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ALTALEX NEWS


lunedì 29 novembre 2010

Matrimonio nullo anche se il tradimento è solo pensato

Matrimonio nullo anche se il tradimento è solo pensato
Cassazione civile , sez. I, sentenza 08.11.2010 n° 22677

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Se la moglie non nasconde al marito, di non ritenere importante la fedeltà, sebbene non abbia mai frequentato altri uomini, il matrimonio è nullo.
Lo ha stabilito la Prima Sezione della Suprema Corte, con la sentenza 8 novembre 2010, n. 22677 con la quale si afferma come, anche se nella causa di separazione non emergano specifiche responsabilità, il fatto che la donna abbia solo teorizzato o ipotizzato la propria infedeltà nei confronti del marito è sufficiente a farle perdere il diritto all’eventuale assegno di mantenimento.
Come è risaputo, attualmente, dopo la dichiarazione di incostituzionalità delle norme che sancivano l’illiceità penale dell’adulterio e del concubinato, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà non ha più rilevanza penale.
Ciò precisato, la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, costituendo quest’ultimo una regola di condotta imperativa, oltre che una direttiva morale di particolare valore sociale, assume rilevanza come elemento per l’imputazione della responsabilità della separazione. Il giudice, in particolare, deve accertare se la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo del coniuge infedele e che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra la condotta addebitata ed il determinarsi della intollerabilità della convivenza.
L’orientamento dominante, sia in dottrina che in giurisprudenza, ritiene che l’obbligo di fedeltà coniugale debba essere inteso non tanto come astensione da rapporti sessuali con terzi, ma come reciproca dedizione fisica e morale. Il rispetto di tale principio impone al coniuge di astenersi dall’intrattenere rapporti con i terzi che, alla stregua di una valutazione sociale, siano intollerabilmente lesivi dell’esclusività del vincolo matrimoniale.
Secondo i giudici di legittimità, dunque, anche l’ostentata apparenza di infedeltà, sussistente anche nel caso in cui uno dei coniugi manifesti un’intensa passione per un terzo, può rilevarsi come lesivo del dovere di fedeltà e di rispetto della personalità morale dell’altro coniuge, doveri che sono operanti nella vita di relazione e che concorrono ad integrare il contenuto del rapporto personale matrimoniale.
(Altalex, 29 novembre 2010. Nota di Simone Marani)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 8 novembre 2010, n. 22677Svolgimento del processo
La Corte di appello di Bologna con sentenza 15 maggio 2006 ha dichiarato l'efficacia nella Repubblica italiana della sentenza di nullità del matrimonio tra T.I. e Z.G. emessa il 19 marzo 2001 dal Tribunale regionale ecclesiastico emiliano di Modena, confermata con decreto del 21 febbraio 2002 dal Tribunale eccl. reg. Flaminio di Bologna e resa esecutiva con decreto 2 marzo 2004 del Supremo Tribunale della segnatura apostolica. Ha osservato al riguardo: a)che sussistevano le condizioni di cui agli artt. 796 e 797 c.p.c., per avere il tribunale ecclesiastico osservato il principio del contraddittorio sia in primo grado, citando ed ascoltando la Z., sia in grado di appello prendendo in esame le difese di entrambe le parti, b) che detto Tribunale aveva accertato l'esclusione da parte della moglie di uno dei bona matrimonii (l'obbligo della fedeltà) e che il T. era a conoscenza di detta riserva nonchè delle infedeltà in cui era incorso il coniuge anche durante il matrimonio; c) che era preclusa al giudice della delibazione ogni nuova e diversa valutazione del quadro probatorio acquisito dal Tribunale ecclesiastico.
Per la cassazione della sentenza la Z. ha proposto ricorso per 3 motivi, illustrati da memoria cui resiste il T. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso, Z.G., deducendo violazione degli art. 324 e 797 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non aver rilevato l'esistenza di un precedente giudizio tra le parti, preclusivo alla delibazione perchè concluso dalla sentenza 8 marzo 2003 della Corte di appello di Bologna,passata in giudicato, che aveva escluso la pronuncia di addebito della separazione per fatti a lei attribuiti: perciò in contrasto con quella successiva dei giudici ecclesiastici che avevano preteso di accertare la sua violazione dell'obbligo della fedeltà.
La censura è ammissibile, perchè la questione non è nuova, essendo stata già esaminata dalla sentenza impugnata e risolta in termini sfavorevoli alla ricorrente, per avere la Corte accertato, da un lato, che la decisione ecclesiastica non risultava emessa mentre era pendente tra le parti giudizio avanti a giudice italiano avente il medesimo oggetto; e specificato, dall'altro, che tale non poteva considerarsi la disciplina dei rapporti patrimoniali tra le parti contenuta nella sentenza di separazione tra i coniugi, in quanto del tutto irrilevante in ordine alla causa di nullità del matrimonio.
Il motivo è tuttavia infondato,avendo la Corte di appello correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il riconoscimento degli effetti civili della sentenza di nullità del matrimonio concordatario pronunciata dai tribunali ecclesiastici non è precluso dalla preventiva instaurazione di un giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi dinanzi al giudice dello Stato italiano: in quanto il giudizio e la sentenza di separazione personale - il cui oggetto nel caso era costituito da asserita violazione dell'obbligo di fedeltà da parte della moglie - in relazione a fatti addebitatili dal marito (poi rimasti esclusi), hanno "petitum", "causa petendi" e conseguenze giuridiche del tutto diversi da quelli del giudizio e della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio: nella specie fondata sull'esclusione da parte della ricorrente di uno dei bona matrimonii (per divergenza tra volontà e dichiarazione) manifestata al coniuge,costituito dall'obbligo della reciproca fedeltà (Cass.3339/2003 ; 814/2009).
Con il secondo motivo,la ricorrente,deducendo violazione dell'art. 8 dell'Accordo 18 febbraio 1984 tra Stato e Santa Sede, reso esecutivo con la L. 121 del 1985, reitera la doglianza di violazione del principio del contraddittorio nel procedimento ecclesiastico, preclusivo alla delibazione della sentenza: per non avere la decisione impugnata rilevatocene in quello di primo grado il T. era stato ascoltato due volte, la seconda delle quali all'insaputa della moglie, ed ammesso al deposito di atti; e che nel procedimento di appello non era stata informata dell'udienza di discussione davanti ai competenti organi.
Questo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato: nel giudizio di merito, infatti, la Z. ha lamentato di non essere stata ascoltata dal Tribunale ecclesiatico e la doglianza è stata disattesa dalla sentenza impugnata, la quale ha accertato che la stessa era stata "posta in condizioni di esercitare il diritto di difesa, come emerge dal testo della sentenza.... nella cui parte espositiva si fa espresso riferimento alla citazione della convenuta, alla sua presentazione in udienza ed all'espletamento del suo interrogatorio...". Per cui la stessa in questo giudizio di legittimità ha modificato la propria difesa, dolendosi questa volta che il marito era stato ascoltato per ben due volte, la seconda delle quali a sua insaputa, e che gli era stato consentito di depositare un ulteriore scritto,poi utilizzato dal Tribunale ecclesiastico,senza considerare: a) che in tema di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario la violazione, nel corso del procedimento, del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio, quale situazione ostativa alla delibazione, è riscontrabile soltanto in presenza di una compromissione del diritto alla difesa negli aspetti e requisiti essenziali garantiti dall'ordinamento dello Stato, mentre resta irrilevante una mera diversità di regolamentazione processuale del diritto stesso: quale la presenza delle parti e dei difensori all'esame dei testimoni e delle parti medesime (Cass.6686/2010; 4166/1989); b) che anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18/1982, la Corte di appello, chiamata a dare esecuzione ad una sentenza ecclesiastica in materia matrimoniale, ai sensi della L. n. 810 del 1929, art. 1, ed L. n. 847 del 1929, art. 1, ha il potere-dovere di accertare, su specifiche doglianze delle parti, se vi siano state nel procedimento canonico concrete lesioni del diritto di agire e di difendersi in giudizio, alla luce degli elementi essenziali di tale diritto quali riconosciuti dall'ordinamento giuridico italiano, con indagine di fatto da condursi alla stregua degli atti e dei precisi elementi offerti dalla parte interessata; laddove nel caso tale questione non è stata neppure dedotta ai giudici del merito ed in questa sede di legittimità la ricorrente non ha indicato - e tanto meno trascritto - il contenuto del provvedimento che avrebbe disposto l'interrogatorio, nè il contenuto di quest'ultimo ovvero le parti di esso che sarebbero state utilizzate dalla decisione canonica in senso a lei sfavorevole. Ma ha semmai smentito detto assunto deducendo successivamente che il Tribunale ecclesiastico era pervenuto alla decisione contestata privilegiando la testimonianza di un sacerdote;alla quale la stessa Z. ha ammesso di avere assistito.
Priva di rilievo è infine la circostanza che il Tribunale ecclesiastico regionale non abbia fissato alcuna udienza per la discussione delle parti,avendo questa Corte rilevato che in tale fase, di tipo amministrativo e su impulso d'ufficio, è previsto il deposito (facoltativo) di atti difensionali delle parti; che resta comunque impregiudicato il loro potere d'impugnativa della decisione di primo grado; che la suddetta situazione non coinvolge gli specificati principi essenziali del diritto di difesa, ed infine che fra questi ultimi non può essere compreso il principio del doppio grado di giurisdizione, non assistito da copertura costituzionale (Cass. 5711/1985).
Con l'ultimo motivo,deducendo difetti ed insufficienza della motivazione, la Z. si duole che la Corte territoriale non abbia rilevato che la sentenza ecclesiastica aveva privilegiato la testimonianza resa da un sacerdote,per di più de relato, a favore del T., a scapito dei numerosi testi addotti da essa ricorrente che l'avevano smentita, e perciò ponendo a fondamento della riserva mentale a lei addebitata mere illazioni;e non abbia infine accolto l'istanza di acquisizione delle testimonianze rese nel procedimento ecclesiastico onde apprezzarle autonomamente ed indipendentemente ai fini della violazione dedotta.
Anche questa censura è infondata.
La sentenza impugnata non ha disatteso, ma ha semmai ricordato il principio ripetuto da questa Corte che in sede di delibazione delle sentenze del Tribunale ecclesiastico dichiarative della nullità del matrimonio concordatario per riserva mentale di uno dei due coniugi relativa ad uno dei "bona matrimonii" spetta al giudice investito del giudizio di delibazione valutare la conoscenza o conoscibilità di tale riserva da parte dell'altro coniuge, attraverso un'indagine che non si risolve nel mero controllo di legittimità della sentenza ecclesiastica di nullità, ma si estende al riesame ed alla autonoma valutazione delle prove acquisite nel processo canonico; e tuttavia ha concluso l'indagine suddetta affermando che la riserva mentale della Z. fu senz'altro conosciuta dal marito.
Questo accertamento necessario per ritenere la delibazione non contraria all'ordine pubblico italiano, non è stato contestato dalla ricorrente; la quale invece si duole che la sentenza ecclesiastica abbia tratto la prova della sua riserva mentale sull'obbligo della fedeltà soprattutto dalla testimonianza del sacerdote suddetto, teste di controparte, che riferiva peraltro fatti de relato, trascurando le contrarie affermazioni dei propri testi che l'avevano smentita.
Ma anche così articolata la censura non può trovare accoglimento anzitutto perchè la Z. si è limitata a riportare la sola parte della decisione ecclesiastica in cui viene dato atto delle divergenze tra le testimonianze di parte attrice e quelle di parte convenuta, senza trascrivere la soluzione alla questione scelta da quei giudici e le ragioni prospettate a sostegno del loro convincimento; quindi perchè al giudice della delibazione non è consentito procedere al riesame del merito ed al controllo in ordine all'effettiva esistenza della riserva mentale (4311/99; 15125/2000; 3056/2001). Infine perchè non è esatto neppure in linea di principio che il giudice non debba dare ingresso a testimonianze di relato ex parte actoris: potendo le stesse concorrere a determinare il convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica (Cass. 11844/2006; 2815/2006; 3709/2004).
Mentre non può considerarsi contraria all'ordine pubblico la circostanza che il giudice abbia privilegiato le deposizioni di alcuni testi piuttosto che quelle di altri, in quanto analoga regola vige nel sistema processuale italiano in cui la valutazione dell'attendibilità dei testi e della rilevanza delle singole deposizioni a confronto di altre risultanze processuali è rimessa all'apprezzamento del giudice del merito che, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento.
Il Collegio deve, infine, dichiarare inammissibile l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 128 c.c. e segg., che si presterebbero ad abusi, non consentendo l'esercizio di un autonomo giudizio civile per la tutela dei diritti patrimoniali delle parti, perchè estranei alla fattispecie in cui la nullità del matrimonio è stata pronunciata non in base alle citate disposizioni, ma a quelle del diritto canonico;e manifestamente infondata quella dell'analogo rinvio contenuto nella L. n. 847 del 1929, art. 18, alle disposizioni del matrimonio putativo perchè (come già rilevato dalla Corte Costituzionale (sent. 329/2001) spetta soltanto al legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità - e salvo il sindacato di costituzionalità - il potere di modificare il sistema vigente nella prospettiva della disciplina degli effetti patrimoniali di un matrimonio concordatario nullo; ed a maggior ragione di scegliere di accostarla a discipline simili a quella della separazione, personale e a quella della cessazione degli effetti civili, conseguenti alla sua trascrizione, per effetto di divorzio,malgrado le diversità strutturali e funzionali tra dette fattispecie.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del T. in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorario di difesa,oltre a spese generali ed accessori come per legge

venerdì 19 novembre 2010

Segnalazione nel SIS non legittima il rifiuto all'ingresso dell'extracomunitario

Segnalazione nel SIS non legittima il rifiuto all'ingresso dell'extracomunitario
Corte di Giustizia UE , grande sez., sentenza 31.01.2006 n° C-503/03 (Mario Pavone)

La "segnalazione" nel Sistema Informativo Schengen di un cittadino di paese terzo per motivi di pubblica sicurezza non legittima il rifiuto all'ingresso senza effettiva verifica delle condizioni di pericolosità effettive e attuali.
E' quanto finalmente stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con una importante sentenza del 31/01/2006, resa nella causa n. C-503/03.
Per comprendere la portata innovativa del provvedimento emanato,occorre ricordare che l’archivio informatico di Schengen è lo strumento utilizzato dal Ministero dell’Interno per verificare la esistenza di condanne penali a carico del cittadino straniero commessi nei Paesi aderenti al Trattato.
L'articolo 25,paragrafo 2,della convenzione Schengen prevede in questo caso l’osservanza della seguente procedura "Qualora risulti che uno straniero titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle parti contraenti è segnalato ai fini della non ammissione, la parte contraente che ha effettuato la segnalazione consulta la parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso.
Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate".
Può accadere che un cittadino straniero venga segnalato nel SIS da uno Stato membro dello spazio Schengen sulla base dell'articolo 96 della convenzione Schengen, mentre risiede regolar mente in un altro Stato membro.
Tale situazione appare,invero,illogica poiché una persona regolarmente residente nel territorio di uno Stato membro dello spazio Schengen non può contemporaneamente essere registrata nel SIS in quanto persona "indesiderabile" nello spazio Schengen.
Pertanto,è importante che ogni Autorità di protezione dei dati, quando scopra che l cittadino straniero si trovi nella situazione sopra descritta, verifichi il rispetto della procedura prevista dal citato articolo 25, paragrafo 2,della convenzione Schengen con la conseguente cancellazione della segnalazione della persona in questione.
Infatti,se il Paese che ha effettuato la segnalazione ritenga che non vi sia motivo di rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno regolarmente rilasciato,la cancellazione della segnalazione dal SIS dovrebbe essere automatica non essendo previsto dalla Convenzione,sul punto, alcun margine di discrezionalità per lo Stato che ha effettuato la segnalazione.
Per contro, gli studi effettuati in proposito da varie Associazioni hanno, rivelato che questa procedura è largamente inattuata e che può risultare oltremodo difficile per l'interessato ottenere una rapida cancellazione del provvedimento iscritto nel SIS dovendo avanzare istanza alle varie Autorità di protezione dei dati nei singoli Paesi che hanno iscrito il provvedimento e,financo, ricorrere avverso la mancata cancellazione.
E’ emerso, inoltre, come gli Stati membri ritengano di disporre della facoltà di valutare la necessità di cancellare una segnalazione iscritta sulla base dell'articolo 25, paragrafo 2 della Convenzione Schengen attribuendosi una discrezionalità non sancita dalla norma.
In definitiva ed anche alla luce di queste constatazioni, le Autorità nazionali di protezione dei dati dovrebbero applicare i principi seguenti:
verificare se la persona segnalata nel SIS sia in possesso di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da uno degli Stati membri dello spazio Schengen;
in questa ipotesi, rammentare alle autorità interessate il carattere automatico (salvo eccezioni) della cancellazione della segnalazione ed insistere affinché la cancellazione dei dati nel SIS intervenga celermente.
L’articolo 96 della Convenzione Schengen recita,in proposito,testualmente
1. I dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o dai competenti organi giurisdizionali.
2. Le decisioni possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale.
In particolare ciò può verificarsi nel caso:
a. di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno.b. di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui all' articolo 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente.
3. Le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata nè sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d`ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri.
Il successivo art.101,in tema di diritto di accesso ai dati inseriti nell’archivio di Schengen,enuncia testualmente
1. L'accesso ai dati inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen e il diritto di consultarli – diretta mente sono riservati esclusivamente alle autorità competenti in materia di:
a. controlli alle frontiere;
b. altri controlli di polizia e doganali effettuati all'interno del Paese e relativo coordinamento.
2. Inoltre, l'accesso ai dati inseriti conformemente all'articolo 96 ed il diritto di consultarli direttamente possono essere esercitati dalle autorità competenti per il rilascio dei visti, dalle autorità centrali competenti per l'esame delle domande di visti e dalle autorità competenti per il rilascio dei documenti di soggiorno e per l`amministrazione degli stranieri nei quadro dell`applicazione delle disposizioni in materia di circolazione delle persone previste dalla presente Convenzione.
L'accesso ai dati è disciplinato dal diritto nazionale di ciascuna Parte contraente.
3. Gli utenti possono consultare soltanto i dati necessari per l`assorbimento dei propri compiti.
4. Ciascuna Parte contraente comunica al Comitato esecutivo l`elenco delle autorità competenti, autorizzate a consultare direttamente i dati inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen.
L'elenco indica per ciascuna autorità i dati che essa può consultare e per quali compiti.
Dalla lettura delle norme innanzi richiamate appare evidente come risulti precluso di fatto al cittadino straniero,innanzitutto, ma anche ai difensori e finanche agli stessi Giudici investiti della legittimità di provvedimenti espulsivi, l’accesso alle informazioni contenute nel SIS atteso che tale accesso in base alla Convenzione può essere disciplinato da ciascun Paese contraente,anche in maniera difforme,e che potrebbe limitare tale diritto a talune categorie di soggetti pubblici così precludendo allo straniero ogni possibilità di conoscere le motivazioni della iscrizione ed articolare una propria difesa in aperta violazione dell’art.6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Tale valutazione appare,peraltro,condivisa da parte di alcuni Tribunali investiti della assai rilevante questione e che,in alcune decisioni,hanno sancito la illegittimità di tale preclusione.
In particolare il Tribunale di Avellino,con un importante provvedimento emanato in tema di applica zione dell’art.96 della Convenzione Schenghen, ha stabilito,in maniera del tutto innova tiva,che ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno al cittadino straniero “la mera indicazione di una segna lazione ex art.96 della Convenzione di Schenghen,comporta l’obbligo per la Prefettura di indicare nel provvedimento di espulsione la ipotesi specifica posta a base della segnalazione e risultante dal sistema informativo Schengen (SIS) al fine di consentire al destinatario del provvedimento di poter esercitare una adeguata difesa in sede giurisdizionale.(2)
Né,d’altro canto,la carenza motivazionale del provvedimento può essere superata successi vamente all’adozione del provvedimento di diniego o rinnovo del permesso di soggiorno,posto che la Prefettura ha l’obbligo di rilasciare il documento posto a fondamento della espulsione costituito dalla segnalazione emessa dall’autorità olandese allo scopo di consentire allo straniero di prendere cognizione dei motivi posti a suo fondamento ( e di impugnarne il contenuto-ndr)“.
Rammenta il Tribunale, su quest’ultimo punto, che la motivazione del provvedimento,secondo un orientamento costante della Suprema Corte, non deve essere solo apparente ma deve contenere la indicazione delle circostanze di fatto che hanno dato luogo alla sua adozione al fine di consen tire al destinatario di comprendere le ragioni della espulsione e di potersi adeguatamente difendere nelle sedi giudiziarie competenti.
Dello stesso avviso è il TAR del Veneto quando afferma che“una interpretazione costituzio nalmente corretta delle ragioni ostative della legge italiana, non può che obbligare l’amministra zione ad acquisire dallo Stato estero la documentazione relativa alle ragioni della inammissibilità nell'area Schengen,in quanto le fattispecie previste dalla norma del trattato, vanno dalla commissione di gravi reati fino alla semplice irregolarità amministrativa.
Risulta indispensabile,quindi,che l'Autorità nazionale acquisisca una idonea documentazione dallo Stato estero al fine di accertare quale sia la effettiva ragione della dichiarata inammisibilità, e, solo sulla base di tale istruttoria, motivare l'eventuale provvedimento di diniego di regolarizzazione.
Quindi un provvedimento generico di rifiuto della regolarizzazione per la semplice segnalazione dell’interessato nel Sistema Informativo Schengen, risulta essere - sempre sulla base dell’interpre tazione adottata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto e in base al necessario rispetto dei principi della nostra Costituzione – un provvedimento illegittimo e può essere valida mente impugnato(3).
La sezione distaccata di Brescia del T.A.R. Lombardia dubita,inoltre,della legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione, dell'articolo 4, comma 3, del D.lgs. 286/98, come sostituito dalla legge n. 189/2002, in correlazione con i successivi articoli 5, comma 5 e 13, comma 2, lett. b, nella parte in cui la norma prevede che l'autorità amministrativa disponga l'espulsione dello straniero dal territorio italiano in presenza di condanna per determinati reati, senza imporre l'ulteriore verifica della pericolosità sociale della persona(4) che è invece necessaria ed opportuna in tali casi(5).
Secondo il TAR Brescia, inoltre,il nuovo sistema finirebbe per introdurre una nuova forma indiretta di espulsione amministrativa autonoma a seguito di condanna penale.
L'ordinanza di remissione conclude affermando che, poiché l'espulsione è una misura che incide sulla libertà personale, se la stessa viene disposta senza un previo giudizio sulla pericolosità sociale nel caso concreto, essa finisce con il porsi in contrasto anche con l'art. 13 della Costituzione, norma applicabile a tutti gli individui, cittadini e non cittadini.
Di diverso avviso appare l’opinione del Tar dell’Emilia Romagna (7) per il quale la legittimità del provvedimento impugnato va valutata in relazione alle modificazioni apportate al T.U. sull'immigra zione dalla legge 30 luglio 2002 n. 189 posto che in virtù delle nuove disposizioni contenute nell’art. 4 comma 3 del T.U. risulta ora ostativa all’ingresso in Italia - e quindi anche al rinnovo del permesso di soggiorno precedentemente rilasciato - la circostanza che lo straniero sia stato condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per taluni reati individuati con richiamo alle previsioni di cui all’art. 380 c.p.p. o direttamente dall'ultima parte del comma citato.
Secondo i giudici emiliani,si deve riconoscere al legislatore, nella delicata materia dell'immigra zione, il potere di individuare e valutare diversamente, in epoche diverse, le situazioni rilevanti ai fini dell’ammissione e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale; e d'altra parte nell'esame delle fattispecie maggiormente suscettibili di ingenerare dubbi di costituzionalità delle norme novellate può essere seguita un'interpretazione delle stesse rispettosa dei precetti costituzionali e comunque consentita dalla formulazione delle modificazioni introdotte.
Si tratta dunque di valutare se la condanna riportata dal ricorrente rientri o meno fra quelle individuate dall’art. 4 comma 3 del T.U come ostative all'ingresso dello straniero in Italia e, conseguentemente, al rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato in precedenza(6).
Merita,pure,di essere sottolineato che in alcuni casi è accaduto che gli interessati si siano visti rifiutare il perfezionamento della regolarizzazione perché risultavano segnalati nel Sistema Informativo Schengen,sebbene nel frattempo avessero già ottenuto, dalle autorità estere che avevano inserito la segnalazione nel S.I.S., la cancellazione della stessa.
Anche per tale ragione un provvedimento generico di rifiuto della regolarizzazione per la semplice segnalazione dell’interessato nel SIS risulta essere un provvedimento illegittimo che può essere validamente impugnato dinanzi ai competenti TAR.
In tale quadro,alquanto controverso,si inserisce ora la innovativa sentenza della Corte di Giustizia Europea,in commento, emanata sul delicato problema del ricongiungimento familiare.
Va sottolineato come il Legislatore Europeo abbia più volte riconosciuto la importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato UE ed abbia largamente esteso, nei regolamenti e nelle direttive relativi alla libera circolazione delle persone, l’applicazione del diritto comunitario in materia di ingresso e di soggiorno sul territorio degli Stati membri ai cittadini di Stati terzi, coniugi di cittadini di Stati membri.
In base a tale impostazione,se,da una parte,gli Stati membri possono,quando un cittadino di uno Stato membro si sposta all’interno della Comunità al fine di esercitare i diritti conferitigli dal detto Trattato e dalle disposizioni adottate per la sua applicazione, imporre un visto di ingresso al suo coniuge, cittadino di uno Stato terzo,parimenti,dall’altra,debbono accordare a quest’ultimo ogni opportunità per ottenere il visto di cui necessita.
Tuttavia, tale diritto non risulta incondizionato atteso che tra le limitazioni previste o autorizzate dal diritto comunitario, l’art. 2 della direttiva 64/221 permette agli Stati membri di vietare a cittadini degli altri Stati membri o ai loro coniugi cittadini di uno Stato terzo l’ingresso sul loro territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
Il legislatore comunitario ha tuttavia sottoposto a limiti rigorosi l’obbligo di allegazione da parte di uno Stato membro di tali motivi posto che l’art. 3, n.1, della direttiva 64/221 stabilisce che i provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere fondati esclusivamente sul comportamento personale della persona interessata laddove il n. 2 della stessa norma precisa che la sola esistenza di condanne penali non può automaticamente motivare tali provvedimenti.
L’esistenza di una condanna penale diviene,quindi, rilevante solo in quanto le circostanze che hanno portato a tale condanna provino un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico e non altro.
La Corte precisa che la causa ostativa all’ingresso per ordine pubblico costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone da interpretarsi in modo restrittivo e la cui portata non può essere determinata unilateralmente dagli Stati membri.
In conseguenza e secondo la costante giurisprudenza della Corte, il ricorso, da parte di un’Autorità nazionale, alla nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla violazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività.
Nel caso di un cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro, una inter pretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico consente di proteggere il diritto di quest’ul timo al rispetto della sua vita familiare ai sensi dell’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.
Così interpretata,la nozione di ordine pubblico contenuta nell’art. 2 della direttiva 64/221 si pone, dunque ,in contrasto con quella stabilita dall’art. 96 della Convenzione Schengen.
Infatti, ai sensi di quest’ultimo articolo, una segnalazione nel SIS ai fini della non ammissione può essere fondata sulla minaccia per l’ordine pubblico qualora l’interessato sia stato condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno [n. 2, lett. a)] o qualora abbia formato oggetto di una misura fondata sulla non osservanza di una regolamentazione nazionale in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri (art.96,n. 3).
A differenza del regime previsto dalla direttiva 64/221, così come oggetto di interpretazione da parte della Corte, circostanze del genere giustificano da sole una segnalazione, indipenden temente da ogni applicazione concreta della minaccia rappresentata dall’interessato.
Orbene, in forza degli artt. 5 e 15 della Convenzione Schengen, l’ingresso nello spazio Schengen o il rilascio di un visto a tal fine non può, in linea di principio, essere accordato allo straniero che sia segnalato ai fini della non ammissione.
Ne consegue che una persona rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 64/221, come il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro, rischia di vedersi privato, nel caso di una segnalazione ai fini della non ammissione, della tutela prevista dalla medesima direttiva con tutte le gravi conseguenze,economiche e personali, che giò comporta.
Proprio per prevenire tale rischio gli Stati contraenti si sono impegnati, nella dichiarazione del 18 aprile 1996, a procedere alla segnalazione ai fini della non ammissione di un beneficiario del diritto comunitario solo se ricorrono le condizioni richieste da quest’ultimo.
Ciò significa che uno Stato contraente può procedere alla segnalazione di un cittadino di uno Stato terzo coniuge di un cittadino di uno Stato membro solo dopo aver constatato che la presenza di tale persona costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività ai sensi della direttiva 64/221.
In conseguenza, l’iscrizione nel SIS di un cittadino di uno Stato terzo coniuge di un cittadino di uno Stato membro costituisce certamente un indizio dell’esistenza di un motivo che giustifica il fatto che gli venga negato l’ingresso nello spazio Schengen.
Tuttavia, tale indizio dev’essere corroborato da informazioni che consentano allo Stato membro che consulta il SIS di accertare, prima di rifiutare l’ingresso nello spazio Schengen, che la presenza dell’interessato nel detto spazio costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività.
In tale contesto, occorre rilevare che l’art. 94, lett. i), della Convenzione SIS autorizza espressamente l’indicazione del motivo della segnalazione.
Lo scenario che si apre agli operatori del diritto, a seguito della sentenza,consente di rivendicare con forza nella Aule di giustizia il diritto a chiedere ed ottenere la indicazione dei motivi ostativi all’ingresso del cittadino del Paese terzo tutte le volte che si controverta su tale materia nel rispetto delle libertà fondamentali e del diritto alla difesa,tutelato dalla nostra Costituzione.
(Altalex, 2 febbraio 2006 di Mario Pavone)
__________________________(1) v. dello stesso Autore, Sistemi informativi e sentenza di condanna in Altalex, ottobre 2004.(2) v. Ordinanza del 12/1/2004,Tourab/Prefetto Avellino, inedita.(3) v.Tar Veneto,sent. n.6156/03 del 11/12/2003(4) v. Ordinanza del 15 maggio 2003, n. 683(5) sul tema v.dello stesso autore “Problemi di pericolosità sociale ed espulsione” in Filodiritto.com.(6) v.Tar Emilia, sentenza n.944 del 20/7/2003.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEA
GRANDE SEZIONE
SENTENZA 31 gennaio 2006
«Libera circolazione delle persone – Direttiva 64/221/CEE – Cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro – Diritto d’ingresso e di soggiorno – Restrizione per motivi di ordine pubblico – Sistema di informazione Schengen – Segnalazione ai fini della non ammissione»
Nella causa C‑503/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 27 novembre 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C. O’Reilly e dal sig. L. Escobar Guerrero, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Regno di Spagna, rappresentato dal sig. M. Muñoz Pérez, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuto,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann (relatore), C.W.A. Timmermans, A. Rosas, J. Malenovský, presidenti di sezione, dai sigg. S. von Bahr, J. N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász, G. Arestis, A. Borg Barthet e M. Ilešič, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale all’udienza del 10 marzo 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo rifiutato il visto nonché l’ingresso nel territorio spagnolo a due cittadini di paesi terzi, familiari di cittadini dell’Unione europea, per il semplice fatto che essi figurano nell’elenco delle persone non ammissibili del sistema di informazione Schengen (SIS) (su iniziativa di uno Stato membro) e non avendo motivato sufficientemente tali rifiuti di visto e di ingresso, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza degli artt. 1‑3 e 6 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, 56, pag. 850).
Sfondo normativo
La direttiva 64/221
2 Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 84/360:
«1. Le disposizioni contenute nella presente direttiva riguardano i cittadini di uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un altro Stato membro della Comunità allo scopo di esercitare un’attività salariata o non salariata o in qualità di destinatari di servizi.
2. Tali disposizioni trovano applicazione anche nei riguardi del coniuge e dei familiari che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle direttive adottati in questo settore in esecuzione del Trattato.»
3 Ai sensi del suo art. 2:
«1. La presente direttiva riguarda i provvedimenti relativi all’ingresso sul territorio, al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, o all’allontanamento dal territorio, che sono adottati dagli Stati membri per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
2. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.»
4 L’art. 3 della direttiva dispone:
«1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.
2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti.
(…)»
5 L’art. 6 della direttiva prevede:
«I motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, sui quali si basa il provvedimento che lo concerne, sono portati a conoscenza dell’interessato, salvo il caso che vi si oppongano motivi inerenti alla sicurezza dello Stato.»
L’acquis di Schengen
Gli accordi di Schengen
6 I governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese hanno firmato a Schengen (Lussemburgo), il 14 giugno 1985, l’accordo relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 13, in prosieguo: l’«accordo di Schengen»).
7 Tale accordo è stato concretizzato con la firma a Schengen, il 19 giugno 1990, di una convenzione di applicazione (GU 2000, L 239, pag. 19, in prosieguo: la «CAAS»), che prevede misure di cooperazione destinate a garantire, come compensazione per la soppressione delle frontiere interne, la protezione di tutti i territori delle parti contraenti. Il Regno di Spagna ha aderito all’accordo di Schengen e alla CAAS il 25 giugno 1991 (GU 2000, L 239, pag. 69).
8 L’art. 1 della CAAS definisce la nozione di «straniero» come riferita a «chi non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee».
9 Il titolo II della CAAS contiene le disposizioni relative alla soppressione dei controlli alle frontiere interne e alla circolazione delle persone. L’art. 5 della CAAS disciplina l’ingresso di stranieri nei territori degli Stati contraenti (in prosieguo: lo «spazio Schengen»). Esso dispone:
«1. Per un soggiorno non superiore a tre mesi, l’ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti:
(…)
d) non essere segnalato ai fini della non ammissione;
(…)
2. L’ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali. In tale caso, l’ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti.
(...)»
10 Gli artt. 15 e 16 della CAAS contengono un regime parallelo a quello dell’art. 5 per quanto riguarda il rilascio di visti. Questi ultimi possono essere in linea di principio rilasciati solo se è soddisfatta, in particolare, la condizione di cui all’art. 5, n. 1, lett. d), della CAAS. In via derogatoria, un visto può tuttavia essere rilasciato, per uno dei motivi elencati all’art. 5, n. 2, della CAAS, anche in caso di esistenza di una segnalazione ai fini della non ammissione. La sua validità geografica deve allora essere limitata al territorio dello Stato membro che rilascia il visto.
11 Il titolo IV della CAAS è dedicato al SIS. Ai sensi dell’art. 92, n. 1, della CAAS, quest’ultimo è composto da una sezione nazionale presso ciascuna delle parti contraenti e da un’unità di supporto tecnico. Esso permette alle autorità nazionali competenti, per mezzo di una procedura d’interrogazione autorizzata, di disporre di segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle frontiere e di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali effettuati all’interno del paese conformemente al diritto nazionale nonché, nel caso di segnalazione di persone ai fini della non ammissione, ai fini della procedura di rilascio di visti e di documenti di soggiorno e, più in generale, dell’amministrazione degli stranieri nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni sulla circolazione delle persone della CAAS.
12 L’art. 96 della CAAS disciplina la segnalazione ai fini della non ammissione. Esso recita:
«1. I dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o dai competenti organi giurisdizionali.
2. Le decisioni possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale.
In particolare ciò può verificarsi nel caso:
a) di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno;
b) di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui all’articolo 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente.
3. Le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d’ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri.»
13 L’art. 94 della CAAS riguarda i dati che possono essere inseriti nel SIS. Ai sensi del suo n. 1, spetta allo Stato che fornisce la segnalazione verificare se l’importanza del caso giustifica l’inserimento della segnalazione nel SIS. Il suo n. 3 elenca tassativamente gli elementi che possono essere inseriti. Tra questi ultimi figurano i seguenti.
«g) indicazione che le persone in questione sono armate;
h) indicazione che le persone in questione sono violente;
i) motivo della segnalazione;
j) linea di condotta da seguire».
14 Ai sensi dell’art. 105 della CAAS, lo Stato che ha effettuato la segnalazione è responsabile dell’esattezza, dell’attualità e della liceità dell’inserimento dei dati nel SIS. Conformemente all’art. 106, solo tale Stato è autorizzato a modificare, integrare, rettificare o cancellare i dati da esso inseriti. In applicazione dell’art. 112, n. 1, seconda frase, esso deve esaminare la necessità della loro conservazione non oltre tre anni dopo il loro inserimento.
15 In forza dell’art. 134 della CAAS, le disposizioni di tale convenzione sono applicabili solo nella misura in cui sono compatibili con il diritto comunitario.
16 Le condizioni di iscrizione di uno straniero nel SIS sono state definite più precisamente dalla dichiarazione del comitato esecutivo istituito dalla CAAS, del 18 aprile 1996, relativa alla definizione del concetto di straniero (GU 2000 L 239, pag. 458, in prosieguo: la «dichiarazione del 18 aprile 1996»). Ai sensi di quest’ultima:
«In previsione dell’applicazione dell’articolo 96 della [CAAS],
i beneficiari del diritto comunitario non devono in linea di massima essere iscritti nell’elenco comune delle persone non ammissibili.
Tuttavia, possono essere iscritte in tale elenco le seguenti persone, che beneficiano del diritto comunitario, se le condizioni dell’iscrizione rispondono alle norme del diritto comunitario:
a) i componenti della famiglia dei cittadini dell’Unione europea che abbiano la cittadinanza di uno Stato terzo e che in forza di un atto adottato in applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea fruiscano del diritto di ingresso e di soggiorno in uno Stato membro;
b) (…)
Laddove si accerti che una persona iscritta nell’elenco comune delle persone non ammissibili risulta essere beneficiaria del diritto comunitario, l’iscrizione può essere mantenuta soltanto se compatibile con il diritto comunitario. In caso contrario, lo Stato membro che ha proceduto all’iscrizione della persona in questione, adotta tutti i provvedimenti necessari per annullarla.»
17 Con decisione 28 aprile 1999, SCH/Com-ex (99) 5, il comitato esecutivo istituito dalla CAAS ha adottato il manuale Sirene, riguardante l’istituzione e il funzionamento di una procedura che doveva consentire di trasmettere, ad un utilizzatore che avesse ricevuto una risposta positiva ad un’interrogazione del SIS, le informazioni complementari necessarie alla sua azione. Nella sua versione pubblicata a seguito della decisione del Consiglio 14 ottobre 2002, 2003/19/CE, relativa alla declassificazione di talune parti del manuale Sirene (GU 2003, L 8, pag. 34), quest’ultimo prevede, al suo punto 2.2.1., che il sistema istituito deve permettere di rispondere il più rapidamente possibile alle richieste d’informazione rivoltegli dalle altre parti contraenti (GU 2003, C 38, pag. 1). Il termine di risposta non deve essere superiore a dodici ore.
Il protocollo di Schengen
18 Ai sensi dell’art. 1 del protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, allegato al Trattato sull’Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea dal Trattato di Amsterdam (in prosieguo: il «protocollo di Schengen»), tredici Stati membri dell’Unione, tra cui la Repubblica federale di Germania e il Regno di Spagna, sono stati autorizzati ad instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel settore rientrante nel campo di applicazione dell’acquis di Schengen, quale definito nell’allegato del detto protocollo. Tale cooperazione deve essere realizzata nell’ambito giuridico e istituzionale dell’Unione e dei Trattati UE e CE.
19 Conformemente all’allegato del protocollo di Schengen, fanno in particolare parte dell’acquis di Schengen l’accordo di Schengen e la CAAS nonché le decisioni del comitato esecutivo istituito da quest’ultima.
20 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, primo comma, del protocollo di Schengen, a decorrere dalla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’acquis di Schengen si applica immediatamente ai tredici Stati membri di cui all’art. 1 del detto protocollo.
21 In applicazione dell’art. 2, n. 1, secondo comma, del protocollo di Schengen, il Consiglio ha emanato, il 20 maggio 1999, la decisione 1999/436/CE che determina, in conformità delle pertinenti disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea, la base giuridica per ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen (GU L 176, pag. 17). L’art. 62, n. 2, lett. a), CE è stato designato come il fondamento normativo dell’art. 5 della CAAS [ad eccezione del n. 1, lett. e)] e l’art. 62, n. 2, lett. b), CE è stato designato come il fondamento normativo degli artt. 15 e 16 della CAAS. Poiché nessun fondamento normativo è stato determinato per gli artt. 92-119 e 134 della CAAS nonché per la dichiarazione 18 aprile 1996, tali disposizioni, conformemente all’art. 2, n. 1, quarto comma, del protocollo di Schengen, sono considerati atti fondati sul titolo VI del Trattato UE.
Il procedimento precontenzioso
22 La Commissione ha avviato il procedimento precontenzioso previsto all’art. 226, primo comma, CE a seguito di due denunce provenienti da cittadini algerini, i sigg. Farid e Bouchair, ai quali le autorità spagnole avevano rifiutato l’ingresso nello spazio Schengen.
23 All’epoca del rispettivo rifiuto, il sig. Farid era coniugato con una cittadina spagnola e viveva con la sua famiglia a Dublino (Irlanda). Il 5 febbraio 1999, al momento del suo arrivo all’aeroporto di Barcellona (Spagna) su un volo proveniente dall’Algeria, il sig. Farid si è visto respingere l’ingresso nello spazio Schengen. Tale rifiuto era motivato con il fatto che il sig. Farid era oggetto di una segnalazione ai fini della non ammissione inserito nel SIS a seguito di una dichiarazione della Repubblica federale di Germania. Un visto richiesto il 17 settembre 1999 presso il consolato di Spagna a Dublino è stato rifiutato con lettera 17 dicembre 1999 per lo stesso motivo.
24 All’epoca del rispettivo rifiuto, il sig. Bouchair era anch’egli coniugato con una cittadina spagnola e viveva con lei a Londra (Regno Unito). In preparazione di un viaggio turistico e familiare con la moglie, il sig. Bouchair ha chiesto al consolato di Spagna a Londra un visto d’ingresso nello spazio Schengen. Il visto richiesto è stato respinto il 9 maggio 2000 in quanto il sig. Bouchair non soddisfaceva le condizioni previste all’art. 5, n. 1, della CAAS. Una seconda domanda è stata respinta il 19 giugno 2001. Nel corso del procedimento precontenzioso, è risultato che il visto non era stato rilasciato a seguito dell’esistenza, anche per questo richiedente, di una segnalazione ai fini della non ammissione effettuata dalla Repubblica federale di Germania.
25 Risulta dagli atti che, nei due casi, il motivo della segnalazione non era indicato nel SIS.
26 Con lettera 23 aprile 2001, la Commissione ha invitato il Regno di Spagna a presentare le sue osservazioni sulle denunce. Il governo spagnolo ha confermato l’esposizione dei fatti. Esso ha tuttavia contestato l’addebito secondo il quale la prassi amministrativa imputatagli sarebbe stata contraria alla direttiva 64/221.
27 Poiché il governo spagnolo ha mantenuto la sua posizione nella sua risposta al parere motivato inviatogli dalla Commissione il 26 giugno 2002, quest’ultima ha proposto il ricorso in esame.
28 Il Regno di Danimarca conclude per il rigetto del ricorso e per la condanna della Commissione alle spese.
Sul ricorso
Osservazioni preliminari
29 La Commissione sostiene che, rifiutando l’ingresso nel territorio e il rilascio di un visto a due cittadini di uno Stato terzo, coniugi di cittadini di uno Stato membro, per il solo motivo che tali persone avevano formato oggetto di una segnalazione nel SIS ai fini della non ammissione, il Regno di Spagna non ha rispettato gli obblighi della direttiva 64/221, così come quest’ultima è stata interpretata dalla Corte.
30 Il governo spagnolo fa valere che una prassi amministrativa conforme alle disposizioni della CAAS non può essere contraria al diritto comunitario poiché le disposizioni della CAAS fanno parte del diritto comunitario a partire dall’inserimento, operato dal Trattato di Amsterdam, dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione.
31 Secondo tale governo, la prassi delle autorità spagnole è conforme alle norme della CAAS. La segnalazione di una persona nel SIS ai fini della non ammissione rientrerebbe nella sola competenza e nella sola responsabilità dello Stato che ha effettuato la segnalazione. Rifiutando l’ingresso nel territorio e il rilascio di un visto a persone che formavano oggetto di una siffatta segnalazione, il Regno di Spagna si sarebbe limitato ad eseguire i suoi obblighi ai sensi degli artt. 5 e 15 della CAAS.
32 Alla luce dell’argomentazione del governo spagnolo, occorre, in via preliminare, precisare i rapporti tra la CAAS e il diritto comunitario della libera circolazione delle persone.
33 Per quanto riguarda il perirodo anteriore all’inserimento dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione, tali rapporti erano disciplinati dall’art. 134 della CAAS, ai sensi del quale le disposizioni di quest’ultima erano applicabili solo nella misura in cui erano compatibili con il diritto comunitario.
34 Questa norma è stata riprodotta dal protocollo di Schengen che, al terzo punto del suo preambolo, conferma che le disposizioni dell’acquis di Schengen sono applicabili solo se e nella misura in cui esse sono compatibili con il diritto dell’Unione e della Comunità. L’art. 1 del detto protocollo precisa che la cooperazione rafforzata nel settore dell’acquis di Schengen deve essere realizzata nell’ambito giuridico e istituzionale dell’Unione e nel rispetto dei Trattati. Tale disposizione è l’espressione particolare del principio sancito all’art. 43, primo comma, UE, secondo il quale una cooperazione rafforzata deve rispettare i detti Trattati e il quadro istituzionale dell’Unione nonché l’acquis comunitario.
35 Ne consegue che la conformità di una prassi amministrativa alle disposizioni della CAAS permette di giustificare il comportamento delle autorità nazionali competenti solo a condizione che l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi sia compatibile con le norme comunitarie che disciplinano la libera circolazione delle persone.
36 Nei due casi che formano oggetto del presente ricorso, come ha sostenuto il governo spagnolo, le autorità spagnole hanno agito conformemente al meccanismo previsto dalla CAAS. Infatti, in forza degli artt. 94, n. 1, e 105 della CAAS, la valutazione dell’esistenza o meno di circostanze che giustifichino l’inserimento della segnalazione di uno straniero nel SIS rientra nella competenza dello Stato che ha effettuato la segnalazione, nella fattispecie la Repubblica federale di Germania, che è responsabile dell’esattezza, dell’attualità e della liceità dei dati da esso inseriti nel SIS ed è il solo autorizzato a completarli, rettificarli o cancellarli. Gli altri Stati contraenti, dal canto loro, in assenza di circostanze eccezionali senza rilevanza nell’ambito del presente procedimento, sono tenuti, conformemente agli artt. 5 e 15 della CAAS, a rifiutare l’ingresso e il rilascio di un visto allo straniero che forma oggetto di una segnalazione ai fini della non ammissione.
37 L’automaticità di questo rifiuto è l’espressione del principio di cooperazione tra gli Stati contraenti, che è alla base dell’acquis di Schengen e che è indispensabile al funzionamento di un sistema di gestione integrata diretto a garantire un livello elevato e uniforme di controllo e di sorveglianza alle frontiere esterne in corollario con il libero attraversamento delle frontiere all’interno dello spazio Schengen.
38 Tuttavia, in quanto l’automaticità del rifiuto prevista agli artt. 5 e 15 della CAAS non distingue a seconda che lo straniero interessato sia o meno coniuge di un cittadino di uno Stato membro, occorre verificare se il comportamento delle autorità spagnole fosse compatibile con le norme comunitarie che disciplinano la libera circolazione delle persone, in particolare con la direttiva 64/221.
Sulla prima censura
Argomenti delle parti
39 La Commissione contesta al Regno di Spagna il fatto di aver violato le disposizioni della direttiva 64/221 rifiutando l’ingresso nel suo territorio e il rilascio di un visto a due cittadini di uno Stato terzo, coniugi di cittadini di uno Stato membro, per il solo motivo che essi erano segnalati nel SIS ai fini della non ammissione. Essa ricorda che, secondo una giurisprudenza costante, l’accesso al territorio di uno Stato membro può essere rifiutato ad un cittadino dell’Unione o ad un suo familiare solo qualora l’interessato rappresenti una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività (sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. pag. 1219, punto 28, e 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc. pag. 1999, punto 35).
40 Il governo spagnolo rileva che, ad eccezione del caso particolare delle domande di soggiorno, non esiste alcuna norma nella CAAS che obblighi uno Stato contraente a consultare lo Stato che ha proceduto ad una segnalazione ai fini della non ammissione sui motivi che hanno giustificato l’inserimento di tale segnalazione nel SIS. Esso sottolinea che, come risulta dalla dichiarazione del 18 aprile 1996, gli Stati contraenti hanno accettato il principio secondo il quale l’iscrizione nel SIS di beneficiari del diritto comunitario può essere effettuata e mantenuta solo se è compatibile con il diritto comunitario. Pertanto, l’esistenza di tale iscrizione potrebbe essere legittimamente considerata come indizio di una minaccia effettiva e grave.
Giudizio della Corte
41 Riconoscendo l’importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato CE (sentnze 11 luglio 2002, causa C‑60/00, Carpenter, Racc. pag. I‑6279, punto 38, e 25 luglio 2002, causa C‑459/99, MRAX, Racc. pag. I‑6591, punto 53), il legislatore comunitario ha largamente esteso, nei regolamenti e nelle direttive relativi alla libera circolazione delle persone, l’applicazione del diritto comunitario in materia di ingresso e di soggiorno sul territorio degli Stati membri ai cittadini di Stati terzi, coniugi di cittadini di Stati membri. Se gli Stati membri possono, quando un cittadino di uno Stato membro si sposta all’interno della Comunità al fine di esercitare i diritti conferitigli dal detto Trattato e dalle disposizioni adottate per la sua applicazione, imporre un visto di ingresso al suo coniuge, cittadino di uno Stato terzo, gli Stati membri devono tuttavia accordare a quest’ultimo ogni opportunità per ottenere il visto di cui necessita.
42 Nella fattispecie, è pacifico che i sigg. Farid e Bouchair, cittadini di Stati terzi, traevano dal loro status di congiunti di cittadini di uno Stato membro il diritto di entrare nel territorio degli Stati membri o di ottenere un visto a tal fine.
43 Il diritto dei cittadini di uno Stato membro e dei loro coniugi di entrare e di soggiornare sul territorio di un altro Stato membro non è tuttavia incondizionato. Tra le limitazioni previste o autorizzate dal diritto comunitario, l’art. 2 della direttiva 64/221 permette agli Stati membri di vietare a cittadini degli altri Stati membri o ai loro coniugi cittadini di uno Stato terzo l’ingresso sul loro territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (v., a proposito del coniuge, citata sentenza MRAX, punti 61 e 62).
44 Il legislatore comunitario ha tuttavia sottoposto a limiti rigorosi l’allegazione da parte di uno Stato membro di tali motivi. L’art. 3, n. 1, della direttiva 64/221 stabilisce che i provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere fondati esclusivamente sul comportamento personale della persona interessata. Il n. 2 di tale articolo precisa che la sola esistenza di condanne penali non può automaticamente motivare tali provvedimenti. L’esistenza di una condanna penale può così essere presa in considerazione solo in quanto le circostanze che hanno portato a tale condanna provino un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico (sentenze Bouchereau, cit., punto 28, e 19 gennaio 1999, causa C‑348/96, Calfa, Racc. pag. I‑11, punto 24).
45 La Corte, dal canto suo, ha sempre sottolineato che l’eccezione di ordine pubblico costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, da intendersi in modo restrittivo e la cui portata non può essere determinata unilateralmente dagli Stati membri (citate sentenze Rutili, punto 27; Bouchereau, punto 33; Calfa, punto 23, nonché 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri, Racc. pag. I‑5257, punti 64 e 65).
46 Di conseguenza, secondo una giurisprudenza costante, il ricorso, da parte di un’autorità nazionale, alla nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività (citate sentenze Rutili, punto 28; Bouchereau, punto 35, nonché Orfanopoulos e Oliveri, punto 66).
47 Occorre sottolineare che, nel caso di un cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro, tale interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico permette altresì di proteggere il diritto di quest’ultimo al rispetto della sua vita familiare ai sensi dell’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (v., in questo senso, sentenze Carpenter, cit., punto 41, e 23 settembre 2003, causa C‑109/01, Akrich, Racc. pag. I‑9607, punto 58).
48 Pertanto, è giocoforza constatare che la nozione di ordine pubblico ai sensi dell’art. 2 della direttiva 64/221 non corrisponde a quella dell’art. 96 della CAAS. Infatti, ai sensi di quest’ultimo articolo, una segnalazione nel SIS ai fini della non ammissione può essere fondata sulla minaccia per l’ordine pubblico qualora l’interessato sia stato condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno [n. 2, lett. a)] o qualora abbia formato oggetto di una misura fondata sulla non osservanza di una regolamentazione nazionale in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri (n. 3). A differenza del regime previsto dalla direttiva 64/221, quale interpretata dalla Corte, circostanze del genere giustificano da sole una segnalazione, indipendentemente da ogni applicazione concreta della minaccia rappresentata dall’interessato.
49 Orbene, in forza degli artt. 5 e 15 della CAAS, l’ingresso nello spazio Schengen o il rilascio di un visto a tal fine non può, in linea di principio, essere accordato allo straniero che sia segnalato ai fini della non ammissione.
50 Ne consegue che, nel meccanismo previsto dalla CAAS, una persona rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 64/221, come il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro, rischia di vedersi privato, nel caso di una segnalazione ai fini della non ammissione, della tutela prevista dalla detta direttiva.
51 Proprio per prevenire tale rischio gli Stati contraenti si sono impegnati, nella dichiarazione del 18 aprile 1996, a procedere alla segnalazione ai fini della non ammissione di un beneficiario del diritto comunitario solo se ricorrono le condizioni richieste da quest’ultimo.
52 Ciò significa che uno Stato contraente può procedere alla segnalazione di un cittadino di uno Stato terzo coniuge di un cittadino di uno Stato membro solo dopo aver constatato che la presenza di tale persona costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività ai sensi della direttiva 64/221.
53 Di conseguenza, l’iscrizione nel SIS di un cittadino di uno Stato terzo coniuge di un cittadino di uno Stato membro costituisce certamente un indizio dell’esistenza di un motivo che giustifica il fatto che gli venga negato l’ingresso nello spazio Schengen. Tuttavia, tale indizio dev’essere corroborato da informazioni che consentano allo Stato membro che consulta il SIS di accertare, prima di rifiutare l’ingresso nello spazio Schengen, che la presenza dell’interessato nel detto spazio costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività. In tale contesto, occorre rilevare che l’art. 94, lett. i), della CAAS autorizza espressamente l’indicazione del motivo della segnalazione.
54 Nei due casi all’origine del presente ricorso, le autorità soagnole, nei confronti delle quali i sigg. Farid e Bouchair, cittadini di uno Stato terzo, avevano debitamente provato il loro status di coniugi di cittadini di uno Stato membro, si sono limitate, per rifiutare agli interessati l’ingresso nello spazio Schengen, ad accertare l’esistenza, nel SIS, di segnalazioni ai fini della non ammissione prive dell’indicazione del loro motivo.
55 In una situazione del genere, le autorità spagnole non potevano legittimamente rifiutare tale ingresso agli interessati senza aver precedentemente verificato se la loro presenza costituisse una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività.
56 Nell’ambito di tale verifica, occorre rilevare che, se il principio di leale cooperazione che è alla base dell’acquis di Schengen implica che lo Stato che consulta il SIS tenga debitamente in considerazione gli elementi forniti dallo Stato che ha effettuato la segnalazione, esso implica altresì che quest’ultimo debba tenere a disposizione del primo le informazioni complementari che gli consentano di valutare concretamente l’importanza della minaccia che la persona segnalata può rappresentare.
57 La rete di uffici Sirene è stata appunto istituita al fine di informare le autorità nazionali che si trovino di fronte ad un problema nell’esecuzione di una segnalazione. In base al punto 2.2.1. del manuale Sirene, il sistema istituito deve permettere di rispondere il più rapidamente possibile alle richieste di informazioni formulate dalle altre parti contraenti, mentre il termine di risposta non dev’essere superiore a dodici ore.
58 In ogni caso, il termine di risposta ad una richiesta di informazioni non può superare un termine ragionevole alla luce delle circostanze del caso di specie, circostanze che possono essere valutate in maniera diversa a seconda che si tratti di una domanda di visto o dell’attraversamento di una frontiera. In quest’ultimo caso, è assolutamente necessario che le autorità nazionali che, avendo constatato che un cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino di uno Stato membro, ha formato oggetto di una segnalazione nel SIS ai fini della non ammissione, hanno chiesto un complemento di informazione allo Stato che ha effettuato la segnalazione ricevano da quest’ultimo un’informazione rapida.
59 Alla luce di tutte queste considerazioni, si deve constatare che, avendo rifiutato l’ingresso nello spazio Schengen al sig. Farid nonché il rilascio di un visto ai fini dell’ingresso in tale spazio ai sigg. Farid e Bouchair, cittadini di uno Stato terzo coniugi di cittadini di uno di uno Stato membro, per il solo motivo che essi erano segnalati nel SIS ai fini della non ammissione, senza aver preliminarmente verificato se la presenza di tali persone costituisse una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza degli artt. 1-3 della direttiva 64/221.
Sulla seconda censura
Argomenti delle parti
60 Con questa censura, la Commissione contesta alle autorità spagnole il fatto di non aver indicato, nelle loro decisioni, i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza sui quali esse si sono basate per rifiutare ai sigg. Farid e Bouchair l’ingresso sul territorio spagnolo e il rilascio di un visto.
61 Il governo spagnolo riporta nel suo controricorso gli stessi argomenti addotti a fronte della prima censura.
Giudizio della Corte
62 Per quanto riguarda la prima censura, è stato dichiarato al punto 59 della presente sentenza, che, rifiutando l’ingresso nello spazio Schengen al sig. Farid nonché il rilascio di un visto ai fini dell’ingresso in tale spazio ai sigg. Farid e Bouchair, cittadini di uno Stato terzo coniugi di cittadini di uno Stato membro, per il solo motivo che essi erano segnalati nel SIS ai fini della non ammissione, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza degli artt. 1-3 della direttiva 64/221.
63 Poiché il rifiuto opposto dalle autorità spagnole è il solo fatto configurante la violazione del diritto comunitario asserita dalla Commissione, non vi è luogo a provvedere sulla seconda censura.
Sulle spese
64 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna del Regno di Spagna, quest’ultimo, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) Avendo rifiutato l’ingresso sul territorio degli Stati parti contraenti dell’accordo relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato il 14 giugno 1985 a Schengen, al sig. Farid nonché il rilascio di un visto ai fini dell’ingresso in tale territorio ai sigg. Farid e Bouchair, cittadini di uno Stato terzo coniugi di cittadini di uno Stato membro, per il solo motivo che essi erano segnalati nel sistema d’informazione Schengen ai fini della non ammissione, senza aver preliminarmente verificato se la presenza di tali persone costituisse una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza degli artt. 1-3 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
2) Il Regno di Spagna è condannato alle spese.
Firme

La condizione di reciprocità nell’art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile del 1942 :: Diritto & Diritti

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