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ALTALEX NEWS


domenica 9 gennaio 2011

Corte Costituzionale sentenza 17.12.2010 n° 359 indigenza del clandestino causa di giustificazione per la condotta di cui all'art 14 co. 5 ter

Straniero gravemente indigente: la permanenza illegittima in Italia è giustificata
Corte Costituzionale , sentenza 17.12.2010 n° 359 (Antonia Quartarella)

Il grave stato di indigenza giustifica la permanenza illegittima dello straniero sul territorio nazionale.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 13-17 dicembre 2010, n. 359 con la quale è intervenuta, ancora una volta, a picconare l’impianto del D.lgs. 286/1998, meglio noto come legge Bossi-Fini, così come da ultimo modificata dalle “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” del 15 luglio 2009, Legge n. 94.
* * *
La Consulta, si ricorderà, era già intervenuta questa estate con la sentenza n. 249 dell’8 luglio 2010, a dichiarare l’illegittimità costituzionale della c.d. aggravante della clandestinità, ex art. 61 n. 11bis c.p., che prevedeva un aumento di 1/3 della pena per i reati commessi dallo straniero, che si fosse trovato illegalmente sul territorio nazionale al momento della sua commissione.
In quella occasione, la Corte aveva affermato che i diritti inviolabili dell’uomo spettano “ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”, sicché “la condizione giuridica dello straniero non [può] né [deve] essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato. Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato, introducendo così una responsabilità penale d’autore in aperta violazione del principio di offensività”. Il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., inoltre, impone al legislatore di assicurare che le condizioni sociali e personali di ciascuno non siano in qualche modo ostacolo o addirittura impedimento al riconoscimento della pari dignità di tutti gli individui dinanzi alla legge.
Aveva, pertanto, concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 61 n. 11bis c.p. – introdotto dal primo pacchetto sicurezza D.L. n. 92/2008 (conv. Legge n. 125/2008) – e, in via conseguenziale, dell’art. 1 comma 1 Legge n. 94/2009, che aveva interpretato autenticamente la previsione normativa de qua, riservandone l'applicazione ai soli cittadini di paesi non appartenenti all’UE ed agli apolidi.
** * **
Con la sentenza 13-17 dicembre 2010, n. 359, invece, la Corte è stata chiamata a valutare la compatibilità, con i principi della Carta fondamentale, dell’art. 14, comma 5quater D.lgs. 286/1998, come modificato dall’art. 1 co. 22 lettera m) Legge n. 94/2009, secondo cui “Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo”.
Invero, sulla questione la Consulta si era già pronunciata con l'ordinanza n. 41 del 9/2/2009. Il Tribunale di Ivrea – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – aveva posto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 co. 5quater D.lgs. n. 286/1998, come sostituito dal D.L. n. 241/2004, "Disposizioni urgenti in materia di immigrazione" (convertito con modificazioni nella Legge n. 271/2004), nella parte in cui, nel configurare come delitto la condotta dello straniero che veniva trovato nel territorio dello Stato dopo esserne stato espulso, ai sensi del precedente comma 5ter, non conteneva la clausola "senza giustificato motivo".
Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo aveva prospettato il contrasto della norma con il principio di uguaglianza, ex art. 3 cost., e con quello della finalità rieducativa della pena, ex art. 27 cost., in quanto, irragionevolmente, il legislatore aveva previsto il "giustificato motivo" con riferimento al reato di cui al co. 5 ter art. 14, D.lgs. 286 (violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore) e non anche con riguardo a quello di cui al successivo co. 5quater (rinvenimento sul territorio dello Stato dello straniero già espulso).
La Corte Costituzionale aveva, tuttavia, ritenuto non fondata la questione prospettata, perché "le scelte legislative aventi ad oggetto la configurazione delle fattispecie criminose e il relativo trattamento sanzionatorio sono censurabili, in sede di sindacato di costituzionalità, solo nel caso in cui la discrezionalità sia stata esercitata in modo manifestamente irragionevole". "Secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, il raffronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte legislative, deve avere ad oggetto fattispecie omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa comparazione". Nel caso oggetto di analisi, le fattispecie di reato erano in tutta evidenza eterogenee, essendo censurato nella prima un comportamento omissivo – l'indebita osservanza dell'ordine di allontanamento del questore – e nella seconda un comportamento commissivo – il reingresso nel territorio nazionale dopo l'avvenuta espulsione, con accompagnamento coattivo alla frontiera – dotato di maggiore offensività, perché vanificava gli effetti dell'attività amministrativa e giudiziale culminata con l'allontanamento.
Secondo la Corte, la ratio sottesa al riconoscimento dell'efficacia giustificativa a situazioni ostative diverse dalle esimenti codificate dal legislatore, per il solo reato di cui al co. 5ter art. 14, andava rintracciata nella peculiarità dell'espulsione ivi contemplata, la cui esecuzione era affidata alla buona volontà dello straniero.
La mancata previsione di simile "clausola di salvezza" anche per il reato di cui al co. 5quater art. 14, invece, non poteva dirsi manifestamente irragionevole, atteso che in quest'ultima ipotesi lo straniero già espulso si era attivato per fare nuovamente ingresso nel territorio nazionale. La condizione dello straniero già espulso, il quale intendeva fare rientro nel territorio nazionale, era tutelata da norme ad hoc, che, in presenza di specifici e tassativi motivi, consentivano di ottenere la relativa autorizzazione: "in presenza di ragioni di tale cogenza da non consentire l'attesa connessa al procedimento di autorizzazione, risulterà verosimilmente integrata una delle cause di giustificazione ordinarie, con conseguente esclusione della rilevanza penale della condotta". Ergo solo in presenza di cause di giustificazione già codificate dal legislatore lo straniero che avesse fatto reingresso nel territorio italiano dopo l'espulsione sarebbe andato esente da responsabilità penale per il reato di cui al co. 5quater art. 14.
Una nuova occasione per ritornare sull'art. 14, D.lgs. n. 286/1998 viene fornita dal Tribunale di Voghera, che, con ordinanza dell’8/1/2010, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 co. 5quater TU Immigrazione, così come modificato dal D.L. n. 92/2008: "Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5ter, terzo e ultimo periodo". La norma impugnata prevede un aumento di pena per lo straniero che non abbia ottemperato ad un precedente ordine di allontanamento e continui a permanere sul territorio nazionale. Pur nell'identità materiale della condotta rispetto al reato di cui al precedente co. 5ter1, il co. 5quater non reca alcun cenno alla causa esimente ivi contemplata del "giustificato motivo".
Il Tribunale paventa la violazione degli artt. 2, 3 co. 1, 25 co. 2 e 27 Cost., nella parte in cui l'art. 14 co. 5quater D.lgs. n. 286/1998 non esclude, in presenza di un "giustificato motivo", la punibilità dello straniero che permane sul territorio nazionale, pur essendo stato già colpito da un ordine di allontanamento. In particolare, a suo avviso, la norma violerebbe il principio di solidarietà, perché la relativa previsione incriminatrice colpirebbe la condizione sociale dell’essere cittadino straniero migrante; sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza, per l’ingiustificata difformità di trattamento introdotta rispetto alla previsione di cui al precedente comma 5ter, ove la punibilità dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento è esclusa in presenza di un giustificato motivo; colliderebbe con gli artt. 25 co. 2 e 27 Cost., perché la punizione di fatti commessi in presenza di un "giustificato motivo" contrasterebbe con i principii di offensività e di personalità della responsabilità penale.
La Consulta, in piena coerenza con il discorso condotto nell'ordinanza n. 41/2009 e nella sentenza n. 249/2010, accoglie i rilievi del giudice a quo. La clausola del «giustificato motivo», dice la Corte, è una "valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo; impedisce l'applicazione della pena, quando, pur in mancanza di cause di giustificazione codificate dal legislatore, l’osservanza del precetto penale sia concretamente “inesigibile” per ragioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo. A titolo esemplificativo, si possono ritenere integranti gli estremi del "giustificato motivo" le ipotesi di estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo. Ora, come già precisato nella sentenza n. 250/2010, la previsione del "giustificato motivo" non è indispensabile al fine di assicurare la conformità al principio di colpevolezza di ogni reato in materia di immigrazione. La sua essenzialità, dunque, va vagliata caso per caso. Nell'ipotesi che ci occupa, però, la Corte Costituzionale ritiene imprescindibile il richiamo alla clausola di salvezza, in virtù del fatto che "una volta inserita tale clausola in riferimento ad una data condotta (co.5ter art. 14, D.lgs. n. 286/1998), la circostanza che il «giustificato motivo» sia riscontrabile in plurime occasioni o venga in evidenza per la prima volta in seguito ad un successivo ordine (co. 5quater art. 14 D.lgs. n. 286/1998), non muta la sua attitudine, a parità di condizioni, ad escludere la rilevanza penale del comportamento dell’inosservante. Se una particolare situazione è tale da giustificare il mancato allontanamento entro cinque giorni, non si vede perché la considerazione giuridica della stessa debba mutare radicalmente per il semplice fatto che la situazione permanga, si ripresenti o insorga in occasione di un successivo ordine di allontanamento.Inibire al giudice di valutare se le ragioni addotte dall’interessato possano rientrare nella previsione legislativa, significa ritenere il comportamento assolutamente ingiustificabile ex lege, per il semplice fatto che la situazione ostativa venga allegata a seguito di un successivo ordine di allontanamento, con la conseguenza di far ridondare sulla stessa configurabilità del reato valutazioni che – secondo la discrezionalità del legislatore – possono semmai incidere sulla maggiore o minore severità della pena". Le condotte di cui all'art. 14 commi 5ter e 5quater si differenziano solo per la reiterazione dell’ordine di allontanamento rimasto inosservato da parte dello straniero. Tale circostanza, però, lascia immutate le ragioni che hanno indotto il legislatore ad attenuare, in presenza di date situazioni, il rigore della norma penale. "Un estremo stato di indigenza, che abbia di fatto impedito l’osservanza dell’ordine del questore nello stretto termine di cinque giorni, non diventa superabile o irrilevante perché permanente nel tempo o perché insorto o riconosciuto in una occasione successiva. Il rimedio ordinario previsto dalla legge per la presenza illegale nel territorio dello Stato del destinatario di un provvedimento di espulsione – occorre ricordarlo – è l’esecuzione coattiva del provvedimento stesso. In assenza di tale misura amministrativa, l’affidamento dell’esecuzione allo stesso soggetto destinatario del provvedimento incontra i limiti e le difficoltà dovuti alle possibilità pratiche dei singoli soggetti", che, "in un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico all’osservanza dei provvedimenti dell’autorità, in tema di controllo dell’immigrazione illegale, e l’insopprimibile tutela della persona umana", non possono essere considerate rilevanti nella fattispecie di cui al comma 5ter ed irrilevanti in quella di cui al comma 5quater, senza incorrere nella violazione dell’art. 3 Cost..
(Altalex, 20 dicembre 2010. Nota di Antonia Quartarella)
________________
1 Art. 14 comma 5ter, D.Lgs. n. 286/1998: "Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5bis è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1 comma 3 della legge 28 maggio 2007, n. 68". immigrazione permanenza illegittima straniero indigente Antonia Quartarella
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Corte Costituzione
Sentenza 13-17 dicembre 2010, n. 359
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Tribunale di Voghera con ordinanza dell’8 gennaio 2010, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Voghera in composizione monocratica, con ordinanza dell’8 gennaio 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui non esclude, quando ricorra un «giustificato motivo», la punibilità dello straniero che, già destinatario di un provvedimento di espulsione e di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi 5-ter e 5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato.
Il rimettente procede nei confronti di una cittadina straniera destinataria, per la quarta volta, di una intimazione del questore a lasciare il territorio nazionale, dopo che aveva omesso di ottemperare ai tre precedenti provvedimenti, riportando tre distinte condanne per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998. L’interessata è stata reperita e tratta in arresto il 3 gennaio 2010, dopo la scadenza del nuovo termine assegnatole, mentre soggiornava nel sottoscala di uno stabile abbandonato, privo di ogni servizio essenziale e di riscaldamento, pur essendo la temperatura dell’ambiente di molto inferiore allo zero.
Proprio le condizioni di estrema indigenza dell’interessata, secondo il Tribunale, le avrebbero impedito di lasciare il territorio nazionale con i propri mezzi, dando vita ad un «giustificato motivo» nell’accezione che l’espressione avrebbe assunto, anche a seguito del lavoro interpretativo della giurisprudenza, in rapporto alla fattispecie di inottemperanza prevista al comma 5-ter del citato art. 14. Sennonché – osserva il rimettente – la condotta dell’imputata è ormai qualificabile secondo il testo novellato del comma 5-quater, che sanziona appunto l’inottemperanza dello straniero raggiunto da un decreto di espulsione emesso a norma del precedente comma 5-ter. E la nuova previsione non subordina la punibilità della condotta alla carenza di un «giustificato motivo» per l’inadempimento.
1.1. – In via preliminare, il giudice a quo rileva che la disciplina del fenomeno migratorio spetta ovviamente al legislatore, la cui discrezionalità, tuttavia, non legittima norme in diretto contrasto con i precetti costituzionali.
Sarebbe questo il caso della disposizione censurata, che, anzitutto, violerebbe l’art. 3 Cost., per la difformità di trattamento introdotta rispetto al fatto di inottemperanza sanzionato dal comma 5-ter dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, punito solo quando sia commesso «senza giustificato motivo».
La giurisprudenza costituzionale avrebbe chiarito come la previsione di non punibilità valga ad evitare il sanzionamento dell’omissione di adempimenti sostanzialmente inesigibili, anche in forza di una condizione di assoluta impossidenza (è citata la sentenza n. 5 del 2004). D’altra parte, secondo il rimettente, la mancanza della «clausola di salvezza» non sarebbe giustificabile in base alla specifica esigenza che, con la riforma della norma censurata, il legislatore avrebbe inteso assicurare.
L’intervento riformatore del 2009 sarebbe dovuto, in particolare, ad una situazione di concreta paralisi dei meccanismi espulsivi, determinata dal raccordo tra i commi 5-ter e 5-quater dell’art. 14, nel testo antecedente alla novella. La prima disposizione stabiliva che, nei confronti dello straniero inottemperante all’ordine di allontanamento, si procedesse «in ogni caso […] all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica». L’ipotesi che lo stesso straniero venisse successivamente «trovato» nel territorio nazionale sembrava atteggiarsi, di conseguenza, a fattispecie sanzionatoria di un indebito reingresso dell’interessato (comma 5-quater).
Una parte della giurisprudenza, in tale contesto, aveva escluso la rilevanza penale dell’inottemperanza al nuovo ordine di allontanamento impartito dopo il decreto di espulsione ex art. 14, comma 5-ter, considerando il ricorso all’intimazione del questore illegittimo in forza della norma che impone, «in ogni caso», l’accompagnamento per mezzo della forza pubblica fino alla frontiera dello Stato (è citata la sentenza della Corte di cassazione n. 17878 del 2004).
È vero – prosegue il rimettente – che secondo una parte ulteriore della giurisprudenza la prescritta adozione di un nuovo provvedimento espulsivo comportava una sorta di azzeramento della procedura, e dunque la possibilità di eseguire il nuovo decreto anche mediante intimazione, con l’effetto di interrompere la permanenza del primo reato di inottemperanza, e di determinare la responsabilità dello straniero per un nuovo ed autonomo reato dello stesso genere (è citata la sentenza della Corte di cassazione n. 2022 – recte: n. 24148 – del 2004). La soluzione, tuttavia, sarebbe stata incompatibile con la ratio della speciale disciplina dettata per il «recidivo», ed anche con le indicazioni letterali e sistematiche desumibili dai commi 5-ter, 5-quater e 5-quinquies dello stesso art. 14.
L’affermazione dell’indirizzo contrario alla configurabilità del reato di indebito trattenimento dopo una «reiterata» intimazione del questore – sempre a parere del Tribunale – avrebbe determinato una «paralisi del sistema». Con la novella del 2009, quindi, il legislatore avrebbe inteso reintrodurre la possibilità di eseguire il provvedimento espulsivo mediante intimazione, nel contempo regolando nel senso dell’autonoma rilevanza penale l’eventuale inottemperanza dello straniero all’ordine di lasciare, con i propri mezzi, il territorio dello Stato.
Il rimettente assume che la soluzione del quesito circa l’omessa valorizzazione del «giustificato motivo» non sarebbe pregiudicata dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 41 del 2009, dichiarativa della infondatezza di analoga questione proposta con riguardo al testo allora vigente del comma 5-quater dell’art. 14. La decisione della Corte era stata motivata in base alla disomogeneità della fattispecie rispetto a quella regolata dal comma 5-ter: in quel contesto normativo, infatti, la norma censurata sanzionava condotte «commissive» di reingresso nel territorio dello Stato dopo l’espulsione, mentre quella evocata in comparazione riguardava, e riguarda, l’omissione degli adempimenti necessari ad interrompere la permanenza illegale. Una analogia strutturale tra le condotte – osserva il rimettente – che non fa invece difetto per la nuova figura di reato delineata al comma 5-quater, la quale a sua volta consiste nella mancata attivazione dello straniero al fine di interrompere la propria situazione di soggiorno irregolare.
1.2. – La disposizione censurata – secondo il Tribunale – si troverebbe in contrasto anche con il secondo comma dell’art. 25 e con l’art. 27 della Costituzione, in quanto lesiva dei principi di offensività e di personalità della responsabilità penale.
Il nuovo «sistema» darebbe vita ad una catena potenzialmente indefinita di provvedimenti espulsivi e di comportamenti omissivi, con il cumulo di condanne sempre più rilevanti, in quanto segnate dall’aggravante della recidiva. Ciò si considera, dal rimettente, in specifica connessione con l’irrilevanza dei «giustificati motivi» che ben possono ostare, in concreto, all’osservanza del nuovo ordine di allontanamento. Nei casi in questione, infatti, sarebbero punite condotte prive di significato effettivo in punto di pericolosità sociale (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007) e difficilmente riconducibili ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante.
1.3. – Ulteriore profilo di illegittimità della norma censurata sussisterebbe, a parere del Tribunale, in rapporto all’art. 2 Cost., avuto riguardo al principio di solidarietà (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 519 del 1995, dichiarativa della illegittimità parziale dell’art. 670 del codice penale, in materia di mendicità). In sostanza, nell’assetto denunciato, la nuova incriminazione colpirebbe la «condizione sociale dell’essere cittadino straniero migrante».
1.4. In punto di rilevanza della questione, il rimettente pone in specifica evidenza il fatto che, per altre tre volte, l’imputata non ha dato ottemperanza ad intimazioni del questore ed è stata per tre volte condannata. Le condizioni di indigenza dell’interessata sono tanto estreme, secondo il Tribunale, da giustificare la sua perdurante inerzia e da imporre la sua assoluzione, nell’eventualità dell’accoglimento della questione sollevata.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio mediante atto depositato in data 11 maggio 2010, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata infondata.
2.1. – La difesa dello Stato ricorda come più volte la Corte costituzionale abbia riconosciuto che spetta alla discrezionalità legislativa la regolazione complessiva del fenomeno migratorio e la valutazione di gravità delle pertinenti condotte criminose (sono citate la sentenza n. 22 del 2007 e l’ordinanza n. 41 del 2009).
Sarebbe inoltre giustificato il maggior rigore che caratterizza la fattispecie del comma 5-quater rispetto a quella del comma 5-ter. Quest’ultima, infatti, sanziona il primo fatto di inottemperanza all’ordine di allontanamento, mentre la previsione oggetto di censura concerne la reiterazione del comportamento omissivo (o l’attivazione per un indebito rientro). La norma censurata, secondo l’Avvocatura generale, concerne quindi «una sorta di progressione criminosa», che esprime la maggior determinazione dell’interessato e giustifica la più spiccata severità del suo trattamento. E del resto, si aggiunge, nei casi di effettiva inesigibilità della condotta la responsabilità andrebbe comunque valutata sul piano della colpevolezza e, «in primis», mediante la verifica di sussistenza del dolo punibile.
La giurisprudenza costituzionale, per altro verso, avrebbe già posto in evidenza il rilievo dell’interesse statuale al controllo dei flussi migratori, chiarendo come le ragioni della solidarietà non possano essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento con tale interesse (sono citate le sentenze n. 353 del 1997, n. 5 e n. 80 del 2004, nonché l’ordinanza n. 146 del 2002).
2.2. – Secondo l’Avvocatura generale – che compie un ampio excursus a proposito del principio di offensività e della sua rilevanza sul piano costituzionale – l’incriminazione operata con la norma oggetto di censura vale a garantire l’interesse dello Stato ad un presidio delle proprie frontiere. Tale interesse, si ammette, non comporta necessariamente la rilevanza penale di ogni violazione delle norme sull’immigrazione, ed infatti l’inosservanza del primo ordine di allontanamento, quando connessa ad un giustificato motivo, non comporta la punizione dell’interessato. La sanzione penale è disposta per i soli casi di reiterazione della condotta omissiva, ai quali si connetterebbe, tra l’altro, un particolare ed intenso allarme sociale.
Sul piano soggettivo, sarebbe inconferente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007, la quale aveva solo escluso che la mancanza di un titolo di legittimazione al soggiorno sul territorio nazionale esprimesse una pericolosità tale da precludere, per gli stranieri, l’accesso ai benefici penitenziari.
Non sarebbe comprensibile, infine, la censura espressa dal rimettente a proposito del principio di personalità della responsabilità penale, posto che la norma interessata riguarda un comportamento cosciente e volontario, e che le eventuali circostanze di esclusione della colpevolezza produrrebbero effetto, comunque, secondo le regole generali.
2.3. – La difesa dello Stato ribadisce, da ultimo, che le ragioni della solidarietà sociale (art. 2 Cost.) devono essere bilanciate con la necessità di governo dei flussi migratori (sono citate, al proposito, le sentenze della Corte costituzionale n. 146 del 2002, n. 5 e n. 80 del 2004).
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Voghera in composizione monocratica, con ordinanza dell’8 gennaio 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui non esclude, quando ricorra un «giustificato motivo», la punibilità dello straniero che, già destinatario di un provvedimento di espulsione e di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi 5-ter e 5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato.
La norma censurata contrasterebbe anzitutto con il principio di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., perché la relativa previsione incriminatrice, nell’attuale configurazione, colpirebbe la «condizione sociale dell’essere cittadino straniero migrante».
Il riformato comma 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 violerebbe anche l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata difformità di trattamento introdotta rispetto alla previsione di cui al precedente comma 5-ter, ove la punibilità dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento è esclusa quando ricorra un «giustificato motivo».
È prospettato infine un contrasto della norma censurata con gli artt. 25, secondo comma, e 27 Cost., in quanto il sanzionamento di fatti commessi in presenza di un «giustificato motivo» contrasterebbe con il principio di offensività e con il principio di personalità della responsabilità penale.
2. – La questione è fondata.
2.1. – La disposizione censurata prevede che lo straniero destinatario di un ordine di allontanamento emesso in applicazione dell’ultima parte del precedente comma 5-ter – cioè in esecuzione del decreto di espulsione adottato dopo l’inottemperanza ad un precedente ordine di allontanamento – sia punito con la reclusione da uno a cinque anni. Rispetto al citato comma 5-ter, che sanziona l’ipotesi di inosservanza del primo ordine di allontanamento, la norma in oggetto, introdotta dalla legge n. 94 del 2009, presenta due elementi di differenziazione. Da una parte la pena è aumentata nel suo valore massimo (cinque anni di reclusione, in confronto ai quattro previsti dal comma precedente), dall’altra non è riprodotta l’espressione «senza giustificato motivo», presente invece nella norma incriminatrice contenuta nello stesso comma 5-ter.
2.2. – Questa Corte ha inquadrato la clausola del «giustificato motivo»tra quelle «destinate in linea di massima a fungere da “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo». Tale clausola, pertanto, nella ricorrenza di diverse eventualità di fatto (estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell’ottenimento dei titoli di viaggio, etc.), «esclude la configurabilità del reato» (sentenza n. 5 del 2004).
3. – Occorre chiedersi – per decidere la questione sollevata dal giudice rimettente – se, nell’ipotesi di inottemperanza all’ordine di allontanamento emesso dopo un analogo provvedimento, a sua volta non osservato, si profili una situazione sostanzialmente diversa, tale da giustificare un differente trattamento dello straniero colpito da provvedimento di espulsione.
3.1. – Una prima, necessaria osservazione riguarda la struttura della condotta incriminata. Si deve rilevare che essa, nelle due ipotesi previste dai commi 5-ter e 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, è sostanzialmente identica, giacché consiste, allo stesso modo, nella permanenza nel territorio dello Stato da parte dello straniero al quale sia stato impartito dal questore l’ordine di allontanarsi. Il fatto che l’omissione cui si riferisce la norma censurata faccia seguito ad altra omissione dello stesso genere non incide sul nucleo essenziale della descrizione legislativa della condotta illecita, che resta uguale nella prima e nella seconda ipotesi. Nel contempo, le ragioni, di natura sociale e umanitaria, che sostengono la scelta del legislatore di prevedere la «clausola di salvezza» prima ricordata, si attagliano al caso in cui lo straniero continui a permanere nel territorio nazionale, dopo un ulteriore ordine di allontanamento.
Come questa Corte ha già rilevato, il legislatore ha ritenuto di assegnare rilievo a difficoltà che comunemente accompagnano la necessità per lo straniero di dare esecuzione in tempi ristretti ad un ordine che sostituisce la forma ordinaria di esecuzione forzata del decreto espulsivo. Tali difficoltà non si atteggiano diversamente nei casi regolati dalle due fattispecie poste a raffronto.
3.2. – È manifestamente irragionevole che una situazione ritenuta dalla legge idonea ad escludere la punibilità dell’omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo, senza responsabilità del soggetto destinatario dell’ordine di allontanamento, o che il verificarsi di una nuova situazione ostativa, in sé e per sé idonea ad integrare l’ipotesi di un «giustificato motivo», sol perché intervenuta in un secondo momento, non abbia rilevanza ai fini del suo riconoscimento come elemento negativo del fatto di reato. Il punto centrale della disciplina, nella prospettiva in cui si colloca lo stesso legislatore, è la possibilità, in concreto, di giudicare esigibile l’osservanza dell’ordine di allontanamento.
3.3. – Questa Corte ha negato che «l’inserimento nella formula descrittiva dell’illecito della clausola “senza giustificato motivo” sia indispensabile al fine di assicurare la conformità al principio di colpevolezza di ogni reato in materia di immigrazione» (sentenza n. 250 del 2010). Tale precisazione impone di valutare con particolare attenzione le fattispecie che si pongono a confronto.
Nel caso oggetto del presente giudizio si deve osservare che, una volta inserita tale clausola in riferimento ad una data condotta, la circostanza che il «giustificato motivo» sia riscontrabile in plurime occasioni o venga in evidenza per la prima volta in seguito ad un successivo ordine, non muta la sua attitudine, a parità di condizioni, ad escludere la rilevanza penale del comportamento dell’inosservante. Se una particolare situazione è tale da giustificare il mancato allontanamento entro cinque giorni, non si vede perché la considerazione giuridica della stessa debba mutare radicalmente per il semplice fatto che la situazione permanga, si ripresenti o insorga in occasione di un successivo ordine di allontanamento.
Inibire al giudice di valutare se le ragioni addotte dall’interessato possano rientrare nella previsione legislativa, significa ritenere il comportamento assolutamente ingiustificabile ex lege, per il semplice fatto che la situazione ostativa venga allegata a seguito di un successivo ordine di allontanamento, con la conseguenza di far ridondare sulla stessa configurabilità del reato valutazioni che – secondo la discrezionalità del legislatore – possono semmai incidere sulla maggiore o minore severità della pena.
La sequenza di provvedimenti descritta nell’ultima parte del comma 5-ter non esprime necessariamente la «progressione criminosa» cui si è riferita l’Avvocatura dello Stato nell’atto di intervento. Essa, comunque, non renderebbemeno valide le ragioni che possono giustificare l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, proprio in forza della loro reale consistenza, verificabile da parte del giudice. Tale consistenza non può essere esclusa o attenuata, anche se l’ordinamento consideri meritevole di una sanzione più severa chi ponga in essere più volte lo stesso comportamento omissivo. Sarebbe erroneo sovrapporre il piano della valutazione della gravità del reato a quello della giustificabilità della condotta.
4. – Si potrebbe escludere la violazione del principio di eguaglianza, di cui al primo comma dell’art. 3 Cost., evocato dal giudice rimettente, solo se il tertium comparationis si presentasse come eterogeneo rispetto alla norma oggetto del dubbio di legittimità costituzionale e si potesse quindi affermare che non irragionevolmente il legislatore abbia disciplinato in modo diverso situazioni diverse.
Questa Corte ha applicato tale fondamentale criterio – costante nella sua giurisprudenza – nella materia de qua, anzitutto con riferimento al reato di indebito reingresso dello straniero effettivamente espulso dal territorio nazionale (come sanzionato dal comma 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo antecedente alla legge n. 94 del 2009). Tale fattispecie non può essere assimilata a quella dell’indebito trattenimento, poiché nella prima ipotesi si tratta di un comportamento commissivo, che implica un’attività volta a ripristinare una permanenza di fatto interrotta dall’avvenuta espulsione, mentre nella seconda viene in rilievo una condotta meramente omissiva. Di conseguenza, è stata ritenuta non manifestamente irragionevole l’assenza della clausola «senza giustificato motivo» nella previsione del reato di illecito reingresso, per l’evidente eterogeneità di quest’ultimo rispetto alla previsione dell’indebito trattenimento (ordinanza n. 41 del 2009).
Analogamente, la Corte ha escluso che il principio di uguaglianza imponesse l’inserimento della clausola in questione nella fattispecie di cui all’art. 10-bis dello stesso Testo unico in materia di immigrazione, anche nella parte in cui sanziona la violazione del dovere di lasciare il territorio nazionale in assenza di un valido titolo di soggiorno. Manca in quella fattispecie la dipendenza dell’obbligo da un ordine mirato ed individualizzato dell’Autorità, la cui inosservanza entro il termine indicato comporta un «netto “salto di qualità” nella risposta punitiva» (sentenza n. 250 del 2010).
4.1. – Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, l’unico elemento di differenziazione tra le due ipotesi consiste nella reiterazione dell’ordine di allontanamento rimasto inosservato da parte dello straniero, che lascia intatte tutte le motivazioni che hanno indotto il legislatore ad attenuare, in presenza di date situazioni, il rigore della norma penale che punisce la trasgressione dell’ordine medesimo.
Un estremo stato di indigenza, che abbia di fatto impedito l’osservanza dell’ordine del questore nello stretto termine di cinque giorni, non diventa superabile o irrilevante perché permanente nel tempo o perché insorto o riconosciuto in una occasione successiva.
Il rimedio ordinario previsto dalla legge per la presenza illegale nel territorio dello Stato del destinatario di un provvedimento di espulsione – occorre ricordarlo – è l’esecuzione coattiva del provvedimento stesso. In assenza di tale misura amministrativa, l’affidamento dell’esecuzione allo stesso soggetto destinatario del provvedimento incontra i limiti e le difficoltà dovuti alle possibilità pratiche dei singoli soggetti, che il comma 5-ter dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 ha preso in considerazione, in un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico all’osservanza dei provvedimenti dell’autorità, in tema di controllo dell’immigrazione illegale, e l’insopprimibile tutela della persona umana. Tale tutela non può essere esclusa o attenuata in situazioni identiche, ancorché successive, senza incorrere nella violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.
5. – Sono assorbite le ulteriori censure di illegittimità costituzionale proposte dal giudice rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto già previsto per la condotta di cui al precedente comma 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo «senza giustificato motivo».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2010

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