La
sfida contro la riforma dell’avvocatura è collettiva e riguarda tutti
Personalmente
trovo assolutamente sbagliato tutto l'impianto della riforma. I numeri di
fronte a cui si trova l'avvocatura italiana sono assolutamente allarmanti.
L'Università
non è in grado di selezionare, formare e di immettere nel settore persone
culturalmente qualificate. La facoltà di legge assorbe tutti gli studenti oggi
scartati dalle altre facoltà. Quindi, la specializzazione, a parte fornire
altri studenti e altri soldi alle Università che ne hanno bisogno difficilmente
riuscirà a fare meglio di quanto non faccia nei primi 5 anni. Inoltre,
ulteriore fattore di rischio è quello di un modellamento su uno standard di
pensiero unico prodromico dell’operaio del diritto anziché realizzare dei
giuristi muniti di autonomo pensiero e autonomo senso critico.
Inoltre,
l’esubero di professionisti è già allarmante oggi. Qualsiasi riforma non può
prescindere dal confronto con questi numeri. Si pensi ad esempio che già i soli
iscritti all’ordine di Roma superano il numero di iscritti di tutta la Francia[1]
(che ha pure PIL e ricchezze superiori all’Italia). L’esubero di professionisti
ha creato anche un’ampia categoria di proletariato legale e un’altra di
precariato del settore di cui la riforma ovviamente non solo non si fa carico
ma pare assolutamente ignorare entrambi i fenomeni . L’unico ente che trae
vantaggio dalla situazione è la Cassa Nazionale che viene foraggiata anche
grazie ai contributi di questi “proletari” e “precari” dell’avvocatura,
costretti a pagare i contributi minimi esattamente nella stessa quantità e
dimensione di quanto pagava l’oggi ministro Severino o l’on. Bongiorno .
Un
ruolo a parte in questa vicenda lo svolgono anche le associazioni di categoria,
(c.d. associazioni forensi) maggiormente rappresentative che hanno fallito nel
compito di autoriforma conferito loro dall’allora ministro della Giustizia
Alfano, afflitte da lotte intestine e beceri sotto-interessi di categoria:
tutti problemi molto lontani sia dalla realtà giudiziaria quotidiana sia
dall’interesse della categoria, da considerare quale insieme con tutte le sue
peculiarità e non un appannaggio di pochi eletti. Ovviamente, inutile dire che
a seguito del fallimento non si è dimesso nessuno benché i fatti particolarmente
gravi lo richiedessero. Ci sarebbe da
approfondire sulle ragioni per le quali i tesserati di questa o quella
associazione non abbiano chiesto ai loro
rappresentanti di ritirarsi per sempre nei loro studi anziché continuare a
perorare pro domo sua. Altrettanto ovvio
e inutile appare dire che il potente padrone assolutamente disinteressato a
contribuire a spegnere l’incendio perirà insieme al suo orticello cui guarda
prima di ogni cosa. Ho sentito qualcuno di questi signori profetizzare circa
opportunità dell’avvocatura dalle liberalizzazioni verso una trans nazionalità
del ruolo e addirittura circa la supposta abilità della categoria (ma immagino
si riferisse solo agli “eletti”) a gestire finanza e mercati. Credo che
entrambe tali capacità ed opportunità risultino ampiamente smentite dalla
lettura dei quotidiani e contemporaneamente dimostrino il baratro verso cui ci
stanno portando. Neppure mi voglio addentrare sulla crisi del carrozzone UE che
è già abbastanza nota ai cittadini.
Capitolo
ancora aperto è quello delle società di capitali che da tempo cercano di
eliminare due fondamentali principi della professione: indipendenza e
autonomia. Qualcuno potrebbe obiettare che c’è avversione ideologica verso il
concetto, ma ciò è falso. I nefasti effetti delle “Corporation” si sono visti in modo molto drammatico negli ultimi
anni. Una società ha come unico scopo il profitto. Diritto e profitto di solito
sono agli antipodi. Come è possibile che l’avvocato autonomo e indipendente
possa far parte di una struttura il cui unico obiettivo sia il profitto?
Abbandonare il ruolo costituzionale di tutela dei diritti rappresenterà
l’ulteriore e definitiva demolizione di una professione che ancora oggi a
stento sta cercando con molta fatica di mantenere il suo decoro anche se ormai
ridotta “con le pezze al culo”. La concorrenza è assicurata dalla contemporanea
presenza di un numero cospicuo di professionisti sul territorio e non certo
dalla loro sparizione per consentire solo ad una élite plutocratica di poter
esercitare.
I
cittadini vengono tenuti debitamente all’oscuro di tali manovre che – se
portate avanti – impediranno loro di poter vantare efficacemente i loro diritti
contro i potenti cui saranno alla completa mercé. Già i costi della giustizia
stanno impedendo oggi a molti cittadini di poter vantare un diritto in giudizio
perché non sono in grado di pagare la tassazione imposta dallo Stato sulla possibilità di accesso al servizio e i
livelli reddituali per l’esenzione sono al di sotto del tasso di povertà.
Proseguire dunque su tale strada renderà sempre più attuale il degrado del
ruolo del cittadino già trasformato in una categoria inferiore dal diritto UE:
un cittadino è al di sopra di un consumatore ma l’illusione fornita dalla
centralità del mercato lo ha confuso facendogli accettare e facendolo abdicare al
suo trono . Oggi, il consumatore è stato ridotto a suddito di un debito sovrano
sempre grazie a spread e a strategie
di mercato. Dunque, si sta chiedendo allo stesso ex cittadino di accettare la
nuova formula di schiavitù inconsapevole in nome del mercato e di rinunciare a poter tutelare
in giudizio i suoi diritti, quello stesso mercato che lo sta preparando a
stipendi da 300€/m con turni da 20h/g e senza pensione.
Tutela
dei diritti e mercato non sono concetti conciliabili. Del resto le medesime
osservazioni potrebbero farsi sul campo della sanità. Il mercato imporrebbe di
non curare gli anziani in quanto non più produttivi. Qualcuno può trovare etica
la scelta di una struttura sanitaria che rifiutasse un anziano perché
improduttivo curarlo? Oppure, sempre per restare su una scelta mercantilistica
qualcuno troverebbe etico per la struttura sanitaria accettare l’anziano solo perché
economicamente in grado di affrontare con il suo portafogli il costo della
prestazione e non accettare l’anziano povero in quanto non solvibile? Quindi,
nello schema della professione legale il mercato deve restare fuori tanto
quanto dalla sanità . I diritti fondamentali dell’individuo sono una conquista
e il terreno non deve essere ceduto in nome di aspettative di mercato.
La
sfida riguarda tutti noi che abbiamo lo stesso interesse a resistere e a non
cedere. Qualsiasi riforma si voglia provare a fare – se veramente si vuol dare
un futuro all’Avvocatura italiana - intesa come professione intellettuale che
consenta a qualsiasi cittadino (ricco o povero) la tutela dei propri diritti - dovrà
necessariamente almeno per un ciclo di 5 anni bloccare gli accessi alla
professione per poter aprire una fase nuova, un new deal della professione. In questa fase sarà necessario operare
una verifica delle professionalità già presenti sul territorio, vagliare le
necessità concrete del territorio e soprattutto programmare i bisogni (anche
eventualmente nuovi) con le specialità, così da poter formare e (re)distribuire
professionisti qualificati capaci di poter consentire la tutela dei diritti per
chi ne ha bisogno. L’idea della transnazionalità del ruolo è allo stato impraticabile
e plausibilmente tale resterà almeno per i prossimi trent’anni. Inoltre, se per
transnazionalità si intendessero possibili sbocchi nel sistema giudiziario
dell’UE , l’idea sarebbe una chimera. Non possiamo intanto neppure garantire
continuità a questa esperienza. Le frontiere plausibilmente rischiano di essere
ristrette. Le promiscuità di common law
e di civil law stanno generando
abomini già nel settore processuale e rinnegare le proprie tradizioni culturali
nel settore del diritto potrà solo comportare gravi conseguenze che sconteranno
sempre i cittadini.
Sia chiaro, la riforma dell’Avvocatura non risolverà in alcun modo i problemi della Giustizia, che solo investimenti massicci potrebbero finalmente arginare.
Dunque, così com’è questa riforma produrrebbe esclusivamente i seguenti effetti:
Sia chiaro, la riforma dell’Avvocatura non risolverà in alcun modo i problemi della Giustizia, che solo investimenti massicci potrebbero finalmente arginare.
Dunque, così com’è questa riforma produrrebbe esclusivamente i seguenti effetti:
1) Uscita
dalla professione dei più giovani;
2) Eliminazione
dei singoli studi professionali gestiti singolarmente dal professionista;
3) Gerarchizzazione
della professione all’interno di strutture destinate ad operare come banche e
assicurazioni;
4) Limitazioni
all’accesso professionale determinate da
conoscenze personali;
5) Perdita
di autonomia e indipendenza dell’Avvocatura;
6) Impossibilità
per il cittadino comune di accedere alla giustizia;
7) (inevitabile
conseguenza) incremento dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni;
8) Incremento
del fenomeno del conflitto di interessi;
9) Sul
lungo periodo, eliminazione del meccanismo di concorrenza e controllo
attualmente sicuramente più garantito (nonostante le sicure pecche anche grosse
dell’attuale sistema);
10) Un
cospicuo numero di nuovi disoccupati che non potranno essere comunque
riassorbiti dal “mercato” del lavoro (espressione che trovo odiosa in quanto il
lavoro lo considero un diritto fondamentale per l’essere umano).
Invito
poi quanti si ritenessero membri dell’Aristocrazia legale ad operare una
verifica e confrontare i redditi del proprio studio a quelli di Severino o di
Bongiorno. Se non siete a quel livello scendete pure dal piedistallo e sappiate
che anche voi siete membri del proletariato legale. Infatti, per il dio Mercato
è solo il fatturato e non la competenza o la professionalità ad avere potere e
ruolo. Quindi, valutate opportunamente prima di credere di essere in grado di
mettere in atto strategie idonee a piegare il mercato , perché mentre ci
costringete a genufletterci al nuovo dio di questa era , voi insieme a noi ne
sarete schiacciati.
(è vietata qualsiasi riproduzione senza citare fonte ed autore)
Avv. Amalia Lamanna, Foro di Bologna
(è vietata qualsiasi riproduzione senza citare fonte ed autore)
Avv. Amalia Lamanna, Foro di Bologna
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