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ALTALEX NEWS


mercoledì 2 marzo 2011

De Tilla, Presidente Oua: la mediazione obbligatoria è incostituzionale

Il presidente dell’Organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, Oua, Maurizio de Tilla, ha diffuso un documento (di seguito) in cui elenca i molteplici motivi per cui è necessario, e doveroso, far slittare l’entrata in vigore dell’obbligatorietà della mediaconciliazione in attesa delle dovute modifiche. Nei giorni scorsi in tal senso è stato approvato un emendamento bipartisan al Milleproroghe che però è stato a sua volta vanificato con un ulteriore blitz del ministero di giustizia che grazie ad un’ulteriore modifica restringeva la proroga a sole due materie. La discussione ora è prevista in aula al Senato e diversi senatori hanno promesso battaglia e la presentazione di ulteriori emendamenti che raccolgono le proteste dell’Avvocatura.
de Tilla, però, insiste, e forte delle decine di delibere inviate al Ministro Alfano in queste ore dagli ordini degli avvocati di tutta Italia e dalle associazioni forensi ribadisce che il sistema di mediaconciliazione obbligatoria così come concepito è incostituzionale e limita il diritto dei cittadini ad una giustizia civile giusta ed efficiente.
«La obbligatorietà della mediaconciliazione – spiega -viola la Costituzione, tanto più perché collegata alla mancata previsione di necessità dell’assistenza dell’avvocato. Anzitutto va chiarito che il legislatore delegante – in conformità alla prescrizione impartita dalla Direttiva Europea – aveva stabilito che dovesse essere introdotto un meccanismo di conciliazione, ma non ne aveva affatto previsto la obbligatorietà, né aveva consentito che essa potesse essere considerata condizione dì procedibilità della domanda giudiziaria.
Con l’art. 5 del d.lgs. 28/10 il Governo, invece, ha introdotto entrambi, obbligatorietà e improcedibilità, incorrendo nel vizio di eccesso di delega, arrogandosi così un potere che non gli era stato conferito. È gravissimo».
«Va osservato – continua il presidente dell’Oua - che l’art. 60 della legge 69/09 (legge delega) al terzo comma lett. a) prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al seguente principio e criterio direttivo “ ... a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia”. Orbene, in aperto contrasto con la prescrizione della legge delega, l’art. 5 del d.lgs. 28/10 configura il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, di fatto precludendo l’immediato accesso alla giustizia.
La preclusione, alla quale fa riferimento la legge delega, non deve essere intesa (e come potrebbe esserlo!) quale inibizione, quanto invece quale limitazione alla tutela processuale. Il d.lgs. 28/10, concependo il procedimento di mediazione quale propedeutico alla domanda giudiziale, impedisce l’immediato accesso dei cittadini alla giustizia e rischia di compromettere l’effettività della stessa tutela giudiziale».
Ma anche sottto un altro punto di vista la mediaconciliazione deve preoccupare i cittadini: «L’incostituzionalità della normativa – aggiunge - appare ancor più evidente laddove si considera che quel tentativo di conciliazione non è soltanto obbligatorio, ma anche oneroso e – alla luce delle tariffe poi approvate – può esserlo in misura considerevole.
Il Governo, quindi, non si è limitato ad imporre una condizione di procedibilità che non era stata consentita, ma ha anche stabilito che i relativi costi dovessero cedere (quanto meno in via di anticipazione) a carico del cittadino, il quale vedrà così gravemente ostacolato quell’accesso alla Giustizia che la Costituzione garantisce a tutti. Quanti cittadini, al cospetto di una vertenza di entità economica modesta, saranno costretti a rinunziarvi, per evitare di dover anticipare, nell’ordine: la indennità dovuta al conciliatore; il compenso all’ausiliare tecnico di quest’ultimo, se necessario; il contributo unificato».
«Infine – continua - vi è inoltre un ulteriore fondata ragione di incostituzionalità. Nel fare uso del potere delegatogli il Governo, all’art. 8 del decreto legislativo 28/2010, ha introdotto la previsione secondo cui dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio. In buona sostanza, una scelta che la parte potrà fare senza l’ausilio di un difensore – partecipare oppure no al procedimento di conciliazione – potrà condizionare in misura determinante l’esito del successivo processo. Ne risulta evidente la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione.
Non solo! L’assistenza tecnica, quale che sia il valore della controversia, non è obbligatoria, ma non è neppure vietata: è facoltativa.
Il che sta a significare che, chi è in grado di pagarseli, potrà farsi rappresentare da fior di avvocati, consulenti di parte esperti, professionisti di grido, e chi è povero no: dovrà arrangiarsi da solo, perché, non essendo obbligatoria la presenza di un avvocato, non sarà possibile ricorrere al patrocinio a spese dello Stato. Una anziana pensionata ultraottantenne, e munita del diploma di licenza elementare, se non sarà in grado di anticipare (oltre a quelli per il mediatore) i compensi per un avvocato, potrà trovarsi di fronte un battaglione di agguerriti specialisti, ma dovrà discutere da sola una proposta di conciliazione in una controversia avente ad oggetto (citiamo a mò di esempio) i tango-bond, o un altro sofisticato prodotto finanziario».
«Questi sono solo alcuni degli aspetti che danneggiano la futura giustizia civile del nostro Paese con l’introduzione dell’obbligatorietà della mediaconciliazione – conclude de Tilla – nel documento redatto dall’Oua sono indicati in modo più analitico, ma sono esemplificativi di un meccanismo da contrastare per tutelare i cittadini di fronte agli attacchi e gli interessi dei “Poteri forti”e per il buon funzionamento della macchina giudiziaria italiana».
Roma, 14 febbraio 2011.

LA OBBLIGATORIETÀ DELLA MEDIACONCILIAZIONE VIOLA LA COSTITUZIONE
La obbligatorietà della mediaconciliazione viola la Costituzione, tanto più perché collegata alla mancata previsione di necessità dell’assistenza dell’avvocato.
Anzitutto va chiarito che il legislatore delegante – in conformità alla prescrizione impartita dalla Direttiva Europea – aveva stabilito che dovesse essere introdotto un meccanismo di conciliazione, ma non ne aveva affatto previsto la obbligatorietà, né aveva consentito che essa potesse essere considerata condizione dì procedibilità della domanda giudiziaria.
Con l’art. 5 del d.lgs. 28/10 il Governo, invece, ha introdotto entrambi, obbligatorietà e improcedibilità, arrogandosi un potere che non gli era stato conferito.
È così configurabile un evidente eccesso di delega, in quanto appare evidente che una condizione di procedibilità di una domanda giudiziaria, ex art. 24 Cost., può essere introdotta esclusivamente dal legislatore, e quindi il Governo avrebbe potuto farlo soltanto se ne fosse stato autorizzato dalla legge di delega.
Va, in proposito, rilevato che è incostituzionale anche l’art. 16 del d.lgs. 28/10 che, nel prevedere che gli enti pubblici o privati abilitati a costituire organismi di mediazione debbano essere selezionati alla stregua dei parametri della “serietà ed efficienza”, lascia aperta una interpretazione, anch’essa, non pienamente aderente alle previsioni della legge delega e dunque contrastante con la previsione di cui all’art. 77, nonché 24 della Costituzione.
Va osservato che l’art. 60 della legge 69/09 (legge delega) al terzo comma lett. a) prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al seguente principio e criterio direttivo “ ... a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia”.
Orbene, in aperto contrasto con la prescrizione della legge delega, l’art. 5 del d.lgs. 28/10 configura il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, di fatto precludendo l’immediato accesso alla giustizia.
La preclusione, alla quale fa riferimento la legge delega, non deve essere intesa (e come potrebbe esserlo!) quale inibizione, quanto invece quale limitazione alla tutela processuale.
Il d.lgs. 28/10, concependo il procedimento di mediazione quale propedeutico alla domanda giudiziale, impedisce l’immediato accesso dei cittadini alla giustizia e rischia di compromettere l’effettività della stessa tutela giudiziale.
Si pensi alle esigenze cautelari che non possono, di per sé, consentire di procrastinare l’accesso alla giustizia, posponendolo all’esperimento del procedimento dì mediazione.
Ecco che, di fatto, contravvenendo alle prescrizioni della legge delega, il d.lgs. 28/10 introduce un sistema di preclusione all’accesso diretto alla giustizia.
Va inoltre osservato che l’art. 60 della l. 69/09 al III comma, lettera b) prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, ai seguente principio e criterio direttivo: “...b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione”.
Orbene, il d.lgs. 28/10, all’art. 16 e nell’intero capo terzo intitolato “organismi di mediazione”, disattende palesemente la previsione della delega.
Non vi è, infatti, traccia, di qualsivoglia criterio o parametro volto a selezionare gli organismi deputati alla mediazione in base a criteri di professionalità ed indipendenza.
L’art. 16, infatti, si limita a stabilire che qualunque ente pubblico o privato che dia garanzie di serietà ed efficienza sia abilitato a costituire un organismo di mediazione.
Con ciò disattendendo la previsione della delega ove circoscrive lo svolgimento dell’attività di mediazione esclusivamente in capo ad organismi professionali ed indipendenti e dunque attuando, al di là delle previsioni della stessa legge delega, una sorta di liberalizzazione nella costituzione e abilitazione degli organismi di mediazione.
Entrambe le previsioni del d.lgs. 28/10, tanto l’art. 5 quanto l’art. 16, si pongono, pertanto, in aperto contrasto con le previsioni della legge delega.
Quando invece, alla stregua dell’univoco orientamento della giurisprudenza costituzionale, “il potere di riempimento dai legislatore delegato, per quanto ampio possa essere, non può mai assurgere a principio o a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega” (Corte Costituzionale 12 ottobre 2007 n. 340).
Nel caso della mediaconciliazione, utilizzando i parametri di controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante univocamente indicati dalla stessa giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 44/2008, 71/08, 98/08, 230/10) emerge, infatti, l’incoerenza delle previsioni degli artt. 5 e 16 del d.lgs. 28/10 con la previsione dell’art. 60 l. 69/09.
Ad avviso della giurisprudenza costituzionale il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega ed i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della loro portata.
Orbene la previsione di cui all’art. 60 della l. 69/09, in aderenza agli impulsi dell’ordinamento comunitario ed in particolare alle previsioni della direttive 2008/52/CE, era orientata a garantire l’introduzione di sistemi alternativi e celeri di tutela delle posizioni giuridiche integranti “diritti disponibili” nonché la “qualità della mediazione” attraverso l’individuazione di organismi professionali ed indipendenti.
Tutto ciò è ben lungi dall’essere realizzato ove si consideri la portata ed il tenore di previsioni, qual è quella dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 volta ad appesantire il procedimento di tutela delle posizioni dei singoli, attraverso l’introduzione obbligatoria di un procedimento non alternativo e facoltativo, ma obbligatorio e propedeutico all’accesso alla giustizia; nonché quella dell’art. 16 del medesimo decreto volta ad escludere dai criteri di selezione degli organismi di mediazione qualsivoglia parametro di “professionalità” ed “indipendenza”, quali parametri invero indicati dalla legge delega.
L’effetto di entrambe le previsioni è la violazione della delega e lo snaturamento della funzione che il legislatore delegante aveva attribuito al procedimento di mediazione ed agli organismi professionali ed indipendenti deputati alla mediazione.
Tutto ciò in palese violazione dei principi costituzionali che sorreggono la disciplina della legislazione delegata ed ancor più, sul piano sostanziale, la violazione del principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione.
Si consideri che, come rilevato dalla Corte Costituzionale fin dagli anni 50 del secolo scorso, la disposizione di cui all’art. 24 della Costituzione garantisce oltre al diritto di farsi valere le proprie ragioni in giudizio, altresì il diritto ad una difesa “tecnica”.
Rileva, a riguardo, la Corte come “il diritto della difesa deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nella tutela delle rispettive posizioni giuridiche “. Ad oggi, invece, per effetto del cattivo uso del potere legislativo delegato, i cittadini, nell’esperimento del procedimento di mediazione, non fruiscono di quella adeguata assistenza e difesa garantita dall’art. 24 della Costituzione.
I criteri di selezione degli organismi di mediazione privilegiano, infatti. fattori di natura economico-finanziaria che non sono indicativi della professionalità del mediatore ed anzi impediscono, per la loro incidenza patrimoniale, l’accesso degli esercenti la professione legale al registro degli organismi di mediazione.
Ma la incostituzionalità della normativa appare ancor più evidente laddove si considera che quel tentativo di conciliazione non è soltanto obbligatorio, ma anche oneroso e – alla luce delle tariffe poi approvate – può esserlo in misura considerevole.
Il Governo, quindi, non si è limitato ad imporre una condizione di procedibilità che non era stata consentita, ma ha anche stabilito che i relativi costi dovessero cedere (quanto meno in via di anticipazione) a carico del cittadino, il quale vedrà così gravemente ostacolato quell’accesso alla Giustizia che la Costituzione garantisce a tutti. Chi di noi, al cospetto di una vertenza di entità economica modesta, non sarà costretto a rinunziarvi, per evitare di dover anticipare, nell’ordine: la indennità dovuta al conciliatore; il compenso all’ausiliare tecnico di quest’ultimo, se necessario; il contributo unificato.
Vi è inoltre un ulteriore fondata ragione di incostituzionalità.
Il legislatore delegante nulla aveva detto circa la necessità di una difesa tecnica nel corso del procedimento di mediazione; tuttavia, aveva avuto cura di evitare che il suo svolgimento potesse avere ripercussioni di sorta sulla decisione di merito del processo: nella legge di delega, il rifiuto della proposta formulata dal mediatore, e poi ritenuta equa dal Giudice, poteva influire sul governo delle spese, ma non mai sull’esito della lite.
Nel fare uso del potere delegatogli, invece, il Governo, all’art. 8 del decreto legislativo 28/20 10, ha introdotto la previsione secondo cui dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116 secondo comma del codice di procedura civile.
In buona sostanza, una scelta che la parte potrà fare senza l’ausilio di un difensore – partecipare oppure no al procedimento di conciliazione – potrà condizionare in misura determinante l’esito del successivo processo; è noto, infatti, che il comportamento processuale o extraprocessuale delle parti può costituire, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente prova idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito (così, tra le tante, Cass. 20 giugno 2007 n. 14748).
Ne risulta evidente la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, diritto che, come è noto, è la potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale in qualsiasi fase del processo e quindi anche in quelle fasi prodromiche dal cui svolgimento è possibile desumere argomenti di prova, nonché l’eccesso di delega ex art. 76 Cost. avendo il legislatore delegato introdotto una possibilità di acquisire elementi di prova pur in assenza di difesa tecnica che il Delegante non aveva permesso mai.
Non solo!
Va sottolineato che la mancata previsione della obbligatorietà della presenza dei difensori rileva anche sotto un diverso – e forse addirittura più pregnante – profilo.
Quell’assistenza tecnica, quale che sia il valore della controversia, non è obbligatoria, ma non è neppure vietata: è facoltativa.
Il che sta a significare che, chi è in grado di pagarseli, potrà farsi rappresentare da fior di avvocati, consulenti di parte esperti, professionisti di grido, e chi è povero no: dovrà arrangiarsi da solo, perché, non essendo obbligatoria la presenza di un avvocato, non sarà possibile ricorrere al patrocinio a spese dello Stato.
Una anziana pensionata ultraottantenne, e munita del diploma di licenza elementare, se non sarà in grado di anticipare (oltre a quelli per il mediatore) i compensi per un avvocato, potrà trovarsi di fronte un battaglione di agguerriti specialisti, ma dovrà discutere da sola una proposta di conciliazione in una controversia avente ad oggetto (citiamo a mò di esempio) i tango-bond, o un altro sofisticato prodotto finanziario.
Un forte contrasto del d.lgs. 28/10 con la legge delega si ha per ciò che riguar­da i riflessi del diniego all’accoglimento della proposta del mediatore, sul­l’iter del successivo giudizio e segnatamente sulla disciplina delle spese di lite. Il fatto che alla parte vincitrice del giudizio che non abbia accettato una proposta conciliativa che sia venuta a coincidere con il contenuto della decisione giudiziaria, debbano essere accollate le spese di lite proprie e della controparte, oltre al pagamento di un impor­to pari al contributo unificato e alle spese di mediazione, costituisce infat­ti un evidente deterrente “forzato” dal ricorrere alla tutela giudiziaria ed accettare l’esito della mediazione. Ciò in quanto di fronte alla proposta del mediatore, la parte quasi sicuramente preferirà non rischiare, finendo per accettare ob torto collo la soluzione stragiudiziale segnalatagli, anche se non ne è convinta appieno ed anche se può ritenerla ingiusta, piuttosto che ricorrere alla tutela giudiziaria che avrebbe potuto offrirgli un risulta­to anche migliore.
È questo il punto su cui si giocano i dubbi di costituzionalità per ecces­so di delega con riferimento alla già riferita lett. a) dell’art. 60 della l. n. 69 del 2009, che aveva posto come preciso criterio direttivo quello per cui l’attuazione della mediazione non dovesse in alcun caso precludere il ricor­so alla tutela giudiziaria. Preclusione che invece può aversi nel caso della proposta conciliativa, che sfacciatamente dissuada psicologicamente la parte dal ricorso al giudizio al quale ha diritto e che potrebbe garantirgli anche un migliore risultato.
Si noti che la parte potrà trovarsi di fronte anche a proposte che a causa di una possibile impreparazione tecnica del mediatore potranno rivelarsi erronee o squilibrate, anche inconsapevolmente, a favore di uno dei soggetti della lite. Eppure, pur nella probabile infondatezza di tali proposte, la parte di fronte allo spettro delle pesanti conseguenze sulle spese, può precludersi il ricorso a quella che è l’unica strada naturale e garantistica per la composizione delle liti, data appunto dalla tutela giuri­sdizionale.
Maurizio de Tilla (Presidente OUA)
fonte: http://www.altalex.com/index.php?idnot=13233

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