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ALTALEX NEWS


giovedì 24 settembre 2009

Assegnazione a casa di cura e adozione di una diversa misura di sicurezza

Assegnazione a casa di cura e adozione di una diversa misura di sicurezza
Corte Costituzionale , sentenza 09.07.2009 n° 208 (Natalina Stamile)

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Si deve ritenere inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 219 cod. pen., (Assegnazione a una casa di cura e di custodia), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in casa di cura e custodia, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale.
Questo è quanto statuito dalla Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 219 cod. pen. in riferimento alle disposizioni contenute negli artt. 3 e 32 della Carta Costituzionale.
La suddetta questione di legittimità costituzionale, è stata promossa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani, con ordinanza n. 25 giugno 2008, in quanto chiamato a giudicare un soggetto imputato per il reato a mente dell’art. 609 - quater cod. pen. che ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, condizionato all’espletamento della perizia psichiatrica. All’esito di quest’ultima, l’imputato è stato ritenuto capace di partecipare al processo, ma semifermo di mente al momento del reato, permanendo la pericolosità sociale.
Il giudice a quo è pervenuto alla conclusione che l'imputato è colpevole con conseguente applicazione della pena – non sospesa stante il pericolo di reiterazione – di un anno e sei mesi di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche, dell'attenuante del fatto di minore gravità e della diminuente della seminfermità di mente. Inoltre, avuto riguardo a tale diminuente ed in presenza di una pericolosità attuale, ai sensi dell'art. 219 cod. pen. va disposta una misura di sicurezza, nella scelta della quale, peraltro, il giudice è vincolato dal disposto della norma, che rende obbligatoria l'assegnazione a casa di cura e di custodia nei casi in cui «la pena stabilita dalla legge non è inferiore a cinque anni»
A tal proposito, viene, persino, richiamata consolida giurisprudenza «per il calcolo della pena, ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157 cod. pen.». Pertanto, il legislatore, mediante la riforma di detta norma attuata con l'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha inciso anche sulla disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., rendendo inoperanti, ai fini del calcolo della pena, le riduzioni conseguenti alle circostanze attenuanti e così facendo divenire obbligatoria l'adozione dell'indicata misura di sicurezza anche per fattispecie in cui, nel regime precedente, non lo era.
Tanto premesso, secondo il giudice a quo, tale disciplina nei termini ut supra esposti, si rivela illogica, irragionevole e lesiva del diritto alla salute, considerando che, nei casi di minore gravità previsti dall'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., la pena è diminuita fino a due terzi. Ne deriva che, anche con riferimento a manifestazioni di pericolosità modeste, è divenuto obbligatorio applicare la misura di sicurezza dell'assegnazione a casa di cura e di custodia, benché la pericolosità del soggetto possa essere arginata con la misura meno grave della libertà vigilata, con prescrizione di dimora presso una comunità terapeutica assistita.
Inoltre, per il calcolo della pena ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157 cod. pen. In particolare, a seguito della riforma attuata con la legge n. 251 del 2005, l'art. 157, secondo comma, cod. pen. prevede che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le aggravanti (salvo i casi di circostanze aggravanti che stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria e di circostanze aggravanti ad effetto speciale). Il tutto è corroborato dal terzo comma dello stesso art. 157 che statuisce che non si applicano le disposizioni dell'art. 69 cod. pen. (Concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti), nonché il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma dell'art. 157, secondo comma, cod. pen.
In conclusione, il giudice a quo, afferma che, con tale normativa il legislatore avrebbe inciso, sulla disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., escludendo che, ai fini del calcolo della pena, possano operare le diminuzioni per l'applicazione delle circostanze attenuanti, rendendo obbligatoria l'adozione della misura di sicurezza, prevista dal succitato articolo, anche per fattispecie ad essa sottratte in base al regime precedente.
Orbene, il Giudice delle leggi ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità così esposta. Nell’iter logico che ha portato alla declaratoria di inammissibilità della presente vertenza, la Corte è partita da quanto statuito in una propria precedente sentenza, laddove ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 222 cod. pen. (Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosità sociale. (cfr. sentenza n. 253 del 2003).
Nella specifico, la Corte ha censurato «il vincolo rigido imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva (tale è il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario: art. 215, primo comma, n. 3, cod. pen.) anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica), “idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati” (art. 228, secondo comma, cod. pen.), appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale»; ponendo l’attenzione sul fatto che per l'infermo di mente «l'automatismo di una misura segregante e “totale”, come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute di cui all'art. 32 della Costituzione»; inoltre si è giunti alla conclusione della necessità «di eliminare l'accennato automatismo, consentendo che, pur nell'ambito dell'attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che l'ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall'altro lato».
Giova, altresì, rammentare che la succitata pronuncia è stata seguita da altra sentenza (n. 367 del 2004), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 206 cod. pen. (Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza), nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate ed a contenere la sua pericolosità sociale. Pertanto, con tale sentenza le censure circa l'automatismo che caratterizzava l'art. 222 cod. pen. e le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute hanno trovato piena conferma.
Con la sentenza in commento la Consulta, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale de quo, ha fatto preliminarmente riferimento alla disciplina sulle misure di sicurezza, ed al principio secondo il quale si deve escludere l'automatismo che impone al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale.
Tale principio, dettato in relazione alla misura del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, vale anche per l'assegnazione ad una casa di cura e di custodia, che è, a sua volta, misura di sicurezza detentiva e quindi segregante (ex art. 215, comma secondo, n. 2, cod. pen.), sicché ad essa ben si attagliano le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute svolte, in particolare, nella sentenza n. 253 del 2003.
Differenze significative non possono, neanche, ravvisarsi nella circostanza che la misura di cui all'art. 222 cod. pen. presuppone che il soggetto interessato risulti gravemente infermo di mente, e quindi non sia penalmente responsabile.
Inoltre, non costituisce ostacolo all'applicazione del principio ut supra richiamato neppure il richiamo, operato dalla giurisprudenza più remota, all'art. 157 cod. pen. (disposizione, peraltro, relativa alla prescrizione), per il calcolo della pena ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia. Tale richiamo, infatti, non presuppone l'applicabilità della disciplina della prescrizione al sistema delle misure di sicurezza, ma si riferisce per l'appunto soltanto alla individuazione di un criterio sulla base del quale stabilire il periodo minimo di durata della misura (salva la possibilità di revoca per il venir meno della pericolosità).
Ne consegue che le modifiche normative in tema di prescrizione non incidono necessariamente anche sulle regole che governano la disciplina delle misure di sicurezza, disciplina che comunque deve tenere conto della necessità di pervenire ad un risultato ermeneutica-interpretativo conforme a Costituzione, anche determinando la nozione di «pena stabilita dalla legge» con riguardo a tutte le circostanze ricorrenti nella fattispecie concreta.
Sicchè, la Corte ha sottolineato che si è trascurata la possibilità di vagliare l’ipotesi di pervenire, nel quadro definito dalle decisioni ut supra esposte, ad una soluzione interpretativa, costituzionalmente orientata, tale da determinare il superamento dei dubbi di costituzionalità.
Com’è noto, la costante giurisprudenza dei Giudici delle Leggi, sancisce « l'omessa motivazione sulla possibilità di giungere ad una interpretazione della norma impugnata conforme a Costituzione rende inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale » (ex plurimis, ordinanze nn. 341, 268, 226, 205, 193 del 2008).
Alla stregua delle sopra esposte argomentazioni, a conclusione del proprio percorso logico-argomentativo, la Corte ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 219 cod. pen. sollevata con riferimento agli artt. 3 e 32 della costituzione.
(Altalex, 26 agosto 2009. Nota di Natalina Stamile) infermità di mente casa di cura misura di sicurezza Natalina Stamile
Corte Costituzionale
Corte Costituzionale, giudizio di costituzionalità, inammissibilità, precisazioni
Corte Costituzionale , sentenza 09.07.2009 n° 208

Corte Costituzionale – giudizio di costituzionalità – inammissibilità – precisazioni
L'omessa motivazione sulla possibilità di giungere ad una interpretazione della norma impugnata conforme a Costituzione rende inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale.
(Fonte: Altalex Massimario 28/2009. Cfr. nota di Natalina Stamile) Corte Costituzionale giudizio di costituzionalità
Corte Costituzionale
Sentenza 9 luglio 2009, n. 208
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:- Francesco AMIRANTE Presidente- Ugo DE SIERVO Giudice- Alfio FINOCCHIARO “- Alfonso QUARANTA “- Franco GALLO “- Luigi MAZZELLA “- Gaetano SILVESTRI “- Sabino CASSESE “- Maria Rita SAULLE “- Paolo Maria NAPOLITANO “- Giuseppe FRIGO “- Alessandro CRISCUOLO “- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguenteSENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice penale promosso dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di P. G., con ordinanza del 25 giugno 2008, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2008.Udito nella camera di consiglio del 20 maggio 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto in fatto
1. — Il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Trapani, con ordinanza depositata il 25 giugno 2008, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice di procedura penale (recte: del codice penale), «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in casa di cura e custodia, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale».2. — Il giudice a quo premette che, in sede di udienza preliminare, l'imputato P. G., chiamato a rispondere del delitto di cui all'art. 609-quater del codice penale (atti sessuali con minorenne), ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, condizionato all'espletamento di perizia psichiatrica.Il perito ha ritenuto l'imputato capace di partecipare al processo, ma seminfermo di mente al momento del reato, riconoscendone, altresì, la pericolosità sociale attuale.All'esito della discussione il giudicante, ritiratosi in camera di consiglio, «ha raggiunto la conclusione di affermare la responsabilità dell'imputato, concedendogli le attenuanti generiche, l'attenuante del fatto di minore gravità e la diminuente della seminfermità, infliggendogli una pena (non sospesa stante il pericolo di reiterazione) di un anno e sei mesi di reclusione».A norma dell'art. 219 cod. pen., essendo stata applicata la riduzione per seminfermità ed in presenza di una pericolosità attuale, deve essere disposta una misura di sicurezza.Il rimettente prosegue osservando che, nella scelta della misura, il giudice si trova vincolato dal disposto del citato art. 219, che distingue le misure di sicurezza applicabili facendo riferimento alla pena minima edittale prevista dalla legge e, in particolare, rendendo obbligatoria l'assegnazione a casa di cura e di custodia nel caso in cui «la pena stabilita dalla legge non è inferiore a cinque anni».In base a consolidata giurisprudenza (Cass., sentenze n. 281 del 1981 e n. 9044 del 1977), «Per il calcolo della pena, ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157 del cod. pen.». Pertanto, ad avviso del rimettente, il legislatore del 2005, nel modificare il terzo comma della norma, ha inciso anche sulla disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., rendendo inoperanti, ai fini del calcolo della pena, le diminuzioni per l'applicazione delle circostanze attenuanti e rendendo obbligatoria l'adozione della misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e di custodia anche in relazione a fattispecie per le quali, nel trattamento precedente, essa non lo era.Tale disciplina si rivela illogica considerando che, nei casi di minore gravità previsti dall'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen, «la pena è diminuita fino a due terzi», sicché, in relazione a manifestazioni di pericolosità anche modeste, è ritenuto obbligatorio un apparato sanzionatorio sproporzionato.In sostanza, ai fini del contenimento della pericolosità dell'imputato, l'attuale sistema impone di applicare la misura di sicurezza dell'assegnazione a casa di cura e di custodia, anche se la pericolosità dell'imputato potrebbe essere arginata con la misura di sicurezza meno grave della libertà vigilata, con prescrizione di dimora presso una comunità terapeutica assistita. La norma sospettata di illegittimità costituzionale si rivela ancor più irragionevole, e lesiva del diritto alla salute, se si considera la precedente pronunzia di questa Corte (sentenza n. 253 del 2003), la quale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il disposto dell'art. 222 cod. pen., in quanto non consente di adottare nei confronti dell'imputato «in luogo della misura di sicurezza del ricovero in ospedale giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all'infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosità sociale».
Considerato in diritto
1. — Il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Trapani, con l'ordinanza indicata in epigrafe dubita, in riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice penale, «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in casa di cura e custodia, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all'infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosità sociale».2. — Il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare un soggetto, imputato del delitto di cui all'art. 609-quater cod. pen. (atti sessuali con minorenne), il quale ha richiesto il rito abbreviato, condizionato all'espletamento di perizia psichiatrica. All'esito della perizia, l'imputato è stato ritenuto capace di partecipare al processo, ma seminfermo di mente al momento del reato; inoltre, è stata affermata la sua attuale pericolosità sociale.Il giudice a quo aggiunge di essere pervenuto alla conclusione che l'imputato è colpevole e che gli va applicata la pena – non sospesa stante il pericolo di reiterazione – di un anno e sei mesi di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche, dell'attenuante del fatto di minore gravità e della diminuente della seminfermità di mente. Inoltre, avuto riguardo a tale diminuente ed in presenza di una pericolosità attuale, ai sensi dell'art. 219 cod. pen. va disposta una misura di sicurezza, nella scelta della quale, peraltro, il giudice è vincolato dal disposto della norma, che rende obbligatoria l'assegnazione a casa di cura e di custodia nei casi in cui «la pena stabilita dalla legge non è inferiore a cinque anni» (come nel caso in esame).Secondo consolidata giurisprudenza «per il calcolo della pena, ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157 cod. pen.». Pertanto il legislatore, mediante la riforma di detta norma attuata con l'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha inciso anche sulla disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., rendendo inoperanti, ai fini del calcolo della pena, le riduzioni conseguenti alle circostanze attenuanti e così facendo divenire obbligatoria l'adozione dell'indicata misura di sicurezza anche per fattispecie in cui, nel regime precedente, non lo era.Tale disciplina, prosegue il rimettente, si rivela illogica, irragionevole e lesiva del diritto alla salute, considerando che, nei casi di minore gravità previsti dall'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., la pena è diminuita fino a due terzi. Ne deriva che, anche con riferimento a manifestazioni di pericolosità modeste, è divenuto obbligatorio applicare la misura di sicurezza dell'assegnazione a casa di cura e di custodia, benché la pericolosità del soggetto possa essere arginata con la misura meno grave della libertà vigilata, con prescrizione di dimora presso una comunità terapeutica assistita.3. — La questione è inammissibile.3.1.— L'art. 219 cod. pen. (Assegnazione a una casa di cura e di custodia) dispone, nel primo comma, che il «condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica o di cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per cagione di sordomutismo, è ricoverato in una casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore ad un anno, quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a cinque anni di reclusione».Il secondo comma della norma riguarda i delitti per i quali è stabilita dalla legge la pena dell'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni.Il terzo comma stabilisce che, se si tratta di altro reato, per il quale la legge prevede la pena detentiva, e risulta che il condannato è persona socialmente pericolosa, «il ricovero in una casa di cura e di custodia è ordinato per un tempo non inferiore a sei mesi; tuttavia il giudice può sostituire alla misura del ricovero quella della libertà vigilata. Tale sostituzione non ha luogo, qualora si tratti di condannati a pena diminuita per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti».Infine, il quarto comma dispone che, quando deve essere ordinato il ricovero in una casa di cura e di custodia, non si applica altra misura di sicurezza detentiva.3.2 — Ad avviso del rimettente, per il calcolo della pena ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157 cod. pen. (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). In particolare, a seguito della riforma attuata con la legge n. 251 del 2005, l'art. 157, secondo comma, cod. pen. prevede che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le aggravanti (salvo i casi di circostanze aggravanti che stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria e di circostanze aggravanti ad effetto speciale, che qui non rilevano). Inoltre il terzo comma dello stesso art. 157 statuisce che non si applicano le disposizioni dell'art. 69 cod. pen. (Concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti) e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma dell'art. 157, secondo comma, cod. pen.In sostanza, con tale normativa il legislatore avrebbe inciso, seppure in modo inconsapevole, anche sulla disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., escludendo che, ai fini del calcolo della pena, possano operare le diminuzioni per l'applicazione delle circostanze attenuanti e così rendendo obbligatoria l'adozione della misura di sicurezza, prevista dal citato art. 219, primo comma, anche per fattispecie ad essa sottratte in base al regime precedente.4. — Al riguardo si deve però osservare che questa Corte, con sentenza n. 253 del 2003, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 222 cod. pen. (Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosità sociale.In motivazione questa Corte ha censurato «il vincolo rigido imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva (tale è il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario: art. 215, primo comma, n. 3, cod. pen.) anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica), “idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati” (art. 228, secondo comma, cod. pen.), appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale»; ha posto, altresì, in luce che per l'infermo di mente «l'automatismo di una misura segregante e “totale”, come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute di cui all'art. 32 della Costituzione»; ed ha concluso affermando la necessità «di eliminare l'accennato automatismo, consentendo che, pur nell'ambito dell'attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che l'ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall'altro lato».La pronuncia ora citata è stata seguita da altra sentenza (n. 367 del 2004), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 206 cod. pen. (Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza), nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate ed a contenere la sua pericolosità sociale. Con tale sentenza le censure circa l'automatismo che caratterizzava l'art. 222 cod. pen. e le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute hanno trovato piena conferma.5. — Per effetto delle menzionate decisioni di questa Corte, risulta ormai presente nella disciplina sulle misure di sicurezza il principio secondo il quale si deve escludere l'automatismo che impone al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale.Tale principio, dettato in relazione alla misura del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, vale anche per l'assegnazione ad una casa di cura e di custodia, che è, a sua volta, misura di sicurezza detentiva e quindi segregante (art. 215, comma secondo, n. 2, cod. pen.), sicché ad essa ben si attagliano le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute svolte, in particolare, nella sentenza n. 253 del 2003.Differenze significative non possono ravvisarsi nella circostanza che la misura di cui all'art. 222 cod. pen. presuppone che il soggetto interessato risulti gravemente infermo di mente, e quindi non sia penalmente responsabile. Come rilevato in dottrina e in giurisprudenza, vi è una sostanziale identità concettuale tra vizio totale e vizio parziale di mente, il cui unico elemento differenziatore consiste nella diversa incidenza quantitativa esercitata sulla capacità d'intendere e di volere, capacità esclusa nell'ipotesi di cui all'art. 88 cod. pen., soltanto diminuita – ma comunque grandemente scemata – nell'ipotesi di cui all'art. 89 cod. pen.Non costituisce ostacolo all'applicazione del principio sopra indicato neppure il richiamo, operato dalla giurisprudenza più remota, all'art. 157 cod. pen. (disposizione, peraltro, relativa alla prescrizione), per il calcolo della pena ai fini della determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia. Quel richiamo, infatti, non presuppone l'applicabilità della disciplina della prescrizione al sistema delle misure di sicurezza, ma si riferisce per l'appunto soltanto alla individuazione di un criterio sulla base del quale stabilire il periodo minimo di durata della misura (salva la possibilità di revoca di questa per il venir meno della pericolosità).Ne deriva che le modifiche normative in tema di prescrizione non incidono necessariamente anche sulle regole che governano la disciplina delle misure di sicurezza, disciplina che comunque deve tenere conto della necessità di pervenire ad un risultato ermeneutico conforme a Costituzione, anche determinando la nozione di «pena stabilita dalla legge» con riguardo a tutte le circostanze ricorrenti nella fattispecie concreta. 6. — Il rimettente, che pur non ignora la sentenza di questa Corte n. 253 del 2003, ha trascurato di vagliare la possibilità di pervenire, nel quadro definito dalle decisioni sopra citate, ad una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata e tale da determinare il superamento dei dubbi di costituzionalità.Per costante giurisprudenza di questa Corte, l'omessa motivazione sulla possibilità di giungere ad una interpretazione della norma impugnata conforme a Costituzione rende inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale (ex plurimis, ordinanze nn. 341, 268, 226, 205, 193 del 2008).
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione, dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Trapani con l'ordinanza indicata in epigrafe.Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009.F.to:Francesco AMIRANTE, PresidenteAlessandro CRISCUOLO, RedattoreMaria Rosaria FRUSCELLA, CancelliereDepositata in Cancelleria il 9 luglio 2009.

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