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ALTALEX NEWS


domenica 6 settembre 2009

Le novità in tema di immigrazione della legge 15 luglio 2009, n. 94 Riflessi su tratta di persone, traffico di migranti e tutela dei diritti

Le novità in tema di immigrazione della legge 15 luglio 2009, n. 94
Riflessi su tratta di persone, traffico di migranti e tutela dei diritti
di David Mancini
dal sito web http://www.altalex.com/index.php?idnot=47077
1. Migrazioni e sicurezza: un binomio equivocato
I fenomeni migratori sono una delle manifestazioni più visibili della globalizzazione ed anche una delle più controverse. Le implicazioni di carattere economico, sociale, politico sono molteplici, cosicchè è altamente probabile che le problematiche che direttamente attengono al fenomeno vengano trattate in modo superficiale, se non addirittura strumentale o di propaganda da parte delle diverse parti politiche. In sostanza, piuttosto che affrontare le reali cause e le più dirette manifestazioni del fenomeno migratorio, è possibile che ci si soffermi su aspetti secondari o solo apparentemente riguardanti l’immigrazione, sulla spinta di sentimenti popolari di insicurezza o per motivazioni di altra natura.
In molti Stati è cresciuta ed è poi diventata particolarmente radicata la convinzione che l’immigrato sia una minaccia alla sicurezza interna (visione alimentata in molti Paesi europei dal dibattito politico e mediatico inducendo effetti di generalizzata insicurezza e allarme sociale) e non invece una risorsa, sia sul piano economico che su quello culturale. Non sembra essere presente una riflessione accurata su quanto questo diffuso senso di insicurezza dipenda dalla protratta crisi economica globale, da profonde difficoltà sociali, piuttosto che dalla presenza sempre crescente di immigrati. Non sempre è stata operata la necessaria distinzione tra immigrazione e criminalità, generando così una grave confusione tra le due tematiche (di particolare attualità in Italia)1, confusione che si è in realtà verificata in ogni epoca storica, ogni volta che le ondate migratorie sono state più intense della norma e che hanno coinciso con significative incertezze sociali ed economiche. Senza entrare nel merito delle politiche migratorie adottate dai singoli Paesi, è certo che le scelte di contenimento o di forte penalizzazione hanno contribuito a far sì che la criminalità organizzata decidesse di investire risorse sempre più ingenti nella gestione illegale dei flussi migratori2. Al divieto di ingresso regolare oltre un determinato numero prefissato di stranieri, è subito seguita l’attivazione di strategie da parte di singoli e di organizzazioni criminali su come superare l’ostacolo frapposto da tale genere di disposizioni normative. La criminalità organizzata a livello transnazionale si è strutturata come una società di servizi in grado, in cambio di un’adeguata retribuzione, di garantire il viaggio per l’Italia o per un altro Paese di destinazione. Si è proposta non solo di offrire un servizio, ma ha assunto il ruolo paradossale di dispensatrice di speranze, perchè è diventata lo strumento principale, indispensabile, per realizzare un sogno, quello di raggiungere un paese che, agli occhi del migrante, rappresenta un investimento di vita per il futuro. E’ altamente prevedibile che ulteriori irrigidimenti delle politiche sulla immigrazione determineranno l’ampliamento della domanda nei confronti delle organizzazioni criminali.
Chi offriva (ed offre) questo servizio illegale acquisisce meriti e crea consenso, rafforzando la propria organizzazione criminale. Inevitabilmente, in virtù di questa scelta strategica la criminalità organizzata ha subito una profonda trasformazione assumendo sempre più i caratteri di organizzazione criminale transnazionale dal momento che, in ragione del servizio offerto, è obbligata a valicare i confini nazionali per attraversare clandestinamente e illegalmente i confini di uno o più Stati3.
Il traffico dei migranti (smuggling of migrants secondo il relativo protocollo addizionale alla Convenzione ONU del 12-15 dicembre 2000 di Palermo) risponde in modo illecito ad un bisogno elementare di masse enormi di persone: quello di emigrare, di cercare di migliorare la propria esistenza andando a lavorare lontano dal proprio Paese, lasciandosi alle spalle situazioni di sofferenza estrema. Quindi, la motivazione principale è la domanda di emigrazione avanzata da chi vuole emigrare e che è soddisfatta, dietro compenso, da soggetti criminali organizzati su base transnazionale che garantiscono al richiedente un ingresso per vie illegali in Italia o nel Paese di destinazione prescelto dal migrante. Nel particolare comparto del traffico dei migranti, il soggetto criminale svolge una funzione assimilabile a quella di una buona agenzia di viaggi, di un efficiente tour operator, che assicura l’arrivo nel posto pattuito disinteressandosi completamente del futuro della persona trasportata (a differenza della tratta di persone che presuppone, invece, una duratura relazione di sfruttamento tra l’organizzazione e la vittima)4.
Si tratta fondamentalmente di un rapporto tra il migrante che chiede un servizio di natura illegale e il criminale che lo offre in cambio di un oneroso compenso.
La risposta punitiva dell’ordinamento italiano si è evoluta con gli anni. Il legislatore italiano ha inteso prevedere il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sin dal 1986, quando cominciavano a percepirsi i segnali delle imminenti ondate migratorie, al primo scricchiolio delle divisioni tra Est e Ovest del mondo, soprattutto derivante dalle mutazioni geopolitiche in atto nell’allora ancora esistente Unione Sovietica.
Proprio per gli aggiustamenti di tiro a cui è stato costretto il legislatore, sia per il rapido mutare degli eventi (si pensi al veloce precipitare della crisi balcanica), sia in ossequio alle sollecitazioni sovranazionali, la normativa italiana sul tema in oggetto ha visto, dal 1986 ad oggi, una costante evoluzione, con particolare riferimento alle disposizioni sanzionatorie.
Con esclusivo riferimento alle condotte penalmente rilevanti riconducibili al fenomeno dello smuggling, è possibile elencare l’art. 12 legge 30 dicembre 1986, n. 943 (abrogato dall’art. 47 del d.lgs. 286/1998); l’art. 3 d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39 (poi sostituito dall’art. 10 della legge 6 marzo 1998, n. 40, e poi dall’art. 12 del d.lgs. 286/1998); l’art. 12, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, modificato dall’art. 2 comma 1, d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113, che ha sostituito il comma 4 dell’art. 12 del d.lgs. 286/1998, rendendo obbligatorio l’arresto in flagranza per le ipotesi previste dai comma 1 e 3 dell’art. 12; l’art. 12, d.lgs. 286/1998 come modificato dall’art. 11 della legge 30 luglio 2002, n. 189, con un costante andamento di progressivo aggravamento delle pene e con l’introduzione di nuove ipotesi criminose o di circostanze aggravanti. Infine, la legge 12 novembre 2004, n. 271, che ha convertito il decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, e che ha introdotto rilevanti modifiche al citato art. 12 d.lgs. 286/1998 5.
Nella precedente legislatura il governo, nella persona del ministro della giustizia, aveva presentato un disegno di legge sulla scia emotiva della necessità di contrastare lo smuggling nella particolare forma, più clamorosa ma numericamente meno significativa, dei barconi salpati dalle coste libiche e approdati a Lampedusa. Il disegno di legge n. 1857 si proponeva di modificare l’art. 12 del d.lgs. 286/1998 in chiave ulteriormente repressiva, ma non ebbe un esito positivo per la fine anticipata della legislatura.
Ora, la legge n. 15 luglio 2009, n. 94, approvata al termine di un percorso irto di polemiche ed aspri confronti e pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 24 luglio 2009, si caratterizza per inserirsi appieno nella scia del binomio discutibile tra migrazioni e sicurezza e per operare un intervento particolarmente restrittivo ed anche repressivo nei confronti dell'immigrazione, soprattutto irregolare, nell'intento di migliorare gli standard di sicurezza pubblica.
In realtà, la legge in questione contiene numerose e varie disposizioni di legge su tematiche disparate quali, il codice penale e di procedura penale, il codice della strada, le misure di prevenzione, ma è su alcuni aspetti legati alla disciplina dei fenomeni migratori che interessa in questa sede concentrare l'attenzione.
2. Il restyling interno dello smuggling of migrants. Le modifiche all’art. 12 del decreto legislativo 286/1998
Con la legge 94/2009 all’art. 2, comma 26, vengono introdotte rilevanti modifiche all’art. 12 del d.lgs. 286/1998 che costituisce la norma italiana che punisce il fenomeno conosciuto a livello transnazionale come smuggling of migrants.
Originariamente, il primo comma riguardava un’ipotesi residuale di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre il vero smuggling era previsto al terzo comma, con la qualificazione del fine di profitto anche indiretto, quale dolo specifico. Con la modifica si stravolge questa impostazione. Scompare il fine di profitto e dunque il livello di dolo scema dal livello specifico a quello generico, ma si prevedono alcune condizioni, che dunque integrano il fatto tipico costituente reato. Al primo comma si prevede ora l’ipotesi base secondo cui, salvo che il fatto costituisca più grave reato, la condotta punita è quella di chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione penale è quelle della reclusione da uno a cinque anni e della multa di 15.000 euro per ogni persona. Si amplia il novero delle condotte costituenti reato, in quanto si specificano le azioni di promozione, direzione, organizzazione, finanziamento, di trasporto e si innalza il livello sanzionatorio. In realtà non si avvertiva la necessità di specificare in questo modo alcune condotte poiché nel concetto di “atti diretti a procurare l’ingresso” tali azioni sono pacificamente ricomprese.
Il terzo comma viene modificato radicalmente nel modo sopra accennato. La condotta base del primo comma viene qualificata da alcune condizioni alternative che qualificano il reato e ne giustificano la maggiore gravità sanzionatoria. Queste condizioni qualificanti sussistono se:
a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
Questa modifica dell’art. 12 comma 3 non convince appieno, perché, di fatto, rischia di attenuare notevolmente la risposta sanzionatoria in alcuni casi. Consideriamo il caso del procurato ingresso di meno di cinque persone che costituisce ipotesi molto frequente. Se viene procurato l’ingresso di meno di cinque persone e non figura alcuna delle condizioni di cui alle lettere b) c) d) e), questa ipotesi prima rientrante nell’art. 12 comma 3 ora viene punita in modo molto più blando con la previsione del comma 1. E’ noto che la stragrande maggioranza degli ingressi irregolari non avviene, al contrario di quel che un'informazione superficiale potrebbe fare ritenere, via mare6 (questa è semmai la forma più clamorosa e drammatica) bensì attraverso normali vettori di trasporto su strada, su rotaia o per via aerea. Molto spesso avviene senza utilizzare documenti contraffatti, ma semmai attraverso un uso strumentale e fraudolento dei diversi visti di ingresso, di cui agli art. 27 e seguenti del d.lgs. 286/1998, come, ad esempio, nel caso dell'utilizzo strumentale dei flussi dei lavoratori stagionali, lavoratori per cui l’irregolarità dell’ingresso si evince solo ex post, una volta che costoro sono entrati in Italia – o più semplicemente nell'area Schengen – senza formalizzare alcun contratto di lavoro. In questo senso è ipotizzabile (e auspicabile) che l’interpretazione si orienti nel senso di ricomprendere queste condotte nella nuova formulazione del comma 3, in virtù della lettera d), laddove si fa riferimento all’utilizzo di “servizi internazionali di trasporto” oppure a “documenti … illegalmente ottenuti”.
Il comma 3bis continua ad essere una circostanza aggravante ma, siccome le circostanze della versione precedentemente vigente sono divenute, nella nuova struttura del reato, elementi del fatto tipico descritto al comma 3, viene modificato nel senso che se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena è aumentata.
Il comma 3ter viene modificato nel senso che la circostanza aggravante ad effetto speciale sussiste se i fatti di cui ai commi 1 e 3:
a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;
b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto. Attraverso questa formulazione, il dolo specifico che caratterizzava l'elemento psicologico del reato nella versione precedente del comma 3, attualmente diviene circostanza aggravante ad effetto speciale applicabile alla previsione incriminatrice dei nuovi commi 1 e 3.
E’ molto opportuno il riferimento allo sfruttamento lavorativo della lettera a) ma, tuttavia, mentre è chiaro cosa sia lo sfruttamento sessuale, non vi sono tuttora nel nostro ordinamento definizioni di “sfruttamento lavorativo, pertanto l’esatta delineazione dei confini distintivi tra sfruttamento lavorativo penalmente rilevante e “fisiologiche” alterazioni dei rapporti di lavoro potrebbe essere demandata al ruolo dell’interprete che in questo settore appare particolarmente arduo7.
Peraltro, la diversità dei fenomeni di sfruttamento del lavoro (tratta a scopo di sfruttamento lavorativo / riduzione in schiavitù / grave sfruttamento lavorativo / utilizzo di lavoro irregolare) si riflette anche sul piano normativo, dove si registrano lacune e difficoltà interpretative.
Vi è una profonda frattura tra il concetto di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo (sanzionato quale grave reato contro i diritti fondamentali) e tutti gli altri casi di lavoro forzato o sfruttamento lavorativo non assimilabili al precedente.
Talvolta, come nel nostro attuale ordinamento, i secondi appaiono relegati in un limbo bagatellare, malgrado anch’essi costituiscano gravi violazioni dei diritti delle persone, in quanto lavoratori.
In sostanza, esiste una notevole area grigia che si colloca tra le previsioni incriminatici con sanzioni penali gravi riguardanti casi di sfruttamento lavorativo che si manifestino con gli elementi della tratta, di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale e, su di un livello di gravità e deterrenza infinitamente più blando, le norme che attualmente puniscono l’utilizzo di lavoro irregolare o lo sfruttamento di lavoratori (articoli 12 comma 5 e 22 comma 12, del d.lgs. 286/1998, art. 18, d.lgs. 276/2003 oppure le diverse contravvenzioni in tema di: lavoro notturno; tutela della maternità e paternità; tutela del lavoro dei fanciulli e adolescenti; lavoro a domicilio, che pure rappresentano casi di abuso del lavoro di soggetti deboli).
Con riferimento alle molteplici situazioni di grave sfruttamento lavorativo (che si volevano disciplinare con progetti di legge ancora non approvati) finora le più ricorrenti norme di tutela penale sono state rinvenute nella prassi, a volte con elevati sforzi interpretativi, in diverse norme del codice penale, tra cui gli articoli 629, 572, 582, 610 del codice penale8.
In tutte le ipotesi di reato dell’art. 12 si stabilisce l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza. Inoltre, mutuando la disciplina dell’art. 275 comma 3 c.p.p., tipica dei reati di cui all'art. 51 co 3bis c.p.p., si stabilisce che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari9.
Inoltre, si stabilisce l’automatica ed obbligatoria conseguenza, in caso di condanna, anche per applicazione della pena su richiesta delle parti, della confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato.
Si prevede, poi, modificando l’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7bis) c.p.p. l’opportuno aumento del termine massimo di durata delle indagini preliminari, anche se per la sola ipotesi del comma 3.
Infine, una modifica rilevante è contenuta nel'articolo 1, comma 5, che modifica l'art. 416, comma 6 del codice penale con la seguente previsione: all’articolo 416, sesto comma, del codice penale, le parole: «600, 601 e 602» sono sostituite dalle seguenti: «600, 601 e 602, nonchè all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Questa innovazione determina prima di tutto uno spostamento di competenza dalle procure ordinarie alla direzioni distrettuali antimafia nei casi di associazioni criminali finalizzate al compimento di reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sempre che siano realizzate le condotte di cui alla circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 12 comma 3ter del d.lgs. 286/1998, vale a dire nel caso in cui le condotte base di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 12 siano realizzate ccon finalità di sfruttamento ovvero al fine di trarre profitto anche indiretto.
Tale modifica potrebbe avere un impatto notevole nella pratica. Da alcuni si sosteneva da tempo la necessità di determinare questo spostamento di competenza in capo alle direzioni distrettuali antimafia, in ragione delle peculiarità transnazionali dei fenomeni criminali di smuggling. Tuttavia, altri rilevavano con fondatezza che solitamente, così come avviene per i reati di criminalità mafiosa, le indagini in materia di organizzazioni criminali transnazionali che gestiscono i flussi di migranti irregolari, come d'altronde quelle riguardanti le organizzazioni che si occupano della tratta di persone, nascono sempre da accurate indagini sui c.d. “reati spia” che vengono condotte con particolare perizia dalle procure ordinarie, alle quali, in virtù della modifica dell'art. 416, comma 6, del codice penale, richiamato dall'art. 51 comma 3bis del codice di procedura penale, viene sottratto questo settore di intervento, che non è detto che venga adeguatamente sostituito dagli uffici distrettuali per il solo fatto dell'avvenuto spostamento di competenza. Peraltro, si registra un dato davvero anomalo, vale a dire lo spostamento di competenza da procure ordinarie a direzioni distrettuali antimafia sulla base dell'esistenza di una circostanza aggravante, quale quella dell'art. 12, comma 3ter. In sostanza, solo le associazioni finalizzate al compimento di reati di smuggling aggravati ai sensi della richiamata norma divengono di competenza distrettuale, mentre gli altri casi, seppure in forma associata, resterebbero nella competenza ordinaria. In realtà, al di là della tecnica legislativa alquanto singolare, la residualità dovrebbe restare sulla carta, poiché appare davvero difficile configurare associazioni criminali di tal tipo che non siano caratterizzate dalla finalità di profitto, anche indiretto, richiesto dall'art. 12, comma 3ter.
3. L’introduzione nell'ordinamento italiano del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
L’art. 1, comma 16, della legge 94/2009 prevede la nascita di una nuova fattispecie incriminatrice penale: il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Viene così aggiunto un articolo 10-bis al testo unico che punisce con la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, che riguarda i soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio. Dunque, la condotta che viene sanzionata si riferisce all’ingresso o al trattenimento illegale nel territorio italiano.
Questa previsione ha dato luogo ad un dibattito molto acceso e si presta ad una varietà di considerazioni e di critiche. In questa sede interessa valutarne solo alcune. In estrema sintesi si può rilevare che se le cause delle migrazioni sono plurime ma tutte coinvolgenti pulsioni estreme e speranze profonde che spingono i migranti ad abbandonare situazioni di vita di inimmaginabile degrado; allora, detto ciò, non si vede come una sanzione di tal genere (una pena pecuniaria applicata a chi non ha assolutamente nulla da perdere) possa avere efficacia generalpreventiva, cioè possa fungere da deterrente per scoraggiare i migranti dall’entrare o soggiornare illegalmente in Italia. Potrebbe apparire poco credibile immaginare gruppi di migranti in posti diseredati del pianeta rinunciare al loro viaggio per il tramite di strutturate organizzazioni criminali poiché intimoriti dalla pena pecuniaria dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro.
Sembrerebbe trattarsi più che altro di una previsione simbolica tesa a soddisfare l'istinto (più che la ragione, considerato che non si pronosticano risultati concreti) pezzi consistenti di opinione pubblica e di elettori. Tuttavia, si tratta di una scelta che graverà pesantemente (e senza alcun risultato pratico) in capo alle forze dell’ordine, che dovranno fermare e denunciare migliaia di extracomunitari irregolari, ed in capo all’amministrazione della giustizia, che si troverà a intraprendere ed a tentare di celebrare processi per reati contravvenzionali nei confronti di extracomunitari già espulsi o semplicemente muniti di ordine del questore e quindi ancora girovaghi irregolari sul territorio italiano.
Si potrebbe commentare a lungo l’effetto perverso che avrà l’enorme mole di procedimenti penali che si accumuleranno negli uffici giudiziari in virtù di questa nuova disposizione incriminatrice. Si tratterà per lo più di processi in contumacia, fatti a soggetti irreperibili (per cui l'Italia ha collezionato un'interminabile serie di condanne da parte della Corte dei europea diritti dell'uomo per violazione della Convenzione) per arrivare a conclusioni sterili o addirittura a nessuna conclusione.
Tuttavia, a prescindere da un esame analitico della nuova fattispecie, gli aspetti che più si impongono in un'ottica globale e transnazionale di contrasto al crimine organizzato, che lucra sui flussi migratori, sono essenzialmente due. La prima considerazione è che questa disposizione sembrerebbe in contrasto con il diritto internazionale pattizio10, dal che potrebbero derivare conseguenze di illegittimità costituzionale, come si farà cenno più avanti. In particolare, il riferimento di contrasto è al protocollo addizionale ONU sullo smuggling. L’articolo 5 sancisce senza mezzi termini che i migranti non devono essere sottoposti a procedimento penale per il fatto di essere stati l’oggetto di condotte riconducibili all’articolo 6 del medesimo protocollo. L’articolo 6 enuclea le diverse modalità delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare (smuggling) che devono essere previste come reato dagli Stati11.
E' evidente che l'esclusione di criminalizzazione del migrante irregolare per i fatti descritti dall'articolo 6 del medesimo protocollo significa che, secondo il protocollo addizionale, il migrante non può essere criminalizzato per il suo ingresso irregolare (o clandestino) in uno Stato, restando salve tutte le altre ipotesi di incriminazione per fatti diversi (ad esempio, per possesso di documenti falsi, per il compimento di altre attività illecite, etc.) ad eccezione dei casi in cui sussistano specifiche scriminanti o cause di non punibilità.
Ora, salvo voler ignorare considerazioni elementari e condivise, è davvero raro che i migranti irregolari (quindi gli extracomunitari, tenendo presente l’allargamento geografico dell’Unione europea) arrivino in Italia con propri mezzi e senza utilizzare il contributo materiale e finanziario di reti e organizzazioni di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare12. Ed è proprio questo il senso della norma internazionale: non è giusto e (soprattutto) utile punire penalmente il migrante irregolare, bensì occorre perseguire l’organizzazione ed i soggetti che dai bisogni e dalle speranze di quei migranti traggono profitti enormi. In sostanza, l’articolo 5 del protocollo nega la possibilità per gli Stati di prevedere norme penali quando i migranti irregolari siano stati “beneficiari” dei servizi di trasporto delle organizzazioni criminali, che devono costituire il vero obiettivo della risposta repressiva. E’ evidente la contraddizione di fondo che ci introduce al secondo aspetto di preoccupazione. Il migrante irregolare è intrinsecamente un soggetto poco visibile per il timore di essere controllato e rimpatriato. Questa condizione sommersa da un lato rende difficile monitorare ed evidenziare l’esistenza di organizzazioni criminali di smuggling, dall’altro alimenta variegate forme di sfruttamento che vanno dal lavoro nero e sottopagato alle condotte di tratta di persone e riduzione in schiavitù per sfruttamento sessuale, lavorativo o per altre finalità di profitto. Uno dei principali problemi nel contrasto ai fenomeni che traggono profitti enormi dalla tratta di persone (come dallo smuggling) sottolineato da tutti gli operatori nazionali ed internazionali, è dato dalla difficile identificazione delle vittime13. Se restano invisibili le vittime, restano sommersi i fenomeni criminali. Con l’introduzione del reato di immigrazione illegale si rende molto più difficile il già arduo compito di identificazione delle vittime di tratta e di altre forme di grave sfruttamento, poiché alle riserve, paure, intimidazioni si aggiunge il rischio di criminalizzazione.
Il favoreggiamento dell'immigrazione irregolare oltre ad essere di per se' un grave reato, può manifestarsi anche come “reato spia”14, come indicatore, del più grave reato di riduzione in schiavitù e tratta di persone, puniti rispettivamente agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale.
Il discorso sarebbe lungo, poiché coinvolgerebbe la tutela dei diritti umani delle vittime di gravissimi reati, la loro vittimizzazione secondaria, oltre che l’efficacia del contrasto alle organizzazioni criminali transnazionali.
Evidentemente, le nuove previsioni normative non escludono affatto che le vittime di reati di sfruttamento possano usufruire degli adeguati trattamenti umanitari, ma il problema di fondo è dato dal fatto che trattandosi di fenomeni criminali estremamente sommersi, la criminalizzazione del migrante irregolare e la sua successiva immediata espulsione impediscono l'attivarsi dei meccanismi virtuosi di emersione e di identificazione della condizione di vittima o quanto meno li compromettono seriamente.
Gli strumenti giuridici attualmente preordinati all’identificazione, assistenza e protezione sociale delle vittime (in primis, l’art. 18 del d.lgs. 286/1998 15 che costituisce attualmente un vanto della legislazione italiana in termini di efficacia nell'identificazione, assistenza e protezione sociale delle vittime di tratta e di altre gravi forme di violenza e sfruttamento) rischiano di essere totalmente vanificati. E ciò non soltanto per l'introduzione del reato di immigrazione illegale, ma soprattutto per la previsione contenuta all’art. 10bis che, al comma 4, recita: “ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato”.
Lo strumento del nulla osta dell’Autorità giudiziaria è essenziale per impedire che soggetti coinvolti, sia come vittime che come autori, nei c.d. “reati spia” (il novero ampio e aperto di reati meno gravi dietro ai quali si celano violazioni più gravi quali la tratta di persone o la riduzione in schiavitù) vengano espulsi senza che sia stato compiuto alcun approfondimento investigativo e giudiziario (e senza tutela dei loro diritti fondamentali). Ma l’introduzione della novella secondo cui il migrante illegale possa essere espulso senza richiedere il nulla osta del Pubblico Ministero può significare sottrarre al medesimo (e alla polizia giudiziaria che compie le indagini) la possibilità di identificare le vittime e di attivare quei percorsi investigativi e di tutela. Questa innovazione rischia di infliggere un durissimo colpo alle strategie di contrasto alle nuove mafie transnazionali che dal mercato dei nuovi schiavi traggono profitti enormi.
Tale modifica non ha tenuto in alcun conto gli sforzi delle istituzioni nazionali e internazionali in termini di pianificazione e attuazione di meccanismi di identificazione delle vittime di tratta e di collaborazione investigativa secondo criteri innovativi multiagenzia, fondati sul lavoro di reti integrate, che pongono in primo piano i diritti umani delle vittime (che prima di essere identificate come tali erano semplici migranti irregolari) ed il contrasto alla criminalità organizzata transnazionale16. Si deve sottolineare che attualmente le strategie internazionalmente riconosciute di contrasto alle forme di sfruttamento della persona impongono la collaborazione tra gli operatori del law enforcement, della magistratura e del settore sociale, secondo percorsi operativi ispirati alle buone pratiche17.
In questo contesto, è del tutto inutile la disposizione citata secondo la quale il questore fornisce notizia all’Autorità giudiziaria del fatto compiuto, cioè dell’avvenuta espulsione, come prevede il secondo periodo della novella norma.
E' evidente che se si vuole conservare a detta disposizione una base di ragionevolezza, essa debba essere interpretata nel senso che deve essere fornita adeguata dimostrazione di avere compiuto tutte le procedure in tema di identificazione di possibili vittime di violenza o sfruttamento con riferimento al cittadino extracomunitario espulso. In questo nuovo contesto divengono indispensabili ed obbligatorie le procedure frutto di protocolli o di buone prassi di identificazione delle potenziali vittime di tratta e di altre forme di violenza o sfruttamento, che prrima erano solo consigliate, poiché “coperte” (non sempre in modo costante) dal nulla osta demandato all'autorità giudiziaria.
L'art. 1 comma 17 della legge in esame affida al giudice di pace la competenza a giudicare nella materia del reato di immigrazione clandestina. A prescindere da ogni valutazione in merito, che porterebbe molto lontano, il nuovo art. 20-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000 dice che, salvo casi particolari, in caso di flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente, la polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l’autorizzazione a presentare immediatamente l’imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace. Salvo che ritenga di richiedere l’archiviazione, il pubblico ministero autorizza la presentazione immediata nei quindici giorni successivi. Se non ritiene sussistere i presupposti per la presentazione immediata o se ritiene la richiesta manifestamente infondata, il pubblico ministero provvede ai sensi dell’articolo 25, comma 2. In quest'ultimo caso, se ritiene l'azione inammissibile o manifestamente infondata, il pubblico ministero esprime parere contrario alla citazione.
La considerazione interrogativa che consegue è la seguente. E' possibile per il pubblico ministero ritenere la prova evidente o la notizia non manifestamente infondata allorchè la polizia giudiziaria, riscontrata la violazione dell'art. 10bis del decreto legislativo 286/98, non effettui alcun accertamento nelle dovute forme e secondo le linee guida operative in materia per verificare se il migrante irregolare che si vuole espellere (o che, paradossalmente, si è già espulso) sia vittima di reati o quanto meno “oggetto” di organizzazioni criminali allo smuggling o al trafficking? E' possibile ritenere ciò senza che la polizia giudiziaria abbia verificato se vi sono le condizioni per l'applicazione di una norma fondamentale del testo unico, quale è l'articolo 18, che non ha alcuna funzione premiale, ma si pone come strumento di tutela dei diritti umani?
A sommesso avviso dello scrivente la risposta è tendenzialmente negativa, perchè ove si sia agito seguendo uno schema di meccanica verifica circa la presenza di un titolo di soggiorno, senza ulteriori accertamenti si è totalmente pretermesso di valutare l'esistenza di circostanze favorevoli al presunto reo, che informano non solo l'attività del pubblico ministero, ex art. 358 c.p.p., ma anche quella della polizia giudiziaria.
Ovviamente, senza considerare che siffatto modo di agire precluderebbe in radice l'accertamento di ogni condotta illecita di cui quel migrante irregolare dovesse essere vittima.
Qualora, invece, la polizia giudiziaria desse prova di aver agito seguendo le buone prassi in tema di identificazione di potenziali vittime e mettesse in condizione il pubblico ministero di valutare l'evidenza della prova e la fondatezza dell'illecita condotta, si potrebbe dare corso al la richiesta di procedimento “rapido” dinanzi al giudice di pace. Da qui deriverebbero altri problemi circa la totale ineffettività di un siffatto impianto normativo, ma questo è un altro discorso.
Orbene, pure se questa interpretazione, allo stato delle norme introdotte, potrebbe destare qualche critica, pare a chi scrive che si tratti dell'unica interpretazione costituzionalmente orientata per diverse ragioni.
4. Brevi cenni sulla legittimità costituzionale del reato di “immigrazione illegale”.
Si è accennato in precedenza alla possibile contrarietà del reato introdotto con il nuovo articolo 10bis del testo unico, rispetto alla carta costituzionale. Su questo tema si propongono alcune considerazioni che dovrebbero essere ulteriormente approfondite e che riguardano un aspetto specifico, direttamente connesso con le indicazioni fornite dal diritto internazionale patrizio in tema di contrasto al crimine organizzato transnazionale. In realtà, i profili di perplessità costituzionale potrebbero essere molteplici, così come autorevolmente rilevato dal Presidente della Repubblica in una lettera inviata alla Presidenza del Consiglio ed ai Presidenti delle Camere dopo aver promulgato la legge18, sicchè in queste brevi note non vi è alcun carattere di completezza, anzi, si tratta di una riflessione assolutamente parziale.
In generale, la giurisprudenza della Corte costituzionale, nell'interpretare le disposizioni della Costituzione che fanno riferimento a norme e ad obblighi internazionali – per quanto qui può interessare, gli artt. 10 ed 11 Cost. – ha costantemente affermato che l'art. 10, primo comma, Cost., il quale sancisce l'adeguamento automatico dell'ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, concerne esclusivamente i princìpi generali e le norme di carattere consuetudinario (per tutte, si pensi alle sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996, n. 168 del 1994), mentre non ricomprende le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano princìpi o norme consuetudinarie del diritto internazionale. Di contro, l'art. 10, secondo comma, fa riferimento a ben precisi accordi, concernenti la condizione giuridica dello straniero.
L'art. 11 Cost., il quale stabilisce, tra l'altro, che l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, è invece la disposizione che ha permesso di riconoscere alle norme comunitarie efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (sul punto si pensi alle sentenze n. 284 del 2007 e n. 170 del 1984).
Alla luce della complessiva disciplina stabilita dalla Costituzione, quale risulta anche dagli orientamenti della Corte costituzionale19, è salito alla ribalta e va preso in considerazione e sistematicamente interpretato l'art. 117, comma 1, Cost., così come emergente dalla modifica costituzionale avvenuta con l'art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). La conformità delle leggi ordinarie alle norme di diritto internazionale convenzionale era prima suscettibile di controllo da parte della Corte solo entro i limiti e nei casi sopra indicati, con la conseguenza che la violazione di obblighi internazionali derivanti da norme di natura pattizia non contemplate dall'art. 10 e dall'art. 11 Cost. da parte di leggi interne comportava l'incostituzionalità delle medesime solo con riferimento alla violazione diretta di norme costituzionali. Peraltro, ciò avveniva in opposizione ad uno degli elementi caratterizzanti dell'ordinamento giuridico interno, rinvenibile nella forte apertura al rispetto del diritto internazionale e più in generale delle fonti giuridiche esterne, comprese quelle richiamate dalle norme di diritto internazionale privato. Inoltre, questa violazione di obblighi internazionali non poteva essere evitata adeguatamente dal solo strumento interpretativo.
Secondo l'orientamento della corte costituzionale, pertanto, il nuovo testo dell'art. 117, comma 1, Cost., ha colmato una lacuna e così come in altre Costituzioni di diversi Paesi europei, si collega al quadro dei princìpi che espressamente già garantivano a livello primario l'osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato.
Evidentemente, ciò non vuol dire che ora sia possibile attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento. Il parametro costituzionale in esame comporta, infatti, l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare tali norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma contenuta negli obblighi internazionali di cui all'art. 117, comma 1 Cost., si pone in violazione con tale parametro costituzionale. In sostanza, secondo la Corte costituzionale, con l'art. 117, comma 1 Cost., si è realizzato, in definitiva, una sorta di “rinvio mobile” alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale fornisce forza e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”; e che è soggetta a sua volta ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione.
Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale 'interposta', egli deve investire la corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, comma 1 Cost..
Nel caso di specie, si pone la questione degli articoli 5 e 6 del Protocollo addizionale ONU sul traffico di migranti, allegato alla citata Convenzione di Palermo, espressamente eseguito nel nostro ordinamento in virtù della legge 146 del 2006. A parere di chi scrive, per quanto opinabile, le norme interposte del protocollo addizionale sono del tutto contrastanti con il nuovo art. 10bis del testo unico sull'immigrazione, ponendosi in aperta antitesi, sia con riferimento alla ratio ed ai principi ispiratori delle norme, sia con riguardo alle concrete conseguenze giuridiche in termini di contrasto al crimine organizzato.
Peraltro, non sembra che alla luce delle norme in esame sia possibile un'interpretazione della norma interna compatibile con quelle internazionali. L'unica clausola di salvezza potrebbe residuare nell'interpretazione che valorizzi il compito di accertamento della polizia giudiziaria finalizzato alla compiuta identificazione delle potenziali vittime di reati di violenza e/o sfruttamento, al fine di valutare l'applicazione di altre norme del testo unico (art. 18), l'esistenza di cause di giustificazione o di non punibilità e conseguentemente, il rispetto delle previsioni contenute negli articoli 5 e 6 del Protocollo addizionale.
Un aiuto in questo senso potrebbe pervenire dal ministero dell'interno, sempre attento a valorizzare l'esatta portata dell'articolo 18 in tema di tutela dei diritti umani mediante la continua emanazione di circolari interpretative ed esplicative. La valorizzazione preventiva di adeguate procedure condivise di identificazione di potenziali vittime di gravi reati, attraverso metodi integrati multiagenzia fondati sulla cooperazione dei diversi soggetti giuridici, psicosociali e di polizia può essere un modo di rispondere in senso positivo alle sollecitazioni ed alle perplessità rappresentate dal Capo dello Stato in merito alla costituzionalità del provvedimento.
Modifiche di interesse penale ed altre innovazioni. Esigenza di sicurezza o conseguenze discriminatorie?
L’art. 1 comma 22 della legge in esame prevede diverse modifiche al decreto legislativo 286/98. Con particolare riguardo alle disposizioni penali, le modifiche più rilevanti riguardano:
l’ampliamento della fattispecie dell’articolo 5, comma 8bis, con l’inserimento dell’utilizzazione di uno dei documenti contraffatti o alterati come condotta sanzionata;
la sostituzione dell’art. 6 comma 3 con una nuova formulazione, forte della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 20. Si prevede che “lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda fino ad euro 2.000”;
la sostituzione dell’articolo 14, commi 5bis, 5ter, 5quater e 5quinquies con le nuove formulazioni seguenti:
in relazione al comma 5bis si afferma che quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all’interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza.
In relazione al comma 5ter, lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5bis del presente articolo nonché, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all’articolo 13, comma 3.
in relazione al comma 5quater, lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5ter, terzo e ultimo periodo.
In relazione al comma 5quinquies, per i reati previsti ai commi 5ter, primo periodo, e 5quater si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto”;
Al di là delle riflessioni legate alla esasperata proliferazione di fattispecie penali, alla praticabilità del sistema, alla funzionalità della risposta sanzionatoria penale a fronte di un fenomeno di dimensioni planetarie, vi sono diverse modifiche di rilievo che, però, presentano difficoltà applicative ed interpretative. Ad esempio, il comma 5ter rileva che il reato sussiste anche quando lo straniero cui il Questore ha ordinato di lasciare il territorio dello Stato ai sensi del comma 5bis, sia stato destinatario di un provvedimento di respingimento o di espulsione, nonché quando tali misure sono state adottate, oltre che nei casi già configurati dal testo previgente della norma incriminatrice, anche quando lo straniero non abbia dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto. Quest’ultima disposizione, seppure avente una chiara finalità deterrente, potrebbe presentare profili di indeterminatezza, poichè non è chiaro quale sia la dichiarazione di presenza a cui la legge si riferisca. Potrebbe trattarsi di quella dovuta al Questore entro sessanta giorni dall’ingresso in Italia dallo straniero cui è stato rilasciato un premesso di soggiorno in un altro paese dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 5, comma 7 del d.lgs. 286/1998 ovvero di quella che la legge richiede in sostituzione del nulla osta al lavoro da parte degli stranieri extracomunitari dipendenti di un datore di lavoro con sede nell’Unione Europea ai sensi dell’art. 27, comma 1bis, del decreto legislativo.
Per altri versi, altra modifica di rilievo che testimonia l’intento di aggravare la risposta punitiva è il radicale cambiamento del reato di cui al comma 5quater con il quale, sanzionando in modo specifico la reiterazione dell’inosservanza del provvedimento di espulsione e di un nuovo ordine del questore, si viene a configurare un singolare modo di punire autonomamente come reato una condotta evidentemente recidivante.
L’art. 2 comma 56 prevede, inoltre, una specifica circostanza attenuante ad effetto speciale nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione e la cattura di uno o più autori dei reati ovvero per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti. Questo è uno strumento di collaborazione sicuramente utile per l’attività di contrasto alle organizzazioni criminali, mutuato dalle esperienze già maturate in altri ambiti del diritto penale. Per realizzare ciò il legislatore, all’articolo 600-sexies del codice penale, dopo il comma 4 ha inserito la previsione secondo cui nei casi previsti dagli articoli 600, 600bis, 600ter, 600quater, 600quinquies, 600sexies, 600septies, 600octies, 601, 602 e 416, comma 6 c.p., le pene sono diminuite fino alla metà in presenza della collaborazione attiva sopra richiamata.
Ulteriore novità legislativa di interesse per quanto riguarda l'ambito che qui interessa è contenuta nell'art. 2 comma 19. E' evidente che, in linea con i principi ispiratori dell'intervento legislativo in esame, la materia dell'immigrazione è valutata come strettamente pertinente al tema della sicurezza pubblica, mentre altre norme che riguardano le azioni di contrasto alle organizzazioni criminali che sfruttano soggetti vulnerabili sono collocate in altro contesto del provvedimento legislativo. E' il caso della introduzione dell' art. 600octies concernente l'impiego di minori nell'accattonaggio, fenomeno preoccupante che costituisce anche una possibile finalità di sfruttamento nell'ambito di condotte di riduzione in schiavitù o di tratta. La nuova disposizione si riferisce al caso in cui, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvalga per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero permetta che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare, è punito con la reclusione fino a tre anni. Tale innovazione si accompagna con l'abrogazione dell’articolo 671 del codice penale.
Questa norma ha un suo rilievo di interesse. Infatti, malgrado la persistente moderazione della risposta punitiva, tende a sanzionare quelle condotte di utilizzazione e sfruttamento di minori nell'accattonaggio che non siano configurabili all'interno delle ipotesi di tratta a scopo di sfruttamento mediante l'accattonaggio, che, invece, costituiscono la vetta in termini di gravità e di risposta sanzionatoria.
Infine, al di fuori dall'introduzione di nuove fattispecie penali, ma in ambiti di estrema rilevanza anche sotto il profilo dell'auspicabile emersione di soggetti vulnerabili, il legislatore sembrerebbe aver abbandonato l'idea di rendere obbligatoria l'esibizione del permesso di soggiorno da parte del migranti agli esercenti le professioni sanitarie, avendo modificato con l'articolo 1, comma 22, lett g) della legge in esame, l’articolo 6, comma 2, del d.lgs. 286/1998, sostituendo la frase «e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi» con « per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie»; la conseguenza dovrebbe essere da un lato migliorativa e dall'altro peggiorativa. Dovrebbe essere in parte scongiurato il rischio paventato dagli esercenti le professioni sanitarie, almeno dal punto di vista formale e però solo parzialmente, atteso che i medici del servizio sanitario nazionale sarebbero comunque obbligati alla denuncia ex art. 361 c.p.p., nel caso in cui rilevassero l'irregolarità dello straniero, visto che questa è una condizione che, oggi, costituisce reato.
Inoltre, l'esclusione dell'esibizione del titolo di soggiorno per usufruire delle sole “prestazioni scolastiche obbligatorie” determinerà gravi problemi per la fruizione dei servizi di asilo nido e di scuola dell'infanzia (anche per bambini che sono nati in Italia) con la possibile conseguenza di gravi discriminazioni, anche costituzionalmente censurabili..
Inoltre, si richiede l'esibizione del permesso di soggiorno per il compimento di atti dello stato civile tra cui il riconoscimento dei figli, nati in Italia, da genitori irregolarmente soggiornanti, il che dal punto di vista della compatibilità giuridico costituzionale lascia alquanto perplessi.
Altro aspetto fortemente criticabile ed anch'esso di dubbia costituzionalità (ad esempio con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 117, comma 1 Cost. ed all'art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che si riferisce proprio al diritto al matrimonio) è costituito dalla modifica all’articolo 116, primo comma, del codice civile, a cui sono aggiunte, alla fine, le seguenti parole: «... nonchè un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». Ne consegue che lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all'ufficiale dello stato civile, oltre ad una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che, in forza delle leggi a cui è sottoposto, nulla osta al matrimonio, anche il permesso di soggiorno o altro documento equipollente, in difetto del quale non potrà contrarre il matrimonio desiderato, salve eventuali interpretazioni estensive, costituzionalmente orientate, degli altri provvedimenti nell'interesse dello straniero che non richiedono l'esibizione di titoli di soggiorno.
_______________
1 Del tutto errata è l’equazione superficiale tra immigrazione e criminalità. Non sembra potersi dubitare di quanto è stato recentemente ribadito dal rapporto del CNEL sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, presentato il 20 febbraio 2009. Rileva il CNEL senza mezzi termini che : “lo stesso dibattito politico nazionale sull’immigrazione acuisce queste difficoltà. Alimenta un clima di diffidenza e paura reciproca tra italiani e immigrati ed anche tra gli stessi immigrati. Enfatizza un’emergenza invasione inesistente e mistifica l’equazione tra immigrazione e criminalità. Esso è condizionato da iniziative identitarie sul piano elettorale contro diritti sociali e civili fondamentali riconosciuti agli immigrati dal nostro ordinamento, la cui negazione segna un arretramento di civiltà del nostro Paese. Tutto questo non ha alcuna incidenza sulla lotta alla clandestinità, che è un problema reale e su cui i cittadini giustamente chiedono risultati tangibili. La persecuzione del clandestino già presente nel nostro Paese, fuggito dalla fame, dalla guerra, dalla persecuzione, serve solo a suscitare gli istinti di una subcultura xenofoba, che mette a rischio una ordinata convivenza civile”. Il rapporto è disponibile su http://www.portalecnel.it/portale/HomePageSezioniWeb.nsf/vwhp/HP.
2 Sugli effetti controproducenti nel contrasto alla tratta di persone e al traffico di migranti cagionati dalle normative restrittive dei flussi migratori in entrata, si vedano anche le considerazioni contenute in: Commissione europea, Tratta degli esseri umani. Rapporto del Gruppo di esperti nominato dalla Commissione europea, Il Centro Stampa, Roma, 2006, disponibile sul sito www.ontheroadonlus.it\pubblicazioni.html.
3 Sulla consapevolezza anche istituzionale delle dimensioni del fenomeno è recente la relazione del Comitato Parlamentare per la sicurezza della Repubblica sul tema : la tratta di esseri umani e le sue implicazioni per la sicurezza della Repubblica, approvata nella seduta del 29 aprile 2009.
4 Con conseguenze spesso drammatiche come testimoniano le eclatanti notizie che riguardano i naufragi dei barconi in partenza dalla Libia.
5 Per una disamina delle disposizioni previgenti sia consentito rinviare a d. mancini, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto, Francoangeli, Milano, 2008.
6 Il primo rapporto sugli immigrati in Italia, curato dal ministero dell'interno nel dicembre 2007, riferisce di una percentuale estremamente minoritaria di ingressi via mare, di gran lunga inferiore al 10% del numero complessivo.
7 La difficoltà di inquadramento dello sfruttamento lavorativo nelle diverse esperienze nazionali emerge con chiarezza nel recente studio dell'Organizzazione internazionale del lavoro, Forced Labour and Human Trafficking; Casebook of Court Decisions, Ginevra, 2009.
8 In materia è interessante l'elaborazione curata dal comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta costituito nel Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del consiglio dei ministri : Verso la costruzione di un piano nazionale anti-tratta, Roma, marzo 2008.
9 Si tratta di disposizione applicabile ai procedimenti in corso, secondo la regola tempus regit actum, che governa la successione delle leggi processuali in base all'art. 11 delle cd. preleggi (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 1 ottobre 1991, Alleruzzo,).
10 La Convenzione ONU di Palermo, con i suoi protocolli addizionali allegati, è stata pienamente attuata nell'ordinamento interno con la legge 16 marzo 2006 n. 146.
11Di seguito si riportano gli articoli 5 e 6 del citato Protocollo ONU.
Articolo 5 - Responsabilità penale dei migranti
I migranti non diventano assoggettati all'azione penale fondata sul presente Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6.
Articolo 6 - Penalizzazione
1. Ogni Stato Parte adotta misure legislative e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato ai sensi del suo diritto interno, quando l'atto è commesso intenzionalmente e al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale:
(a) Al traffico di migranti;
(b) Quando l'atto è commesso al fine di permettere il traffico di migranti:
(I) alla fabbricazione di un documento di viaggio o di identità fraudolento;
(II) al fatto di procurarsi, fornire o possedere tale documento;
(c) Al fatto di permettere ad una persona che non è cittadina o residente permanente di rimanere nello Stato interessato senza soddisfare i requisiti necessari per permanere legalmente nello Stato tramite i mezzi di cui alla lettera b del presente paragrafo o tramite qualsiasi altro mezzo illegale.
2. Ogni Stato Parte adotta misure legislative e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato:
(a) Fatti salvi i concetti fondamentali del suo ordinamento giuridico, al tentativo di commettere un reato determinato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo;
(b) Alla partecipazione, in qualità di complice, ad un reato determinato ai sensi del paragrafo 1(a), (b) (I) o (c) del presente articolo e, fatti salvi i concetti fondamentali del suo ordinamento giuridico, alla partecipazione, in qualità di complice, ad un reato determinato ai sensi del paragrafo 1 (b) (II) del presente articolo;
(c) All'organizzare o dirigere altre persone nella commissione di un reato determinato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo.
3. Ogni Stato Parte adotta misure legislative e di altro tipo, necessarie per conferire il carattere di circostanza aggravante dei reati di cui al paragrafo 1 (a), (b) (I) e (c) del presente articolo e, fatti salvi i concetti fondamentali del suo ordinamento giuridico, dei reati di cui al paragrafo 2 (b) e (c) del presente articolo:
(a) Al fatto di mettere in pericolo, o di rischiare di mettere in pericolo, la vita e l'incolumità dei migranti coinvolti; o
(b) Ai trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento, di tali migranti.
4. Nessuna disposizione del presente Protocollo impedisce ad uno Stato Parte di prendere misure nei confronti di una persona la cui condotta costituisce reato ai sensi del suo diritto interno.
12 Si pensi add extracomunitari di nazionalità cinese, nigeriana, pakistana, indiana, cingalese, nordafricana, tanto per citare solo alcune tra le nazionalità più ricorrenti.
13 Tra le tante opinioni cfr. unodc, Toolkit to Combat Trafficking in Persons, p. 251 e ss., Vienna, 2008.
14 a. cisterna, L'entità del fenomeno e la rilevazione dello stesso attraverso i c.d. "reati spia", relazione all'incontro di studi La tratta degli esseri umani, tenutosi presso il Consiglio superiore della Magistratura dal 26 al 28 gennaio 2009.
15 L'articolo 18 è un esempio internazionale di metodo di identificazione, assistenza e protezione delle vittime di gravi reati, che ha ispirato lo strumento convenzionale più avanzato in tema di tutela dei diritti umani delle persone vittime di tratta, oggi rappresentato dalla Convenzione del Consiglio di Europa, siglata a Varsavia il 29 maggio 2005.
16 Tra i tanti riferimenti disponibili cfr. le indicazioni dell'OCSE, From policy to practice: combating trafficking in human beings in the Osce region, Vienna, 2007.
17 E' il caso di alcuni protocolli di intesa multiagenzia stipulati tra Procure della Repubblica, forze dell'ordine e soggetti del pubblico e del privato sociale accreditato, illustrati in sedi istituzionali italiane ed estere, ed oggi espressamente consigliati a tutti gli uffici giudiziari dal Procuratore Nazionale Antimafia in una recente direttiva del novembre 2008 inviata a tutte le Procure Generali della Repubblica.
18 Il Capo dello Stato critica la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda la esimente della permanenza determinata da giustificato motivo (che ben potrebbe consistere nell'essere vittima di tratta e/o oggetto del traffico di migranti). Inoltre, rileva che "le modifiche apportate dall'art. 1 comma 22 lett. m) in materia di espulsione del cittadino extracomunitario irregolare, determinano - a ragione di un difettoso coordinamento normativo - il contraddittorio e paradossale effetto di non rendere più punibile (o al più punibile solo con una ammenda) la condotta del cittadino extracomunitario che fa rientro in Italia pur dopo essere stato materialmente espulso. La condotta era precedentemente punita con la reclusione da 1 a 5 anni". Dunque una norma profondamente incoerente con tutte le altre disposizioni in materia.
Peraltro, i rilievi si spingono anche alle sanzioni previste e alle loro modalità di applicazione. Dice il Capo dello Stato: "l'attribuzione della contravvenzione di immigrazione clandestina alla commissione del giudice di pace non mi pare poi in linea con la natura conciliativa di questi e disegna nel contempo, per il reato in questione, un "sottosistema" sanzionatorio non coerente con i principi generali dell'ordinamento e meno garantistica di quello previsto per delitto di trattenimento abusivo sottoposti alla cognizione del Tribunale. Per il nuovo reato la pena inflitta non può essere condizionalmente sospesa o "patteggiata", mentre la eventuale condanna non può essere appellata.
19 Sono assolutamente fondamentali in questo senso le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, da cui sono tratte le argomentazioni sopra sinteticamente esposte.
20 Cass. Sez. Un., 27 novembre 2003 n. 45801.

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