CORTE DI CASSAZIONE SEZ. I^ PENALE SENTENZA 47001/2007
Sentenza 5 dicembre 2007 (dep. 18 dicembre 2007), n. 470011
Riparazione per ingiusta detenzione o fungibilità: i due benefici non sono cumulabili
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CHIEFFI Severo - Presidente Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da G.V.D., nato il ..., avverso l’ordinanza del 30/03/2007 della Corte d’Assise d’Appello di Palermo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Grazia Corradini; lette le conclusioni del P.G. Dr. O. Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
OSSERVA
Con ordinanza in data 30 marzo 2007, per quanto ancora interessa, la Corte di Assise di Appello di Palermo, quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di G.V.D. di dichiarare fungibile, a norma dell'art. 657 c.p.p., la custodia cautelare sofferta senza titolo dal 1.12.1998 al 1.5.1999 per il reato associativo per cui era stato assolto con sentenza del Tribunale di Agrigento 24.3.1999, confermata in appello e divenuta irrevocabile il 30.10.2001, ai fini della determinazione della pena detentiva da espiare in virtù della sentenza 28.10.2000 con cui aveva riportato condanna alla pena di trenta anni di reclusione per i reati di omicidio ed altro commessi il 29.8.1989. Il giudice dell'esecuzione ha rilevato che, per la custodia cautelare sofferta in carcere dal 1.12.1998 al 1.5.1999, la Corte di Appello di Palermo aveva riconosciuto al G., con ordinanza in data 4.5.2004, il diritto ad un'equa riparazione, per cui, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 4, lo stesso periodo detentivo non poteva essere computato anche in detrazione della pena da eseguire. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del G. lamentando violazione dell'art. 314 c.p.p., comma 4, poichè, in caso di sovrapposizione fra richiesta di riparazione per ingiusta detenzione e fungibilità della pena con altra condanna, era la equa riparazione a dovere essere esclusa, spettando poi eventualmente agli organi amministrativi avviare l'eventuale procedimento di revoca della determinazione assunta in merito alla ingiusta detenzione ed al relativo risarcimento del danno già ottenuto dall'interessato. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La questione di diritto oggetto del presente ricorso è già stata più volte esaminata anche da questa Sezione e risolta con decisioni che potrebbero, all'apparenza, integrare un contrasto giurisprudenziale. A fronte di un orientamento maggioritario per cui, una volta accordato il ristoro economico, non si può in seguito ottenere lo scomputo a titolo di fungibilità della pena, essendo ciò speculare al diniego di ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, a norma dell'art. 314 c.p.p., comma 4, una volta che la stessa parte di custodia cautelare senza titolo sia stata scomputata ai fini della determinazione di altra pena, trattandosi di rimedi alternativi per cui è rimessa all'interessato la facoltà di scegliere quello del quale avvalersi, e ciò anche al fine di evitare l'ingiustificata disparità di trattamento che altrimenti si verificherebbe fra chi, avendo ottenuto la fungibilità, non potrebbe ottenere la riparazione e chi, invece, avendo ottenuto la riparazione, avrebbe diritto anche alla fungibilità (v. Cass. n. 18966 del 2004, rv. 227968; Cass. n. 10366 del 2004, rv. 227229; Cass. n. 13322 del 2001, rv. 221377), un secondo orientamento ritiene invece che solo il beneficio della fungibilità (con conseguente inapplicabilità del diverso beneficio di cui all'art. 314 c.p.p.) sia irrevocabile e non anche quello della riparazione della ingiusta riparazione (v. Cass. n. 358 del 2004, rv. 230723). Tale secondo orientamento prende le mosse dall'esegesi della opzione fra i due istituti in esame e, dopo avere rilevato che non si tratta di opzioni omogenee, poichè la fungibilità è affidata ai poteri d'ufficio dell'organo dell'esecuzione, al contrario della riparazione che presuppone necessariamente la istanza della parte interessata e comunque non sempre sono esercitabili contemporaneamente, per concludere che l'art. 314 c.p.p., comma 4 disciplina la ipotesi in cui al soggetto sia stata applicata la fungibilità della pena, con conseguente esclusione della riparazione per ingiusta detenzione, ma non anche la ipotesi inversa in cui il soggetto, dopo avere chiesto ed ottenuto la riparazione per ingiusta detenzione, intenda poi avvalersi della fungibilità. In tal caso, secondo tale orientamento, sarebbe consentito all'interessato ottenere la applicazione della fungibilià, pur dopo avere usufruito della riparazione per ingiusta detenzione, mentre lo Stato potrebbe agire con l'azione di indebito arricchimento per ottenere la restituzione di quanto versato per ingiusta detenzione. La questione è stata portata anche davanti alla Corte Costituzionale "nella parte in cui gli artt. 314 e 315 c.p.p. non prevedono che la Corte d'Appello, ove risulti che il soggetto che ha proposto istanza ai sensi dell'art. 314 c.p.p. è stato condannato con sentenza non ancora definitiva ad una pena di durata inferiore a quella della custodia cautelare sofferta ingiustamente, debba sospendere il procedimento in attesa che venga definito quello nell'ambito del quale è stata pronunciata la sentenza di condanna (ovvero nella parte in cui non prevedono quantomeno che l'interessato sia obbligato a restituire allo Stato l'indennizzo ricevuto qualora ottenga successivamente il computo della custodia cautelare ingiustamente sofferta ai fini della determinazione della pena da eseguire)". La Corte Costituzionale, con ordinanza 10 maggio 2002 n. 191 ha poi dichiarata manifestamente inammissibile la questione, ma soltanto per il carattere alternativo con il quale era stata proposta, pur dando atto che nella giurisprudenza costituzionale l'ordine dei problemi prospettati dal remittente non era del tutto ignoto, poichè nella sentenza n. 248 del 1992, a seguito di una ricognizione della giurisprudenza di legittimità, non era stata esclusa nè la possibilità di sospendere il procedimento per ingiusta detenzione nè quella di applicare, nel caso di sopravvenuta sentenza irrevocabile di condanna quando l'indennizzo sia già stato concesso, la disciplina civilistica della ripetizione dell'indebito. La questione, sotto il limitato profilo che è stato portato davanti alla Corte Costituzionale e che è stato poi ripreso dalla sentenza di questa Corte n. 358 del 2004 (sia pure sotto il diverso aspetto della azione di ingiustificato arricchimento, che appare comunquem meno appropriata della condictio indebiti sine causa) può in effetti presentare delle perplessità che possono fare ritenere prospettabile anche il rimedio della condictio indebiti qualora, pur prospettandosi, in astratto, in contemporanea, le due opzioni, in concreto non potesse parlarsi di vere e proprie opzioni in quanto, al momento in cui era stata promossa la azione per ingiusta detenzione, non era ancora venuto a maturazione il titolo su cui applicare la fungibilità, per cui l'interessato non aveva "scelto" bensì aveva attivato l'unico rimedio in quel momento attivabile (in assenza dell'esercizio, da parte del giudice, del potere di sospendere il procedimento per ingiusta detenzione in attesa del passaggio in giudicato della sentenza di condanna cui poterebbe applicarsi la fungibilità) e solo successivamente si ponga quindi il problema della fungibilità che in precedenza il condannato non aveva avuto la possibilità di chiedere in concreto. Nel diverso caso in cui invece l'interessato, per potendo attivare in contemporanea l'una o l'altra opzione, entrambe già proponibili, abbia per propria scelta chiesto ed ottenuto la riparazione per ingiusta detenzione, appare invece inaccettabile che possa poi chiedere, immediatamente dopo, ed ottenere, anche l’applicazione della fungibilità, lasciando allo Stato la possibilità di esperire la condictio indebiti per essere venuta meno la causa del rapporto, originariamente esistente, in conseguenza della sua richiesta di cumulare i benefici. Si richiede infatti in tal caso la esistenza di un evento successivo che ha messo nel nulla il rapporto, ma tale non può essere il ripensamento dell'interessato o meglio la locupletazione da parte dell'interessato della somma di benefici diversi ed inconciliabili fra di loro. Se è vero che la fungibilità è irretrattabile si deve ritenere che sia irretrattabile anche la contraria richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, una volta che l'interessato abbia avuto presenti ed effettive entrambe le prospettazioni ed abbia scelto, a seguito di un calcolo di convenienza personale, l'una o l'altra. E' evidente che il giudice adito per la riparazione della ingiusta detenzione, qualora accerti che nel caso rimesso al suo esame una parte o la intera custodia cautelare avrebbe dovuto essere computata ai fini della determinazione della pena, e qualora ritenga che sia ancora possibile applicare il principio di fungibilità, deve limitarsi a liquidare l'indennizzo soltanto per la parte di custodia cautelare sofferta che non debba essere calcolata in sede esecutiva ai fini della determinazione della pena da eseguire (v. Cass. sez. 4 n. 13322 del 2001, rv. 221377), derivando ciò dalla opzione legislativa contenuta nell'art. 314 c.p.p., comma 4, per cui il diritto alla riparazione costituisce il rimedio ultimo, quando non sia stata possibile attivare l'istituto della fungibilità (sempre preferibile per il suo carattere di ristoro "in natura") e che può pure sospendere il giudizio in attesa che diventi definitivo il titolo penale (posto che invece l'interessato non può attendere nel promuovimento dell'azione, che deve avvenire, a pena di inammissibilità, nel termine di due anni dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, ai sensi dell'art. 315 c.p.p.), ma qualora l'interessato abbia dimostrato disinteresse per la fungibilità richiedendo ed ottenendo la riparazione per la ingiusta detenzione, proprio perchè poteva operare la scelta e la ha operata, non può poi cumulare i due benefici, ciò restando precluso dalla disposizione di cui all'art. 314 c.p.p., comma 4, che deve essere interpretato nel senso che, qualora la scelta fosse possibile concretamente e sia stata eseguita, così come è esclusa la riparazione in caso di già avvenuta concessione della fungibilità, specularmene deve essere esclusa la fungibilità in caso di già intervenuto conseguimento della riparazione per ingiusta detenzione. Nel caso in esame, poichè il ricorrente ha conseguito la riparazione per ingiusta detenzione nel 2004, quando avrebbe potuto chiedere lo scomputo in relazione alla esecuzione in corso di cui alla sentenza 28.10.2000 della Corte di Assise di Appello di Palermo, ne discende che non può ora chiedere anche la applicazione dell'istituto della fungibilità. Il ricorso deve essere pertanto respinto perchè infondato. Seguono per legge (art. 616 c.p.p.) le statuizioni di cui in dispositivo in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2007. Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2007
Riparazione per ingiusta detenzione o fungibilità: i due benefici non sono cumulabili
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CHIEFFI Severo - Presidente Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da G.V.D., nato il ..., avverso l’ordinanza del 30/03/2007 della Corte d’Assise d’Appello di Palermo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Grazia Corradini; lette le conclusioni del P.G. Dr. O. Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
OSSERVA
Con ordinanza in data 30 marzo 2007, per quanto ancora interessa, la Corte di Assise di Appello di Palermo, quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di G.V.D. di dichiarare fungibile, a norma dell'art. 657 c.p.p., la custodia cautelare sofferta senza titolo dal 1.12.1998 al 1.5.1999 per il reato associativo per cui era stato assolto con sentenza del Tribunale di Agrigento 24.3.1999, confermata in appello e divenuta irrevocabile il 30.10.2001, ai fini della determinazione della pena detentiva da espiare in virtù della sentenza 28.10.2000 con cui aveva riportato condanna alla pena di trenta anni di reclusione per i reati di omicidio ed altro commessi il 29.8.1989. Il giudice dell'esecuzione ha rilevato che, per la custodia cautelare sofferta in carcere dal 1.12.1998 al 1.5.1999, la Corte di Appello di Palermo aveva riconosciuto al G., con ordinanza in data 4.5.2004, il diritto ad un'equa riparazione, per cui, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 4, lo stesso periodo detentivo non poteva essere computato anche in detrazione della pena da eseguire. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del G. lamentando violazione dell'art. 314 c.p.p., comma 4, poichè, in caso di sovrapposizione fra richiesta di riparazione per ingiusta detenzione e fungibilità della pena con altra condanna, era la equa riparazione a dovere essere esclusa, spettando poi eventualmente agli organi amministrativi avviare l'eventuale procedimento di revoca della determinazione assunta in merito alla ingiusta detenzione ed al relativo risarcimento del danno già ottenuto dall'interessato. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La questione di diritto oggetto del presente ricorso è già stata più volte esaminata anche da questa Sezione e risolta con decisioni che potrebbero, all'apparenza, integrare un contrasto giurisprudenziale. A fronte di un orientamento maggioritario per cui, una volta accordato il ristoro economico, non si può in seguito ottenere lo scomputo a titolo di fungibilità della pena, essendo ciò speculare al diniego di ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, a norma dell'art. 314 c.p.p., comma 4, una volta che la stessa parte di custodia cautelare senza titolo sia stata scomputata ai fini della determinazione di altra pena, trattandosi di rimedi alternativi per cui è rimessa all'interessato la facoltà di scegliere quello del quale avvalersi, e ciò anche al fine di evitare l'ingiustificata disparità di trattamento che altrimenti si verificherebbe fra chi, avendo ottenuto la fungibilità, non potrebbe ottenere la riparazione e chi, invece, avendo ottenuto la riparazione, avrebbe diritto anche alla fungibilità (v. Cass. n. 18966 del 2004, rv. 227968; Cass. n. 10366 del 2004, rv. 227229; Cass. n. 13322 del 2001, rv. 221377), un secondo orientamento ritiene invece che solo il beneficio della fungibilità (con conseguente inapplicabilità del diverso beneficio di cui all'art. 314 c.p.p.) sia irrevocabile e non anche quello della riparazione della ingiusta riparazione (v. Cass. n. 358 del 2004, rv. 230723). Tale secondo orientamento prende le mosse dall'esegesi della opzione fra i due istituti in esame e, dopo avere rilevato che non si tratta di opzioni omogenee, poichè la fungibilità è affidata ai poteri d'ufficio dell'organo dell'esecuzione, al contrario della riparazione che presuppone necessariamente la istanza della parte interessata e comunque non sempre sono esercitabili contemporaneamente, per concludere che l'art. 314 c.p.p., comma 4 disciplina la ipotesi in cui al soggetto sia stata applicata la fungibilità della pena, con conseguente esclusione della riparazione per ingiusta detenzione, ma non anche la ipotesi inversa in cui il soggetto, dopo avere chiesto ed ottenuto la riparazione per ingiusta detenzione, intenda poi avvalersi della fungibilità. In tal caso, secondo tale orientamento, sarebbe consentito all'interessato ottenere la applicazione della fungibilià, pur dopo avere usufruito della riparazione per ingiusta detenzione, mentre lo Stato potrebbe agire con l'azione di indebito arricchimento per ottenere la restituzione di quanto versato per ingiusta detenzione. La questione è stata portata anche davanti alla Corte Costituzionale "nella parte in cui gli artt. 314 e 315 c.p.p. non prevedono che la Corte d'Appello, ove risulti che il soggetto che ha proposto istanza ai sensi dell'art. 314 c.p.p. è stato condannato con sentenza non ancora definitiva ad una pena di durata inferiore a quella della custodia cautelare sofferta ingiustamente, debba sospendere il procedimento in attesa che venga definito quello nell'ambito del quale è stata pronunciata la sentenza di condanna (ovvero nella parte in cui non prevedono quantomeno che l'interessato sia obbligato a restituire allo Stato l'indennizzo ricevuto qualora ottenga successivamente il computo della custodia cautelare ingiustamente sofferta ai fini della determinazione della pena da eseguire)". La Corte Costituzionale, con ordinanza 10 maggio 2002 n. 191 ha poi dichiarata manifestamente inammissibile la questione, ma soltanto per il carattere alternativo con il quale era stata proposta, pur dando atto che nella giurisprudenza costituzionale l'ordine dei problemi prospettati dal remittente non era del tutto ignoto, poichè nella sentenza n. 248 del 1992, a seguito di una ricognizione della giurisprudenza di legittimità, non era stata esclusa nè la possibilità di sospendere il procedimento per ingiusta detenzione nè quella di applicare, nel caso di sopravvenuta sentenza irrevocabile di condanna quando l'indennizzo sia già stato concesso, la disciplina civilistica della ripetizione dell'indebito. La questione, sotto il limitato profilo che è stato portato davanti alla Corte Costituzionale e che è stato poi ripreso dalla sentenza di questa Corte n. 358 del 2004 (sia pure sotto il diverso aspetto della azione di ingiustificato arricchimento, che appare comunquem meno appropriata della condictio indebiti sine causa) può in effetti presentare delle perplessità che possono fare ritenere prospettabile anche il rimedio della condictio indebiti qualora, pur prospettandosi, in astratto, in contemporanea, le due opzioni, in concreto non potesse parlarsi di vere e proprie opzioni in quanto, al momento in cui era stata promossa la azione per ingiusta detenzione, non era ancora venuto a maturazione il titolo su cui applicare la fungibilità, per cui l'interessato non aveva "scelto" bensì aveva attivato l'unico rimedio in quel momento attivabile (in assenza dell'esercizio, da parte del giudice, del potere di sospendere il procedimento per ingiusta detenzione in attesa del passaggio in giudicato della sentenza di condanna cui poterebbe applicarsi la fungibilità) e solo successivamente si ponga quindi il problema della fungibilità che in precedenza il condannato non aveva avuto la possibilità di chiedere in concreto. Nel diverso caso in cui invece l'interessato, per potendo attivare in contemporanea l'una o l'altra opzione, entrambe già proponibili, abbia per propria scelta chiesto ed ottenuto la riparazione per ingiusta detenzione, appare invece inaccettabile che possa poi chiedere, immediatamente dopo, ed ottenere, anche l’applicazione della fungibilità, lasciando allo Stato la possibilità di esperire la condictio indebiti per essere venuta meno la causa del rapporto, originariamente esistente, in conseguenza della sua richiesta di cumulare i benefici. Si richiede infatti in tal caso la esistenza di un evento successivo che ha messo nel nulla il rapporto, ma tale non può essere il ripensamento dell'interessato o meglio la locupletazione da parte dell'interessato della somma di benefici diversi ed inconciliabili fra di loro. Se è vero che la fungibilità è irretrattabile si deve ritenere che sia irretrattabile anche la contraria richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, una volta che l'interessato abbia avuto presenti ed effettive entrambe le prospettazioni ed abbia scelto, a seguito di un calcolo di convenienza personale, l'una o l'altra. E' evidente che il giudice adito per la riparazione della ingiusta detenzione, qualora accerti che nel caso rimesso al suo esame una parte o la intera custodia cautelare avrebbe dovuto essere computata ai fini della determinazione della pena, e qualora ritenga che sia ancora possibile applicare il principio di fungibilità, deve limitarsi a liquidare l'indennizzo soltanto per la parte di custodia cautelare sofferta che non debba essere calcolata in sede esecutiva ai fini della determinazione della pena da eseguire (v. Cass. sez. 4 n. 13322 del 2001, rv. 221377), derivando ciò dalla opzione legislativa contenuta nell'art. 314 c.p.p., comma 4, per cui il diritto alla riparazione costituisce il rimedio ultimo, quando non sia stata possibile attivare l'istituto della fungibilità (sempre preferibile per il suo carattere di ristoro "in natura") e che può pure sospendere il giudizio in attesa che diventi definitivo il titolo penale (posto che invece l'interessato non può attendere nel promuovimento dell'azione, che deve avvenire, a pena di inammissibilità, nel termine di due anni dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, ai sensi dell'art. 315 c.p.p.), ma qualora l'interessato abbia dimostrato disinteresse per la fungibilità richiedendo ed ottenendo la riparazione per la ingiusta detenzione, proprio perchè poteva operare la scelta e la ha operata, non può poi cumulare i due benefici, ciò restando precluso dalla disposizione di cui all'art. 314 c.p.p., comma 4, che deve essere interpretato nel senso che, qualora la scelta fosse possibile concretamente e sia stata eseguita, così come è esclusa la riparazione in caso di già avvenuta concessione della fungibilità, specularmene deve essere esclusa la fungibilità in caso di già intervenuto conseguimento della riparazione per ingiusta detenzione. Nel caso in esame, poichè il ricorrente ha conseguito la riparazione per ingiusta detenzione nel 2004, quando avrebbe potuto chiedere lo scomputo in relazione alla esecuzione in corso di cui alla sentenza 28.10.2000 della Corte di Assise di Appello di Palermo, ne discende che non può ora chiedere anche la applicazione dell'istituto della fungibilità. Il ricorso deve essere pertanto respinto perchè infondato. Seguono per legge (art. 616 c.p.p.) le statuizioni di cui in dispositivo in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2007. Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2007
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