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ALTALEX NEWS


giovedì 22 settembre 2011

Pubblico impiego e mansioni superiori di fatto (Cons. Stato, n. 4890/2011)

Pubblico impiego e mansioni superiori di fatto (Cons. Stato, n. 4890/2011)

massima: Anche nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori comporta, in favore del pubblico dipendente, il diritto alla corresponsione del trattamento retributivo corrispondente alla mansione di livello superiore effettivamente svolta.

1. Premessa
La decisione in esame ribadisce che è vero, infatti, che, a norma dell'art. 56 co. 6 d.l.vo 3.2.1993, nel testo sostituito dall'art. 25 d.lgs. 31.3.1998 n. 80, poi modificato dall'art. 15 d.l.vo 29.10.1998 n. 387 e corrispondente ora all'art. 52 co. 5 d.l.vo 30.3.2001 n. 165, in caso di assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, l'assegnazione è nulla, "ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore", e ciò senza sbarramenti temporali, in applicazione del principio di retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 (1).
Inoltre, a norma dell'art. 52 co. 3 d.l.vo 165/01, "si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri dì dette mansioni''.
La giurisprudenza di



legittimità ha conseguentemente affermato che "nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario è illegittimo, ma, ove tali mansioni vengano di fatto svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l'attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni, il lavoratore ha comunque diritto al corrispondente trattamento economico (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento del proprio diritto a differenze retributive proposta da un funzionario pubblico destinatario dell'incarico di direttore reggente dell'ufficio, in quanto questi avrebbe dovuto provare non solo di aver svolto dette funzioni, ma anche i dati relativi all'impegno, in termini qualitativi e quantitativi, che la mansione superiore aveva in concreto comportato) (2).

2. Mansioni superiori e d.lgs. 387/1998
La nozione di "mansione" nel settore del pubblico impiego assume aspetti di peculiarità e non si identifica nel mero collegamento materiale di taluni compiti espletati dal dipendente a quelli di una diversa o superiore qualifica, ma presuppone il concorso di qualità professionali e di livello culturale da vagliarsi preventivamente in base ai giudizi idoneativi previsti dalle norme di settore, i quali soli
[...] [...]
garantiscono l'effettiva corrispondenza della professionalità richiesta - cui corrisponde un determinato livello di trattamento economico - agli scopi che l'Amministrazione intende perseguire avvalendosi di una determinata prestazione lavorativa
L'irrilevanza delle mansioni rese in fatto dal pubblico dipendente a costituire il diritto alla retribuzione della corrispondente qualifica ha, inoltre, trovato conferma nella decisione dell'Adunanza Plenaria n. 3 del 24.03.2006, che solo a partire dall'entrata in vigore dell' art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha riconosciuto, in base al carattere innovativo e non interpretativo della norma, la possibilità di riconoscere un più elevato trattamento economico per il periodo di effettiva prestazione di mansioni superiori.
Infatti, va precisato che il diritto ad una retribuzione superiore non può fondarsi:
a) sull'art. 2041 cod. civ.: come affermato in giurisprudenza il diritto del pubblico dipendente al trattamento corrispondente a quello di una qualifica superiore per lo svolgimento delle relative funzioni (o mansioni) non può fondarsi sull'ingiustificato arricchimento dell' Amministrazione, atteso che l'esercizio di tali funzioni o mansioni, svolto durante l'ordinaria prestazione lavorativa, non crea alcuna effettiva diminuzione patrimoniale in danno del dipendente. Non è configurabile, pertanto, il c.d. depauperamento che costituisce requisito essenziale dell'azione esperibile ai sensi dell'art. 2041 cod. civ. è (3);
b) l'art. 2126,



primo comma, cod. civ.: tale disposizione, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità del titolo (4), riguarda un fenomeno del tutto diverso (e cioè lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato. Pertanto essa non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento, emanati in conformità alle leggi ed ai regolamenti (5).

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato, Componente, dal 1 ° novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù
(estratto da: http://www.diritto.it/docs/32232-pubblico-impiego-e-mansioni-superiori-di-fatto-cons-stato-n-4890-2011?page=2 )
_____________
(1) Così: Cass. civ., Sez. Un., 11.12.2007, n. 25837; Cass. civ., 14.6.2007, n. 13877 e Cass. civ., 17.4.2007, n. 9130.
(2) Cfr. Cass. civ., 12.4.2006, n. 8529.
(3) Cfr. Cons. St., Sez. IV, 06.04.2004, n. 1831; Cons. Stato, sez. VI, 31.03.2004, n. 1727; Cons. Stato, sez. V, 18.3.2002, n. 1552.
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27.3.2003, n. 1595; Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n. 354.
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24.1.2003, n. 329; Cons. Stato, Sez. V, 17.5.1997, n. 515.

_____________________________

Pubblico impiego – Concorso – Differenze retributive – Mansioni superiori

Consiglio di Stato n. 4890/2011, sez. III del 31/8/2011

FATTO
Il geom. Antonio Sculli, collaboratore amministrativo (VII liv.) presso l’ASL n. 9 di Locri (già USL n. 28 e USSL n. 9), espone di aver svolto dal 1982 mansioni del tutto analoghe a quelle di capo ufficio tecnico (XI liv.) prima coadiuvando il titolare e sostituendolo in caso di assenza, come risulta dalla deliberazione 19 giugno 1992 n. 669 dell’Amministratore straordinario dell’USL n. 28, poi su incarico appunto di capo ufficio tecnico disposto con ordine di servizio 7 luglio 1994 n. 1164 mentre al titolare era stata attribuita la responsabilità del più ampio servizio n. 11.
Inoltre, in applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 547 del 1993, con deliberazione 27 giugno 1995 n. 571 gli sono state conferite le funzioni di capo ufficio tecnico con diritto alle differenze retributive, ma a seguito di rilievi del collegio dei revisori con deliberazione 5 febbraio 1996 n. 273 il provvedimento è stato parzialmente revocato nel senso del riconoscimento delle differenze retributive solo tra il VII livello e quello immediatamente superiore.
Ancora sulla base di rilievi del collegio dei revisori, le deliberazioni n. 153 del 1996 e n. 571 del 1995 sono state



annullate d’ufficio con deliberazione 8 marzo 1996 n. 272, comunicatagli (essa sola e non anche le altre) con nota 22 marzo 1996 spedita il giorno 26 ed a lui pervenuta almeno il giorno seguente.
L’interessato ha proposto, perciò, nel 1996 davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, un ricorso avente ad oggetto la declaratoria del suo diritto a percepire le differenze retributive tra la qualifica formalmente ricoperta e quella corrispondente alle mansioni superiori svolte dal 1982, previa declaratoria di illegittimità delle deliberazioni 5 febbraio 1996 n. 153 e 8 marzo 1996 n. 272.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per tardività con sentenza 27 dicembre 2004 n. 1016.
In particolare, il TAR ha ritenuto che la pretesa di riconoscimento della rilevanza delle mansioni superiori ai fini giuridici ed economici, non potesse prescindere dall’annullamento di tali deliberazioni, tuttavia impugnate tardivamente.
Di qui l’appello, inoltrato per la notifica il 6 dicembre 2005 e depositato il 30 seguente, cui il geom. Sculli, ricordati i motivi formulati in primo grado, ha dedotto:
1.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e 31 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Violazione e
[...] [...]
falsa applicazione delle norme relative alla esecutività, pubblicazione e comunicazione delle delibere dell’amministrazione sanitaria. Insufficienza e/o carenza della motivazione.
In primo luogo, oggetto del ricorso erano solo le differenze retributive, ossia una pretesa costituente diritto soggettivo di natura patrimoniale non soggetta a termine di decadenza. In secondo luogo, erroneamente il TAR ha computato il termine per l’impugnazione della data di adozione delle deliberazioni e non dalla piena conoscenza della relativa comunicazione.
2.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979, 36 della Costituzione, 2126 cod. civ. e dei principi stabiliti in materia dalla Corte Costituzionale.
Per il periodo dal 1982 al 1994, la deliberazione 19 giugno 1992 n. 669 riconosce ampiamente le funzioni svolte dal geom. Sculli, il quale ha coadiuvato il capo ufficio svolgendo mansioni del tutto analoghe a questi; e ciò essendo incontrovertibile, può prescindersi dalla sussistenza delle condizioni del posto vacante d’organico e del conferimento con provvedimento formale.
Per il secondo periodo, decorrente dall’assunzione della citata disposizione di servizio 7 luglio 1994 n. 1164, cui ha fatto seguito deliberazione n. 571 del 1995, ricorrono tutte le condizioni richieste dall’orientamento più restrittivo, sicché le deliberazioni nn. 153 e 272 del 1996 devono ritenersi



illegittime.
3.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in relazione all’omessa comunicazione avvio procedimento di revoca.
4.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Non è stato tenuto conto che la deliberazione n. 669 del 1992 e la disposizione di servizio del 1994 non erano state revocate, né è stato esplicitato il superiore interesse pubblico alla revoca in comparazione col sacrificio imposto al dipendente.
L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.
All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.
DIRITTO
Col ricorso di primo grado il geom. Antonio Sculli chiedeva «l’accertamento del diritto a percepire le differenze stipendiali maturate per lo svolgimento, di fatto, delle funzioni superiori dal 1982 ad oggi, oltre accessori»; chiedeva, altresì, l’annullamento delle deliberazioni 5 febbraio 1996 n. 153 e 8 marzo 1996 n. 272 del Direttore generale dell’ASL n. 9 di Locri, con le quali sono stati annullati d’ufficio i provvedimenti di attribuzione delle differenze retributive così rivendicate.
In tal modo il ricorrente, che non ha affatto posto questioni di incidenza delle predette funzioni superiori sul proprio status giuridico, ha introdotto un’azione chiaramente di accertamento della sussistenza di diritto soggettivo perfetto di
[...] [...]
carattere patrimoniale, soggetta al termine di prescrizione e non a quello di decadenza, giacché le deliberazioni menzionate consistono in atti c.d. paritetici, i quali non sono suscettibili di incidere negativamente sul diritto in questione e la cui impugnativa resta, quindi, del tutto irrilevante.
Pertanto, è pienamente fondato il primo profilo del primo motivo d’appello, col quale tanto si sostiene per confutare la declaratoria di inammissibilità per tardività (rectius: irricevibilità) del ricorso di primo grado. Ne consegue che per questo aspetto la sentenza appellata non può che essere riformata.
Nel merito, tuttavia, all’anzidetta rivendicazione si oppone il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori alla qualifica rivestita da parte dei dipendenti delle unità (o aziende) sanitarie locali.
Come infatti ha ribadito l’Adunanza plenaria con la nota decisione 24 marzo 2006 n. 3, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998 e salva diversa disposizione di legge specifica, nel settore del pubblico impiego le mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica ricoperta formalmente erano del tutto ininfluenti sul piano giuridico e su quello economico e non consentivano, perciò, il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente.
Solo con la norma



di cui all’art. 15 de detto decreto legislativo la retribuibilità di tali mansioni ha assunto carattere di generalità. Tanto anche nella considerazione, in primo luogo, che la stessa norma non può ritenersi interpretativa del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29 del 1993, poiché la scelta con essa assunta non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale delle medesime disposizioni; pertanto, non può che disporre per il futuro; e, in secondo luogo, che il riconoscimento generalizzato del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori solo a decorrere dall’entrata in vigore del ripetuto d.lgs. n. 387 del 1998 trova la sua ratio nell’introduzione da parte dell’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l’art. 56 del d.lgs. n. 19 del 1993 ed abrogato il successivo art. 57) di un’organica disciplina delle mansioni, rispettosa dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost..
D’altro canto, con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384, l’art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 – costituente, in relazione al settore di attività del dipendente,
[...] [...]
il riferimento normativo in materia per il rispettivo periodo di vigenza - subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento fattuale di mansioni superiori al ricorrere di tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante:
- le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile;
- su tale posto non deve essere stato bandito alcun concorso;
- l’incarico deve essere stato attribuito dall’organo gestorio, competente, con una formale deliberazione e da tale deliberazione deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti di cui innanzi, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità (cfr., tra le tante, Cons. St., Sez. V, 6 marzo 2007 n. 1048 e 16 maggio 2006 n. 2790)
Nella fattispecie in trattazione non sussistono quanto meno la prima e la terza condizione.
Infatti i compiti che il geom. Sculli assume di aver espletato, consistenti nel coadiuvare il capo ufficio tecnico e nel sostituirlo nei periodi di congedo ordinario ed in caso di assenza o impedimento, non sono riconducibili ad un posto vacante d’organico giacché il posto di capo ufficio era, invece, regolarmente ricoperto, mentre nessun incarico formale (da cui può eventualmente prescindersi soltanto per il personale sanitario ed



esclusivamente nell’ipotesi di sostituzione del primario, data l’indefettibilità della funzione) risulta conferito all’interessato. Non è tale evidentemente la deliberazione 19 giugno 1992 n. 669 dell’Amministratore straordinario dell’USL n. 28, per il periodo in questione meramente ricognitiva dell’avvenuto svolgimento di dette mansioni. D’altra parte è noto che l’occasionale sostituzione del capo dell’ufficio, assente per ferie o malattia, etc., da parte del funzionario di grado immediatamente inferiore, rientra fra i compiti ordinari di quest’ultimo e non costituisce esercizio delle mansioni superiori.
Analoghe conclusioni si raggiungono con riguardo al periodo successivo, in cui il riferimento normativo è costituito dall’art. 55 del cit. d.P.R. n. 384 del 1990, concernente specificamente l’area non medica ed in relazione al quale a maggior ragione deve escludersi rilevanza economica alle mansioni superiori svolte in via di fatto, atteso che la disposizione non solo richiede l’attribuzione dell’incarico relativo alla copertura di posto vacante mediante apposito atto formale adottato “secondo le vigenti disposizioni”, ma anche l’attivazione delle “procedure concorsuali” per “provvedere alla regolare copertura” dello stesso posto vacante, alla quale nella specie neppure si accenna.
In ogni caso, anche con riferimento al periodo decorrente dall’adozione dell’ordine di servizio in data 7 luglio 1994 dell’Amministratore straordinario dell’USSL n. 9, la Sezione osserva che si tratta di pur sempre di incarico su posto d’organico coperto dal titolare, a sua volta investito dell’incarico “provvisorio” di responsabile del servizio n. 11, come confermato dalla successiva deliberazione 27 giugno 1995 n. 571 del Direttore generale dell’ASL n. 9, di attribuzione per tre mesi al geom. Sculli delle mansioni in parola ai sensi del cit. art. 57, lett. b), del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (come sostituito dall’art 25, d.lgs. 547 del 1993), ossia “nel caso di sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto…”.
In conclusione, il ricorso di primo grado deve ritenersi infondato nel merito al pari, per questa parte, dell’appello. Ne consegue la riforma della sentenza appellata nel senso della reiezione del medesimo ricorso di primo grado, in luogo della declaratoria di inammissibilità per tardività.
Nella mancata costituzione nel presente giudizio dell’Amministrazione, non v’è luogo a provvedere sulle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie in parte e per il resto respinge il medesimo appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso di primo grado.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

estratto da: http://www.diritto.it/docs/21251-pubblico-impiego-concorso-differenze-retributive-mansioni-superiori?page=4&tipo=content



Svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego

Solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 è riconoscibile, in favore dei dipendenti pubblici, la retribuibilità delle mansioni superiori svolte; ciò esclusivamente per il periodo futuro e non già per il periodo pregresso per il quale trova applicazione il principio della irrilevanza dello svolgimento delle mansioni medesime


Data di pubblicazione: 29/07/2010
La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non trovava base normativa in alcuna norma o principio generale desumibile dall’ordinamento. Ciò, neppure nell’art. 2126 c.c., che concerne solo l’ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, né nell’applicazione diretta dell’art. 36 Cost., la cui incondizionata applicazione al pubblico impiego resta impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 Cost.; parimenti inapplicabile si palesa l’art. 2041 c.c., in ragione della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa.
Solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 – che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56 D.Lgs. n. 29/1993 – le dette differenze retributive sono riconoscibili, e non per il periodo pregresso per il quale trova applicazione il principio della irrilevanza dello svolgimento delle mansioni medesime.
E quindi, deve escludersi qualsiasi possibilità di individuare, nella previsione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 29/1993, un principio generale di ampia portata avente ad oggetto la pretesa retribuibilità; del resto, non può sfuggire che, di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l’attuazione della disciplina generale delle mansioni superiori recata dall’art. 57 cit., sarebbe arbitrario individuarne una portata generale nel senso



della applicabilità della disposizione a far tempo dalla sua emanazione e, comunque, da data anteriore.

N. 04596/2010 REG.DEC.
N. 00034/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 34 del 2007, proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
Mannucci Marcello, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Manzi Stefano Betti e Paolo Sivori, elettivamente domiciliato in Roma, presso e nello studio del primo difensore, via Federico Confalonieri n. 5;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. II, n. 795/2006;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Consigliere Bruno Mollica;
uditi, altresì, nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2010, l’Avvocato dello Stato Cristina Gerardis, l’avv. Stefano Betti e l’avv. Luigi Manzi su delega dell’avv. Andrea Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
[...]
[...]
e DIRITTO
1.- Il Ministero dell’Economia e delle Finanze impugna la sentenza di TAR indicata in epigrafe, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal dott. Marcello Mannucci, dipendente dell’Amministrazione finanziaria presso il Centro Servizio delle imposte dirette di Genova, con qualifica di funzionario tributario (ottava q.f.), inteso ad ottenere il riconoscimento delle differenze retributive asseritamente spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori dal 22 marzo 1994 al 10 dicembre 1997 e dal 11 dicembre 1997 al 30 giugno 1998 in relazione, rispettivamente, alla nomina alla funzione di direttore ad interim del reparto contabilità, in conseguenza della vacanza registratasi in quell’ufficio, nonché alla successiva destinazione presso il reparto addestramento.
La difesa dell’appellato eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per genericità e, nel merito, ne sostiene l’infondatezza, chiedendone il rigetto.
2.- L’eccezione di inammissibilità deve essere disattesa.
L’Avvocatura erariale ripropone, invero, in questa sede di appello, le ragioni di doglianza – riferite a costante orientamento giurisprudenziale, anche di questo Consesso – in ordine alla “irrilevanza giuridica ed economica delle mansioni svolte” dal pubblico dipendente incaricato (in ipotesi) di mansioni superiori; questa è l’intitolazione del mezzo e questo è il punto nodale della questione sottoposta all’attenzione del Collegio: non si vede quale altro argomento giuridico avrebbe dovuto proporre la difesa dell’Amministrazione nel chiedere la riforma della sentenza gravata.
3.- Quanto al merito della controversia, sono ovviamente ben noti al Collegio i contrasti giurisprudenziali delineatisi sulla questione per cui è causa; peraltro, gli arresti cui è pervenuta l’Adunanza plenaria (nonchè l’evoluzione giurisprudenziale delle Sezioni di questo Consesso) orientano per la condivisione della prospettazione dell’Amministrazione e per il conseguente accoglimento del ricorso.
Va invero ricordato che, giusto condivisibile assunto dell’Adunanza plenaria (n. 22/1999), la retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non trovava base normativa in alcuna norma o principio generale desumibile dall’ordinamento; ciò, neppure nell’art. 2126 Cod.civ., che concerne solo l’ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato; nè nell’applicazione diretta dell’art. 36 Cost., la cui incondizionata applicazione al pubblico impiego resta impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 Cost.; parimenti inapplicabile si palesa l’art. 2041 Cod.civ., in ragione della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa (cfr., fra le tante, anche VI Sez., 22.1.2001, n. 177, 22.1.2001, n. 5958).
Solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 – che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell’art.
[...] [...]
56 D.Lgs. n. 29/1993 e la cui portata non interpretativa bensì di valenza per il futuro è stata condivisibilmente ribadita da Ad. Plen. 24 marzo 2006 n. 3 – le dette differenze retributive sono riconoscibili, e non per il periodo pregresso (come nel caso che ne occupa), per il quale trova applicazione il principio della irrilevanza dello svolgimento delle mansioni medesime (cfr., fra le tante, VI Sez., 27.1.2001, n. 177, 7.5.2001, n. 2520, 27.11.2001, n. 5958 e 8.1.003, n. 17), nonchè, da ultimo, IV Sez., 24.4.2009 n. 2626).
La soluzione era stata già affermata dalle decisioni dell’Adunanza plenaria nn. 10 del 28 gennaio 2000 e 11 del 23 febbraio 2000, che hanno escluso qualsiasi possibilità di individuare, nella previsione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 29/1993, un principio generale di ampia portata avente ad oggetto la pretesa retribuibilità; del resto, non può sfuggire che, di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l’attuazione della disciplina generale delle mansioni superiori recata dall’art. 57 cit., sarebbe arbitrario individuarne una portata generale nel senso della applicabilità della disposizione a far tempo dalla sua emanazione e, comunque, da data anteriore (cfr., ancora, Ad. plen. n. 10/2000).
4.- Privo di pregio appare altresì il tentativo defensionale di parte appellata che, nel richiamare le conclusioni ribadite dalla decisione dell’Adunanza plenaria 24 marzo 2006 n. 3 nel senso della assoluta irrilevanza delle mansioni svolte dal pubblico dipendente prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 387 del 1998, ne valorizza l’inciso “salva diversa disposizione di legge”.
Ed invero, il quadro normativo richiamato nella sentenza di prime cure si limita a consentire, a tutto concedere, nel ricorrere di determinate condizioni, la preposizione del dipendente allo svolgimento di mansioni superiori ma non contempla, in relazione a tale svolgimento, la corresponsione di indennità o di trattamenti economici correlati alle mansioni stesse (non è questo il senso – neppure – della istituzione della IX qualifica funzionale ex art. 2 D.L. n. 9 del 1986).
Il che conferma ulteriormente la validità del principio di “irrilevanza economica” postulato dai precitati arresti giurisprudenziali e dallo stesso ricorso in appello.
A tale proposito, occorre un’ultima annotazione.
Nel contestare la prospettazione dell’Avvocatura erariale, la pur attenta difesa del Mannucci afferma che essa non coglie nel segno neppure se riferita a fattispecie antecedenti all’entrata in vigore del D.L.vo n. 387 cit., e ciò “in quanto, in tale periodo di tempo, le mansioni superiori svolte dal pubblico dipendente avevano invece rilevanza pur nei limiti di cui sopra”; e sotto tale specifico profilo “la difesa avversaria non ha minimamente censurato l’impugnata sentenza”, osserva ancora l’appellato Mannucci.
Posto che i “limiti di cui sopra” non sono rinvenibili nell’indicato quadro normativo (che non contempla assolutamente la corresponsione di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori), non è dato rilevare l’erroneità della pretesa omissione.
5.- Per le esposte considerazioni, il ricorso in appello dell’Amministrazione va in conclusione accolto.
6.- Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, sussistono giusti motivi per disporne la integrale compensazione fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di 1° grado.
Compensa integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2010 con l'intervento dei Signori:
Armando Pozzi, Presidente FF
Anna Leoni, Consigliere
Bruno Mollica, Consigliere, Estensore
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/07/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
estratto da: http://www.diritto.it/docs/29982-svolgimento-di-mansioni-superiori-nel-pubblico-impiego?page=3



Le mansioni superiori nel pubblico impiego

L'esercizio di mansioni superiori da parte di un dipendente pubblico, e la loro retribuibilità, presuppongono che vi sia stato un posto disponibile in organico e che l'attribuzione delle mansioni sia avvenuta con atto formale

Data di pubblicazione: 11/03/2010


Nel pubblico impiego, è principio di diritto consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale sia l'esercizio di mansioni superiori, sia la loro retribuibilità presuppongono che vi sia un posto disponibile in organico e che l'attribuzione delle mansioni sia avvenuta con atto formale.
Peraltro, gli ordini di servizio non possono qualificarsi come incarico formale, essendo essi solamente atti di organizzazione dell'attività lavorativa, volti alla pianificazione delle mansioni dei pubblici impiegati, la cui efficacia giuridica è meramente interna all'ufficio di appartenenza.
Un tale sistema normativa non risulta in contrasto né con i principi costituzionali nè con lo statuto dei lavoratori.

N. 01283/2010 REG.DEC.
N. 06604/1998 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 6604 del 1998, proposto da:
De Razza Rosina, Liguori Massimiliano e Liguori Giovanni Rocco nella qualità di eredi del Sig. Liguori Giuseppe, rappresentati e difesi dagli avv. Ciro Centore e Francesco D'Angelo, con domicilio presso il Consiglio di Stato, Segreteria, in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
contro
Regione Campania -Gestione liquidatoria ex Usl 42 Napoli, Gestione Liquidatoria U.S.L. 39; A.S.L. Napoli 1,



rappresentate e difese dall'avv. Antonio Iodice, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sergio Tupini in Roma, via Ghino Valenti 9;
per la riforma
della sentenza del TAR CAMPANIA - NAPOLI: Sezione IV n. 00015/1998, resa tra le parti, concernente DIPENDENTE: CORRESPONSIONE SOMME.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2009 il Cons. Gianpiero Paolo Cirillo e uditi per le parti gli avvocati Scotto per delega dell'avv.Iodice;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Il signor Giuseppe Liguori impugnò avanti al TAR Campania il silenzio- rigetto formatosi sulla diffida rivolta all'azienda sanitaria locale NA1, con la quale aveva chiesto la liquidazione del proprio trattamento economico per le superiori mansioni svolte. In particolare aveva dedotto che , assunto con la qualifica pari al sesto livello funzionale, aveva svolto fin dal 1983 funzioni superiori di settimo livello, sulla base di reiterati ordini di servizio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania rigettava il ricorso.
Ha proposto originariamente appello il signor Liguori -poi riassunto, a seguito del decesso del medesimo, dagli eredi, con atto notificato il 29 aprile 2009-
[...]
deducendo l'erroneità della sentenza, laddove non ha tenuto conto che del caso di specie operano i principi collegati alla legge n. 300 del 1970 sullo statuto dei lavoratori, in quella parte in cui si statuisce che il lavoratore che ha dovuto disimpegnare comunque mansioni superiori, e lo abbia fatto non per sua spontanea volontà, debba essere sempre retribuito per dette funzioni, particolarmente laddove il tutto sia avvenuto non per 90 giorni ma per mesi ed anni, in termini continuativi.
Si è costituita la regione Campania, resistendo all’appello.
La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 3 novembre 2009.
DIRITTO
L'appello non è fondato.
L'appellante ha chiesto la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori di collaboratori amministrativo svolte ininterrottamente dal 1983.
La sezione ha già avuto modo in varie occasioni (vedasi per tutte quella cui si è uniformato il giudice di primo grado, sez. V, 7 marzo 1997, n. 218) di stabilire che l'esercizio delle mansioni superiori e la loro retribuibilità presuppongono che vi sia un posto disponibile in organico e che l'attribuzione delle mansioni sia avvenuta con atto formale.
Nel caso di specie, l'appello non è sorretto da nessun atto idoneo a fornire la prova della sussistenza delle due condizioni di cui sopra.
Il ricorrente ha esibito nel corso del giudizio solamente degli ordini di servizio.
Sul punto la sezione ha già avuto modo di stabilire che gli ordini di servizio non possono qualificarsi come incarico formale, essendo essi solamente atti di organizzazione dell'attività lavorativa, volti alla pianificazione delle mansioni dei pubblici impiegati, la cui efficacia giuridica è meramente interna all'ufficio di appartenenza.
E’appena il caso di osservare che nessun contrasto è possibile ravvisare nel sistema della legge, così come interpretato dalla unanime giurisprudenza, con i principi costituzionali e con lo statuto dei lavoratori (cfr, tra le altre C.S., VI, 23 gennaio 2007, n. 231).
In conclusione l'appello va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quinta, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello proposto e conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti in solido tra loro al pagamento delle spese del grado di giudizio che si liquidano in complessivi € 3000,00
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2009 con l'intervento dei Signori:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Consigliere, Estensore
Aniello Cerreto, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Giancarlo Montedoro, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
estratto da: http://www.diritto.it/docs/29137-le-mansioni-superiori-nel-pubblico-impiego?page=2




Mansioni superiori nel pubblico impiego

Data di pubblicazione: 09/12/2010

Nel pubblico impiego, con l’art. 15, del D.L.vo n. 387/98 si è operato il riconoscimento legislativo del diritto del dipendente al riconoscimento economico delle mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica funzionale posseduta in base al provvedimento di nomina o di inquadramento. La norma ha un evidente carattere innovativo per la sua apertura nei confronti del “mansionismo” e non opera retroattivamente.
Nell’ambito del pubblico impiego è irrilevante, sia ai fini economici che a quelli di progressione di carriera, lo svolgimento da parte del dipendente, ancorché con attribuzione per atto formale, di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica funzionale posseduta in base al provvedimento di nomina o di inquadramento.
L’attribuzione delle mansioni ed il relativo trattamento economico trovano, infatti, il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento ad eccezione del caso in cui una norma speciale non disponga altrimenti.
In particolare, l'art. 33 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 stabilisce, infatti, che il dipendente dello Stato (rectius, impiegato pubblico) ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia «nella misura stabilita dalla legge». Inoltre, l’art. 2126 c.c. disciplina l’ipotesi, diversa, del rapporto di lavoro dichiarato “nullo” (poiché costituitosi in violazione dei divieti



legali) attribuendo rilevanza alle prestazioni di fatto comunque effettuate in esecuzione dello stesso: la norma opera, dunque, in funzione di conservazione dei valori giuridici ed economici del negozio colpito da un giudizio di disvalore ordinamentale.
Neppure può farsi applicazione, dell’art. 36 Cost. che non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego concorrendo, in detto ambito, altri principi di pari rilevanza costituzionale (artt. 97 e 98 Cost.).
Ed allora, nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica (e non sono le mansioni) il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell'art. 97 C., ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica” (sentenza 22/99, citata).
Pertanto, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere la retribuzione propria della qualifica superiore solo quando una norma speciale preveda tale assegnazione e consenta la relativa maggiorazione retributiva.
Infine, con l’art. 15, del D.L.vo n. 387/98 (successivamente, il suo contenuto è stato riprodotto nell’attuale testo unico sul pubblico impiego) si è operato il riconoscimento legislativo del diritto di che trattasi con un evidente carattere innovativo per la sua apertura nei confronti del “mansionismo”; pertanto, va attribuito, con carattere di
[...] generalità, soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del D.L. vo n. 387/1998.
N. 35274/2010 REG.SEN.
N. 00681/1993 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 681 del 1993, proposto da:
Occhipinti Silvestro, rappresentato e difeso dall'avv. Ugo Giurato, con domicilio eletto presso Ugo Giurato in Roma, p.zza Adriana, 11;
contro
Ministero della Difesa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, non costituito;
per l'annullamento del
SILENZIO-RIFIUTO SULLA DOMANDA DI INQUADRAMENTO NELLA QUALIFICA FUNZIONALE E PROFILO PROFESSIONALE SUPERIORI.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2010 il dott. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente chiede accertarsi il proprio diritto:
-ad essere inquadrato nella qualifica funzionale VII e prof. professionale 203, corrispondenti alle mansioni di fatto espletate, come da sua richiesta del 4/6/1992;
-al maggiore trattamento economico e giuridico corrispondente alle mansioni effettivamente



svolte ed assegnate anche in relazione all’art. 2103 c.c., nonché il riconoscimento delle mansioni superiori di fatto espletate ex art. 2126 c.c..
In punto di fatto, l’interessato riferisce:
-di essere dipendente del ministero della difesa;
-di essere inquadrato ai sensi dell’art. 4, c. VIII della legge n. 312/1980 nel profilo professionale n. 73della VI qualifica funzionale;
-di espletare sin dal 1975 le mansioni di capo tecnico inerenti il superiore livello VII;
-lo svolgimento di tali mansioni risulta da atti formali provenienti dalla P.A. quali la scheda relativa all’indagine conoscitiva.
L’interessato fonda le proprie pretese sull’art. 4 della legge n. 312/1980 nonché sugli artt. 2103 e 2126 c.c..
L’amministrazione ha denegato i richiesti benefici.
Il ricorso è infondato.
L’art. 4 della legge n. 312/1980 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato) così recita(va) al comma 10^ (comma abrogato dall'art. 74, d.lg. 3 febbraio 1993, n. 29; abrogazione confermata dall'art. 72, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165:
“Il personale che ritenga di individuare in una qualifica funzionale superiore a quella in cui è stato inquadrato le attribuzioni effettivamente svolte da almeno cinque anni può essere sottoposto, a domanda da presentarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge
[...] e previa favorevole valutazione del consiglio di amministrazione, ad una prova selettiva intesa ad accertare l'effettivo possesso della relativa professionalità”.
La prescrizione del termine di 90 giorni era già stata abrogata dall'art. 4, L. 7 luglio 1988, n. 254.
Come si evince dal testo della norma in esame, l’avvio del procedimento di inquadramento in qualifica superiore era subordinato alla seguenti condizioni:
-domanda da parte dell’impiegato;
-valutazione favorevole da parte del consiglio di amministrazione dell’ente;
-sottoposizione a prova selettiva.
A fronte di un così articolato iter procedimentale, l'amministrazione non aveva un preciso obbligo di provvedere sulle istanze di inquadramento, ciò in quanto l'inquadramento dei pubblici dipendenti corrispondeva, alla luce del quadro normativo di riferimento, ad un'attività discrezionale (ancorché di natura tecnica in ordine alla verifica di corrispondenza delle mansioni al profilo professionale o qualifica funzionale) rispetto alla quale non erano ravvisabili diritti soggettivi (al preteso inquadramento) bensì interessi legittimi tutelabili con l'impugnativa o degli atti di inquadramento ritenuti invalidi nel termine di decadenza oppure del rifiuto/silenzio dall’amministrazione opposto all’istanza di inquadramento.
Riprova della natura discrezionale (tecnica) del potere conferito all’amministrazione si ha ove si consideri, sotto altro profilo, che la deliberazione della Commissione paritetica, con la quale furono determinati i criteri



concreti che perfezionavano i presupposti della fattispecie dell'inquadramento, venne adottata soltanto il successivo 28 settembre 1988; fu da questa data che l’attività amministrativa divenne priva, a quel punto, di connotati di discrezionalità ed autoritatività fino a quel momento non essendo in grado, l’amministrazione, di ascrivere i dipendenti al profilo professionale corrispondente alla qualifica precedentemente rivestita in base ad atto formale, adottando provvedimenti di inquadramento definitivo dei singoli dipendenti.
Va soggiunto, che nessuna delle due condizioni sopra descritte (valutazione favorevole e sottoposizione a prova selettiva) si era, comunque, verificata perché il ricorrente potesse vantare, in punto di fatto e di diritto, l’azionata pretesa.
Quest’ultima, ad ogni modo, risulta definitivamente sbarrata sia dall’abrogazione dei commi 10 e 11 dell’art. 4, L. n. 312/1980 ad opera dell'art. 74, d.lg. 3 febbraio 1993, n. 29 - abrogazione confermata dall'art. 72, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 – che dal sopravvenuto art. 52 del d. lgs. n. 165/01 (applicabile, ratione temporis, anche alla fattispecie in esame non risultando in atti esaurito il dedotto rapporto) il quale, con disposizione di carattere imperativo ed a regime, stabilisce che “in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti
[...]
automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”.
Per quanto sin qui argomentato, la domanda di riconoscimento del diritto al superiore inquadramento è destituita di giuridico fondamento e non può, pertanto, essere accolta.
Parte ricorrente chiede, altresì, ai sensi dell’art. 2103 c.c., il riconoscimento del diritto alla qualifica superiore anche in ragione del consolidamento dell’assegnazione, da parte dell’amministrazione, allo svolgimento di mansioni superiori; quest’ultime assertivamente comprovate, in punto di fatto, dalla scheda relativa all’indagine ricognitiva.
In via gradata, l’interessato chiede il riconoscimento del maggior trattamento economico sulla base anche del disposto dell’art. 2126 c.c.
Anche queste domande sono infondate.
I presupposti per il riconoscimento del diritto del pubblico dipendente alla retribuzione per lo svolgimento delle funzioni superiori (Cfr Cons. Giust. Amm. n. 583, del 9/10/02) sono i seguenti:
1) la sostituzione del titolare dell’ufficio da parte dell’inferiore gerarchico deve avvenire in occasione di assenze non temporanee;
2) il posto cui le mansioni si riferiscono deve essere necessariamente vacante o disponibile in pianta organica;
3) l’adibizione a mansioni superiori deve avvenire con incarico promanante dagli organi dell’Amministrazione.
Nel caso in esame, nessuna delle tre condizioni si era verificata nei confronti del ricorrente.
Segnatamente, l’assenza nel caso di specie dei prefati presupposti e circostanze impedisce



- per effetto del carattere formale che contrassegna l’organizzazione della p.a., in sintonia con i principi di legalità e di buon andamento - il riconoscimento a fini giuridici e retributivi di pretese fondate su iniziative libere (recte, su atti causalmente nulli per violazione di norme imperative), assunte da soggetti che, seppure interni all’apparato dell’amministrazione, risultano privi della potestà di immutazione dello status del dipendente anziché sulla base di provvedimenti adottati dagli organi istituzionalmente competenti, titolari della potestà organizzatoria dell’ente.
Più in generale, la Sezione, aderendo ad un ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativo, non può che ribadire nell’ambito del pubblico impiego l’irrilevanza, sia ai fini economici che a quelli di progressione di carriera, dello svolgimento da parte del dipendente, ancorché con attribuzione per atto formale, di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica funzionale posseduta in base al provvedimento di nomina o di inquadramento.
L’attribuzione delle mansioni ed il relativo trattamento economico trovano, infatti, il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento ad eccezione del caso in cui una norma speciale non disponga altrimenti (C. Stato, Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22; C. Stato, Ad. Plen. 28.1.2000, n. 10).
La scheda relativa all’indagine conoscitiva non è atto giuridicamente e fattualmente idoneo, per quanto sopra esposto, a precostituire il diritto al superiore inquadramento ovvero a percepire le differenze economiche di livello.
Non ravvede motivi, il Collegio, per discostarsi dal prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, prima della definitiva privatizzazione del pubblico impiego (ed escluso il campo sanitario), le mansioni superiori non erano di regola riconoscibili sotto il profilo giuridico ed economico (cfr. C.d.s. Sez. V - 21/1/02). Il principio dell'irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego - salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa - è un dato acquisito alla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.s. IV Sez., 17 maggio 1997 n. 647; C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197; C.d.s. V Sez., 30 aprile 1997 n. 429, 24 marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99; VI Sez., 26 giugno 1996 n. 860 e 10 febbraio 1996 n. 189).
Nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento, infatti, consente la retribuibilità, in via di principio, delle mansioni superiori comunque svolte nel campo dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Anzi, dalla disciplina di settore si ricava esattamente un opposto principio: l'art. 33 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n.



3 stabilisce, infatti, che il dipendente dello Stato (rectius, impiegato pubblico) ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia « nella misura stabilita dalla legge ».
In disparte quanto sopra, va osservato, in via tranciante, che l’art. 2126 c.c. disciplina l’ipotesi, affatto diversa, del rapporto di lavoro dichiarato “nullo” (poiché costituitosi in violazione dei divieti legali) attribuendo rilevanza alle prestazioni di fatto comunque effettuate in esecuzione dello stesso: la norma opera, dunque, in funzione di conservazione dei valori giuridici ed economici del negozio colpito da un giudizio di disvalore ordinamentale.

Neppure può farsi applicazione, a tutto concedere, dell’art. 36 Cost., in virtù del quale sussiste “l’obbligo d’integrare il trattamento economico del dipendente nella misura corrispondente alla qualità del lavoro effettivamente prestato”. L’articolato, costituendo parametro precettivo di immediata applicazione al rapporto di lavoro, consentirebbe – nella prospettiva della ricorrente - l’attribuzione diretta del trattamento economico corrispondente alla superiore qualifica rivestita.
Non v’è dubbio che l’art. 36 Cost. sancisca il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato. Senonché la norma, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (sentenza n. 22/99), non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego concorrendo, in detto ambito, altri principi di pari rilevanza costituzionale (artt. 97 e 98 Cost.).
In particolare, l’operatività dell’art. 36 nell’ambito del pubblico impiego trova un limite invalicabile nell’art. 97 della Carta fondamentale.
L'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, infatti, contrasta con il buon andamento e l’imparzialità dell'Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. Ed invero, la posizione di chi svolge mansioni superiori non può essere assimilata (sotto il profilo giuridico-economico) a quella di colui che il medesimo incarico ricopre sulla base di una qualificazione professionale oggettivamente accertata all’esito di procedure selettive e/o concorsuali (art. 97, comma III, Cost.).
L'affidamento di mansioni superiori a pubblici dipendenti, invece, avviene spesso con criteri che non garantiscono l'imparzialità dell'Amministrazione (A.p. 22/99).
Nell’esercizio dei propri poteri d'organizzazione (art. 97, comma I Cost.) l’amministrazione potrebbe, per esigenze particolari di buon andamento dei servizi, prevedere in sede regolamentare - anche - la possibilità d'assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro qualifica senza, però, diritto a variazioni del trattamento economico (cfr. Ap., dec. 4/9/97, n. 20).
Le considerazioni che precedono inducono a ritenere, concordemente a quanto sostenuto dall’Alto Consesso, che “nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le



mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell'art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica” (sentenza 22/99, citata).
Pertanto, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere la retribuzione propria della qualifica superiore solo quando una norma speciale preveda tale assegnazione e consenta la relativa maggiorazione retributiva (come accade nel campo sanitario – cfr. D.P.R. n. 761/79): circostanza, quest’ultima, che non ricorre affatto nel caso di specie.
Neppure può trovare applicazione alla fattispecie l’invocato art. 2126 Cod. civ. in virtù del “principio della prestazione di fatto”.
Ed invero, il prefato articolato disciplina l’ipotesi, affatto diversa, del rapporto di lavoro dichiarato “nullo” (poiché costituitosi in violazione dei divieti legali) attribuendo rilevanza alle prestazioni di fatto comunque effettuate in esecuzione dello stesso: la norma opera, dunque, in funzione di conservazione dei valori giuridici ed economici del negozio colpito da un giudizio di disvalore ordinamentale.
Va considerato, infine, che neppure sussistono i presupposti per l’applicazione al caso in esame della nuova normativa sul pubblico impiego. Ed invero, i decreti succedutisi dal 1993 al 2001, in attuazione delle leggi - delega sulla riforma del settore, contemplano una disciplina generale del conferimento di mansioni superiori valida per tutte le Amministrazioni pubbliche.
Tale normativa, la cui entrata in vigore è stata più volte rinviata dallo stesso legislatore per esigenze connesse alle problematiche organizzative interne degli Enti, regolamenta all’art. 52, del D. Lvo n. 165/01 (per la prima volta in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego) l’istituto dell’attribuzione temporanea di funzioni superiori. La norma prevede che al lavoratore spetta, in siffatti casi, la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso d'assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste (art. 52 c. V, decreto citato).
La prefata disposizione, invero, è stata introdotta nel testo normativo originario del 1993 (n. 29) con l’art. 15, del D.L.vo n. 387/98: successivamente, il suo contenuto è stato riprodotto nell’attuale testo unico sul pubblico impiego – art. 52, c. V, citato - (in parte-qua, ricognitivo).
Ebbene, il riconoscimento legislativo del diritto di che trattasi possiede un evidente carattere innovativo per la sua apertura nei confronti del “mansionismo”; pertanto, va attribuito, con carattere di generalità, soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del D.L. vo n. 387, del 1998 (cfr. A.p. n. 10, del 2000) mentre nella vicenda che occupa i fatti si sono tutti esauriti in epoca antecedente.
In conclusione, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, respinto mentre nulla si dispone in ordine alle spese processuali per mancata costituzione in giudizio della intimata amministrazione.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

[...]
estratto da: http://www.diritto.it/docs/30747-mansioni-superiori-nel-pubblico-impiego?page=1

Nel pubblico impiego la domanda volta ad ottenere le differenze retributive per il periodo in cui il lavoratore affermi di aver svolto mansioni superiori non può essere basata sull’art. 36 della Costituzione che, per consolidata giurisprudenza, concorre con altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dagli articoli 97 e 98 della Costituzione.
L’esercizio di mansioni superiori nel pubblico impiego, a ben vedere, contrasta rispetto alla qualifica rivestita di diritto con il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione stessa, nonché con gli artt. 51 e 97 della Costituzione sotto il profilo dell’indisponibilità da parte dei funzionari amministrativi dell’assegnazione di mansioni.
Peraltro, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori è stato riconosciuto, sempre nel pubblico impiego, solo a partire dall’entrata in vigore dell’art. 15 del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387.

N. 06980/2010 REG.SEN.
N. 04863/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)


ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 4863 del 2005, proposto da:
Colucci Maria Antonietta, rappresentata e difesa dagli avv. Roberta Finati, Vito Vincenzo Zaccagnino, con domicilio eletto presso l’avv.Roberta Finati in Roma, via Francesco Grimaldi



140;
contro
Azienda Sanitaria Locale U.S.L N. 2 di Potenza., rappresentata e difesa dall'avv. Dario Bianchini, con domicilio eletto presso l’avv.Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA n. 00219/2004, resa tra le parti, concernente REVOCA E RETTIFICA INQUADRAMENTO NELLA VII QUALIFICA FUNZIONALE

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dell’Azienda Sanitaria Locale USL n. 2 di Potenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2010 il cons. Francesca Quadri e udito l’avvocato Patarnello, su delega dell' avv. Bianchini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
La ricorrente appella la sentenza del Tar Basilicata con cui è stata respinta l’impugnazione del provvedimento della ASL n.2 di Potenza di annullamento del suo inquadramento come ostetrica – operatore professionale coordinatore e di conseguente rettifica del posto come operatore professionale collaboratore- ostetrica con decorrenza dall’inizio del servizio, in applicazione dell’art. 3 della legge n. 207 del 1985.
Premesso di avere svolto fin dal 1983 mansioni di ostetrica coordinatrice in regime di convenzione e di essere stata nominata in ruolo, a domanda, in base all’art. 3 L. 207/1985 sul posto di ostetrica -operatore professionale coordinatore , la ricorrente riferisce di aver chiesto nel 1997 all’amministrazione la propria regolarizzazione economica con la corresponsione delle differenze economiche tra il livello di mansioni svolte (7°) e quello di retribuzione percepita (6°) e di essersi invece vista annullare il superiore inquadramento con il provvedimento impugnato.
Per la riforma della sentenza del Tar che ha riconosciuto la legittimità dell’operato della AUSL in base ad una stretta interpretazione dell’art. 3 L.207/1985 ed ha respinto la richiesta di riconoscimento di mansioni superiori, l’interessata propone appello affidandolo ai seguenti motivi:
- errores in iudicando, difetto di motivazione, errore nei presupposti di fatto e di diritto, illogicità ed irrazionalità: correttamente l’Ausl n. 2 di Potenza aveva provveduto alla sua immissione in ruolo in relazione alle mansioni svolte in regime di convenzione e dei requisiti previsti dalla legge n. 207/1985. A distanza di dodici anni, la Ausl avrebbe difettato del potere di annullamento senza una adeguata valutazione degli interessi in gioco , omettendo ogni motivazione e dimostrazione del mancato svolgimento delle mansioni di (prima 6° e poi) 7° livello. Né a diverse valutazioni si poteva pervenire in base al livello retributivo percepito dall’interessata (VI) corrispondente



al livello originariamente proprio del posto di coordinatrice , successivamente trasformato in 7° con conseguente necessità di adeguamento del trattamento economico;
- errores in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 36 della Costituzione, difetto di motivazione ed istruttoria, errore nei presupposti di fatto: avrebbe errato il Tar nel riconoscere al provvedimento la finalità di correzione di un errore a suo tempo compiuto attraverso l’inquadramento, avendo dovuto l’amministrazione dimostrare il mancato svolgimento delle mansioni riconosciute; erroneamente sarebbe stata considerato applicabile alla fattispecie l’art. 3 in luogo dell’art. 1 della L. n. 207/1985. In presenza di regolare atto formale e di svolgimento di mansioni di ostetrica coordinatore regolarmente espletate, le sarebbero spettate, quantomeno, le differenze stipendiali oltre a rivalutazione ed interessi in base all’art. 29 del D.P.R. n. 761/1999.
Si è costituita l’azienda Sanitaria USL n. 2 di Potenza per resistere all’appello.
All’udienza del 22 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.Il primo motivo è infondato.
2.L’immissione in ruolo dell’appellante è stata disposta nel 1985 in applicazione dell’art. 3 della L.20 maggio 1995, n. 207, che prevede l’inquadramento straordinario in ruolo di personale con rapporto convenzionato, quale quello dell’interessata. Del tutto impropriamente viene quindi richiamato nell’atto di appello l’art. 1 della medesima legge ,che attiene alla diversa fattispecie di inquadramento straordinario di personale incaricato, ricoprente alla data del 30 giugno 1984 un posto di organico vacante.
3.L’art. 3 prevede l’inquadramento a domanda , previo accertamento dei titoli, “nei ruoli nominativi regionali con la posizione funzionale iniziale” del personale in regime convenzionato alla data del 31 dicembre 1983.
4.La giurisprudenza ha chiarito (ex multis, Cons. St.Sez. V, 15.3.1993, n. 372, 20.12.1993, n. 1329; 8.1.2007, n.3) che la trasformazione in pubblico impiego di un rapporto di tipo convenzionale , in deroga alla regola dell’assunzione tramite pubblico concorso, può ammettersi solo a condizione di escludere ogni riconoscimento di anzianità e che non sussiste alcuna discrezionalità in capo all’amministrazione in ordine alla posizione funzionale di inquadramento che deve necessariamente essere quella iniziale.
5.Sulla base del chiaro disposto dell’art. 3, correttamente il Tar ha considerato fondato il ragionamento posto a base dell’annullamento dell’inquadramento iniziale, avvenuto non già sulla posizione funzionale iniziale di ostetrica- operatore professionale collaboratore (quale risultante dal d.P.R. n. 761/1979) bensì su quella superiore di operatore professionale coordinatore.
6.Né può accedersi alla tesi dell’appellante secondo cui un annullamento disposto dopo dodici anni dall’adozione dell’atto annullato avrebbe richiesto una più approfondita ponderazione



degli interessi coinvolti ed una più attenta valutazione delle effettive mansioni effettivamente svolte dall’interessata .
7.Va ,infatti ,osservato che per giurisprudenza consolidata ( di recente, Cons. St. Sez. V, 22.3.2010 n. 1672; 11.7.2008, n.3472), l’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione di un illegittimo inquadramento è dimostrata dalla idoneità dell’atto a spiegare continuativamente i propri effetti negativi sull’organizzazione dell’ente , con la conseguenza di impedire al mero decorso del tempo di consolidare la posizione del dipendente interessato. Nè è richiesta a riguardo una diffusa motivazione dell’interesse pubblico posto a base dell’annullamento in via di autotutela, essendo questo in re ipsa a causa delle conseguenze permanenti (anche dopo il collocamento in quiescenza) dell’illegittimo inquadramento.
8.Anche il secondo motivo, con cui si lamenta il mancato riconoscimento del diritto alle differenze retributive a causa dello svolgimento di mansioni superiori, è infondato.
La domanda volta ad ottenere le differenze retributive per il periodo in cui l’appellante afferma di aver svolto mansioni superiori non può essere basata sull’art. 36 della Costituzione che, per consolidata giurisprudenza (Cons. St. A.P. 18.11.1999, n. 22, Sez. VI 19.9.2000 n. 4871) , concorre con altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita di diritto con il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, nonché con gli artt. 51 e 97 della Costituzione sotto il profilo dell’indisponibilità da parte dei funzionari amministrativi dell’assegnazione di mansioni , nella specie diverse da quelle espressamente previste dalla legge che ha disciplinato l’immissione in ruolo.
Peraltro, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori è stato – come è noto - riconosciuto solo a partire dall’entrata in vigore dell’art. 15 del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387 (Cons. St. A.P. n. 11 /2000) e ,quindi, da un periodo posteriore a quello cui attiene l’oggetto del ricorso.
9.In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Quinta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado .
Spese compensate .
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2010 con l'intervento dei Signori:
Calogero Piscitello, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Aniello Cerreto, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere, Estensore



L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione

[...]

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