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ALTALEX NEWS


lunedì 4 febbraio 2013

IL CONTRIBUTO DELLA GIURISPRUDENZA INTERNA ED INTERNAZIONALE IN MATERIA DI DIAGNOSI PREIMPIANTO



DIRITTI UMANI E BIODIRITTO: IL CONTRIBUTO DELLA GIURISPRUDENZA INTERNA ED INTERNAZIONALE IN MATERIA DI DIAGNOSI PREIMPIANTO
di Germano Rossini  (dottore di ricerca in bioetica e filosofia del diritto)


(SEMINARIO IN MATERIA DI BIODIRITTO TENUTO PRESSO L’UNIVERSITÀ DI PADOVA IL 7-12-2012 – relazione riassuntiva)


OBIETTIVO DEL SEMINARIO
Obiettivo principale del seminario è di mostrare che i principi e le norme fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (nonché la relativa concretizzazione giurisprudenziale di questi principi e norme), trasponibili nei diritti umani garantiti dalle convenzioni internazionali ― per esempio, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ― non sono trasgredibili e/o aggirabili mediante principi e norme incongruenti e/o incoerenti con detti principi e norme fondamentali, anche se questa trasgressione sia operata mediante disposizioni legislative e/o ministeriali.
Inoltre, si può notare che le tipologie di argomenti utilizzate abitualmente dagli interpreti giudiziali, dai giudici, per giungere alle loro conclusioni, sono caratterizzate da una certa tradizionalità e ragionevolezza (per esempio, i giudici utilizzano ampiamente l’argomento della coerenza, per cui occorre trattare similmente i casi simili, e diversamente i casi diversi, per risultare coerenti, e quindi ragionevoli); cosicché fuoriuscire da queste tipologie argomentative, magari utilizzando argomentazioni contraddistinte da irragionevolezza e/o fallacie logiche, risulta una modalità di argomentare non persuasiva ed infine inefficace per i medesimi giudici.
In particolare, il dibattito giurisprudenziale, italiano ed internazionale, riguardante la legittimità o meno dell’uso della diagnosi genetica preimpianto, preimplantation genetic diagnosis (d’ora in poi indicata con PGD) conferma le tesi appena esposte.
LA DIAGNOSI PREIMPIANTO E LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA PRIMA DELLA LEGGE 40 DEL 2004
Preliminarmente è opportuno precisare che con procreazione medicalmente assistita (d’ora in poi indicata con PMA), in estrema sintesi, si intende fare riferimento a quelle tecniche biomediche che consentono di produrre embrioni al di fuori del corpo della donna, cosicché, nel successivo impianto degli embrioni, risulta tendenzialmente agevole il processo procreativo, e tendenzialmente più agevole rispetto a quanto avviene senza fare ricorso a dette tecniche. Mentre con PGD si intende quel procedimento diagnostico/terapeutico per cui prima dell’eventuale impianto in utero degli embrioni è possibile sapere se questi sono affetti da alcune gravi malattie genetiche. La PGD consente allora di selezionare gli embrioni (differenziando gli embrioni sani da quelli malati) e, per tutelare la salute della donna aspirante madre, consente alla donna di rifiutare, qualora così decida, l’impianto degli embrioni risultati malati all’esito della PGD. Questa metodologia diagnostica, si può ancora notare, è simile, sotto il profilo della finalità, alla diagnosi prenatale (attuata essenzialmente mediante l’ecografia, la villocentesi, l’amniocentesi) in quanto ha il fine di diagnosticare la salute del nascituro; seppur, sotto il profilo della tecnica, è differente, anche in quanto si attua al di fuori del corpo della donna. Quindi, qualora la donna per tutelare la propria salute, decidesse di non far impiantare nel proprio corpo embrioni risultati malati all’esito della PGD, non si sottoporrebbe ad alcun intervento medico sul proprio corpo; mentre, a gravidanza già instaurata, qualora la donna per tutelare la propria salute, decidesse di non far proseguire lo sviluppo del feto risultato malato all’esito della diagnosi prenatale, si dovrebbe sottoporrebbe all’intervento medico, caratterizzato da una certa invasività, dell’interruzione di gravidanza, consentito in Italia dalla legge 194/1978.  
Prima dell’entrata in vigore della legge 40/2004, che disciplina in Italia la PMA, la PGD era ordinariamente praticata  e considerata pienamente legittima, inoltre le tecniche di PMA erano rese accessibili anche per le coppie non interessate da problematiche procreative; in particolare ricorrevano alle tecniche di PMA, e di qui alla PGD, le coppie interessate da problematiche genetiche, ancorché non interessate da problematiche riproduttive, in quanto tali coppie hanno un forte rischio, un rischio ben superiore al rischio medio, di procreare figli gravemente malati (della stessa patologia genetica da cui sono interessate).
Comunque, la PGD, prima dell’entrata in vigore della legge 40/2004, era considerata pienamente legittima sulla base dei seguenti rilievi giuridici.
- Si riscontrava l’assenza di disposizioni normative da cui fosse desumibile l’espresso divieto di effettuare la PGD. Siccome in qualsiasi ordinamento vige, almeno implicitamente, quella che vari teorici del diritto indicano come la regola generale esclusiva, per cui tutto ciò che non è vietato è permesso, la PGD era permessa.
- La Costituzione all’art. 32, c.1 indica la salute come un diritto fondamentale, inoltre, per il comma 2, nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario, se non sulla base di una normativa legislativa, la quale non può violare il rispetto della persona umana, e l’obbligo di sottoporsi ad un certo trattamento sanitario, per consolidata interpretazione del dettato costituzionale, può aversi solo quando si abbia un pericolo per la salute pubblica (es. in caso di epidemia di una grave malattia infettiva si potrebbe legittimamente obbligare la popolazione a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria, attuando un trattamento sanitario obbligatorio, TSO). Sulla base dell’art. 32, c.2, la giurisprudenza ha poi elaborato, a partire dagli anni 90, l’istituto giuridico del consenso informato, per cui prima di sottoporsi a qualsiasi trattamento sanitario, ed in ogni singola fase di questo, il paziente ha diritto ad essere informato adeguatamente, dal personale sanitario, sulla natura del medesimo trattamento sanitario, sulle sue possibili conseguenze, sui rischi ecc. Pertanto, nella situazione che stiamo esaminando, nell’ambito del trattamento sanitario costituito dalla PMA, la paziente donna aspirante madre aveva il diritto di conoscere, per quanto consentito dalla biomedicina, attraverso la PGD, lo stato di salute degli embrioni da impiantare nel suo utero; così come da tempo è considerato pienamente legittimo per la donna gestante conoscere lo stato di salute del feto molto prima di approssimarsi alla fase fisiologica del parto.
- L’ordinamento giuridico si autolimita, non detta norme alla scienza ed alla biomedicina. La comunità scientifica, costituisce, per quanto attiene in senso stretto al suo ambito di interesse scientifico, biomedico in particolare, un proprio insieme di regole scientifiche, che potremmo indicare come ordinamento biomedico, non disciplinato a suo volta dal diritto, le quali disciplinano l’ambito in cui in senso stretto la biomedicina viene praticata. Dunque il diritto non detta regole alla medicina, al modo di operare della medicina (come ha stabilito, fra l’altro, la Corte costituzionale in sue due sentenze: 282/2202; 338/2003), salvo che mediante la medicina si vengano, o si possano venire, a ledere beni fondamentali tutelati dal diritto, salvo che la medicina su determinate questioni mediche non abbia interesse a dettare regole. Pertanto, siccome la PGD, sulla base del parere positivo unanime della comunità scientifica, era ordinariamente utilizzata (previo consenso della paziente aspirante madre) nella pratica della PMA, allora era da ritenersi pienamente legittima.
LA LEGGE 40 DEL 2004 E I SUOI DIFFERENTI SISTEMI NORMATIVI, L’UNO CONTRARIO, L’ALTRO FAVOREVOLE ALLA LEGITTIMITÀ DELLA PGD
Dalle disposizioni della legge 40 si possono desumere due differenti sistemi normativi, l’uno che depone implicitamente per l’illegittimità della PGD, l’altro contrariamente per la sua legittimità. Si tratta di un esempio (purtroppo abbastanza frequente) di una legislazione compromissoria, una legislazione di mera formula (usando un espressione del teorico del diritto G.Tarello) per cui i contrasti politici esistenti nell’ambito parlamentare vengono riportati, in via compromissoria, sul piano legislativo, lasciando ai giudici la responsabilità di decidere (interpretando il dettato legislativo) i contrasti irrisolti. Comunque, le disposizioni della legge 40 che depongono per l’illegittimità della PGD sono le seguenti.
Art. 13, c. 3, lett. b È vietata “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni”. 
A questa disposizione si può essenzialmente attribuire questo significato normativo: si presume che qualsiasi attività di selezione degli embrioni sia di tipo eugenetico, e dunque qualsiasi attività di selezione degli embrioni (anche se volta a tutelare la salute della donna aspirante madre) va vietata. E siccome la PGD, mediante cui si possono avere dati importanti sulla salute degli embrioni, costituisce una metodologia utile alla selezione degli embrioni la medesima PGD va vietata. 
Con questa disposizione, come con le altre disposizioni che depongono per l’illegittimità della selezione embrionaria e della PGD il legislatore si rifà alla ratio del dovere del caso, per cui la PMA, anche denominata procreazione artificiale, per essere legittimamente attuata, deve tendere a mimare, per quanto possibile, il fenomeno della procreazione naturale. Dunque, poiché nel fenomeno procreativo naturale, allo stadio iniziale dell’instaurarsi della gravidanza, non si attua una selezione artificiale del nascituro, allo stesso modo non deve avvenire una selezione artificiale, possibile con l’ausilio della PGD, nell’ambito della PMA. Ancora si può osservare, relativamente alla disposizione di cui all’art.13, c.3, lett. b, che al termine selezione si accosta il termine eugenetica, attribuendo evidentemente all’eugenetica una caratterizzazione fortemente negativa. Ma va rilevato questo: l’eugenetica, in base al disegno teorico che aveva di questa il suo teorizzatore Galton sul finire dell’ottocento, indicava la disciplina volta al miglioramento della specie umana mediante la selezione genetica, al di fuori di ogni disegno degenerato. Ma successivamente, soprattutto in considerazione di imposizioni politiche degenerate, che intendevano rifarsi per l’appunto all’eugenetica , si è associato il termine ad un fenomeno contrario alla dignità umana. Nel periodo attuale con l’eugenetica, rectius con la genetica che si occupa di PMA, per lo più si cerca, senza l’imposizione di nessuna autorità, bensì con la scelta consapevole dei soggetti aspiranti genitori, di selezionare gli embrioni esenti da gravi malattie (genetica terapeutica). Ed infine si può notare che implicitamente la disposizione di cui all’art. 13, c. 3, lett. b, viene ispirata dall’argomento del pendio scivoloso, per cui all’accadere di una certo evento E, potenzialmente pericoloso,  necessariamente accadrà l’evento Z, sommamente degenerato. Giungere da E a Z non è, in realtà, in alcun modo necessitato, tuttavia l’uso dell’argomento suggerisce, fallacemente sul piano logico, che le cose stiano così. Quindi, con l’argomento del pendio scivoloso, applicato alla disposizione di cui all’art. 13, c. 3, lett. b, si suggerisce implicitamente che, qualora si permettesse un solo evento di selezione embrionaria (selezione eugenetica), e l’uso della PGD, si perverrebbe infine ad una situazione catastrofica e degenerata; dunque occorre vietare la pratica della selezione embrionaria e l’impiego della PGD. L’argomento del pendio scivoloso (traducibile anche con espressioni del tipo: “se permettiamo questo ma dove andremo a finire!”), seppur ampiamente utilizzato nel dibattito bioetico, non risulta certo persuasivo per i giuristi, neppure quando questi si occupano di questioni biogiuridiche.

Le disposizioni di seguito riportate formano un combinato disposto (artt. 6, c.3; 14, c.2, c.3), un insieme di disposizioni, o frammenti di disposizioni, fra loro congruenti, da cui è derivabile un univoco significato normativo.
Art. 6, c. 3 “La volontà [dei soggetti aspiranti genitori] può essere revocata [… ] fino al momento della fecondazione dell'ovulo”. 
Art. 14, c.2 Le tecniche di PMA devono consentire la produzione di embrioni nel numero strettamente necessario ad “un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”.
Art. 14, c. 3 “Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile”, trasferimento che infine andrà comunque effettuato.
Le disposizioni sopra riportate formano, come si è detto, un combinato disposto dal quale deriva un univoco significato normativo enunciabile in questa maniera: la donna, che ha già dato l’assenso alle procedure previste per la PMA, non può più revocare detto assenso; dunque l’embrione/gli embrioni prodotti (al massimo tre) deve/devono essere impiantato/i (in un’unica soluzione) nel suo corpo. Qualora sorgessero problematiche di salute per la donna si può temporaneamente rinviare l’impianto, ma infine l’impianto deve essere eseguito.
In sostanza, la donna aspirante madre dato l’assenso alla produzione degli embrioni nel massimo di tre si deve comunque sia sottoporre all’impianto embrionario. Dunque si viene a costituire un trattamento sanitario obbligatorio, un TSO, rivolto alla donna; ingiustificato sul piano costituzionale, in quanto, come abbiamo sopra rilevato per consolidata interpretazione dell’art. 32, c. 2 Cost., un TSO può essere giustificato/legittimato soltanto quando si abbia un grave pericolo per la salute pubblica, e nel caso della PMA non si vede dove stia il pericolo sanitario per la collettività.
Evidentemente il fine che caratterizza il combinato disposto, obbligando la donna all’impianto, consiste nell’evitare la selezione embrionaria e la PGD, e dunque implicitamente vietarle.

Art. 14, c.2 “È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni …”.
La disposizione vietando l’eliminazione e la crioconservazione degli embrioni (la conservazione a temperature molto basse degli embrioni per un tempo indeterminato) vieta anche, implicitamente, la selezione embrionaria e la PGD (funzionale alla selezione). 
Art. 13, c. 2 “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative”. 
Il significato normativo desumibile dalla disposizione depone per l’illegittimità della PGD, in quanto non essendo disponibili, almeno attualmente, terapie volte a curare l’embrione, allora la PGD del medesimo embrione va vietata.
Art. 4, c. 1 “Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
Il significato normativo, la norma giuridica desumibile dalla disposizione consente l’accesso alla PMA solo alle coppie interessate da problematiche procreative. Apparentemente la norma non riguarda la PDG. In realtà, siccome la norma esclude implicitamente dalla PMA, e dunque anche dalla PGD, le coppie interessate da patologie genetiche, ma fertili, una categoria particolarmente interessata alla PGD (essendo di fatto, almeno attualmente, la PGD l’unica metodologia efficace per evitare di avere figli interessati dalla stessa patologia di cui gli aspiranti genitori sono portatori), la stessa norma risulta implicitamente sfavorevole all’uso della PGD.
Inoltre, le Linee guida emanate nel 2004 dal Ministero della Salute, per disciplinare l’attuazione della legge 40, stabilendo all’ art. 13, c. 3, lett. d, che “[o]gni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro […] dovrà essere di tipo osservazionale” (osservazionale, cioè osservazione mediante microscopio; tecnica diagnostica ritenuta inefficace dalla comunità scientifica) implicitamente pone un’interpretazione ufficiale della legge contraria alla legittimità della PGD.

Invece le disposizioni della legge 40 che depongono per la legittimità della PGD sono le seguenti.
Art. 14, c.5 “I soggetti [donna e uomo, i quali abbiano il diritto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita] sono informati […], su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero”.
Gli aspiranti genitori hanno il diritto di conoscere lo stato di salute degli embrioni che si andranno eventualmente ad impiantare nel corpo della donna aspirante madre. Attualmente l’unica metodologia efficace per conoscere lo stato di salute degli embrioni, sapere se gli embrioni sono affetti da alcune gravi malattie genetiche, risulta essere la PGD, pertanto la PGD è consentita. Si tratta di una disposizione espressione dell’istituto giuridico del consenso informato, cosicché la donna che si sottopone al trattamento terapeutico della PMA, conosciuto attraverso la PGD lo stato di salute degli embrioni, può decidere se farseli impiantare o meno.
Art. 6, c. 1 “in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico [… deve informare] in maniera dettagliata i soggetti [gli aspiranti genitori] sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti […] Le informazioni […] devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa”.
L’art. 6, c.1 della legge è esplicitamente espressione del consenso informato, titolo dato alla disposizione. Le informazioni da fornire alla donna possono implicitamente includere il referto della PGD.
Art. 14, c. 2 “… fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”.
La disposizione, confermando la non abrogazione della legge 194/1978, disciplinante l’interruzione volontaria di gravidanza, implicitamente legittima la selezione embrionaria (in quanto la l. 194 consente la selezione dei feti, per tutelare la salute della donna); pertanto, per risultare coerente, la l. 40 deve permettere la selezione degli embrioni, e di qui, la PGD, funzionale alla selezione.
Inoltre, nella legge 40 non è presente alcuna disposizione dove sia esplicitamente stabilito il divieto di effettuare la PGD. Dunque, in base alla regola generale esclusiva, presente in ogni ordinamento giuridico, ancorché non statuita (secondo quanto rileva la teoria del diritto più accreditata), per cui tutto ciò che non viene vietato è permesso, la PGD è permessa. Poi, in base al principio di stretta legalità (previsto dall’art. 1 del Codice penale, “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”, non vi può essere reato, né sanzione correlata, in assenza di una disposizione di legge che li preveda, nullum crimen, nulla poena sine lege), si può desumere che la PGD sia permessa, in quanto non si ha nella legge 40 alcuna disposizione che ne preveda l’effettuazione come un reato, né una pena a questo correlato.
LA GIURISPRUDENZA ITALIANA (ALCUNE PRONUNCE GIUDIZIALI PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVE) RIGUARDANTE LA DIAGNOSI PREIMPIANTO
La legge 40 viene emessa il 19-2-2004 e già il 3-5-2004 il tribunale di Catania emette la prima pronuncia giudiziale in materia di PGD. L’azione giudiziale viene instaurata da una coppia interessata da patologie riproduttive e genetiche, la quale chiede che siano legittimamente impiantati nell’utero della donna solo gli embrioni risultati sani all’esito della PDG. Questa situazione dei ricorrenti al tribunale di Catania essenzialmente accomuna tutti i soggetti che hanno instaurato contenziosi giudiziali attinenti la PDG, almeno prima dell’ordinanza del Tribunale di Salerno del 2010, di cui diremo più avanti.
Il giudice si pronuncia per l’illegittimità della PGD e della selezione embrionaria e fonda la sua decisione principalmente sulle disposizioni di cui agli artt. 6, c.3 e 14, c.2, le quali (con l’art. 14, c.3) formano un combinato disposto, secondo cui la donna, che ha già dato l’assenso alle procedure previste per la PMA, non può più revocare detto assenso; dunque l’embrione/gli embrioni prodotti (al massimo tre) deve/devono essere impiantato/i (in un’unica soluzione) nel suo corpo (si veda sopra il nostro commento alle disposizioni di legge citate). Si tratta di un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) previsto dalla legge e tanto basta al giudice del foro catanese per ritenerlo legittimo, non rilevando l’incostituzionalità del dettato legislativo, mancando primariamente il pericolo per la salute pubblica, per giustificare la normativa.
Ed il giudice espressamente dichiara che per giungere alla sua decisione si è rifatto al canone interpretativo dell’intenzione del legislatore, connesso con l’argomento ad popolum. Ma, va rilevato, l’intenzione del legislatore costituisce un canone interpretativo non attendibile, infatti l’intenzione del legislatore risulta essere non sostanzialmente rintracciabile, come chiave di lettura delle disposizioni di legge, soprattutto in quanto i testi di legge sono il prodotto di più redattori e di più intenzioni. Inoltre, l’argomento ad popolum, cioè l’attribuire validità alla decisione della maggioranza, a prescindere dai suoi contenuti, oltre ad essere scorretto sul piano logico (il fatto che la maggioranza ha preso una certa decisione non comporta per ciò stesso che questa sia corretta), sul piano giuridico-legislativo non risulta essere un argomento incontrovertibile. Infatti quel che viene deciso dalla maggioranza parlamentare con il risultato dell’emanazione legislativa, seppur formalmente corretto può essere sostanzialmente scorretto/invalido sul piano dei contenuti normativi; cioè, la legge seppur formalmente corretta e valida può però essere invalida sul piano dei contenuti normativi, qualora questi contrastino con le norme ed i principi superiori dell’ordinamento, con i principi costituzionali.
Successivamente, dopo alcune pronunce giudiziali interlocutorie, il Tribunale di Cagliari emette la prima pronuncia che legittima nettamente l’uso della PGD, la sentenza del 24-9-2007.
Per giungere alla sua decisione il giudice (come egli stesso attesta nella pronuncia) fa rifermento al canone ermeneutico dell’interpretazione costituzionalmente orientata. Secondo questo canone il giudice, dati più significati normativi ad un testo legislativo, riferibile ad un certo caso concreto, di questi significati vanno disapplicati quei significati normativi che contrastano con le norme ed i principi costituzionali, mentre vanno applicati quei significati normativi che sono in sintonia con le norme ed i principi costituzionali (norme e principi che sono anche trasponibili nelle Convenzioni internazionali poste a tutela dei diritti umani).
In questo modo il giudice, nell’ottica del canone ermeneutico dell’interpretazione costituzionalmente orientata, rileva che da alcune disposizioni della legge sono desumibili norme incostituzionali, le seguenti.
L’art. 13, c.2, per cui la ricerca clinica sull’embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. Siccome, almeno attualmente, non è possibile curare l’embrione, allora la PGD va vietata. Si tratta di una disposizione che implicitamente nega l’accesso alla PGD, ma l’interesse degli aspiranti genitori a conoscere lo stato do salute dell’embrione da impiantare è costituzionalmente rilevante, allora il divieto implicito di cui all’art. 13, c. 2, risulta illegittimo e da disapplicare.
L’art. 13, c. 3, lett. b, per cui viene vietata ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni. Presumere che qualsiasi forma di selezione sia di tipo eugenetico è errato; infatti la PGD (funzionale alla selezione) costituisce uno strumento diagnostico ordinariamente utilizzato per conoscere lo stato di salute degli embrioni (su richiesta degli aspiranti genitori) e tutelare la salute (psicologica) della donna nell’effettuazione dell’impianto (dunque la PGD non costituisce uno strumento di pianificazione generalizzata ed eugenetica delle nascite). In particolare, la disposizione vietando di fatto la selezione embrionaria, e l’impiego della PGD nella selezione, non tiene nella dovuta considerazione la salute della donna, bene di primaria rilevanza costituzionale. Dunque la disposizione, intesa come divieto generalizzato di praticare la selezione embrionaria e la PGD, va disapplicata.
Gli artt. 6, c.3; 14, c.2 e c. 3, cioè il combinato disposto normativo da questi derivato, per cui si prevede l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti nel massimo di tre (e quindi si nega implicitamente la legittimità della PGD e della selezione embrionaria), dopo che la donna aspirante madre abbia dato l’assenso a sottoporsi alle tecniche di PMA, va disapplicato. In particolare, la tutela del bene salute della donna, primariamente tutelato sul piano costituzionale impedisce che si possa legittimamente procedere all’impianto, qualora il detto bene sia posto in serio pericolo.
Ma il giudice rileva pure che nella legge 40 sono presenti disposizioni dalle quali derivano norme pienamente in sintonia con le norme ed i principi costituzionali e queste sono le norme di legge che andranno applicate.
Nello specifico l’art. 14, c. 5, secondo cui i “soggetti [donna e uomo, i quali abbiano il diritto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita] sono informati […], su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero” e l’art. 6, c.1 che si richiama all’istituto del consenso informato, vanno applicati, quando gli aspiranti genitori richiedano l’effettuazione della PGD.
Infine, sempre per dichiarare legittimo l’uso della PGD, il giudice del foro di Cagliari rileva che nel testo della legge non è presente alcuna disposizione dove sia esplicitamente stabilito il divieto di effettuare la PGD e una sanzione per chi la effettui. Dunque, in base al principio di stretta legalità,  previsto dal Codice penale, per il quale non vi può essere né crimine, né sanzione in assenza di una disposizione di legge che li preveda, nullum crimen, nulla poena sine lege, si può desumere che la PGD sia permessa, in quanto non si ha nella legge 40 alcuna disposizione che la preveda come reato, né una sanzione per chi la pratichi.
Comunque, in seguito all’emanazione di questa sentenza, alcuni giudici che si occupano della legittimità della PGD e della selezione embrionaria investono la Corte costituzionale della non manifesta infondatezza dell’incostituzionalità di alcune disposizioni della legge 40, le quali vengono sottoposte al giudizio di costituzionalità della Corte.
Le disposizioni (che più in dettaglio si sono commentate sopra) sono le seguenti.  
L’art. 14, c. 2, per cui le procedure di PMA devono condurre a sottoporre la donna aspirante madre ad “un unico e contemporaneo impianto [degli embrioni], comunque non superiore a tre”.
L’art. 14, c. 3, secondo il quale per causa di forza maggiore relativa alla salute della donna il trasferimento degli embrioni può essere rimandato temporaneamente (ma infine deve essere effettuato).
L’art. 14, c. 1, che stabilisce il divieto di crioconservazione degli embrioni.
L’art. 6, c. 3, che dispone l’irrevocabilità del consenso della donna all’impianto degli embrioni avvenuta la fecondazione.
Di qui la Corte costituzionale perverrà ad emanare la sentenza 151 del 2009, con la quale, per concorde parere di giurisprudenza e dottrina, perviene a legittimare (implicitamente) l’uso della PGD, in base ai rilievi che seguono.
La sentenza si incentra soprattutto sull’esame del comma 2 dell’art. 14.
La disposizione è antinomica. Da un lato prevale l’esigenza della cura della donna; vale il principio secondo cui la donna soggetto autonomo deve essere tutelata massimamente, mentre l’embrione minimamente (si veda sent. Corte Cost. 27/1975 e legge 194/1978); si ammette infatti la possibilità di dispersione degli embrioni: se ne possono produrre sino a tre. Dall’altro lato si prescinde dalla ratio della cura, anzi si va contro la cura (efficace) della donna; vale il principio per cui la donna-soggetto e l’embrione vanno tutelati ugualmente (limite dei tre embrioni prodotti); inoltre la cura dovrebbe essere dettata solo dal medico e dalla situazione specifica del paziente. L’unico e contemporaneo impianto degli embrioni comporta in effetti il rischio di gravidanze trigemellari, la non elevata possibilità di successo della PMA ed il rischio della iperstimolazione ovarica. Quindi, le ragioni per cui la Consulta procede a dichiarare illegittima parte della disposizione di cui al comma 2 dell’art. 14, si possono ulteriormente specificare nella maniera che segue.
La disposizione è antinomica, irragionevole: da una parte si sostiene una cosa, dall’altra se ne sostiene un’altra. Il significato normativo della disposizione poi risulta essere irragionevole anche perché tratta similmente situazioni dissimili; il significato normativo della disposizione viola il principio della ragionevolezza come universalizzabilità per cui: occorre trattare similmente situazioni simili, mentre occorre trattare differentemente situazioni differenti per risultare ragionevoli. “La previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone, in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili”. Sent. Corte Cost. 151/2009.
Inoltre, la disposizione legislativa non deve dettare regole alla scienza, alla biomedicina, come la giurisprudenza costituzionale ha già sottolineato. La giurisprudenza costituzionale ha in effetti “ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali” Sent. Corte Cost. 151/2009. (E, si può ancora notare che, secondo l’ordinamento biomedico, affinché le procedure di impianto e selezione embrionaria siano realmente efficaci occorre produrre ordinariamente almeno sei embrioni da impiantare, questo per evitare il rischio di iperstimolazione ovarica, avere un certo successo nel rinvenire embrioni idonei all’impianto ecc. Seppur, ovviamente, ogni situazione va esaminata singolarmente, essendo tutti i pazienti diversi e le situazioni terapeutiche diverse.)
Pertanto, sulla base delle argomentazioni appena esposte la Corte costituzionale dichiara illegittima parte della disposizione di cui al comma 2 dell’art. 14, dove si prevede un unico e contemporaneo impianto (degli embrioni), comunque non superiore a tre.
Di qui la Corte costituzionale, basandosi sulla rilevanza primaria del bene salute della donna, perviene a dichiarare parzialmente illegittima la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 14, cosicché, per causa di forza maggiore relativa alla salute della donna il trasferimento degli embrioni può essere rimandato, anche a tempo indeterminato, e potrà avvenire solo senza pregiudicare la salute della donna.
Mentre dichiara legittimo l’art. 14, c. 1, che stabilisce il divieto di crioconservazione degli embrioni, ma derogabile. Cioè, quando la tutela della salute della donna lo richieda è possibile crioconservare gli embrioni: è possibile allora selezionare gli embrioni, previa effettuazione della PGD.
Infine, inspiegabilmente, la Corte dichiara legittimo l’art. 6, c. 3 (che dispone l’irrevocabilità del consenso della donna all’impianto degli embrioni avvenuta la fecondazione) lasciando aperte rilevanti problematiche.

Successivamente, dopo una pronuncia che conferma la legittimità della selezione embrionaria e della PGD (ord. Bologna, 26-9-2009), il tribunale di Salerno il 9-1-2010 emette un’ordinanza, che pone un “salto di qualità” rispetto alle pronunce giudiziali emesse in precedenza, soprattutto per le caratteristiche della coppia ricorrente, alla quale viene concesso di praticare legittimamente la PGD e la selezione embrionaria. Infatti la coppia ricorrente è dichiaratamente interessata da patologie genetiche, ma non interessata da stati patologici sul piano procreativo.
In particolare poi il giudice giunge alla sua decisione sulla base delle seguenti considerazioni.
Il diritto a procreare, alla scelte consapevoli intorno alla procreazione, dunque anche il diritto a non procreare, costituiscono “diritti fondamentali costituzionalmente tutelati”. Il permettere l’accesso alle tecniche di PMA per le coppie interessate da problematiche procreative costituisce una specificazione del diritto a procreare, rimuovendo gli ostacoli patologici alla procreazione, e a procreare consapevolmente, consentendo l’uso della PGD (come attesta la decisione della Corte Cost. 151/2009). Quindi, siccome le patologie genetiche riguardanti gli aspiranti genitori costituiscono un serio ostacolo alla procreazione (come le patologie riproduttive), ed alla procreazione consapevole, se si vuol essere coerenti, ragionevoli, trattare similmente situazioni simili, in base al principio di uguaglianza, principio fondamentale statuito all’art. 3 della Costituzione, occorrerà consentire di accedere alla PMA, e di qui anche alla PGD, anche alle coppie interessate unicamente da patologie genetiche.
Il giudice, inoltre, nota che nelle Linee Guida alla legge 40, quelle emanate nel 2008, oltre ad eliminare (per effetto della sent. del Tar 398/2008) la disposizione contenuta nelle Linee Guida del 2004, per cui ogni indagine sull’embrione dovrà essere osservazionale (per cui si ammette la legittimità dell’uso della PGD), si assimila la condizione delle coppie interessate da HIV ed epatite B e C, stante l’elevato rischio di contagio per i nascituri, alle coppie interessate da problemi riproduttivi (il rischio di infezione costituisce un serio ostacolo alla procreazione) al fine di accedere alle tecniche di PMA. Dunque anche alle coppie interessate unicamente da patologie genetiche, le quali hanno un elevato rischio di trasmettere la malattia di cui sono portatori ai nascituri, va attribuita la possibilità di accedere alla PMA e di praticare la PDG, in base al principio di uguaglianza come ragionevolezza.

In seguito, il 28-8-2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) emette una sentenza con la quale legittima l’uso della PGD e l’accesso alle tecniche di PMA per una coppia di ricorrenti, dichiaratamente interessata da patologie genetiche, ma non interessata da stati patologici sul piano procreativo; pertanto il caso è simile a quello su cui si è pronunciato il tribunale di Salerno (ord. 9-1-2010).
In particolare, la CEDU perviene alla sua decisione ritenendo che lo Stato italiano, mediante talune disposizioni della legge 40/2004, abbia contravvenuto all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per il quale: 
“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare [...]. 
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria […] alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
Di seguito esponiamo gli aspetti emersi nel contenzioso che sono stati determinanti per la Corte europea nell’emettere la sua sentenza.
Il Governo italiano, parte resistente nel contenzioso, eccepisce alla coppia essenzialmente che il ricorso (in riferimento all’art.8 della Convenzione) risulta irricevibile ratione materiae, sulla base della materia tutelata dalla Convenzione: la norma desumibile dalla Convenzione non tutela il diritto al figlio sano (diritto, secondo il Governo italiano, reclamato dalla coppia). Inoltre, sempre il Governo, rileva che, qualora la Corte non accogliesse questa preliminare eccezione di irricevibilità del ricorso, il divieto di praticare la PGD costituisce una previsione di legge, volta a tutelare i diritti della collettività (si presume il diritto alla salute collettiva) e della morale collettiva. Il divieto, inoltre, costituisce una misura posta a tutela di derive eugenetiche: in questa maniera, facendo riferimento all’eugenetica, il Governo italiano utilizza nel suo eccepire anche l’argomento del pendio scivoloso (sull’eugenetica e sul pendio scivoloso si veda sopra).
Ma la CEDU ritiene che i rilievi del Governo sulla ricevibilità del ricorso siano inappropriati.
Innanzitutto, perché la PGD non costituisce un metodo per avere un figlio sicuramente sano, bensì, molto più limitatamente, una diagnosi con scopi terapeutici, volta soltanto ad evitare la nascita di un figlio affetto da una serie di gravi malattie genetiche. Dunque la PGD, nel ragionamento effettuato dalla Corte, risulta essere esclusivamente una terapia, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche l’unica, per evitare alla coppia ricorrente l’eventuale nascita di un figlio ammalato della medesima patologia di cui la coppia è portatrice. E sul punto la Corte richiama una serie di documenti di organi consultivi del Consiglio d’Europa i quali attestano che la comunità scientifica consiglia, per evitare di avere una gravidanza indesiderata, l’effettuazione della PGD; quindi la CEDU si rifà nel suo argomentare alla validità delle regole dell’ordinamento biomedico, nelle questioni che attengono strettamente a tale ordinamento. Inoltre la Corte rileva che la scelta terapeutica dei ricorrenti attiene propriamente alla vita privata di questi, notando poi che il concetto di vita privata, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, risulta essere un concetto ampio che può ben ricomprendere le scelte terapeutiche in materia procreativa, come la scelta di effettuare la PGD nell’ambito delle tecniche di PMA. E tale scelta dei ricorrenti, attinente la loro vita privata, non riguarda la collettività, non può mettere in pericolo la collettività in nessun modo, sia sul piano della salute che della morale; pertanto il ricorso è da ritenersi pertinente alla materia che concerne l’art. 8 della Convenzione e da accogliere.
Inoltre, per giustificare la propria decisione, in ordine al legittimo uso della PGD anche per le coppie interessate da patologie genetiche ma dichiaratamente non interessate da problematiche procreative, la CEDU rileva che se la coppia dei ricorrenti si attenesse alle indicazioni del Governo italiano in materia di procreazione (cioè instaurare la gravidanza per via naturale, senza effettuare la selezione embrionaria) si potrebbero avrebbe conseguenze negative sulla salute della coppia e della donna in particolare. “Le conseguenze di un tale sistema sul diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti sono evidenti. Per tutelare il loro diritto a mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia di cui sono portatori sani, l’unica possibilità offerta ai ricorrenti è iniziare una gravidanza secondo natura e procedere a interruzioni mediche della gravidanza qualora l’esame prenatale dovesse rivelare che il feto è malato”. (sent. CEDU, 28-8-2012) La CEDU impiega l’argomento del comune senso di equità, o giustizia, per cui una norma è da ritenersi invalida qualora la sua applicazione conduca a conseguenze manifestamente contrarie al comune senso di giustizia.
E ancora la CEDU rileva che, in materia di autonomia procreativa per una coppia nella situazione dei ricorrenti, il sistema legislativo italiano manca di coerenza: da un lato consente l’effettuazione della diagnosi prenatale e un’eventuale interruzione di gravidanza per tutelare la salute della donna, soprattutto sulla base della legge 194/1978; mentre dall’altro non consente l’accesso alla PMA, l’effettuazione della PGD e la possibilità di selezione embrionaria per tutelare, in particolare, la salute della donna. Dunque, stante “l’incoerenza del sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto […] la Corte ritiene che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare sia stata sproporzionata. Pertanto, l’articolo 8 della Convenzione è stato violato nel caso di specie”. In questo modo l’argomento della coerenza come ragionevolezza (per cui occorre trattare similmente i casi simili per risultare ragionevoli) da riferirsi nello specifico al settore dell’ordinamento disciplinante l’autonomia in ambito procreativo, costituisce la ratio decidenti (il motivo della decisione) principale utilizzato dalla Corte per addivenire alla propria decisione.

Ora, sia detto a completamento del commento alla sentenza appena effettuato, il Governo italiano, non condividendo la decisione della CEDU, si è appellato alla Grande Camera (organo giudiziale gerarchicamente sovraordinato rispetto alla CEDU) da cui si attende prossimamente il pronunciamento definitivo sulla questione appena presentata.   



La sentenza del 28-8-2012 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è rinvenibile (tradotta dal francese) sul sito del Ministero della Giustizia: www.giustizia.it.
Per la versione in lingua francese cfr su questo blog http://amalialamanna.blogspot.it/2012/08/fecondazione-legge-40-incoerente-la.html


Per approfondimenti sulla tematica si rimanda, fra gli altri, a: 
G. Baldini, Diagnosi genetica pre-impianto nell’evoluzione normativo-giurisprudenziale, articolo del 12-3-2012, consultabile sul sito: www.altalex.com/in;
G. Rossini, È legittimo predire e selezionare l’uomo. Argomenti pro e contro la legittimità della diagnosi genetica preimpianto, Roma, Aracne, 2011.

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