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lunedì 11 febbraio 2013

Operazione antidroga condotta dalla polizia municipale: riflessioni in punto di utilizzabilità della prova

Operazione antidroga condotta dalla polizia municipale: riflessioni in punto di utilizzabilità della prova
11 Febbraio 2013
Cass., sez. III, 19 settembre 2012 (dep. 10 gennaio 2013), n. 1258, Pres. Mannino, Rel. Rosi, imp. Leka

[Francesco Zacche']

1. Si segnala la presente sentenza della V Sezione, per le peculiarità della vicenda e per alcune considerazioni ivi contenute in tema di prove vietate. Durante un'operazione antidroga, originata da fonti confidenziali, alcuni agenti della polizia municipale di Sassuolo si fingono imprenditori interessati all'acquisto di una partita di cocaina per un corrispettivo di 60.000 euro. Nel corso dell'incontro relativo alla vendita della sostanza illecita, la persona sottoposta alle indagini viene arrestata e, nell'auto del complice, viene sequestrato il corpo del reato. Disposta la custodia cautelare, il Tribunale del riesame di Modena conferma la misura limitativa della libertà personale dell'indagato per detenzione ai fini di spaccio di circa 500 gr. di cocaina. Di qui, ricorre per cassazione il difensore dell'interessato chiedendo, tra l'altro, l'annullamento dell'ordinanza cautelare per l'inutilizzabilità sia delle informazioni confidenziali sia delle prove acquisite, a suo parere, dall'agente provocatore.

2. La Corte di cassazione, sotto il primo profilo, esclude che il quadro gravemente indiziario a carico del ricorrente sia costituito da fonti confidenziali. Anzi, il giudice di legittimità osserva che, nell'ordinanza impugnata, la prova cautelare è rappresentata dagli esiti delle complesse operazioni condotte dalla polizia, mentre le notizie confidenziali hanno svolto un ruolo di mero impulso dell'attività investigativa. E, scrive la Corte, «nessuna inutilizzabilità derivata dei risultati della complessa operazione di polizia giudiziaria può ... essere ravvisata nel fatto che gli agenti ebbero la prima notizia della detenzione della cocaina ... da una fonte confidenziale».

3. Quanto alla seconda doglianza, la Cassazione ribadisce che le operazioni dell'agente di polizia giudiziaria sono legittime, ai sensi dell'art. 51 c.p., quando costituiscono in via prevalente un'attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui; le operazioni sottocopertura ex art. 9 l. n. 146 del 2006 - a cui rinvia il riformulato art. 97 d.p.r. n. 309 del 1990 - includono determinate condotte attive scriminate; la giurisprudenza della Corte di Strasburgo tollera le indagini svolte da agenti infiltrati. Tuttavia, aggiunge il giudice di legittimità, eventuali abusi da parte delle forze di polizia possono avere dei riverberi sul piano disciplinare e penale, con ulteriori riflessi sul piano probatorio: più specificamente, ed è questo l'aspetto di maggior interesse nella pronuncia qui pubblicata, la Cassazione reputa che l'«induzione e l'incitamento al reato determinano ... non solo la responsabilità penale dell'agente, ma l'inutilizzabilità della prova acquisita, per contrarietà dei principi del giusto processo, e rende l'intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».

4. Enunciato tale principio di diritto, comunque, la Suprema Corte ritiene l'ordinanza del tribunale del riesame condivisibile. Nella specie, l'operazione di polizia che ha portato all'arresto del ricorrente non può essere qualificata come "attività sotto copertura", perché non si trattava di un'attività specificamente disposta e comunicata alla Direzione centrale per i servizi antidroga e all'autorità giudiziaria. Né si trattava di attività riconducibile all'azione tipica dell'agente provocatore, in quanto il comportamento degli agenti appartenenti alla polizia municipale non aveva provocato un intento delittuoso prima inesistente: nel caso concreto, infatti, l'azione delittuosa contestata riguarda la detenzione di un consistente quantitativo di droga ai fini di cessione; detenzione realizzata in via autonoma dall'indagato e dal suo complice anteriormente alla stessa attivazione delle investigazioni.
Ad abundantiam, aggiunge la Corte, va rilevato che risulta pur sempre legittimo, e utilizzabile come prova, il sequestro probatorio del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato, rinvenute a seguito di un'attività di polizia dalla quale pur venga riconosciuto il superamento dei limiti imposti dalla legge per le attività di contrasto al traffico di sostanze stupefacenti (cfr. Cass., sez. un., 27 marzo 1996, Sala).

5. La sentenza della Corte di cassazione tocca punti nevralgici del sistema probatorio e della sua legalità. Si dà spazio all'inutilizzabilità della prova raccolta attraverso modalità lesive dell'equità processuale (e, sullo sfondo, della prova illecita), ma, al contempo, l'addebito provvisorio (detenzione di stupefacenti) e la controversa giurisprudenza in tema di perquisizione-sequestro (più sopra citata) spingono la Corte a giudicare il ricorso infondato. La delicatezza delle questioni sottese rende, senz'altro, necessaria un'attenta riflessione in sede dottrinale. Per un primo approccio, si consiglia la lettura di C. Bortolin, Operazioni sotto copertura e "giusto processo", in Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo il «caso Dorigo» e gli interventi della Corte costituzionale, a cura di A. Balsamo - R.E. Kostoris, Torino, 2008 (sul tema specifico); R. Casiraghi, Prove vietate e processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009 (sulle prove vietate); G. Ubertis, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo, Milano, 2009 (sulla giurisprudenza di Strasburgo in materia di operazioni sotto copertura e agente provocatore).

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Sul tema dell'agente provocatore è molto inteerssante anche il documento sottostante.
Agente infiltrato, agente provocatore e utilizzabilità delle prove: spunti dalla giurisprudenza della Corte EDU
31 Maggio 2011
Cass., Sez.III, 7.4.2011 (dep. 3.5.2011), n. 751, Pres. Squassoni, Rel. Ramacci, ric. Ediale e a.


[Antonio Vallini]

La sentenza qui allegata affronta, tra le altre, la tematica dell’ “agente provocatore” . Il caso è quello consueto: un agente di polizia, celando la propria qualifica, riesce ad entrare in contatto con un traffico criminale, ed al fine di raccogliere prove e/o far cogliere in flagranza i suoi ignari interlocutori compie un’attività che, per la sua componente di “adesione fattiva” al comportamento criminoso, va ben al di là di una ordinaria “indagine” su fatti commessi o in corso di realizzazione. In simili evenienze, qualora risulti che il soggetto, lungi dall'operare da semplice "infiltrato", abbia posto in essere un contributo da considerarsi a tutti gli effetti concorsuale - circostanza che si verifica in modo particolarmente evidente in caso di provocazione “in senso stretto”, cioè quando il provocato venga in vario modo indotto a commettere un reato che altrimenti non avrebbe realizzato - si pongono fondamentalmente due questioni.

In primo luogo, v’è da interrogarsi circa la possibile punibilità dello stesso provocatore, o comunque del soggetto che abbia posto in essere un contributo concorsuale rilevante, al di fuori dei limiti stabiliti da espresse clausole di non punibilità in tema di operazioni “sotto copertura”. La corresponsabilità è normalmente riconosciuta dalla giurisprudenza: v. ad es. Cass., Sez.IV, 24.1.2008, Casaula, Ced 239640; Cass., Sez.I, 14.1.2008, D’Amico e altri, Ced 239704. Si esclude, ad es., la configurabilità di una scriminante putativa (v. ad es. Cass., Sez.IV, 17.12.2008, Grguric, Ced 243439). Della questione non si occupa la sentenza in oggetto, intervenuta in un procedimento che vedeva come imputati soltanto i “provocati”.

In secondo luogo, emerge il problema della responsabilità della persona “sollecitata” a delinquere dall’agente di polizia. Detta responsabilità è normalmente riconosciuta dal punto di vista sostanziale; si esclude, in particolare, la natura “impossibile” del reato realizzato (tra le altre Cass., 27.10.1995, Manna e a., Ced 204794; Cass., Sez.VI, 17.6.1993, Chianale, Ced 195049; Cass., Sez.IV, 14.3.2008, Varutti, Ced, 2008/239526). Si discute, tuttavia, della utilizzabilità delle prove raccolte a suo carico mediante una illecita attività di induzione a delinquere compiuta dagli stessi inquirenti (fermo restando che, ove il provocatore assuma la qualità di imputato in procedimento connesso o collegato, saranno applicabili gli artt.210 e 192 c.p.p.: Cass., Sez.II, 28.5.2008, Cuzzucoli, Ced 241441)

A quest’ultimo proposito, assume particolare rilievo la costante giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Corte EDU, 9.6.1998, Teixeira de Castro c. Portogallo; Corte EDU, 21.2.2008, Pyrgiotakis c. Grecia; Corte EDU 1.7.2008, Malininas c. Lituania), rammentata nelle motivazioni della sentenza in oggetto, stando alla quale deve ritenersi violata la clausola del “processo equo” (art.6 CEDU) nel caso in cui un soggetto venga condannato per un reato provocato “in senso stretto” dalle stesse forze di polizia. Tale orientamento, dal punto di vista dell’ordinamento interno, assume senz’altro un rilievo processuale, avallando appunto la censura di inutilizzabilità ai sensi dell’art.191 c.p.p. degli atti raccolti mediante provocazione (v. ad es. Cass., Sez.III, 3.6.2008, Ced 240269); ferma restando, tuttavia, la liceità dell’eventuale sequestro del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato (Cass., Sez.IV, 14.3.2008, Varutti, Ced 239525 )

A parer di taluno, nondimeno, la giurisprudenza europea avrebbe altresì implicazioni di carattere sostanziale, perché, al di là della «veste processuale dell’argomentazione», la regula iuris formulata dalla Corte EDU sembra in fin dei conti disegnare una vera e propria “causa di non punibilità” a favore del provocato, che il giudice italiano dovrebbe automaticamente applicare ogni qual volta accerti la portata “causale” del contributo dell’infiltrato, ad es. al fine di ritenere quest’ultimo penalmente responsabile [così almeno A.di Martino, Concorso di persone nel reato, in Le forme di manifestazione del reato, a cura di G.De Francesco, Torino, 2011, 239]. L’ipotesi non sembra, per adesso, trovare supporto in giurisprudenza.

Nel caso di specie, più in particolare, il poliziotto – agendo al di fuori delle procedure stabilite dall’art. 97 d.p.r. 390/90 per le operazioni “sotto copertura”– attraverso l’attività di un’informatrice entrava in contatto con una banda di trafficanti, organizzando un primo incontro che, nel suo progetto, doveva essere soltanto interlocutorio. In realtà, i soggetti contattati gli offrivano sin da subito alcune partite di droga di cui già disponevano; l’agente, pur colto di sorpresa, si qualificava e faceva intervenire i colleghi, che attuavano l’arresto in flagranza.

La Corte ha buon gioco a negare qualsiasi provocazione, e dunque a confermare la condanna pronunciata dai giudici di merito sulla base del materiale probatorio raccolto nell’operazione. Il contributo del poliziotto non aveva “determinato” la commissione di una fattispecie criminosa che, altrimenti, non sarebbe stato realizzata. Il reato contestato è, infatti, quello di illecita detenzione di stupefacenti per la vendita; ed è indubbio che i soggetti già detenessero le sostanze e le avessero, per così dire, precedentemente “offerte al pubblico”, a prescindere dalla richiesta di contatto avanzata dall’agente in borghese, la quale dunque costituiva solo l’occasione affinché “venisse alla luce” un’attività criminosa già in atto.

Nonostante l’attenzione rivolta alla giurisprudenza sovranazionale, la sentenza in esame – conformemente ai suoi precedenti - trascura come dalle non sempre perspicue motivazioni delle citate decisioni della Corte EDU potrebbe evincersi (il condizionale è d’obbligo) un ulteriore presupposto di legittimità per operazioni lato sensu di infiltrazione poliziesca, e cioè il loro necessario svolgersi sotto l’egida dell’attività giudiziaria. Per altro verso, v’è da chiedersi se le ormai numerose, espresse clausole di legittimità dell’attività di infiltrazione – quale appunto quella contenuta nel cit. art.97 – per il loro contenuto procedurale non debbano considerarsi, prima ancora che cause di giustificazione dell’attività dell’infiltrato, vere e proprie norme di disciplina di uno specifico potere dell’autorità. Se così fosse, i comportamenti che costituiscano attuazione di quella pubblica prerogativa dovrebbero ritenersi “illegittimiper il fatto stesso di essere stati compiuti senza rispettare quella disciplina (a prescindere, cioè, dalla loro connotazione “istigatoria”), con tutto quello che potrebbe conseguirne se non altro sul piano processuale. Su entrambe queste questioni, evidentemente rilevanti rispetto alla vicenda concreta trattata in sentenza (come si è detto, l’operazione veniva compiuta al di fuori delle procedure di cui all’art.97 cit., comportanti anche un coinvolgimento dell’autorità giudiziaria), sia consentito rinviare a A. Vallini, Il caso “Teixeira de Castro” davanti alla Corte europea per i diritti dell’uomo ed il ruolo sistematico delle ipotesi “legali” di infiltrazione poliziesca, in Leg.pen., 1999, 200 ss.

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