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ALTALEX NEWS


mercoledì 27 maggio 2009

La sostituzione di persona: un reato che con le nuove tecnologie appare sempre più in aumento

La sostituzione di persona: un reato che con le nuove tecnologie appare sempre più in aumento
Andrea D'Agostini http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=180

Appare quantomai diffuso o in fase di diffusione, o forse è solo la Legge che si sta accorgendo di talune pratiche in internet che corrispondono alla fattispecie penalmente rilevante della cd sostituzione di persona (articolo 494 codice penale). Tale norma non rientra a pieno titolo nelle previsioni tipiche dei computer crimes introdotti con la legge 547/1993, tuttavia una sua applicazione alle nuove tecnologie sembra opportuna ed efficace.
A supporto di quanto detto è arrivata una sentenza della Corte di Cassazione che a fine 2007 ha riconosciuto colpevole un soggetto che aveva aperto un account di posta elettronica utilizzando i dati di altra persona esistente e mediante questo aveva allacciato rapporti in rete con altri utenti. Orbene una simile condotta, a parere della Corte, ben integra la fattispecie prevista dall’art. 494 del codice penale in quanto viene pregiudicato il bene tutelato dalla norma: la fede pubblica. Il supremo collegio ha precisato in tal senso che
“Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’art. 494 c.p., è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome”.
In particolare nell’analizzare la condotta posta in essere dall’imputato, la Corte ha valutato tutti presupposti previsti dall’art. 494 codice penale. Infatti il fine primo e ultimo dell’imputato è stato quello di recare ad altri (il vero titolare delle generalità) un danno inducendo taluno in errore (gli utenti della rete). Inoltre ha sostituito illegittimamente la sua persona a quella di altri, tant’è che gli altri utenti credevano di interloquire con la vera titolare di quei dati e non anche con un soggetto diverso, peraltro di sesso opposto, nascosto dietro la “falsa identità”.
Infine la Corte si è soffermata sul danno arrecato previsto dalla norma che ha individuato: “nella subdola inclusione della persona offesa in una corrispondenza idonea a ledere l’immagine o la dignità della XXXX”, infatti a seguito dell’iniziativa assunta dall’imputato, la stessa parte offesa ha ricevuto telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale.
La presenta sentenza dunque mette in evidenza uno dei problemi intrinseci della Rete, ossia il nascondersi dietro nickname o nomi di altre perone per porre in essere condotte al limite del lecito (soprattutto nei forum o newsgroup o chat, finanche nelle pratiche di phishing). E la Corte ricorda che solo il fatto di nascondersi dietro una falsa identità al fine di recare danno ad altri o trarre profitto è reato ed è punito fino ad un anno di reclusione.
Assolto per curiosità dal reato di accesso abusivo
Valentina frediani http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=177

Costituisce reato consultare dati presso il data base aziendale senza alcun specifico motivo di lavoro? Cioè solo per dare un’occhiata ai fatti altrui? No, sembrerebbe proprio di no.
A stabilirlo è stato il Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Nola che ha ritenuto non perseguibile, un dipendente dell’Agenzia delle Entrate che potendo accedere per motivi di ufficio nel data base dell’Agenzia, è andato a dare una fugace occhiata ai redditi di Prodi e Signora. Il reato contestato dal Pubblico Ministero era quello di accesso abusivo all’Anagrafe Tributaria. Ricordiamo che la fattispecie contestata al dipendente statale è quella di cui all’art. 615 ter codice penale, che dispone: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, e' punito con la reclusione fino a tre anni. La pena e' della reclusione da uno a cinque anni se il fatto e' commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio.”
Non un reato da prendere sottogamba, insomma.
Nei fatti, il dipendente dell’Agenzia delle Entrate evidentemente incuriosito dal verificare la pressione fiscale gravante sul Premier e la coniuge, ha “approfittato” della sua qualità di operatore con accesso ad una delle banche dati più interessanti a livello nazionale, ed ha visionato dati senza alcun autorizzazione. In suo soccorso però, in sede giudiziale, ha giocato proprio la famigerata legge sulla privacy, potendosi definire i dati visionati, non riservati né sensibili, ma solo personali e peraltro conoscibili. Il Giudice competente ha così ragionato escludendo la sussistenza dell’introduzione abusiva, in quanto assente una espressa volontà dell’Amministrazione dall’escluderlo dall’accesso. E qui si apre un dubbio, tutto giuridico, ma inevitabile: sicuramente l’accesso abusivo al sistema non è reato configurabile, ma quello di trattamento illecito dei dati, sì. Difatti, anche la sola consultazione al di fuori dello svolgimento delle proprie mansioni, soprattutto se sussistente una nomina ad incaricato ad hoc , può certamente costituire un trattamento illecito secondo le previsioni riferite alle fattispecie penali del decreto legislativo n. 196/2003.
Ma questa legge sulla privacy non sembra essere percepita per la portata che inizialmente il legislatore le aveva riservato. Allo stato attuale è difficile che un privato o le procure procedano penalmente per violazioni penali della normativa in materia di riservatezza, eppure quando scattano i controlli da parte della Guardia di Finanza, l’attenzione sul rispetto di questa normativa non è di basso livello.
La notizia-sentenza è singolare, perché apre le porte ad una scriminante di nuova generazione: la curiosità. In sostanza essere curiosi ed agire sulla scia di tale curiosità, può esimere da dover applicare tassativamente la normativa sulla privacy. Sarebbe curioso sapere cosa ne pensa l’Autorità Garante in materia di protezione di dati personali considerata la grande attenzione che ultimamente si sta dando al concetto di riservatezza, e sarebbe altrettanto interessante capire qual è il confine tra trattamento lecito e trattamento illecito, quando un soggetto compie delle operazioni anche di sola consultazione, di nascosto dal titolare del trattamento e senza specifica autorizzazione.
Nessuno vuol essere colpevolista su una “sciocchezza” di questo tipo, ma sarebbe ora di dare una identità alla normativa in materia di privacy e non tirarla fuori solo per multare mancanze di informative o telecamere non a norma!

Via libera alle pubblicazioni in internet copiate. Limiti all'utilizzo di testi e immagini in Internet

Via libera alle pubblicazioni in internet copiate
Valentina Frediani tratto dal sito web http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=175

“1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.”
Avete letto bene: non è una bufala, ma quanto inserito dopo il comma 1 dell’articolo 70 della legge 22 aprile 1941, n. 633.
Siamo “in territorio di diritto d’autore” e chi l’ha scritto è il legislatore!
Il 21 dicembre 2007, tra le 20 e le 21, mentre molti stavano per addentare una buona fetta di panettone, la VII Commissione del Senato della Repubblica, approvava il Disegno di legge S1861, recante le Disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori.
Un vero e proprio colpo di scena passato in sordina!!!! Da una prima lettura, in molti esulteranno pensando ad una vera e propria rivoluzione per il diritto d’autore, considerando l’incredibile abbattimento di barriere normative sino ad ieri presenti in rete…
In realtà questa disposizione confonde, a parere di chi legge, ancor maggiormente la situazione. Anzitutto il concetto di “immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate” è di una “tristezza unica”: la rete serve per far evolvere, non per reprimere le opere e tradurle in musiche o immagini incomprensibili e “rovinate” per rientrare in un dettato normativo… Secondariamente i concetti di “uso didattico” o “scientifico” lasciano il tempo che trovano: sono ampi, molto discrezionali, insomma: non certi…
In terzo luogo, torna trionfante lo scopo di “lucro”: ovvero il riconoscimento della possibilità di pubblicare opere in internet solo se lo sfruttamento non si traduce in “moneta sonante (o frusciante)”.
Quindi, ricapitolando: opere protette dal diritto d’autore in condizioni ordinarie, se io le devasto totalmente, snaturandole, posso diffonderle in rete, magari scrivendo una dizione specifica di richiamo nella pagina web indicando “OPERA DEGRADATA- NESSUN DIRITTO!”.
La cosa mi dà la vaga sensazione di non corrispondere alla riforma che da sempre attendono gli autori ed i produttori, da una parte, gli utenti della rete dall’altra.
Quando si cercherà di portare le proposte e poi le leggi, nella direzione dell’incremento della distribuzione via web? Quando sarà tolto l’equo compenso per agevolare il mercato della musica ordinaria?
Permettetemi infine un’ultima osservazione: nella norma come al solito si riporta tutto a meri interessi economici, ovvero la libertà di pubblicazione è in funzione della insussistenza di motivi di lucro. Quindi, per fare un esempio: Valentina Frediani compone un brano, lo diffonde tramite il proprio sito; Tizio lo ascolta, gli piace, se lo copia sul suo sito per fini didattici e senza scopo di lucro…. Valentina Frediani non può far valere alcun diritto, perché per la normativa sopra descritta, non sussiste alcun lesione del diritto d’autore.
Concetto interessante… che magari snatura la normativa a tutela delle opere dell’ingegno… ma mica si può accontentare tutti!!!! Anche se il dubbio è che a questo giro siano stati accontentati solo alcuni… ma proprio pochi….

Limiti all'utilizzo di testi e immagini in Internet
Marco Masieri tratto dal sito web http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=164

Anche le immagini nonché i testi presenti online costituiscono oggetto di tutela ai sensi della legge sul diritto d'autore (legge 633 del 1941).
In particolare per quanto riguarda le fotografie ai sensi dell'art. 2 legge 633 del 1941 costituiscono oggetto di tutela le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia sempre che non si tratti di semplice fotografia protetta ai sensi delle norme del capo V del titolo II della medesima legge.
Il legislatore dunque fa una distinzione tra opere fotografiche e fotografie semplici.
Le prime sono quelle aventi carattere creativo, frutto dell'ingegno dell'autore. In altri termini al fine del riconoscimento dell'opera fotografica creativa, la tecnica dell'autore dovrà unirsi alla sua immaginazione e fantasia per dar vita a qualcosa di nuovo anche nella percettibilità del fruitore finale. In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che la tutela dell'opera di carattere creativo nel campo della fotografia è operante tutte le volte che il fotografo non si sia limitato ad una riproduzione della realtà, sebbene attraverso procedure tecnicamente sofisticate, ma abbia inserito nell'opera la propria fantasia, il proprio gusto e la propria sensibilità, così da trasmettere le proprie emozioni a chi esamini la fotografia in tal modo realizzata.
In particolare ove si voglia riprodurre all'interno di un sito web tali fotografie caratterizzate dall'apporto creativo dell'autore sarà in ogni caso necessaria la formale autorizzazione del fotografo autore dell'opera e titolare in via esclusiva del relativo diritto di pubblicazione e di utilizzazione economica dell'opera medesima.
Le fotografie semplici consistono invece essenzialmente nella mera riproduzione di oggetti senza essere caratterizzate da alcun apporto creativo del fotografo. Tale tipo di fotografie sono, come sopra accennato disciplinate appositamente nel capo V del titolo II della legge sul diritto d'autore.
In proposito particolare rilevanza assume l'articolo 90 il quale prescrive infatti che ogni esemplare della “foto semplice” deve contenere: 1) il nome di chi detiene i diritti di utilizzazione economica (fotografo o committente), 2) l'indicazione dell’anno di produzione della fotografia, e - se la foto riproduce un'opera d'arte 3) il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata. In caso di mancanza di tali informazioni, la riproduzione delle foto non si considera abusiva, sempre che il fotografo (o il suo committente) non provi la malafede di chi le ha riprodotte.
Ciò dunque significa che nel caso in cui una fotografia semplice ovvero volta a riprodurre un mero oggetto senza alcun apporto creativo dell'autore e presente on line, non riporti le suddette indicazioni (autore o committente e anno di produzione) sarà possibile pubblicarla all'interno del proprio sito web fatta salva l'ipotesi di malafede. E' lecito ritenere che la malafede sarà configurabile nel caso in cui si utilizzi una fotografia semplice che sebbene priva dell'indicazione dell'autore e dell'anno di produzione sia presente all'interno di un sito web che preveda espressamente che tutto il materiale ivi contenuto è protetto da copyright. In tale circostanza dunque occorrerà esaminare con attenzione la presenza o meno di tale informazione nel sito. In mancanza di tale messaggio non essendo configurabile la malafede sarà possibile riprodurre nel proprio sito la fotografia semplice senza incorrere in alcuna violazione. A questo punto si tratta di valutare se ed entro quali limiti è possibile riprodurre all'interno di un sito web testi già presenti on line.
Ogni forma di testo, anche breve, è tutelata dalla normativa sul diritto d'autore e non può essere copiata, riprodotta (anche in altri formati o su supporti diversi), né tantomeno è possibile appropriarsi della sua paternità. Ogni opera creativa, e quindi anche i testi su Internet, è automaticamente protetta da copyright per il solo fatto di essere stata creata e quindi di esistere.
In tale circostanza anche ove il sito contenente il testo che si vuole riprodurre non menziona espressamente il fatto che il materiale è protetto da copyright non sarà possibile copiare il testo senza l'espresso e formale consenso dell'autore.
L'unica eccezione prevista dalla legge è rappresentata dall'art. 70 l. 633/41 secondo cui “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”. Il comma tre della medesima norma stabilisce poi che “ Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore, dell'editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull'opera riprodotta”.
In altri termini dunque la legge consente, sia pur con la citazione dell'autore e della fonte, il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o parti di opere letterarie ma anche di qualsivoglia testo dal carattere non specificatamente creativo (ma divulgativo, comunicativo, informativo) ma soltanto ove ciò avvenga a scopo di studio, discussione, documentazione o insegnamento, ma non a scopo di lucro ovvero per uno scopo di carattere commerciale.

Blog forme e modalità di pubblicazione dei contenuti

Blog forme e modalità di pubblicazione dei contenuti
Dott.ssa Flaminia Merla tratto dal sito web http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=163

Con la parola BLOG si intende “diario in rete”, attraverso questo strumento di comunicazione chiunque ha la possibilità di creare una pagina o un sito web personale e di immettervi quindi i più svariati contenuti come musica, politica, sport, tempo libero e quant’altro susciti l’interesse dell’autore stesso; unica condizione è che tale attività non abbia scopo di lucro.
Ciò comporta anche la ovvia possibilità di avere ad oggetto la critica o il commento di altri articoli, interventi TV e quant’altro e, conseguentemente essere assimilato ad un forum di discussione, pratica che è di uso comune in cui è liberamente citato, richiamato e, in alcuni casi anche “linkato” altro intervento di personaggio noto.
Ne consegue che il gestore del Blog è tenuto soltanto ad osservare le disposizione dettate della Legge sul diritto d’autore, L. 633/41, in base alle quale, ex art. 65, “gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato. La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell'autore, se riportato”, così come sostituito dall'attuale capo V, comprendente gli articoli da 65 a 71-decies, dall'art. 9, D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68.
Il motivo di tale disposizione va ricercato nella tutela alla diffusione delle opere che costituiscono manifestazioni del pensiero al fine di consentire ed incoraggiare la libera circolazione delle idee.
Pertanto, l’uso libero è lecito se effettivamente persegue l’interesse pubblico alla informazione. Ne consegue l’illiceità di ogni utilizzazione libera che persegua scopi diversi ed a condizione che la stessa non sia stata espressamente riservata come avviene, ad esempio, con la formula “tutti i diritti riservati” o altre analoghe.
Stessa argomentazione vale per la riproduzione di discorsi su argomenti di interesse politico od amministrativo ove infatti all’art 67 l.d.a. si legge: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica dell'opera.
Nel caso in cui dette regole relative alla citazione di opere altrui vengano violate l’autore del blog incorrerà nelle sanzioni prescritte dalla stessa legge di cui agli artt. 156 e sgg..
Analisi a sé stente è quella che riguarda la figura del gestore del blog in merito ai commenti immessi on-line dai fruitori del blog stesso, a tal proposito va sottolineato che fino alla sentenza del Tribunale di Aosta, questa condotta non era stata sanzionata, detto provvedimento giurisdizionale ha però assimilato la figura del gestore del blog a quello della figura del direttore responsabile di una testata giornalistica ex art. 597 bis c.p., con la ovvia conseguenza che il blogger potrebbe essere comunque chiamato a rispondere per un fatto di diffamazione commessa da altri soggetti per il tramite del suo blog per la successiva assimilazione con gli art. 57, 57 bis e 58 c.p.; questa operazione è correttamente configurabile come un'analogia in malam partem, e pertanto vietata nel nostro ordinamento.
Successivamente a detta pronuncia è stata presentata la proposta di legge dal Governo sulla “riforma della legge sull’editoria” (proposta Levi) nella quale, nella preambolo è scritto:“detta proposta vuole tutelare e promuovere il principio del pluralismo dell'informazione affermato dall'articolo 21 della Cost. e inteso come libertà di informare e diritto ad essere informati".
Tale dichiarazione programmatica è però del tutto contraddetta dal successivo art. 7, viene prescritto che: ”qualsiasi attività web dovrà registrarsi al ROC, Registro degli operatori di Comunicazione”, seguita poi al successivo art. 2 ove definisce cosa è un prodotto editoriale “intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso" la norma prosegue escludendo da tale categoria solo le notizie destinate alla sola informazione aziendale, sia ad uso interno sia presso il pubblico.
Con la conseguenza di veder coinvolti in tale contesto normativo anche siti non professionali; la giustificazione in ordine a questo provvedimento è la necessità di tutela dalla diffamazione.
Allo stato pertanto deve desumersi che, nelle more dell’entrata in vigore di detta proposta di legge, chiunque potrà continuare ad usare e gestire liberamente un blog con le consuete modalità prescritte per la citazione di articoli, ex art. 65 e sgg. della Legge sul Diritto d’Autore, ove poi vedersi, nel caso di diffamazione, esposto a denunce e rimesso alla discrezionalità del giudice di merito sul fatto se considerare tale condotta integrativa della condotta ex art. 596 bis e/o 57, 57 bis e 58. Ove invece detta proposta venga recepita in legge senza emendamenti la figura del gestore del blog sarà del tutto parificata a quella del direttore responsabile in materia di responsabilità e controllo.

Telefonia: la nuova procedura di conciliazione

Telefonia: la nuova procedura di conciliazione
Chiara Fantini tratto dal sito web http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=149
Il 19 aprile 2007, con delibera n. 173/07/Cons, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato il nuovo regolamento di procedura per la soluzione delle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche, che entrerà in vigore dopo trenta giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, e, dalle ultime notizie a riguardo, la data precisa è quella del 24 giugno p.v..
L’impianto generale a difesa degli utenti è rimasto pressocchè identico a quello contemplato nella delibera dell’AGCOM n. 182/02/Cons sostituita con quella in argomento, salvo alcune novità introdotte con l’obiettivo di semplificare e rendere comprensibilmente più veloce la procedura. In primo luogo è stato riconosciuto ugual valore alla competenza di organi diversi dai Co.Re.Com., finora gli unici legittimati ad assumere la procedura. Precipuamente, l’art. 13 della Del. 173/07/Cons prevede che gli utenti possano rivolgersi alle commissioni paritetiche costituite tra operatori e associazioni di consumatori rappresentative a livello nazionale, nonché a tutti gli organismi previsti dal Codice del Consumo (art. 141, commi 2 e 3, D.lgs 206/2005); rientrano in questa categoria anche gli uffici conciliatori delle Camere di Commercio competenti per territorio.
Le controversie devolute agli organismi di conciliazione, in secundis, rimangono quelle previste dall’articolo 1, commi 11 e 12, della L. 249/1997 (Codice delle comunicazioni elettroniche). L’AGCOM, al riguardo, si preoccupa di risolvere alcune incongruenze riscontrabili nella passata disciplina per quanto di rilievo in ordine alle controversie instaurate per il recupero di crediti relativi alle prestazioni già effettuate e non contestate. Nel caso, infatti, l’Autorità contempla l’evenienza per l’operatore telefonico interessato di adire direttamente l’autorità giudiziaria e a questa e all’utente evita la necessità di sollecitare la conciliazione, inibendo in specie a quest’ultimo di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione ai sensi dell’art. 641 c.p.c. Escluse da detto obbligo sono anche le controversie promosse dalle associazioni consumeristiche aventi riguardo a generali e collettive azioni inibitorie, per le quali il Codice del Consumo (artt. 37, 139 e 140) prevede la ben più sbrigativa procedura cautelare. Finalmente si riconosce ai procedimenti sommari e a quelli speciali l’inevitabile preferenza, o meglio priorità, rispetto a procedure, come quella in questione, che, se ritenuta obbligatoria anche in tali casi, provocherebbe uno stallo insostenibile e incompatibile con l’urgenza e la concisione privilegiate dal legislatore ordinario nella previsione e nella disciplina delle dette procedure.
Una modifica ragguardevole riguarda i termini per l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Segnatamente, i trenta giorni (decorrenti dalla proposizione dell’istanza), già previsti nel regolamento precedente, diventano termine essenziale, il mancato rispetto del quale comporta, cioè, che le parti interessate possano ricorrere all’AGO per far valere i loro diritti e le loro ragioni, indipendentemente dal fatto che la procedura di conciliazione si sia o meno conclusa (così art. 3 della Del. 173/07/Cons).
I tempi diventano parte interessante della procedura a garanzia di snellezza e di economicità della stessa laddove, anche, l’Autorità devolve agli organismi di conciliazione il potere di non dar corso alla procedura qualora la parte, che non ha proposto l’istanza, non manifesti nei cinque giorni dalla data dell’udienza di volervi partecipare, ovvero, nello stesso termine, dichiari esplicitamente il diniego alla richiesta conciliazione. In tali casi il responsabile del procedimento redigerà un verbale con il quale darà atto dell’esito negativo del tentativo di conciliazione, trasmettendolo tempestivamente alla parte istante (in tal senso art. 8 della Del. 173/07). Sempre in tale direzione, la delibera in argomento prevede, affinché sia rispettato il termine essenziale dei trenta giorni per la conclusione della procedura, che la stessa abbia inizio non più tardi dei sette giorni lavorativi successivi alla ricezione della comunicazione alle parti dell’avviso della loro convocazione innanzi al responsabile del procedimento.
Occorre, a questo punto, una prima riflessione. Sembrerebbe che l’Autorità, dando risalto all’urgenza di ridurre il più possibile i tempi della conciliazione, non abbia tenuto conto del lavoro arretrato che i Co.Re.Com e, per essi gli altri organismi di conciliazione chiamati ad avvicendarsi ai primi, si troveranno ancora a dover sbrigare al momento dell’entrata in vigore della delibera dell’Autorità. Il carico di lavoro, affrontato da un organico allo stato rimasto invariato, non permetterà di rispettare la nuova tempistica, di conseguenza comportando, almeno per i primi tempi, l’inevitabile caducazione delle istanze, destinate a soccombere con un nulla di fatto nei trenta giorni previsti per la procedura. E, non solo, le cennate difficoltà non fanno altro che aggiungersi all’inerzia, di consueto usata, o meglio abusata, dagli operatori telefonici di non aderire al tentativo di conciliazione, senza che per essa l’Autorità prevedesse altre conseguenze se non, anche qui, il fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Forse la riflessione è solo frutto di una diffidenza, connaturata in chi scrive, verso novità studiate a tavolino e, il più delle volte, calibrate su esigenze che non sono quelle di chi affronta la controversia. Speriamo sia così!!!!!!!!!!!
Un altro passaggio della delibera, interessante per lo sforzo dimostrato dall’Autorità di contenere l’egemonia degli operatori telefonici, è quello relativo alla possibilità, prevista dall’art. 5, riconosciuta ai Co.Re.Com. (dapprima la competenza era del solo Dipartimento per il contenzioso in forza presso l’AGCOM) di adottare, se adeguatamente richiesti, provvedimenti temporanei in materia di sospensione del servizio. La disposizione su richiamata innanzitutto chiarisce, una volta per tutte, i casi in cui inderogabilmente l’operatore telefonico può arrogarsi il fastidioso diritto di sospendere il servizio. Ciò può avvenire a fronte di casi di frode, ripetuti ritardi nei pagamenti ovvero di ripetuto inadempimento dell’utente moroso. I parametri fissati dall’Autorità ai diversi gestori telefonici per poter dar corso alla sospensione del servizio sono chiari e non sembra possano dare adito a comportamenti ambigui e oltremodo arbitrari cui, nel corso degli anni, gli stessi ci hanno costretto ad assistere. Essi si rendono efficaci anche per l’utente che intenda richiedere i provvedimenti diretti a garantire la continuità dell’erogazione del servizio o a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento poste in essere dall’operatore. E’ d’obbligo plaudire alla chiarezza esibita dall’organo regolamentare, tuttavia la disposizione in argomento induce a fondate perplessità. Il provvedimento, qualora adottato dal Co.Re.Com competente ha una durata circoscritta al tempo della procedura conciliativa. Ciò a significare che il povero utente, contestualmente all’istanza per l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, intenzionato pure ad ottenere il detto provvedimento, avvii la relativa procedura con il Co.Re.Com competente per la conciliazione, con il pericolo di non approdare ad alcunché perché, nel frattempo, la controversia non è stata composta a causa dell’inerzia (ovvero della volontà contraria) fatta valere dall’operatore telefonico nei termini previsti dal regolamento. E a quel punto all’utente, qualora decida per la definizione della controversia davanti all’Autorità, non resta che rinnovare l’istanza per ottenere il provvedimento negato in fase conciliativa (così l’art. 21 della Del. 173/07/Cons); ovvero, diversamente, attivarsi con i mezzi allo stesso consentiti per assicurarsi identica tutela da parte del giudice eventualmente adito. Con inevitabile aggravio di spese e di tempo…………perso. Si aggiunga sul tema che nel caso in cui i Co.Re.Com manchino della delega a svolgere l’attività conciliativa, o nel caso in cui l’utente si rivolga ad altri organismi, il provvedimento va richiesto all’ufficio competente presso l’AGCOM, venendosi così ad instaurare due distinte procedure davanti a diverse amministrazioni nel caso competenti dall’esito, ancor più comprensibilmente, incerto. Con inevitabile aggravio di spese a carico del malcapitato utente e di tempo…..perso.
In definitiva, l’Autorità sembra aver risolto i suoi problemi con il tempo comprimendo il diritto di difesa dell’utente che, nonostante gli sforzi trasfusi nella delibera in questione, rimane in balia della volubile volontà degli operatori telefonici, mai disposti ad un serio componimento della controversia, come anche della poco incisiva iniziativa di alcuni responsabili del procedimento. Malgrado ciò, la fiducia dell’Autorità nell’attività dei Co.Re.Com’è tale da vagheggiare per essi la possibilità di ottenere le deleghe anche per il secondo livello di intervento, cioè per la definizione delle controversie. A voi i commenti!!!!

Quanto può valere un sms inviato illegittimamente?

Quanto può valere un sms inviato illegittimamente?
Andrea D’Agostini tratto dal sito http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=148

Il Tribunale di Latina ha condannato una società di telecomunicazioni a risarcire il danno da “invio di sms non desiderati” (cd Spamming). Valutazione equitativa del danno che ha raggiunto la cifra considerevole di 1000 euro a sms (in totale la Società ne aveva inviati nove).
Il Giudice di Latina nel condannare la Società al risarcimento del danno ex art. 15 D.Lgs 196/2003, ha chiarito che il suddetto risarcimento del danno trae la propria ragion d’essere dal fatto che gli sms possono costituire “interferenze nella sfera privata e violazione del diritto alla privacy (intesa come violazione del diritto di costruire liberamente e difendere la propria sfera privata, di scegliere il proprio stile di vita senza influenze ed intromissioni indesiderate da parte di terzi)”. Il fornitore del servizio (nel caso la società di telefonia mobile) può inviare sms commerciali alla utenza del proprio cliente, a patto che quest’ultimo abbia conferito il consenso a tale tipologia di trattamento dei propri dati (dice, infatti, il giudice:”Il fornitore di telefonia mobile può utilizzare a scopo commerciale il numero dell’utenza (prepagata o “in abbonamento”) solo se l’utente abbia manifestato previamente il proprio consenso).
La decisione del giudice è in sintonia con il dettato normativo. Infatti, dispone l’articolo 130, 1° e 2° comma del D.Lgs 196/2003 che: “L'uso di sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore per l'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale è consentito con il consenso dell'interessato. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle comunicazioni elettroniche, effettuate per le finalità ivi indicate, mediante posta elettronica, telefax, messaggi del tipo Mms (Multimedia Messaging Service) o Sms (Short Message Service) o di altro tipo”. Nel caso di specie l’interessato aveva manifestato la volontà di ritirare (come in effetti aveva fatto) il consenso per l’invio di messaggio pubblicitari. Senza il consenso veniva meno la legittimazione della Società all’invio dei suddetti sms. Resta comunque valido l’invio all’utente di comunicazioni di servizio (es: problemi alla rete, modifiche di trasmissione) che niente hanno a che vedere con le comunicazioni commerciali.
Anche la procedura attivata dall’attore è apparsa idonea allo scopo: infatti prima ha inoltrato istanza di accesso ex art 7 e ss. D.Lgs 196/2003, poi ha proposto tentativo di conciliazione presso il Co.re.com della propria Regione, infine si è rivolto al Giudice per il ristoro dei danni subiti.
Andrea D’Agostini

Lecito ripubblicare articoli altrui?

Lecito ripubblicare articoli altrui?
Andrea D'Agostini tratto dal sito http://consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=135
Gli articoli a carattere giornalistico rientrano a tutti gli effetti nella categoria delle opere dell’ingegno con la conseguenza di essere oggetto protetto della legge sul diritto d’autore, L. 22 aprile 1942 n. 633 (d’ora innanzi lda). In particolare l’art. 1 lda recita: “Sono protette ai sensi di questa legge le opre dell’ingegno di carattere creativo e che appartengono alla letteratura, alla musica e alle arti figurative qualunque sia il modo o la forma di espressione”. Per ciò che concerne, invece, la riproduzione dell’articolo giornalistico o di una rivista, l’art. 13 Lda introduce il diritto esclusivo per l’autore di riprodurre la sua creazione. Pertanto riproduzioni da parte di altri soggetti non sono lecite.
Tuttavia, in alcuni casi è possibile riprodurre articoli di giornali o riviste: la norma di riferimento che disciplina la riproduzione dei suddetti articoli da parte dei non autori o editori (in caso di rapporto di lavoro) è l’art. 65 lda, che recita: “Gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere, possono essere riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purchè si indichino la fonte da cui sono tratti, la data il nome dell’autore, se riportato”.

Appare dunque possibile riprodurre un articolo di giornale a patto che si rispettino le seguenti condizioni:

Ø L’articolo deve essere di attualità a carattere politico, economico o religioso (se appartiene ad altre categorie – come articoli di carattere artistico, culturale, storico, geografico, tecnico o scientifico -, ovviamente, tale riproduzione non sarà possibile, e chi lo farà potrà incorrere nelle sanzioni previste);
Ø La riproduzione in questione non deve essere stata espressamente vietata da chi ne ha diritto (editore o autore). E’ consigliato, dunque, verificare preventivamente che non ci sia un messaggio in cui si fa espresso divieto di riproduzione o se ne riserva tale facoltà ad alcuni soggetti;
Ø Vanno citati obbligatoriamente la fonte, la data e il nome dell’autore (se conosciuto).

Ai sensi dell’art. 70 Lda è inoltre possibile riprodurre brani o parti di parti di opere per i soli scopi di critica, di discussione e anche insegnamento, solo ed esclusivamente nei limiti delle finalità poc’anzi elencate e sempre che non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica dell’opera. Anche in questo caso sarà necessario menzionare il titolo dell’opera, i nomi dell’autore e dell’editore.
Di diversa applicazione l’art. 101 Lda che disciplina le mere informazioni e notizie ricavabili e attinte da altri giornali o riviste. In questo caso la riproduzione è lecita e libera, tuttavia a condizione che non venga effettuata (la riproduzione) con l’impiego di “atti contrari agli usi onesti” in materia di giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest’ipotesi che oltre alla violazione del diritto d’autore è apprezzabile un’ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (cd “parassitismo giornalistico”). La riproduzione, altresì, non deve avere scopo di lucro (inteso sia come guadagno patrimoniale diretto sia come mancato guadagno del titolare dei diritti sull’informazione) e se trattasi di agenzie giornalistiche o d’informazione (titolari dell’informazione stessa) la riproduzione da parte di altri soggetti senza autorizzazione non può essere effettuata prima che siano passate sedici ore dalla loro diramazione e comunque prima che siano state pubblicati da un giornale o da una rivista autorizzati alla pubblicazione (in virtù di un contratto con l’agenzia stessa).
In ultima istanza occorre soffermarsi sulle cosiddette rassegne stampa. Definizioni legislative su cosa debba intendersi per rassegna stampa non ce ne sono; nondimeno si può dire che per rassegna stampa è da intendersi una raccolta di diversi articoli. Premesso ciò, appare pacifico l’applicazione di quanto sopra detto riguardo ai singoli articoli e alle notizie. E lecito dunque procedere ad una rassegna stampa sempre che sui singoli articoli non gravi l’espresso divieto della riproduzione o ne sia riservata a soggetti determinati; ne siano citati fonte, autore e data; la riproduzione non deve avere scopo di lucro e quindi non deve comportarne una concorrenza sleale del soggetto da cui si è attinto l’articolo, se trattasi di imprese che svolgono la loro attività nel medesimo ambito imprenditoriale ed economico.

Alla luce di quanto esposto occorre dire che in via generale il diritto di riproduzione lo può esercitare solo il titolare dell’articolo o l’editore del giornale su cui è stato pubblicato (art 13 lda). In via eccezionale e solo a determinate condizioni è possibile riprodurre interamente un articolo giornalistico, ossia è possibile riprodurre un articolo che sia di attualità e sia di carattere politico economico o religioso (art.65 lda). E’ obbligatorio citare la fonte, la data di pubblicazione e il nome dell’autore, se presente. Stesso discorso vale per le rassegne stampa che consistono in una raccolta di più articoli.
Per quanto riguarda le informazioni o le notizie attinte da altri giornali, occorre sottolineare che possono essere riprodotte lecitamente e liberamente solo se vengono rispettate le norma di correttezza giornalistica, ossia non si vada a violare le norma sulla concorrenza sleale e il fine perseguito non sia quello di lucro (art. 101 lda).
Per le finalità di critica, di discussione o insegnamento è possibile riprodurre liberamente brani o parte dell’opera e la loro comunicazione al pubblico (art. 70 lda).

Cassazione: insidie stradadali come buche e tombini vanno sempre segnalate

Cassazione: insidie stradadali come buche e tombini vanno sempre segnalate
tratto dal sito web http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_6981.asp
D'ora in avanti gli enti che hanno il compito diprovvedere alla manutenzione delle strate devono prestare particolare attenzione. Buche, tombini, lavori in corso e insidie di diverso genere presenti sulle strade debbono esere sempre segnalati. In caso contrario, avverte la Cassazione, la mancata segnalazione darà luogo a responsabilità degli enti tenuti alla manutenzione delle strade, in caso di incidente stradale. La Corte (sentenza 11709/2009), in particolare, ha accolto il ricorso di un automobilista che per ben due volte si era visto attribuire la colpa esclusiva di un incidente avvenuto a Fiumicino per la presenza di un tombino "fortemente sporgente dal suolo stradale" e non segnalato. I giudici di merito avevano ritenuto che l'unico colpevole dell'incidente fosse l'automobilista che, andando a forte velocita' aveva investito un automobile parcheggiata nel giardino di un'abitazione. I giudici della Corte ribaltando il verdetto hanno invece evidenziato che, al di la' dell'alta velocita' tenuta dall'automobilista, sicuramente "l'omessa segnalazione dei lavori e del tombino ha avuto una rilevanza causale in ordine al sinistro". Nella sentenza la Corte evidenzia che, pur ammettendo che l'automobilista "tenesse una velocita' eccessiva, la presenza di un cartello di segnalazione e pericolo gli avrebbe consentito di adottare le manovre di emergenza (in particolare, di ridurre drasticamente la velocita'), necessarie ad evitare l'incidente o ad evitarne le conseguenze dannose". Sarà ora necessario fare un nuovo processo in cui si dovrà denere conto della "rilevanza della negligenza dell'ente tenuto alla manutenzione della strada, quanto meno al fine di ravvisare un concorso di colpa e carico dello stesso".(Data: 23/05/2009 9.00.00 - Autore: Roberto Cataldi)

Va multato pedone che attraversa fuori dalle strice pedonali. E se viene investito la colpa è sua

Va multato pedone che attraversa fuori dalle strice pedonali. E se viene investito la colpa è sua
tratto dal sito web http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_6968.asp
Pedoni attenzione. D'ora in avanti chi ha la cattiva abitudine di attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali può richiare una multa. E in caso di incidente la colpa è sempre sua. Parola di Cassazione. Il monito della Corte è tassativo: i pedoni vanno sempre multati. Nel caso esaminato degli Ermellini, la Corte ha così convalidato la sanzione amministrativa disposta dalla polizia municipale di Massa nei confronti di un uomo che aveva attraversato la carreggiata senza servirsi degli appositi passaggi pedonali che si trovavano a circa 20 metri dal luogo dell'attraversamento. Nela sentenza i supremi Giudici spiegano inoltre che, nel caso in cui il pedone abbia attraversato fuori dalle strisce e sia rimasto vittima di un incidente, la colpa e' sempre sua. La sanzione amministrativa nei confronti dell'incauto pedone era stata convalidata dal giudice di pace di Massa nel settembre 2004. Inutile il ricorso per Cassazione in cui per difendersi l'uomo aveva anche sostenuto che nel verbale mancava l'indicazione della norma violata. La Corte (sentenza 11421/2009) respingendo il ricorso ha osservato che la contravvenzione è legittima giacchè vi è stato un attraversamento della strada "al di fuori delle strisce pedonali poste a circa 20 metri dal luogo dell'attraversamento''. Per violazioni del codice della strada, conclude poi la Corte, ''la mancata indicazione della norma che prevede la sanzione contestata non comporta di per se' la nullita' della contestazione della violazione dove l'interessato sia stato posto in condizione di conoscere il fatto addebitato e la contestazione sia stata idonea a garantire l'esercizio del diritto di difesa''.(Data: 20/05/2009 9.00.00 - Autore: Roberto Cataldi)

La stretta sulle sanzioni del codice della strada

La stretta sulle sanzioni del codice della strada
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Norme%20e%20Tributi/2009/sicurezza-stradale/sanzioni-ricorsi/multe-stretta-sanzioni.shtml?uuid=a77936ec-4393-11de-898d-44ce9b2bd65e

mercoledì 20 maggio 2009

Il DPS: un obbligo, un dovere o una cortesia?

Il DPS: un obbligo, un dovere o una cortesia?
Eric Falzone www.eucs.it tratto da http://www.consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=202
INDICEI. INTRODUZIONEII. IL DPS COME MISURA MINIMA DI SICUREZZAIII. DPS O AUTOCERTIFICAZIONE PRIVACY?IV. DPS INTEGRALE O SEMPLIFICATO?V. CONCLUSIONI
I. Introduzione
Nel corso del 2008, il legislatore ha apportato significative innovazioni al Codice Privacy, che hanno modificato in maniera rilevante alcuni obblighi in materia di misure minime di sicurezza per determinate categorie di Titolari del trattamento.In particolare in alcuni casi è stata introdotta, la possibilità di sostituire il Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS) con un documento di autocertificazione, mentre in altri di redigerlo in maniera semplificata rispetto ai requisiti minimi previsti per legge.Queste novità, descritte purtroppo in maniera non molto chiara dal legislatore, hanno portato ad un radicale mutamento dell’assetto generale del Codice Privacy, con notevoli scompensi interpretativi ed applicativi per i Titolari del trattamento.Scopo del presente saggio è, quindi, quello di delineare il nuovo quadro normativo di riferimento, al fine di dipanare le controverse questioni interpretative emerse in merito all’obbligatorietà o meno della redazione del Documento Programmatico di Sicurezza quale misura minima di sicurezza.II. IL DPS come Misura Minima di Sicurezza
In tema di misure minime di sicurezza l’art. 33 del D.lg. 196/03 sancisce che: “Nel quadro dei più generali obblighi di sicurezza di cui all'articolo 31 […] i titolari del trattamento sono comunque tenuti ad adottare le misure minime individuate nel presente capo […] volte ad assicurare un livello minimo di protezione dei dati personali.” Il che significa che il primo e indefettibile obbligo di ogni Titolare è sempre il rispetto di quanto previsto dall’art. 31 del D.lg. 196/03 ovvero il dovere di custodire e controllare i dati personali trattati “[…] in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita […] di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.”All’interno di questo ampio ed inderogabile obbligo generale, si inseriscono poi ulteriori adempimenti di sicurezza, che sono specificatamente definiti per legge e che sono definiti “minimi” in quanto in assenza del loro rispetto è inibito al Titolare un qualsiasi trattamento di dati personali (“misure minime di sicurezza”).Le misure minime di sicurezza sono in definitiva delle prescrizioni specifiche - per il trattamento di dati personali con strumenti elettronici (art. 34 del D.lg. 196/03) o senza l’ausilio di strumenti elettronici (art. 35 del D.lg. 196/03) - che devono essere obbligatoriamente adottate dal Titolare secondo particolari modalità tecniche definite per legge (Disciplinare tecnico in materia di misure minime di sicurezza contenuto nell'allegato B).Tra le misure minime di sicurezza obbligatorie per il trattamento di dati personali con strumenti elettronici è compresa la “tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza” (art. 34.1.g del D.lg. 196/03).Tralasciando le fantomatiche leggende che vogliono il “Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS)” a data certa e le problematiche dottrinali relative all’interpretazione sistematica dell’art. 34.1.g del D.lg. 196/03 con la regola 19 dell’Allegato B), la redazione di questo documento non è altro che la semplice descrizione e formalizzazione del “Sistema di Gestione Privacy Aziendale” ovvero l’illustrazione delle scelte in materia di protezione di dati personali stabilite in azienda.Purtroppo, però, la redazione del DPS invece di essere considerata uno strumento fondamentale per una sana e corretta gestione della politica di sicurezza dei dati personali - e più in generale della sicurezza delle informazioni aziendali – è stata recepita dalle aziende come un “folle e oneroso” obbligo di legge esacrato con manifestazioni degne della migliore tradizione della “commedia cinematografica all’italiana”.Questo “furor di popolo” ha portato, quindi, il legislatore a modificare il Codice Privacy declassando il DPS da documento ufficiale del “Sistema di Gestione Privacy Aziendale” a documento tecnico specifico obbligatorio solo in caso di particolari trattamenti di dati personali.Questa variazione è stata introdotta con l’art. 29 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 coordinato con la Legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, che ha modificato il Codice Privacy inserendo nell’articolo 34 il seguente comma 1-bis:“Per i soggetti che trattano soltanto dati personali non sensibili e che trattano come unici dati sensibili quelli costituiti dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti e collaboratori anche a progetto, senza indicazione della relativa diagnosi, ovvero dall'adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale, la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza è sostituita dall'obbligo di autocertificazione, resa dal titolare del trattamento ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di trattare soltanto tali dati in osservanza delle altre misure di sicurezza prescritte. In relazione a tali trattamenti, nonché a trattamenti comunque effettuati per correnti finalità amministrative e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani, il Garante, sentito il Ministro per la semplificazione normativa, individua con proprio provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità semplificate di applicazione del disciplinare tecnico di cui all'Allegato B) in ordine all'adozione delle misure minime di cui al comma 1.”III. DPS o Autocertificazione Privacy?
A seguito dell’introduzione del comma 1-bis all’art. 34 del D.lg. 196/03, è sopraggiunto un ulteriore annoso e amletico problema per i Titolari: “Fare il DPS o Non Fare il DPS”?Per rispondere a questa inquietante domanda è necessaria un’analisi esaustiva dell’art. 34 comma 1-bis.In primis tale comma introduce il principio che: “[…] la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza è sostituita dall'obbligo di autocertificazione […]” solo per “[…] i soggetti che trattano […] dati personali non sensibili e che trattano come unici dati sensibili quelli costituiti dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti e collaboratori anche a progetto, senza indicazione della relativa diagnosi, ovvero dall'adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale […]”. Per capire la portata di questa innovazione è, quindi, necessario soffermarsi sulla definizione di dato personale sensibile; ai sensi dell’art. 4.1.d del D.lg. 196/03 sono, infatti, sono considerati dati sensibili tutti quei dati personali “[…] idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.Coordinando la definizione di dato personale sensibile con il nuovo principio introdotto dall’art. 34 comma 1-bis, possiamo, quindi, affermare con certezza che sono sicuramente soggetti alla tenuta di un aggiornato DPS tutti quei Titolari che trattano le seguenti categorie di dati personali sensibili con strumenti elettronici: - Origine razziale ed etnica di clienti, fornitori e dipendenti- Convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere di clienti, fornitori e dipendenti- Opinioni politiche, adesione a partiti, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico e politico di clienti, fornitori e dipendenti- Stato di salute di clienti e fornitori - Stato di salute con indicazione della relativa diagnosi di dipendenti - Vita sessuale di clienti, fornitori e dipendentiSono altresì soggetti alla redazione del DPS tutti i titolari che trattano dati personali giudiziari con strumenti elettronici.In definitiva, possiamo asserire, che sono sottratti all’obbligo della tenuta di un aggiornato DPS, unicamente quei titolari che trattano le seguenti categorie di dati personali con strumenti elettronici: - dati personali comuni di clienti, fornitori e dipendenti - dati personali sensibili di dipendenti relativi allo stato di salute o malattia (solo se senza indicazione della diagnosi) - dati personali sensibili di carattere sindacaleConsiderato, però, che ai sensi dell’art. 4.1.a del D.lg. 196/03 per trattamento si intende: “[…] compiere qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati” permangono notevoli perplessità sulla reale possibilità di rientrare in una delle categorie per le quali si è esentati dalla redazione del DPS. Infatti, quanti Titolari si sentono realmente in grado di affermare con certezza, che mai in nessun caso la propria struttura tratta dati personali per cui è prevista la redazione del DPS? E quanti di questi Titolari sono poi disposti ad ufficializzare tale dichiarazione con la sottoscrizione di una “Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex art. 47 del D.P.R. 445/00” che in caso di “dichiarazioni mendaci” o di “dati non più rispondenti a verità” può portare a pesanti sanzioni penali ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. 445/00? La verità è che per poter affermare con certezza di rientrare in una delle categorie esentate dalla redazione del DPS, è necessaria una dettagliata classificazione dei dati personali trattati ed un’esaustiva analisi dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici, il che significa in termini pratici svolgere buona parte del lavoro necessario per la redazione del DPS… a questo punto perché non completare l’opera?IV. DPS Integrale o Semplificato?
Per alcune categorie di Titolari, l’art. 34 comma 1-bis ha previsto la possibilità per “[…] il Garante, sentito il Ministro per la semplificazione normativa […]” di individuare “[…] con proprio provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità semplificate di applicazione del disciplinare tecnico di cui all'Allegato B) in ordine all'adozione delle misure minime […]”. In ossequio alla disposizione di legge, il Garante Privacy, il 27 novembre 2008, ha provveduto ad emanare il Provvedimento a Carattere Generale denominato “Semplificazione delle misure di sicurezza contenute nel disciplinare tecnico di cui all'Allegato B) al Codice in materia di protezione dei dati personali” (pubblicato nella G.U. n. 287 del 9 dicembre 2008), con il quale ha definito modalità semplificate per l’applicazione delle misure minime di sicurezza.Tra le agevolazioni previste dal suddetto provvedimento è compresa anche la possibilità di redigere di un DPS semplificato; Tale facoltà è, però, riservata esclusivamente a quelle categorie di Titolari che rientrino nei seguenti parametri: 1. siano soggetti alla tenuta di un aggiornato DPS ai sensi dell’art. 34.1-bis; 2. trattino dati personali “unicamente per correnti finalità amministrative e contabili” In particolare tale agevolazione è rivolta alle seguenti categorie di Titolari: - piccoli imprenditori ai sensi dell’art. 2083 del Codice Civile ovvero: “[…] i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.” - piccola e media impresa (PMI) ai sensi dell’art. 2.1 del D.M. 18 aprile 2005 “Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese” ovvero imprese che “[…] hanno meno di 250 occupati e […] un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.”In tutti gli altri casi è, invece, prevista la redazione del DPS in forma integrale secondo le modalità specificate nel disciplinare tecnico di cui all'Allegato B) al Codice in materia di protezione dei dati personali.
V. Conclusioni
Alla luce di quanto è emerso dall’analisi dell’art. 34 comma 1-bis del D.lg. 196/03 e del Provvedimento a Carattere Generale del Garante Privacy del 27 novembre 2008, si evince che le categorie di Titolari esentate della tenuta di un aggiornato Documento Programmatico sulla Sicurezza sono realmente poche.Infatti, a seguito della globalizzazione dei mercati e della consistente immigrazione dell’ultimo decennio, appare alquanto improbabile che un’azienda, nel corso del regolare svolgimento della propria attività istituzionale, non incorra in un trattamento di dati personali con strumenti elettronici che possa essere idoneo a rivelare l’origine razziale ed etnica o le convinzioni religiose e politiche o lo stato di salute di qualche interessato.Bisogna, inoltre, tener conto che per poter affermare con certezza di rientrare in una delle categorie esentate dalla redazione del DPS, è necessaria una dettagliata classificazione dei dati personali trattati ed un’esaustiva analisi dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici.Infine, non bisogna mai dimenticare che in capo al Titolare incombono sempre gli obblighi generali di sicurezza di cui all'articolo 31 del D.lg. 196/03 e gli obblighi relativi alle misure minime di sicurezza di cui all’art. 33 del D.lg. 196/03 per quanto semplificate dal provvedimento del 27 novembre 2008 del Garante Privacy.Quindi, anche qualora si rientrasse in una delle categorie di Titolari esentate dalla tenuta di un aggiornato DPS, bisognerebbe comunque produrre un documento descrittivo dei dati personali raccolti, dei trattamenti effettuati, delle misure di sicurezza e delle misure minime di sicurezza adottate in azienda, al fine di poter dimostrare in caso di trattamenti illeciti “[…] di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno […]” (ai sensi dell’art. 2050 del Codice Civile) ed evitare in questo modo di incorrere in eventuali richieste di risarcimento.Per tali motivazioni, appare alquanto privo di senso ostinarsi a non voler redigere un documento programmatico sulla sicurezza, che se correttamente redatto permette di: - monitorare e revisionare periodicamente i processi aziendali di trattamento - aumentare la governance dei sistemi informativi - migliorare la sicurezza delle informazioni aziendali - rendere più efficiente la struttura organizzativa - allocare in maniera ottimale le risorse aziendali- pianificare preventivamente l’impatto privacy delle scelte aziendali - diminuire il rischio di eventuali richieste di risarcimento danni.

martedì 19 maggio 2009

FARMACIE: IMPORTANTE SENTENZA UE

U.E.Le farmacie solo ai farmacisti: sentenza Corte di Giustizia UE
19 Maggio 2009
Per la Corte di giustizia del Lussemburgo le normative italiana e tedesca che prevedono che soltanto i farmacisti possono possedere e gestire una farmacia non viola il diritto comunitario perche' 'giustificate dall'obiettivo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualita''.La Corte di giustizia, che oggi si e' pronunciata su due serie di cause relative al regime di proprieta' delle farmacie, ha stabilito nella sentenza che 'le normative italiana e tedesca sono giustificate dall'obiettivo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualita''.La Corte rileva inoltre che 'l'esclusione dei soggetti non farmacisti dalla possibilita' di gestire una farmacia o di acquisire partecipazioni in societa' di gestione di farmacie costituisce una restrizione alla liberta' di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali'. Ma 'tale restrizione puo' essere giustificata dall'obiettivo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualita'' articolo tratto dal sito http://www.aduc.it/dyn/eutanasia/noti.php?id=260200

Diritti umani a rischio politicizzazione

Diritti umani a rischio politicizzazione di Edward Pentin (http://www.zenit.org/article-18315?l=italian )
Questo blog per scelta espressa ha sempre dichiarato di voler valorizzare i diritti umani, richiedendo la loro tutela ovunque nel mondo. In questo contesto espressivo si pone l'articolo che vi propongo. A prescindere dalle idee politiche di ognuno di noi, l'articolo che vi propongo e che può essere visualizzato cliccando sui link qui pubblicati, fornisce un angolo visuale su cui riflettere profondamente. Secondo quanto riferisce l'autore dell'articolo proposto "Janne Haaland-Matlary, docente di politica internazionale all'Università di Oslo, ha spiegato che, a causa di una mancanza di accordo nella società su ciò che costituisce la natura umana e su come si definisce, i diritti umani stanno diventando sempre più vulnerabili allo sfruttamento politico. (...) La Matlary, già Ministro degli Esteri della Norvegia, sostiene che a questa politicizzazione dei diritti umani da parte di Governi non democratici – che vogliono salire sul treno dei diritti umani per darsi legittimità o guadagnare punti a livello politico – si sta sommando anche la loro grave erosione.
Parlando a ZENIT dopo la sua presentazione, ha affermato che quanto più questi Governi si sforzano di compiere esercizi retorici sul tema, “tanto più i diritti umani perdono il loro valore per coloro che se ne preoccupano davvero”. Se i diritti umani continueranno su questa via, ha aggiunto, il concetto “si spezzerà perché non avranno più valore simbolico”. (...) “Oggi tutti i Governi, esclusi Myanmar e Corea del Nord, parlano di diritti umani, e ciò fa sì che sia imperativo definire i diritti umani nel modo più obiettivo possibile”, ha osservato la Matlary, ricordando che i diritti umani “nascono e derivano dalla dignità umana” e non sono “dati, tolti o modificati dagli Stati”.
“I diritti umani fondamentali sono un insieme – universale, indivisibile e interdipendente”, ha spiegato. “Hanno come promesse la libertà e la responsabilità individuali, la divisione tra politica e religione e la differenza tra la sfera pubblica e quella privata – vale a dire presuppongono una visione specifica della persona umana”.
La tradizione della legge naturale per come si è sviluppata nel pensiero e nella filosofia occidentali e per come è stata mantenuta dalla Chiesa cattolica “può aiutare a definire la persona umana e il significato dei diritti umani”, ha aggiunto.
Fare appello al diritto naturale è tuttavia difficile a causa del carattere relativista e neutrale di fronte ai valori delle democrazie moderne. Si vede inoltre ostacolato dai mezzi che tendono a creare un circolo di consenso di fronte agli atteggiamenti del relativismo, abbandonando quanti adottano una linea di principio fuori da questo circolo e screditando ciò in cui credono.
La Matlary ha anche sottolineato che nella società internazionale di oggi, che manca di un'autorità morale che la guidi e in cui il nominalismo abbatte qualsiasi concetto sui primi principi filosofici, la legge e la democrazia si sono trasformate in semplici procedimenti, rendendo difficile definire qualcosa come eticamente negativo. Facendosi eco di Benedetto XVI, l'esperta rede che fare appello alla ragione più che all'atteggiamento del relativismo sia un modo di affrontare il pericolo. (...)"
Quelle sopracitate sono solo alcune delle riflessioni cui conduce l'articolo che vi invito a leggere.
Informazione e conoscenza consentono di essere più liberi, ma dobbiamo usare la nostra libertà per cercare di aiutare anche gli altri esseri umani a conquistare o a riappropriarsi della propria autonomia e libertà!

http://www.zenit.org/article-18315?l=italian

sabato 16 maggio 2009

SPECIALE IMMIGRAZIONE MINI-GUIDA 1^ PARTE

SPECIALE IMMIGRAZIONE MINI-GUIDA 1^ PARTE
Stranieri . Ingresso e Soggiorno.

Tutti i cittadini che non appartengono ai Paesi dell'Unione Europea, possono entrare in Italia presentando il passaporto e, nei casi in cui è richiesto, il visto rilasciato nel loro Paese di provenienza. Una volta in Italia richiederanno il permesso di soggiorno che avrà motivazione uguale a quella descritta sul visto. Non va richiesto il permesso qualora il soggiorno per affari, turismo, visita o studio sia inferiore a tre mesi. Tuttavia, attenzione, poiché va fatta una formale dichiarazione di presenza all’autorità di P.S. . I cittadini dell'Unione europea non hanno bisogno di permesso per soggiornare in Italia. Ma essi sono assoggettati ad altre regole dettate da normativa speciale che regolamenta anche i titoli di soggiorno nonché a rendere dichiarazione di presenza su apposita modulistica http://www.poliziadistato.it/pds/file/files/moduldich.pdf .
Il Ministero dell’Interno ha recentemente diffuso una miniguida con il dettaglio di una serie di concetti base che è necessario conoscere per poter affrontare almeno a livello basico il tema dell’immigrazione. La guida è reperibile in rete all’indirizzo http://www.poliziadistato.it/pds/file/files/0657_2007_10_11_guida_immigrazione.pdf Il DECRETO 26 Luglio 2007 regolamenta le modalita' di presentazione della dichiarazione di presenza resa dagli stranieri per soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio di cui alla legge 28 maggio 2007 n. 68 ed è pubblicato in (GU n. 181 del 6-8-2007 ). Esso è reperibile all’indirizzo http://www.poliziadistato.it/pds/file/files/Decreto_Ministro_260707_3672.pdf . Consiglio anche la lettura del documento di presentazione alle Amministrazioni interessate: http://www.poliziadistato.it/pds/file/files/TELEGRAMMA_URGENTISSIMO.pdf . Si ricorda inoltre che sin dal 2007 la circolare Amato ha autorizzato gli stranieri durante il periodo intercorrente tra la presentazione della domanda di rinnovo del PdS alla definizione della pratica a poter far ritorno nel Paese di provenienza e al rientro in Italia insieme all’esercizio di altri legittimi diritti (con una decisione assolutamente condivisibile) come ad esempio poter cambiare lavoro, essere assunti etc. come meglio si dirà in seguito. Per ora si rimanda al testo in rete reperibile all’indirizzo http://www.poliziadistato.it/pds/file/files/uscita_rilascio_rinnovo.pdf
L'ingresso in Italia (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/220-L_ingresso_in_Italia )
L'ingresso nel territorio italiano è consentito soltanto agli stranieri che:
si presentano attraverso un valico di frontiera
siano in possesso di un passaporto o di altro documento di viaggio (pdf 17 Kb) equivalente riconosciuto valido per l'attraversamento delle frontiere
abbiano un visto di ingresso o di transito, nei casi in cui è richiesto
non siano segnalati al sistema informativo Schengen ai fini della non ammissione
non siano considerati pericolosi per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la salute pubblica o le relazioni internazionali
dimostrino di avere mezzi finanziari per il loro sostentamento (vedi tabella) e abbiano a disposizione la somma necessaria al rimpatrio, eventualmente dimostrabile con l'esibizione del biglietto di ritorno.
Gli stranieri in ingresso sono sottoposti ai controlli di frontiera, doganali, valutari e sanitari. Lo straniero sprovvisto anche solo di uno dei requisiti richiesti può essere respinto alla frontiera. Il provvedimento può essere attuato dalle Autorità di Frontiera anche in presenza di regolare visto d'ingresso o di transito. Gli stranieri che vengono in Italia per visite, affari, turismo e studio per periodi non superiori ai tre mesi, non devono chiedere il permesso di soggiorno. Per lo straniero che proviene da Paesi che non applicano l'Accordo di Schengen l'obbligo di rendere la dichiarazione di presenza è soddisfatto con l'apposizione del timbro uniforme Schengen sul documento di viaggio al momento del controllo di frontiera. Invece, lo straniero che proviene da Paesi che applicano l'Accordo di Schengen dovrà presentare la dichiarazione di presenza , entro otto giorni dall'ingresso, al questore della provincia in cui si trova. Per chi alloggia in strutture alberghiere costituirà dichiarazione di presenza copia della dichiarazione resa all'albergatore e sottoscritta dallo straniero.La copia di queste dichiarazioni sarà consegnata allo straniero per essere esibita ad ogni richiesta da parte degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza. L'inosservanza da parte dello straniero della procedura indicata, salvo i casi di forza maggiore, ne determina l'espulsione; questa sanzione sarà applicata anche nel caso in cui lo straniero si sia trattenuto in Italia oltre i tre mesi o il minor termine stabilito nel visto d'ingresso.
Visto di ingresso (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/227-Visto_di_ingresso )
Il visto è l'autorizzazione concessa allo straniero per l'ingresso nel territorio della Repubblica italiana. E' stampato su carta adesiva e si applica sul passaporto o altro documento di viaggio del richiedente. Alla domanda di visto deve essere allegata una foto formato tessera, un documento di viaggio valido e, dove richiesto, la documentazione specifica per il tipo di visto richiesto.
Lo straniero deve obbligatoriamente indicare:
finalità del viaggio;
mezzi di sostentamento per il viaggio ed il soggiorno;
condizioni di alloggio
Il visto è rilasciato dalle ambasciate e dai consolati italiani nello stato di origine o della stabile residenza dello straniero. Non è possibile il rilascio del visto (né la proroga) allo straniero che già si trovi in Italia. I cittadini di alcuni Paesi non sono obbligati a richiedere il visto d'ingresso per soggiorni per turismo, missione, affari, invito e gara sportiva purchè non superiori a 90 giorni. Diversamente, cittadini di altri Paesi hanno sempre l'obbligo di visto. Visto per soggiorni brevi fino a 90 giorni (Visto Schengen uniforme). Il visto Schengen consente il transito o il breve soggiorno fino a 90 giorni. Lo straniero già residente in uno Stato Schengen e titolare di permesso di soggiorno, è esente da visto per soggiorni non superiori a 3 mesi, a condizione che l'ingresso in Italia non avvenga per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo o tirocinio.
Visto per soggiorni di lunga durata. (Nazionali)
Per tutti i soggiorni di lunga durata (oltre 90 giorni) gli stranieri devono avere sempre il visto, anche se cittadini di Paesi non soggetti ad obbligo di visto per transito o per breve soggiorno. Questi tipi di visto sono validi per soggiorni superiori a 90 giorni con uno o più ingressi in Italia e per l'eventuale transito (per non più di cinque giorni) attraverso il territorio degli Stati Schengen.
Tipologie di Visto.Sono 20 le tipologie di visto d'ingresso: adozione, affari, cure mediche, diplomatico, familiare al seguito, gara sportiva, invito, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, reingresso, residenza elettiva, ricongiungimento familiare, studio, transito aeroportuale, transito, trasporto, turismo, vacanze-lavoro.
Visto tipo A: transito aeroportuale
Visto tipo B: transito
Visto tipo C: soggiorni di breve durata o di viaggio fino a 90 giorni, con uno o più ingressi.
Visto tipo D: soggiorni superiori a 90 giorni.
17-11-2007
Il rilascio del permesso di soggiorno (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/225-Il_rilascio_del_permesso_di_soggiorno )
Gli stranieri che intendono soggiornare in Italia per più di tre mesi, devono richiedere il permesso di soggiorno. Chi arriva in Italia per la prima volta ha 8 giorni di tempo per chiedere il permesso di soggiorno.
Per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno è necessario avere:
il modulo di richiesta;
il passaporto, o altro documento di viaggio (pdf 17 Kb) equivalente, in corso di validità con il relativo visto di ingresso, se richiesto;
una fotocopia del documento stesso;
4 foto formato tessera, identiche e recenti;
un contrassegno telematico da € 14,62;
la documentazione necessaria al tipo di permesso di soggiorno richiesto.
Chi è già in Italia e ha il permesso di soggiorno in scadenza, deve chiedere il rinnovo almeno:
90 giorni prima della scadenza, per il permesso di soggiorno valido 2 anni;
60 giorni prima della scadenza, per quello con validità di 1 anno;
30 giorni prima della scadenza, nei restanti casi.
La validità del permesso di soggiorno è la stessa del visto d'ingresso:
fino a sei mesi per lavoro stagionale e fino a nove mesi per lavoro stagionale nei settori che richiedono tale estensione;
fino ad un anno, per la frequenza di un corso per studio o formazione professionale ovviamente documentato;
fino a due anni per lavoro autonomo, per lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari.
Gli stranieri che vengono in Italia per visite, affari, turismo e studio per periodi non superiori ai tre mesi, non devono chiedere il permesso di soggiorno.
17-11-2007
In attesa del permesso di soggiorno (http://www.poliziadistato.it/articolo/213-In_attesa_del_permesso_di_soggiorno )
Gli stranieri in attesa del rinnovo del titolo di soggiorno possono uscire dall'Italia e rientrarci se in possesso:
della ricevuta rilasciata da Poste Italiane S.p.A. che attesta l'avvenuta presentazione della domanda di rinnovo del loro permesso di soggiorno o della carta di soggiorno,
del titolo di soggiorno scaduto,
del passaporto o altro documento equipollente.
La stessa facilitazione è consentita agli stranieri che hanno presentato domanda per il primo rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, lavoro autonomo o ricongiungimento familiare a condizione che:
l'uscita e il rientro avvengano attraverso lo stesso valico di frontiera;
lo straniero esibisca il passaporto o altro documento di viaggio equipollente, unitamente al visto d'ingresso dal quale desumere i motivi del soggiorno (lavoro subordinato, lavoro autonomo o ricongiungimento familiare) e la ricevuta di Poste Italiane S.p.A.;
il viaggio non preveda il transito in altri Paesi Schengen, essendo lo stesso precluso.
Con la circolare (pdf 35 Kb) del 27 giugno 2007, si è stabilito che chi ha figli minori di 14 anni può richiedere alla Questura il rilascio di un permesso di soggiorno cartaceo provvisorio e con validità limitata. Sul titolo saranno iscritti i figli minori che in questo modo potranno lasciare temporaneamente l'Italia.
27-10-2007
Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. (Carta di soggiorno per cittadini stranieri) (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/214-Permesso_di_soggiorno_CE_per_soggiornanti_di_lungo_periodo_Carta_di_soggiorno_per_cittadini_stranieri )
Dall'8 gennaio 2007, la carta di soggiorno per cittadini stranieri è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Questo tipo permesso di soggiorno è a tempo indeterminato e può essere richiesto solo da chi possiede un permesso di soggiorno da almeno 5 anni. La domanda va presentata presso gli uffici postali oppure, senza utilizzare il kit, ci si può recare presso i Comuni (pdf 13 Kb) che offrono questo servizio o presso i Patronati (pdf 2 Kb)
Alla domanda è necessario allegare:
copia del passaporto o documento equipollente, in corso di validità;
copia della dichiarazione dei redditi (il reddito deve essere superiore all'importo annuo dell'assegno sociale); per i collaboratori domestici (colf/badanti): esibizione dei bollettini INPS o estratto contributivo analitico rilasciato dall'INPS;
certificato casellario giudiziale e certificato delle iscrizioni relative ai procedimenti penali;
un alloggio idoneo documentato se la domanda è presentata anche per i familiari;
copie delle buste paga relative all'anno in corso;
documentazione relativa alla residenza e allo stato di famiglia;
bollettino postale di pagamento del permesso di soggiorno elettronico (27,50€)
contrassegno telematico da euro 14,62
Il costo della raccomandata è di euro 30. Il permesso di soggiorno CE non può essere rilasciato a chi è pericoloso per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. La richiesta può essere presentata anche per il coniuge, i figli minori e, se a carico, per i figli maggiorenni e per i propri genitori.
Per ottenere il permesso CE anche per i familiari, oltre ai documenti elencati sopra, è necessario:
avere un reddito sufficiente alla composizione del nucleo familiare. Nel caso di due o più figli, di età inferiore ai 14 anni, il reddito minimo deve essere pari al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale;
avere la certificazione anagrafica che attesti il rapporto familiare. La documentazione proveniente dall'estero dovrà essere tradotta, legalizzata e validata dall'autorità consolare nel Paese di appartenenza o di stabile residenza dello straniero.
Con il permesso di soggiorno CE è possibile:
entrare in Italia senza visto;
svolgere attività lavorativa;
usufruire dei servizi e delle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione;
partecipare alla vita pubblica locale.
Lo straniero titolare di un permesso di soggiorno CE, rilasciato da altro Stato membro, può rimanere in Italia oltre i 3 mesi, per:
esercitare un'attività economica come lavoratore regolare;
frequentare corsi di studio o di formazione professionale;
soggiornare, dimostrando di avere sufficienti mezzi di sostentamento (reddito superiore al doppio dell'importo minimo previsto per l'esenzione della spesa sanitaria) e stipulando un'assicurazione sanitaria per l'intero periodo del soggiorno.In questo caso lo straniero titolare ottiene un permesso di soggiorno mentre ai familiari verrà rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di famiglia.
Divieti e revoche
Non è possibile richiedere il permesso di soggiorno CE nei seguenti casi:
per motivi di studio o formazione professionale;
per soggiorni a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari;
per asilo o in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato;
per possesso di un permesso di soggiorno di breve durata;
ai diplomatici, i consoli, i soggetti che godono di funzioni equiparate e i membri di rappresentanze accreditate presso organizzazioni internazionali di carattere universale.
Il permesso di soggiorno CE è revocato:
se acquisito fraudolentemente;
in caso di espulsione;
quando vengono a mancare le condizioni per il rilascio;
in caso di assenza dal territorio dell'Unione per un periodo di 12 mesi consecutivi;
in caso di ottenimento di un permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di un altro Stato membro dell'Unione europea;
in caso di assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a 6 anni.
17-11-2007
Cittadini della Comunità Europea (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/10387-Cittadini_della_Comunita_Europea )
Con il D.Lgs. nr. 32 del 28 febbraio 2008 (pdf 39 Kb), i cittadini dell'Unione Europea che intendono soggiornare in Italia per un periodo inferiore ai tre mesi, possono presentare presso un ufficio di polizia la dichiarazione di presenza (pdf 44 Kb) sul territorio nazionale. L'ufficio gli restituirà copia, debitamente timbrata, che andrà esibita ad ogni richiesta da parte delle forze di polizia. In mancanza della dichiarazione di presenza, il cittadino comunitario si intende soggiornante in Italia da più di tre mesi. Per periodi superiori ai 3 mesi è necessario iscriversi all'anagrafe (pdf 19 Kb) del comune di residenza. Per l'iscrizione è necessario presentare la documentazione che attesti lo svolgimento di un'attività lavorativa, di studio o di formazione professionale. Diversamente, è necessario dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti al soggiorno ed essere titolari di un'assicurazione sanitaria. I cittadini comunitari che hanno presentato domanda di carta di soggiorno prima dell'11 aprile 2007, potranno iscriversi all'anagrafe con la ricevuta rilasciata dalla Questura o da Poste Italiane e con l'autocertificazione dei requisiti richiesti dalla nuova normativa. Per i soggiorni di durata superiore a tre mesi, i familiari stranieri (cioè non comunitari) del cittadino comunitario devono chiedere la carta di soggiorno, presentando domanda presso la Questura o inoltrandola tramite le Poste (kit con banda gialla).Alla domanda si allegano i seguenti documenti: documento d'identità o passaporto ed eventuale visto d'ingresso, documento che attesti la qualità di familiare, l'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare del cittadino comunitario. Dopo cinque anni di permanenza continuativa, i familiari stranieri (cioè non della comunità europea) dei cittadini comunitari potranno chiedere la carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei.La richiesta della carta di soggiorno permanente deve essere presentata, prima della scadenza della carta di soggiorno, alla Questura del luogo di residenza. 07-03-2008
Richiesta di asilo politico (tratto da http://www.poliziadistato.it/articolo/212-Richiesta_di_asilo_politico )
In base alla Convenzione di Ginevra, la richiesta di asilo politico, può essere presentata dal cittadino straniero all'ufficio di polizia di frontiera, al momento dell'ingresso in Italia.Diversamente è possibile fare domanda direttamente all'Ufficio immigrazione della Questura. Dopo il fotosegnalamento, la domanda viene inoltrata alla competente Commissione Territoriale, che dovrà valutare il riconoscimento dello status di rifugiato. Per completare la richiesta è comunque necessario presentare all'Ufficio Immigrazione della Questura:
il modulo di richiesta, con le motivazioni per le quali si richiede asilo, redatto nella lingua conosciuta dalla straniero;
copia del passaporto, se posseduto;
ogni altra documentazione comprovante i motivi della richiesta.
Una volta ricevuto lo status di rifugiato, lo straniero potrà richiedere all'Ufficio Immigrazione il rilascio del permesso di soggiorno. Per avere maggiori informazioni consulta l'opuscolo informativo per il richiedente lo status di rifugiato, realizzato dalla Commissione Nazionale per il diritto d'Asilo del Ministero dell'Interno (art. 32 della legge n. 189/02) e redatto in italiano, inglese, francese, spagnolo, arabo. Dal 19 gennaio 2008 sono in vigore le norme sull'attribuzione a cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea o ad apolidi della qualifica di rifugiato o di persona ammissibile alla protezione sussidiaria. 17-11-2007

Rimando inoltre al link del blog amico http://pietrobertiimola.blogspot.com/search?updated-max=2009-05-15T05%3A47%3A00-07%3A00&max-results=7 ove è possibile reperire oltre 12 post che in dettaglio spiegano singole fattispecie cui mi sembra necessaria la trattazione.

Debito pubblico pro-capite

Contatore del debito pubblico italiano

Amore e Psiche

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Perseo e Medusa - Canova

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Paolina Borghese Bonaparte - Canova

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LIBERIAMO LE DONNE DALLA SCHIAVITU', OVUNQUE NEL MONDO!

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