufficiente e oscura” sulla non manifesta infondatezza; (iii) non aveva spiegato in modo adeguato perché l’art. 10 ter avrebbe dovuto trovare applicazione anche in rapporto a fatti commessi prima della sua entrata in vigore; (iv) aveva prospettato, in ordine al dedotto contrasto col principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), un argomento inesatto e di per sé inconferente ai fini della dimostrazione del vulnus denunciato (ossia l’asserita coincidenza del termine per il versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale col termine di presentazione della dichiarazione stessa); (v) non aveva spiegato per quale ragione avesse coinvolto nello scrutinio di costituzionalità anche l’art. 5 d.lgs. 74/2000… * * *4. Una via alternativa al rinvio alla Corte costituzionale vi sarebbe, tanto per la prima quanto per la seconda ipotesi di incostituzionalità sopra formulate: un’interpretazione dell’art. 10 ter costituzionalmente orientata secondo i canoni del principio di colpevolezza, di cui all’art. 27 co. 1 Cost., declinato, più precisamente, nel senso del necessario accertamento dell’effettiva rimproverabilità della condotta imposta dal precetto penale. 4.1. In tal senso, il giudice penale dovrebbe ritenere rimproverabile la condotta dell’imputato e, per l’effetto, sanzionare l’omissione ai sensi del vigente art. 10 ter nei casi in cui: (i) l’amministratore, in carica fin dal principio (o perlomeno per buona parte) dell’anno cui si riferisce l’IVA da versare, abbia omesso il versamento, restando del tutto irrilevante che alla scadenza del termine indicato dall’art. 10 ter la società versasse in stato di insolvenza; (ii) l’amministratore, che abbia assunto la carica alla fine o dopo l’anno cui si riferisce l’IVA da versare, abbia ‘svuotato’ le casse della società senza premurarsi di sanare il debito IVA accumulato dal precedente amministratore, così trovandosi il 27 dicembre a non poter più adempiere; (iii) l’amministratore, il 27 dicembre, semplicemente abbia omesso di versare l’IVA dovuta sebbene le casse della società fossero capienti. 4.2. Al contrario, ritengo che il giudice penale – in forza di un’interpretazione della norma incriminatrice orientata al principio di colpevolezza (sub specie di rimproverabilità per il fatto commesso) di cui all’art. 27 co. 1 Cost. e di cui allo stesso art 7 CEDU (per le ragioni poc’anzi richiamate) – dovrebbe mandare assolto in quanto non rimproverabile (dunque con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’) (i) l’amministratore che, entrato in carica alla fine o – a maggior ragione – dopo la fine dell’anno cui si riferisce l’IVA da versare, abbia trovato le casse della società vuote e non sia riuscito, prima del 27 dicembre, a raccogliere la somma sufficiente a sanare il debito IVA dell’anno precedente senza venir meno all’obbligo di versamento dell’IVA maturata nell’anno in corso e agli altri obblighi di natura fiscale e contributiva sorti durante la sua amministrazione; (ii) l’amministratore che, trovatosi a luglio 2006 – dopo l’entrata in vigore della nuova norma incriminatrice – ad amministrare una società ancora debitrice dell’IVA del 2005, non sia riuscito, tra il 4 luglio e il 27 dicembre 2006, a raccogliere la somma sufficiente a sanare il debito IVA dell’anno precedente senza venir meno all’obbligo di versamento dell’IVA e agli altri obblighi di natura fiscale e contributiva sorti in quello stesso periodo. 4.3. Attenzione: la tesi qui esposta non comporta affatto che, nell’ipotesi di cui al punto 4.2. (i), nessuno possa essere chiamato a rispondere del mancato versamento dell’IVA. Non offre, in altre parole, una comoda via di fuga dalla responsabilità penale per omesso versamento dell’IVA, ma consente piuttosto di colpire il vero responsabile della lesione del bene giuridico: il vecchio amministratore, ossia colui che, consapevole dell’obbligo di versare, perlomeno entro il 27 dicembre dell’anno successivo, l’IVA riscossa, non solo non ha provveduto tempestivamente ai versamenti periodici prescritti dalla normativa fiscale, ma ha ‘speso l’IVA’, così ponendo in essere dolosamente (quanto meno con dolo eventuale) la causa del successivo inadempimento dell’obbligo prescritto dalla norma penale. In questa ipotesi, infatti, il vecchio amministratore dovrà rispondere dell’omesso versamento ex artt. 10 ter d.lgs. 74/00 e 110 c.p.: è lui l’autore mediato responsabile del reato; mentre il nuovo amministratore, autore materiale immediato, può utilmente invocare – lui solo! – a propria scusa l’inesigibilità della condotta doverosa. Nell’ipotesi di cui al punto 4.2. (ii), invece, l’amministratore non potrà essere chiamato a rispondere del reato, in quanto la sua condotta, pur avendo creato il presupposto dell’ormai inevitabile mancato versamento dell’IVA, non ha potuto essere tempestivamente orientata dal precetto penale. [1] Così, pressoché alla lettera, Cantoni c. Francia, sent. 15 novembre 1996 (ric. n.17862/91) : « cette condition se trouve remplie lorsque le justiciable peut savoir, à partir du libellé de la disposition pertinente (art. 7) et, au besoin, à l'aide de son interprétation par les tribunaux, quels actes et omissions engagent sa responsabilité pénale ». Non solo, dunque, l’art. 7 CEDU impone che il soggetto possa conoscere la generica illiceità del proprio comportamento al momento della sua commissione; ma è necessario, altresì, che egli sia in grado di rendersi conto che esso comporterà la sua responsabilità penale. Chiarisce poi la giurisprudenza successiva che tale requisito di prevedibilità si estende sino alla intensità concreta della pena al cui rischio il soggetto si espone nel momento in cui commette il fatto: tra le più recenti pronunce rese sul punto dalla Corte EDU sul punto, si segnala in particolare Kafkaris c. Cipro, sent. 12.2.2008 (ric. n. 21906/04), in cui la Corte afferma testualmente, citando precedenti in senso conforme, che “an individual must know from the wording of the relevant provision and, if need be, with the assistance of the courts' interpretation of it, what acts and omissions will make him criminally liable and what penalty will be imposed for the act committed and/or omission” (§ 140) (nel caso di specie, fu ravvisato un difetto di prevedibilità relativo alle concrete modalità di esecuzione della pena dell’ergastolo nell’ordinamento cipriota, alla quale era stato condannato un omicida: al momento della commissione del fatto, in effetti, la pena dell’ergastolo era già chiaramente sancita dal codice penale, ma la prassi della sua esecuzione prevedeva di norma la liberazione condizionale del condannato che avesse trascorso vent’anni di reclusione; tale prassi era stata tuttavia nel frattempo modificata, con l’effetto che il ricorrente era stato escluso da tale beneficio, e si trovava ancora in carcere, al momento del ricorso a Strasburgo, nonostante vi avesse trascorso più di vent’anni. La Corte sottolinea espressamente che in questo caso non si poneva un problema di irretroattività della norma penale, dal momento che – per l’appunto – la pena dell’ergastolo era prevista dal codice penale al momento della commissione del fatto; sibbene un problema di prevedibilità delle concrete conseguenze sanzionatorie cui il soggetto sarebbe andato incontro in caso di commissione del fatto, con conseguente violazione dell’art. 7 CEDU sotto questo specifico profilo). In dottrina cfr. per tutti A. Bernardi, sub Art. 7 CEDU (Nessuna pena senza legge), in S. Bartole, B.Conforti, G. Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, Cedam, 2001, pp. 249 ss.
estratto da: http://www.penalecontemporaneo.it/area/2-economia/-/-/392-delitto_di_omesso_versamento_dell___iva__art__10_ter_d_lgs__74_00__e__non__rimproverabilit___dell___amministratore_della_societ___insolvente__qualche_spunto_di_riflessione/

Responsabilità amministrativa dell'ente per omicidio colposo del lavoratore commesso con violazione della normativa antinfortunistica

Responsabilità amministrativa dell'ente per omicidio colposo del lavoratore commesso con violazione della normativa antinfortunistica Nota a Trib. Novara, 1.10.2010, G.u.p. Pezone[Marta Pelazza]Il fatto oggetto della sentenza annotata concerne la morte di un giovane lavoratore, operaio presso il Centro Interportuale Merci di Novara, terminal ferroviario per il carico-scarico merci. La vittima era addetta al controllo del carico dei treni, come dipendente di una cooperativa (W) che svolgeva tale servizio per conto di una società (X) avente la gestione del terminal, in subconcessione da (Y), ossia Trenitalia S.p.A. Nel centro lavoravano, con mansioni strettamente interconnesse tra loro, dipendenti di tutti gli enti sopracitati. La vittima veniva investita, mentre attraversava i binari in corrispondenza di un passaggio pedonale, da un locomotore manovrato da personale Trenitalia, e decedeva sul colpo. Con la sentenza in commento il Tribunale di Novara condanna sette dei dieci imputati (dirigenti e dipendenti degli enti sopracitati), e dichiara la responsabilità amministrativa delle società X e W, per la dimostrata “chiara colpa organizzativa e gestionale, soprattutto quanto alla omessa cooperazione e coordinamento tra di esse, nonostante l'evidenza dei rischi connessi alla circolazione dei treni nel teminal”. La responsabilità viene invece esclusa nei confronti di Trenitalia “perché l'illecito amministrativo non sussiste”. Le sanzioni amministrative pecuniarie applicate nei confronti di X s.r.l. e della cooperativa W ammontano rispettivamente a 120.000 e 140.000 €; viene riconosciuta alla società X la riduzione della sanzione pecuniaria per aver adottato, successivamente al fatto, un idoneo modello organizzativo (art. 12 comma 1, lettera b) d.lgs. 231/2001). La pronuncia riveste particolare interesse poiché prende posizione sul dibattuto tema della compatibilità con i reati colposi del criterio oggettivo di attribuzione della responsabilità da reato degli enti ex art. 5 d.lgs. 231/2001 (“l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio”). La questione ha importanti conseguenze pratiche, poiché da essa dipende la possibilità di un effettivo utilizzo dello strumento della responsabilità amministrativa degli enti per contrastare la diffusione di prassi imprenditoriali contrarie alla normativa antinfortunistica; prassi che frequentemente determinano morte ed infortuni dei lavoratori nei settori più disparati. Il problema, con particolare riferimento ai reati colposi di cui all'art. 25 septies del d.lgs. 231/2001 (omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro), risulta essere stato affrontato in giurisprudenza, prima della pronuncia in commento, solamente dal Tribunale di Trani (sez. dist. di Molfetta) nella sentenza dell'11.1.2010, in relazione al tragico caso “Truck Center s.a.s.” (in Corr. merito 2010, 410, con annotazione di Gatta; nonché ivi, 651 s., con nota di Pelazza, e in Società, 2010, 1116 s., con nota di Scoletta) e, recentemente, da una sentenza del Tribunale di Pinerolo (Trib. Pinerolo, 23.09.2010, in www.rivista231.it). Il Tribunale di Trani, in particolare, si era allora espresso considerando compatibile il criterio dell'interesse o vantaggio con il reato di omicidio colposo commesso con violazione della normativa antinfortunistica, ritenendo che la sussistenza dell'interesse o vantaggio dell'ente si debba accertare in relazione alla condotta colposa, e non all'evento verificatosi, argomentando essenzialmente sulla base del c.d. “principio di conservazione”, secondo il quale, ove possibile, ogni disposizione normativa deve essere interpretata nel senso in cui abbia una possibilità applicativa piuttosto che in quello in cui non ne abbia alcuna. La presente pronuncia riprende tale impostazione, giungendo ad analoghe conclusioni. Il Gup di Novara, infatti, osserva che “l'interesse o vantaggio può essere correlato anche [ai] reati colposi [d'evento], rapportando i due criteri non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto”. L'evento, aggiunge il giudice, deve essere ascritto all'ente “per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari”. Il ragionamento seguito in motivazione prende avvio dall'osservazione per cui “non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente” – allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che l'evento lesivo “in sé considerato [è] semmai controproducente per l'ente”. Da ciò il giudice trae la conclusione per cui “il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente [...] non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale elemento costitutivo del reato, giacchè l'essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto”. Ulteriormente precisando, si afferma che i criteri di interesse o vantaggio debbano essere riferiti “non già al reato (e quindi all'evento di morte o lesione della vittima), bensì alle condotte costitutive di esso”. Questa affermazione, a rigore, sembra viziata da una terminologia imprecisa: se davvero si intendesse la condotta come qualcosa di altro rispetto al concetto di reato, come traspare dall'affermazione qui riportata, si proporrebbe un'interpretazione contra legem, dal momento che l'art. 5 del d.lgs. 231 richiede espressamente che il reato, e non un suo mero elemento costitutivo, sia compiuto nell'interesse dell'ente. Il ragionamento che porta a concludere per l'applicabilità ai reati colposi d'evento del criterio ex art. 5 d.lgs. 231 sembra piuttosto trovare sostanziale fondamento, come nella citata sentenza del Tribunale di Trani, nel “principio di conservazione”; ossia nell'osservazione per cui, se si riferisse l'interesse o il vantaggio solamente all'evento lesivo, la disposizione legislativa di cui all'art. 25 septies sarebbe priva di ogni applicazione pratica, dato che l'evento in sé considerato è “semmai controproducente” per l'ente, e data la strutturale non volontarietà dell'evento nei reati colposi. Il giudice, inoltre, osserva che “il finalismo della condotta può armonizzarsi con la non volontarietà dell'evento” perché nel concetto di colpa “rientra anche il caso della previsione dell'evento, ancorchè escluso e non voluto”. Tale osservazione appare tuttavia superflua ed, in parte, fuorviante: infatti, una volta chiarito che il criterio dell'interesse deve essere accertato in relazione alla condotta e non all'evento, appare indifferente – ai fini dell'applicabilità del criterio – che il verificarsi dell'evento sia stato o meno previsto dall'agente. Nei reati colposi l'evento lesivo, seppur previsto, non è infatti, appunto, mai voluto, né può dunque – nonostante la previsione – essere perseguito nell'interesse o a vantaggio di alcuno. La condotta può invece essere sempre finalisticamente volta al raggiungimento di un obiettivo: indipendentemente dalla previsione o meno dell'evento da parte del soggetto agente. Questo accenno alla categoria della “colpa cosciente” si può spiegare, in parte, con la scelta del giudicante di intendere il concetto di interesse in senso soggettivo, come “atteggiamento psicologico” dell'agente, prendendo così le distanze dalla pronuncia del Tribunale di Trani sopra citata e da una parte della dottrina, secondo cui solo intendendo l'interesse in senso oggettivo si potrebbe applicare il criterio di imputazione ex art. 5 d.lgs. 231 ai reati colposi di evento, a causa della mancanza in essi di connotazione finalistica. L'interpretazione del criterio in senso soggettivo si avvicina invece alla giurisprudenza di legittimità, sostenuta da altra parte della dottrina. Per quanto riguarda l'accertamento, in concreto, del compimento della condotta colposa nell'interesse o a vantaggio dell'ente, il giudice ritiene necessario verificare che questa non sia stata indotta da “esclusive finalità estranee alla società”, ma che anzi sia stata determinata “da scelte afferenti alla sfera di interessi dell'ente”, ovvero “ispirate a strategie finalizzate ad ottenere benefici e vantaggi – anche solo mediati – per l'ente medesimo”. Il “vantaggio” è dal giudice considerato “criterio naturalmente più idoneo – in caso di reati colposi – a fungere da indice di collegamento tra ente e illecito”, ai fini dell'accertamento della responsabilità amministrativa da reato. In concreto, per accertare la sussistenza di tale indice in relazione ai reati in oggetto, è necessario che la condotta dell'agente sia espressione di una politica d'impresa volta alla “svalutazione della gestione in materia di sicurezza”; il soggetto deve agire per conto dell'ente attraverso “sistematiche violazioni di norme cautelari”, con conseguente ottimizzazione dei profitti ed abbattimento di costi e spese per l'adozione ed attuazione dei presidi antinfortunistici. Il giudice sottolinea dunque la necessità di operare un accertamento caso per caso, evitando di ravvisare l'interesse o vantaggio in re ipsa, ossia nel mero avvenimento del fatto lesivo nello svolgimento di un'attività di impresa. Nel caso di specie, il reato commesso dai datori di lavoro di X e W “trova fondamento induttivo nell'interesse o vantaggio di quest'ultime che, non adottando le indispensabili iniziative volte a prevenire il rischio di investimento ferroviario, riducevano ed evitavano i costi degli interventi strumentali necessari [...], velocizzavano i tempi e ritmi del ciclo produttivo, evitavano i disagi organizzativi e l'utilizzo del tempo per lo svolgimento dell'attività di coordinamento e cooperazione, riducevano i costi per la formazione e l'informazione del personale”. Che si trattasse di “intenzionale e meditata elusione della questione organizzativa e prevenzionale, deliberatamente sacrificata in favore di un sistema imprenditoriale che fosse il più economico ed attento ai risultati in termini di profitto”, emerge chiaramente dalla “perfetta consapevolezza del problema (rischi per l'incolumità dei lavoratori dovuti al transito imprevisto di treni), ripetutamente denunciato e comprensibile sul piano delle prevedibili implicazioni”. Nei confronti di Trenitalia la sentenza invece esclude che vi possa essere “un qualsivoglia ragionevole interesse o vantaggio” emergente dalla condotta colposa dei dirigenti e dipendenti condannati. L'argomentazione, che a dire il vero sul punto non risulta del tutto chiara, si fonda sulle “note dimensioni e capacità organizzative di tale ente”, che renderebbero “del tutto ingiustificabile [sic] che vi potesse essere una “politica aziendale” da perseguire attraverso la conservazione del sistema in essere nel terminal, ovvero attraverso l'omessa attività di ulteriore formazione del proprio personale”. All'assorbente argomento dell’assenza di interesse o vantaggio nei confronti della società vengono affiancate, ad abundantiam, considerazioni circa la suddivisione di responsabilità tra gli enti operanti nel terminal, e riguardanti l'adeguatezza delle disposizioni e procedure di sicurezza date da Trenitalia al proprio personale. Anche se i rischi riguardavano la circolazione dei treni condotti da personale Trenitalia, a parere del giudice “non c'è dubbio che essendo la gestione del terminal spettante a X s.r.l., così come il personale operante in loco appartenente alla W, il problema del coordinamento e predisposizione di adeguati ed efficienti presidi prevenzionali spettava, particolarmente, a tali società”. Ciò anche perché “i criteri di circolazione dei treni erano già stati adottati e indicati – con mirata formazione – ai dipendenti” da parte di Trenitalia. *** Per approfondimenti sul tema oggetto della sentenza annotata possono vedersi: Aldrovandi, La responsabilità amministrativa degli enti per i reati in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro alla luce del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in Ind. pen., 2, 2009, 495 ss., spec.501 ss.; Bricchetti e Pistorelli, Responsabili anche gli enti coinvolti, in Guida dir., n. 35, 40 ss.; Cardia, La disciplina della sicurezza nel luogo di lavoro nella prospettiva del d.lgs. 231/2001, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, 120; D'Arcangelo, La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, 57 ss., spec. 84; De Santis, Il regime della responsabilità penale in materia di sicurezza del lavoro dopo il “correttivo” (d.lgs. 106/2009) al T.U.S. (d.lgs. 81/2008), in Resp. amm. soc. enti, 2010, 2, 125 ss., spec. 130; De Santis, Profili penalistici del regime normativo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro introdotto dal D.Lgs. n. 81/2008, in Resp. civ. e prev., 2008, 1660; Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professionali e responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2009, 1325 ss., spec. 1337; Dovere, La responsabilità da reato dell'ente collettivo e la sicurezza sul lavoro: un'innovazione a rischio di ineffettività, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, 97; Epidendio e Piffer, Criteri d’imputazione del reato all’ente: nuove prospettive interpretative, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 3, 7; Gatta, Osservatorio, Corr. mer. 4, 2010, 410; Ielo, Lesioni gravi, omicidi colposi aggravati dalla violazione della normativa antinfortunistica e responsabilità degli enti, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, 57 ss., spec. 58 ss.; Mancini, L'introduzione dell'art. 25-septies: criticità e prospettive, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, 51 ss.; Pelazza, Sicurezza sul lavoro e responsabilità da reato degli enti, in Corr. mer., 2010, 6, 651 ss.; Pellissero, La responsabilità degli enti da reato, otto anni dopo - La progressiva espansione dei reati-presupposto, in Giur. it., 2009, 7; Pisani, Commento al d.lgs. 81/2008, in Dir. pen. e proc., 2008, 827 ss.; Santoriello, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 1, 161 ss.; Scoletta, Responsabilità ex crimine dell'ente e delitti colposi d'evento: la prima sentenza di condanna, in Società, 2010, 9, 1116; Vitali e Burdese, La legge 3 agosto 2007, n. 123: prime riflessioni in tema di responsabilità degli enti, in Resp. amm. soc. enti, 2007, 4, 125; Vitarelli, Infortuni sul lavoro e responsabilità degli enti: un difficile equilibrio normativo, RIDPP, 2009, 695.

Debito pubblico pro-capite

Contatore del debito pubblico italiano

Amore e Psiche

Amore e Psiche

Maddalena - Canova

Maddalena - Canova

Perseo e Medusa - Canova

Perseo e Medusa - Canova

Paolina Borghese Bonaparte - Canova

Paolina Borghese Bonaparte - Canova

LIBERIAMO LE DONNE DALLA SCHIAVITU', OVUNQUE NEL MONDO!

LIBERIAMO LE DONNE DALLA SCHIAVITU', OVUNQUE NEL MONDO!