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ALTALEX NEWS


giovedì 24 settembre 2009

Dibattimento, prova penale, perizia, presupposti per l’ammissibilità

Dibattimento, prova penale, perizia, presupposti per l’ammissibilità
Tribunale Genova, ordinanza 07.07.2008
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Nel processo penale in cui è stata resa la superiore ordinanza, sono stati imputati, a vario titolo, il direttore strutturale dei lavori, il direttore di cantiere, il progettista strutturale dell’opera, il collaudatore in corso d’opera, per una serie di gravi reati (omicidio colposo, lesioni colpose crollo di costruzioni) conseguenti al crollo, avvenuto nel 2003, di un noto edificio genovese realizzato per un evento previsto per l’anno successivo.
Nel collasso in questione ha perso la vita un operaio, e altri sono rimasti feriti.
Il dibattimento è stato caratterizzato da una forte contrapposizione dialettica fra i vari giudicabili e i loro consulenti, giunta sino alla richiesta di espletare una perizia, la cui necessità non è stata ritenuta dal decidente per le ragioni su esposte.
L’istituto della perizia secondo il pre-vigente codice di rito
Giova quivi muovere da una premessa di carattere generale. Ogni considerazione di natura tecnica afferisce al codice di rito del 1930, sicché, di seguito, non si preciserà che la narrativa riguarda il precedente sistema,dovendo tale aspetto, d’ora in avanti, ritenersi implicito.
L’istituto della perizia è stato inserito, dal legislatore, nel CAPO III (Dei periti e dei consulenti tecnici) del LIBRO SECONDO che il codice di procedura penale ha intitolato: DELL’ISTRUZIONE.
La prima norma da esaminare è rappresentata dall’art. 314 del c.p.p., dedicata alla facoltà del giudice di procedere a perizia.
Estrema è la chiarezza della disposizione che fornisce, al preposto alla statuizione, questo strumento nel caso in cui si debba svolgere un’indagine per la quale necessitino particolari cognizioni di determinate scienze o arti. In guisa, le palesi esclusioni normative inflettono i temi dell’abitualità, della professionalità nel reato, della tendenza a delinquere, del carattere e della personalità dell’imputato, nonché delle qualità psichiche svincolate da patologie.
La perizia è disposta d’ufficio ma può, in alternativa, essere richiesta, all’istruttore, dalle parti interessate.
Il sistema faculta il giudice, in ogni stato e grado del procedimento, ad incaricare uno o più periti di compiere una nuova indagine, sia pur vincolata agli stessi quesiti sottoposti ai precedenti esperti.
Interessante è osservare l’evoluzione della giurisprudenza all’uopo.
Per la suprema Corte di cassazione, è vietato sostituire l’indagine tecnica con altro mezzo quando vi siano i presupposti per disporre la perizia (sez. VI, 12.10.1979, Perciabosco) alla cui ammissione il giudice è obbligato per la decisione nel caso debba procedere ad indagini espletabili solo avvalendosi di cognizioni di scienze ed arti (sez. V, 25.02.1977, Marzollo), pur potendo escludere, insindacabilmente in punto legittimità, il mezzo istruttorio mediante adeguata e logica motivazione (sez. I, 27.11.1978, Manco).
In alternativa alla perizia si pone la valutazione del peritus peritorum che attinga alle proprie conoscenze per giudicare e per coerentemente motivare (sez. IV, 25.10.1971, Furnari), così come nel caso di attività collegiale dalla quale sortisca un contrasto fra essenziali circostanze individuate dagli esperti (Cass. 10.07.1948, Grande).
Gli articoli 315 e 315-bis regolamentano il profilo dell’incapacità dei periti e quello della loro incompatibilità e ricusabilità. Le disposizioni in argomento non abbisognano di alcun corredo interpretativo, dedotta la loro estrema chiarezza.
La rubrica dell’art. 320 del c.p.p. attiene al compimento della perizia del giudice e non riguarda altri aspetti (ad esempio, quelli della polizia giudiziaria);il successivo art. 323 prevede la facoltà delle parti private di nominare consulenti tecnici che, nell’alveo vincolante della CTU, possono presentare od inoltrare osservazioni o riserve al giudice, sino a domandare di esaminare la persona o la cosa oggetto della perizia (ibidem art. 324 del codice di rito).
Il complesso tema della prova,già in costanza del pre-vigente sistema, verte sul confronto di due aspetti che, talvolta, possono assumere, soltanto apparentemente, la prevalenza dell‘uno sull‘altro: il libero convincimento del giudice e la perizia.
Ogni strumento per accertare il fatto,se non vietato dalla legge,assurge a (valido) presupposto per un giudizio legittimo; talché, l’elencazione, pre-costituita,dei mezzi di prova è puramente indicativa, rispetto alla centralità del libero convincimento del giudice che si rintraccia nella motivazione della decisione; almeno allorquando essa non sia la sintesi di postulati di natura esclusivamente assertiva.
La libertà - nella fase valutativa-decisionale - può anche segnare il superamento del contenuto della prova legale, purché costituisca l’apprezzamento delle effettive risultanze processuali.
Sicché, una perizia disattesa può anche appalesarsi come un coerente antecedente logico, il segnale di una statuizione che, con coerenza, ne svilisca la portata ed il valore.
La metamorfosi cognitiva che si risolve nell’elisione di un principio che, geneticamente, appartiene all’hortus clausus della scelta.
Il rischio. L’abuso del diritto. Cenni
Quanto alla decisione del tribunale di Genova in commento, è pacifico come la richiesta di espletare una perizia a dibattimento in corso (e quasi in esaurimento),al di là dell’imprescindibile diritto delle parti,possa rappresentare, in concreto, anche se in via mediata, un’iniziativa che favorisce il maturare della prescrizione del reato;soprattutto in caso di evento risalente nel tempo.
Pertanto, sul più generale tema della ragionevole durata del processo (indipendentemente dalle cause che generano il suo protrarsi), si impone una riflessione globale,anche in ossequio alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e, in particolar modo, alla circolare del C.S.M. del 6.7.2000.
L'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, entrata in vigore, nel nostro ordinamento, soltanto nel 1955, sancisce «il diritto di ogni persona ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta».
La proposizione, sinteticamente espressiva di fondamentali principi giuridici elaborati dai sistemi europei tanto di civil law che di common law, ha trovato un ulteriore riconoscimento nell'art. 111 Cost., nel quale, tra l'altro, si è ritenuto di ribadire che «La legge assicura la ragionevole durata del processo in condizioni di parità tra leparti e di imparzialità e terzietà del giudice».
E' stato condivisibilmente sostenuto come - in ordine alla durata del processo - sia innegabile che essa (durata), vista in negativo, costituisca – a posteriori - tanto un pregiudizio ingiusto per la parte vittoriosa, quanto - nel corso del processo - un inevitabile, riprovevole pedaggio che la parte privata deve ingiustamente scontare in conseguenza di iniziative processuali delle parti di natura dilatoria, pretestuosa e strumentale.
Perciò, ponendosi il problema della qualità effettivamente democratica dei rapporti tra cittadini e Stato e avuto riguardo, non secondariamente, alla tempestività della risposta istituzionale alla richiesta di giustizia,sinonimo di unica e concreta garanzia di effettività dei diritti, la giurisprudenza della Corte europea ha, in questi decenni, sempre più efficacemente elaborato i criteri fondamentali in materia di ragionevole durata del processo, affermando che la realizzazione dell’equo processo costituisce un vero e proprio obbligo di risultato per il singolo Stato, e che - ai fini della cd. valutazione globale per l’accertamento di un'infrazione all'art. 6 della Convenzione - deve aversi riguardo alla complessità del giudizio, al comportamento delle parti, al comportamento del giudice e degli organi di cancelleria, parametri mediante i quali valutare il lasso temporale complessivo intercorso tra la data di inizio della vertenza e la sua naturale conclusione.
Pur senza finalità esaustive, quanto al comportamento del giudice, sono state approfondite le dinamiche attinenti alle udienze di mero rinvio, ai rinvii su istanza delle parti ed alla durata delle attività peritali, significativamente affermandosi, rispetto a tali dati, addirittura l'irrilevanza della disorganizzazione dell’ufficio giudiziario, indipendentemente dalle sue cause.
Segnatamente, si è dedotto come, quanto alle udienze di mero rinvio, il principio dispositivo nell'ordinamento processuale italiano investa l'an ma non anche il quomodo, disponendo il giudice dei poteri di conduzione espressamente riconosciutigli dal codice di rito.
Analogamente, quanto all'espletamento della ctu,si è riaffermata la responsabilità dello Stato in caso di mancata tempestiva sostituzione del perito che ritardi nel deposito della relazione, anche in tal caso dovendosi imputare il conseguente ritardo - non sanzionato - all'organo giurisdizionale.
I richiami alla effettività dei diritti di giustizia, già presenti sin dal 1980 nel massimario,sono sempre più attuali nelle decisioni di condanna dell'Italia, tanto da assumere, dal 1985 in poi, una frequenza statistica inquietante per sistematicità e puntualità: lo Stato italiano è divenuto il principale accusato dalla Corte, tanto da rilevarsi, negli ambienti delle istituzioni europee, come il crescente numero di ricorsi provenienti dalla patria del diritto destasse fondate preoccupazioni per l’effetto paralizzante che tale carico di lavoro sortisce sui lavori della suddetta Corte, la quale è chiamata a pronunciarsi, in maniera quasi esclusiva, su mere questioni di calcolo connesso alla lunghezza dei processi.
Un unico dato per tutti: nella nota della Rappresentanza permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa si legge come, dall'inizio del 2000, sino al 15 febbraio dello stesso anno, siano stati depositati 741 (settecentoquarantuno) ricorsi contro l'Italia e come, nel medesimo periodo, il comitato dei ministri e la Corte europea abbiano rispettivamente pronunciato 110 (centodieci) decisioni e 74 (settantaquattro) sentenze con un onere complessivo pari a 4,8 miliardi.
Situazione critica, tanto più grave alla luce dei recenti orientamenti del Giudice europeo, che, con un salto di qualità in funzione marcatamente punitiva, ha evidenziato il carattere patologico assunto, nel nostro Paese, dalle violazioni sulla durata del processo, rilevando la Corte l'insorgere di una pratica sistematica ed ontologicamente incompatibile con la Convenzione.
La svolta giurisprudenziale è destinata ad incidere concretamente sulle future decisioni europee, sia in ordine alle regole dell'onere della prova per l'accertamento della violazione nel caso singolo, sia in merito all'applicazione delle condizioni di ricevibilità dei ricorsi per esaurimento dei rimedi interni.
È necessario, infatti, rilevare come, in Italia, l'esistenza di una pratica in contrasto con la Convenzione - per irragionevole durata dei processi - implichi una vera e propria presunzione di colpevolezza dello Stato italiano ogniqualvolta venga sollevata una siffatta questione, con l’aggravamento della posizione del convenuto, chiamato a dimostrare come, nel caso di specie, non si sia verificata nessuna violazione; vieppiù, dovendosi considerare come, attraverso tale formula, si sia apprezzata una forte ed evidente semplificazione del profilo motivazionale delle sentenze di condanna dell’Italia, con grave compromissione del diritto di difesa interno,soccombente (con inimmaginabili conseguenze pecuniarie) dinanzi alla Grande Camera.
La nuova formulazione della norma: verso una discrezionalità vincolata
Il comma 1 dell’art. 220 c.p.p., rubricato «oggetto della perizia», dispone che «la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche».
Va premesso che il transito dalla disposizione del codice abrogato a quella attualmente vigente si è sviluppato con l’intervento della L. 18 giugno 1955, n. 517, la quale ha modificato profondamente il testo originario dell’art. 314 c.p.p., pur lasciandone inalterata la rubrica - «facoltà del giudice di procedere a perizia» -. Il mutamento si è sostanziato nel sostituire, alla facoltà di disporre il mezzo istruttorio, l’obbligo di disposizione in presenza di certi, determinati presupposti. Il giudice, infatti, già dal 1955, «dispone la perizia con ordinanza».
Il legislatore delegato con l. 16 febbraio 1987, n. 81, all’emanazione del nuovo codice di procedura penale si è mosso sulla linea della discrezionalità vincolata del giudice nell’ammissione della perizia.
Sulla scorta della fondamentale prescrizione del comma 1 dell’art. 12 delle preleggi, secondo cui «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», si rileva come già il dato testuale stimoli una prima riflessione, di carattere strettamente linguistico.
Alla necessità di particolari cognizioni di determinate scienze o arti, il nuovo dettato sostituisce lo svolgimento di indagini o l’acquisizione di valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. L’aggettivazione è più ampia, comprendendo le specifiche competenze tecniche, mentre individua con miglior precisione la fruibilità delle perizie artistiche, introdotte nel nostro sistema normativo con L. 20.11.1971, n. 1062, «Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte». Nell'ambito di tale ultimo genere di indagini, necessariamente implicanti giudizi di tipo estetico, si dà ingresso a valutazioni legate a parametri socio-culturali in continua evoluzione.
Ma la modifica importante sta nel servirsi dell’espressione «è ammessa quando occorre», per delimitare il campo dell’attività dispositiva della perizia da parte del Giudice di merito. Da un lato, è chiaro come, «quando occorre», la perizia non può non essere ammessa. Dall'altro, si registra evidente il passaggio dal piano delle necessità a quello delle utilità, e, quindi, dell’opportunità.
L'opzione legislativa, quindi, in continuità con quella del 1955, propende per la discrezionalità vincolata del giudice nella scelta del mezzo di prova de quo. Di tale discrezionalità, peraltro, vanno adeguatamente precisati i limiti e le caratteristiche.
Per affrontare tale riflessione non si può prescindere dalla considerazione del contesto giuridico-culturale nel quale la norma s’innesta, contesto che prende il nome di rito cd. adversary, come processo di parti che mira a coniugare garantismo e speditezza dell’accertamento.
In questo quadro, della compresenza e del necessario equilibrio fra tutela e stimolo del contraddittorio e riconoscimento del ruolo attivo delle parti, da un lato, e necessità di fruire di un processo di durata ragionevolmente breve, dall’altro, va intesa l’interpretazione della discrezionalità del giudice nell’ammettere la perizia d’ufficio.
Due aspetti, dei molti caratterizzanti il rito accusatorio, sembrano più rilevanti in questa sede.
Il primo riguarda l'eccezionale importanza dell'elemento probatorio, fondamento principe della decisione e, quando il fatto probando sia connesso a verità tecnico-scientifiche, tanto più incisivo sul libero convincimento del giudice.
Il secondo concerne la pluralità degli strumenti a disposizione nel processo per acquisire il contributo tecnico-scientifico, con un deciso potenziamento del ruolo delle parti e, con esse, dei loro consulenti.
Sotto quest'ultimo profilo, alla figura del giudice peritus peritorum delineata dal codice Rocco si contrappone l'imponenza del ruolo partecipativo delle parti, e la tendenza alla valorizzazione della collaborazione paritaria. Rileva, in proposito, il disposto del comma 2 dell'art. 226 c.p.p., secondo il quale il giudice, prima di formulare i quesiti da sottoporre agli esperti, è tenuto a sentire il perito, i consulenti tecnici, il pubblico ministero e i difensori presenti. Con il che è evidente che l'istituto in parola nasce e vive, almeno potenzialmente, nella collaborazione e partecipazione dei soggetti coinvolti nel processo.
I criteri guida della discrezionalità vincolata
L’ordinanza in commento si misura con i due principi/criteri guida che s’impongono all’attenzione del giudice nella decisione se avvalersi o meno di propri - in quanto da esso nominati - esperti per verificare un determinato tema di prova.
Il primo di essi consiste nella necessità di colmare la lacuna conoscitivo-informativa, e di adoperarsi al massimo per ottenere ogni elemento utile al fine di giungere a una decisione completa e motivata sulla base di criteri più vicini possibile alla certezza, in settori nei quali il progresso scientifico, tecnico o artistico consente di avvalersi di strumenti cognitivi specifici.
Il secondo è principio di rango costituzionale, che impone di negare ingresso nel processo a tutte le attività non necessarie, a tutela della ragionevole durata del giudizio.
Il decidente genovese affronta il problema dell'ammissibilità della perizia verificando quanta parte dell'attività processuale sia stata dedicata a fornire materiale conoscitivo sui quesiti da risolvere e se, nell'acquisizione di tali elementi, sia stato lasciato il giusto spazio al contraddittorio fra le parti. Infine, se i dati acquisiti agli atti lascino ancora non definiti problemi tecnico-scientifici sottesi al quesito formulato. Nel caso negativo, osserva il giudice, occorre speditamente negare accesso alla perizia e proseguire il processo, in ossequio al principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Il preposto, nel caso di specie, ha disatteso la richiesta di disporre perizia «accertato che dell'evento passato si possiede ogni dato conoscitivo che legittimamente appartiene a questo processo e che essi - i dati conoscitivi - esauriscono quanto è necessario per decidere».
Il Tribunale, pertanto, ha considerato se i dati conoscitivi a sua disposizione fino a quel momento fossero stati idonei a fornire una soluzione ai problemi tecnico-scientifici sottopostigli. Si tratta, in sostanza, di una verifica ex-ante di "decidibilità".
I suddetti dati conoscitivi possono trovare fonte nell’ambito del cd. "notorio", ma soprattutto proverranno dall’attività espletata dai consulenti delle parti, e offerta al giudice sotto la forma di relazioni, documenti, modelli, rappresentazioni, nonché dall’audizione dei consulenti stessi che si sottoposti ad esame ed a contro-esame.
Tale ultima attività, di chiarificazione, discussione, ragionamento e dibattito sulle prospettazioni tecnico-scientifiche avanzate dalle parti, consente al decidente (e alle parti stesse) di fruire di una versione del materiale tecnico fondante la decisione già sottoposta alla lente del contraddittorio.
Se, verificata l’esaustività del materiale conoscitivo, il giudice ritiene possibile dare soluzione al quesito, il secondo principio summenzionato interviene a imporre la non disposizione della perizia ed il rapido proseguire nelle fasi processuali.
Sembra, pertanto, che le parti siano investite di un ruolo fondamentale nella decisione sull’ammissibilità di un mezzo istruttorio che,nella giurisprudenza costante, è «sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito».
Quanto più i contraddittori si attiveranno per fornire al decidente materiale conoscitivo esaustivo, adeguato, e chiaramente comprensibile, tanto più egli sarà costretto a negare ingresso alla perizia d’ufficio, e a decidere sulla base di quanto da esse stesse prospettato.
Conclusioni
Da quanto sopra accennato, sembra potersi concludere che il giudice, nel decidere, vincolatamene, se ammettere o meno la perizia, è soggetto a due imperativi fondamentali: il primo gli impone l'ammissione, quando i dati acquisiti al processo non consentano la soluzione di tutti i quesiti probatori; il secondo muove in senso opposto, per negare la perizia e proseguire oltre, al fine di evitare che la durata degli accertamenti e, con essa, del processo, divenga irragionevole.
I due anzidetti postulati, peraltro, non sembrano dotati della stesa forza vincolante.
Mentre a presidio della ragionevole durata del processo la CGE ha sanzionato lo Stato italiano in innumerevoli occasioni - si veda, in punto, il par. 3 - il dettato codicistico, che prescrive la disposizione della perizia, continua a non essere corredato da alcuna sanzione.
Se, peraltro, kelsenianamente, l'imperatività di una norma non consiste nel suo prescrivere un comportamento, ma nella sua coattività, ovvero nel fatto che,alla mancata osservanza di quanto prescritto,deve seguire una sanzione (fondamento logico della normatività), le due spinte non sembrano operare ad armi pari. Tanto più che l'espressione «quando occorre», come già ricordato, pertinente alla sfera dell'opportunità, lascia uno spazio di valutazione piuttosto ampio, a fortiori quando il giudice si trovi a dover verificare se gli strumenti conoscitivi acquisiti gli consentano di decidere.
Tali valutazioni, riferite alla sola sfera del decidente, sembrano ben difficilmente sindacabili. Va altresì tenuto presente, in punto, che l'orientamento costante in giurisprudenza, confermato anche di recente, ha chiarito come «la perizia, per il suo carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, 1º comma, lett. d), c.p.p., in quanto giudizio di fatto che,se sorretto da adeguata motivazione è,insindacabile in cassazione» (Cass., sez. IV, 22 gennaio 2007, in Foro It., Rep. 2007, voce Cassazione penale, n. 33).
Così, anche Cass., sez. VI, 7 luglio 2003, in Foro it., Rep. 2004, voce Perizia penale, n. 2, sulla stessa linea ha statuito che «la perizia è un mezzo di prova essenzialmente discrezionale, essendo rimessa al giudice di merito, anche in presenza di pareri tecnici e documenti prodotti dalla difesa, la valutazione della necessità di disporre indagini specifiche; ne consegue che non è sindacabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da adeguata motivazione, il convincimento del giudice circa l’esistenza di elementi tali da escludere la situazione che l’accertamento peritale richiesto dovrebbe dimostrare».
(Altalex, 10 settembre 2009. Nota di Giuseppe Maria Gallo e Francesca Bartolini, già pubblicata su Archivio della Nuova Procedura Penale n° 3/2009 (maggio-giugno).
________________
BIBLIOGRAFIA NOTEVOLE
Amodio E. - Perizia e consulenza tecnica nel quadro probatorio del nuovo processo penale, in Cass. Pen., 1989, pp. 170 ss.
Bielli D. - Periti e consulenti nel nuovo processo penale, in Giust. Pen., 1991, pp. 66 ss.
Calcagni C. - Ruolo del consulente tecnico nel nuovo processo penale, in Giust. Pen., 1992, pp. 558 ss.
Carini C. - Accertamenti tecnici, in Il diritto-Enc. Giur., Milano, 2007, vol. I, p. 18.
Conte M., Loforti R. - Gli accertamenti tecnici nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2006.
Conti C. - Perizia e consulenza tecnica, in Il diritto-Enc. Giur., Milano, 2007, vol. XI, p. 123.
De Cataldo Neuburger L. (a cura di) - La prova scientifica nel processo penale, Padova, 2007.
Gianfrotta F. - Oggetto della perizia, sub art. 220, in Comm. al nuovo c.p.p., coordinato da Chiavario M., Torino, 1990.
Scalfati A. – voce Perizia, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1997, vol. XXIII. dibattimento prova penale perizia Giuseppe Maria Gallo Francesca Bartolini
Tribunale di Genova
Ordinanza 7 luglio 2008
(Est. Mazza)
ORDINANZA
Il Giudice …
Quanto alla richiesta di procedersi a perizia sulla “causa del crollo” avanzata dalle difese di X e A, indifferente la difesa di B, contrarie le altre parti tutte
Osserva
la formulazione del comma primo dell’art. 220 codice procedura penale “la perizia è ammessa quando occorre” richiama l’attenzione sulla discrezionalità vincolata del giudice all’esito dell’accertamento presupposto … la perizia deve essere disposta una volta che il giudice abbia verificato la sussistenza del presupposto di ammissibilità dell’incombente … costituito dall’esistenza di un determinato tema di prova per la cui adeguata verifica occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche scientifiche o artistiche … nella gnoseologia accusatoria il perito è organo utile alle parti prima ancora che al giudice in quanto apporta le premesse indispensabili al contraddittorio, e contribuisce a razionalizzare il convincimento del giudice, evitando che questi si giovi di elementi completamente ignoti alle parti o faccia riferimento ad incerte ed evanescenti regole di esperienza …
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che l’art. 220 comma primo non sancisce un obbligo assoluto ed incondizionato del giudice di avvalersi dell’ausilio di persone esperte nei vari rami della tecnica, della scienza o dell’arte …
Nel caso siano stati esaminati consulenti tecnici di parte è lecito desumere dalle loro dichiarazioni e dai loro chiarimenti elementi di prova e di giudizio ed è il ragionevole convincimento espresso dal giudice che afferma l’esistenza o l’inesistenza di elementi tali da escludere la situazione che l’accertamento peritale richiesto dovrebbe dimostrare …
Ancora una volta … è evidente che la questione per il giudice, al fine di stabilire se disporre o meno perizia, è constatare se i dati conoscitivi offerti dalle consulenze di parte siano tali da consentire la soluzione dei problemi tecnico scientifici sottesi al quesito formulato. Nel caso affermativo (se consentono la soluzione) v’è obbligo di non disporre perizia ed in ossequio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, se conclusi gli incombenti istruttori, dichiarare chiuso il dibattimento e senza indugio passare alle conclusioni. Nel caso negativo (se non consentono la soluzione) v’è obbligo di disporre con sollecitudine perizia. Invero è la lettera della legge che ha sostituito il modale “può disporre” del codice del 1930 con l’assertivo “è ammessa” a fondare la correlazione tra i due obblighi, di disporre o di non disporre,in esito all’accertamento della sufficienza dei dati conoscitivi acquisiti. Delle ventidue udienze del processo, sette (più in parte una ottava) sono state esclusivamente dedicate ad approfondire in ogni sua sfaccettatura tecnica,in pieno e vivo contraddittorio, il tema per cui si chiede perizia: le cause del crollo,altre dodici alla ricostruzione dei fatti, tre alle questioni preliminari. In altri termini tutte le parti hanno avuto modo direttamente e con l’ausilio dei loro consulenti tecnici … di fornire dati conoscitivi e proporre la interpretazione di questi e dei fatti depositando altresì documentazione e scritti valutativi che si sono raccolti in diversi faldoni; i consulenti di ogni parte a loro volta sono stati sottoposti a controesame ed il contraddittorio è stato ricco, prolungato ed esauriente. Gli imputati che hanno ritenuto di sottoporsi ad esame sono stati invitati a procedere ed hanno proceduto … ad esporre liberamente anche questioni tecniche come consulenti di loro stessi. Accertata così la quantità e la qualità dei contributi frutto del contraddittorio, la loro comprensibilità giacché le parti si sono studiate di rendere le loro tesi utili al giudice presentandole anche con mezzi multimediali, modelli plastici, esperimenti in aula di fisica … si deve solo ancora esaminare se effettivamente tanta copia e tanta scienza è funzionale alla soluzione del quesito, ovvero per quanto oggi appare vi siano aporie irresolubili per la soluzione delle quali occorra un salto scientifico tecnico. Non pare che allo stato emergano aporie irresolubili, dell’evento passato si possiede ogni dato conoscitivo che legittimamente appartiene a questo processo ed essi esauriscono quanto è necessario per decidere; di esso evento si danno essenzialmente due diverse cause ed esse sono ampiamente spiegate ed illustrate …
Per tali motivi,
non accoglie la richiesta e dispone procedersi oltre…
quanto alla richiesta di procedersi a perizia sulle differenze fra (testuale) “il progetto genovese ed il progetto spagnolo” avanzata dalla difesa dell’imputato Y, richiamata la parte illustrativa del sopra esteso provvedimento di non accoglimento della richiesta di perizia sulle cause del crollo, considerato che in atti vi sono sufficienti elementi che consentono di pervenire, ove utile alla decisione,alla individuazione degli specifici apporti di ogni figura tecnica coinvolta nel fatto e/o nel processo, e dunque anche dell’imputato Y, non accoglie la richiesta e dispone procedersi oltre.

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