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ALTALEX NEWS


giovedì 24 settembre 2009

Brevi considerazioni sul reato di immigrazione clandestina

Brevi considerazioni sul reato di immigrazione clandestina
Articolo di Massimo Mannucci 17.09.2009

(Articolo in corso di pubblicazione su "Strumentario Avvocati - Rivista di Diritto e Procedura Penale, n. 10, 2009)
http://www.altalex.com/index.php?idu=108063&cmd5=90ccb63eedaa8e8f0566596a94157526&idnot=47103
All'indomani della entrata in vigore della Legge n. 94 del 15 luglio 2009 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, autorevoli commentatori e soprattutto operatori pratici del diritto hanno manifestato preoccupazione per l'impatto che certe disposizioni potrebbero avere sulla gestione quotidiana del lavoro negli uffici sia di polizia che giudiziari.
In particolare desta sgomento il riflesso che l'applicazione dell'art. 10 bis del D.lgs. 286/98 potrebbe avere sugli uffici del giudice di pace, sulla polizia giudiziaria, sulle Procure della Repubblica e anche sugli ufficiali giudiziari, questi ultimi incaricati di una notevole messe di notificazioni urgenti.
Trattasi infatti di uffici tutti già oberati da carichi di lavoro insostenibili e con organici non in grado sopportare nuovi aggravi se non a prezzo di ulteriori lungaggini che verrebbero puntualmente e giustamente stigmatizzate dall’esterno.
Infatti numerosissimi sono gli stranieri clandestini astrattamente sanzionabili con la citata contravvenzione di competenza del giudice di pace per la quale la legge 94/09 introduce anche un rito speciale caratterizzato da inusitata velocità. Al momento del controllo molti di essi stranieri non esibiscono alcun documento, violando così anche l'art. 6 comma III del D.lgs. 286/98, contravvenzione di competenza del giudice ordinario.
Ne deriva quindi una duplicazione di processi per l'applicazione, in entrambi i casi, di pene veramente irrisorie e spesso ineseguibili, essendo gli stranieri, che incorrono in tali violazioni, notoriamente insolventi e irreperibili.
Tuttavia una lettura attenta delle norme coniugata a quei risvolti di pratica giudiziaria che il legislatore dimostra di conoscere ben poco o di tenere punto in considerazione, può svelare scenari più confortanti o comunque tali da far ritenere meno devastante tale impatto.
A ben vedere, l'art. 10 bis punisce “lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene sul territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico” (D.lgs. 286/98).
La prima condotta (l'ingresso) verrà punita nei casi, piuttosto limitati, in cui il soggetto viene sorpreso nel momento in cui varca la frontiera o, al più, immediatamente dopo. Evidentemente il legislatore, resosi conto che tale evenienza è di difficile verificazione, ha inserito una condotta alternativa (il trattenimento) normalmente di più frequente e più facile riscontro.
Tuttavia la pubblica accusa al fine di provare la responsabilità dello straniero per tale reato, a meno di non volere ipotizzare inammissibili inversioni dell'onere della prova, dovrà dimostrare che lo straniero soggiornava sul nostro territorio da più di otto giorni lavorativi atteso che l'art. 5, comma 2 del D.lgs. 286/98 prevede che il permesso di soggiorno debba essere richiesto entro otto giorni lavorativi dall'ingresso. Del resto lo straniero, ai sensi dell'art. 4 del D.lgs. citato, può entrare nello Stato con il passaporto o documento equipollente e il visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello stato di origine.
Dunque la prova della durata della permanenza potrà ricavarsi dal visto apposto sul passaporto, ma se lo straniero non lo esibisce tale accertamento non sarà possibile, tuttavia egli dovrà rispondere del reato di cui all'art. 6, comma 3, D.lgs. 286/98.
A questo punto si pone il quesito se il legislatore, laddove nell'art. 10 bis ha richiamato la violazione delle norme del testo unico come presupposto per la configurabilità della contravvenzione prevista dalla norma, abbia inteso riferirsi solo alle norme amministrative che disciplinano l'ingresso e la permanenza degli stranieri nel territorio nazionale ovvero anche alle norme di rango penale compreso il menzionato art. 6. Solo in questa seconda ipotesi la mancata esibizione del passaporto integrerebbe anche il reato di cui all'art. 10 bis perché la permanenza illegale si concreterebbe e si dimostrerebbe con il rifiuto di esibire il documento, condotta che integrerebbe violazione del relativo obbligo previsto e punito dall’art. 6. In tal caso però i reati si potrebbero considerare commessi con una sola azione o omissione e perciò in concorso formale ai sensi dell'art. 81 comma 1 c.p., con conseguente attrazione della competenza al giudice ordinario anche per il reato di cui all'art. 10 bis.
Ne deriverebbe pertanto la possibilità di evitare di processare migliaia di stranieri anche davanti al giudice di pace con un rito simile a quello direttissimo che richiede, tra l'altro, un forte impegno di tempo e di professionalità ai corpi di polizia giudiziaria oltre a un notevole esborso di denaro pubblico per sostenere gli oneri del patrocinio a spese dello stato che i difensori puntualmente richiederanno.
E' ben vero che la prova della permanenza da oltre otto giorni nel territorio dello Stato potrebbe scaturire da una precedente fotosegnalazione, da una testimonianza o da una qualsiasi traccia documentale della presenza dello straniero nel nostro territorio, ma è anche vero che non potrebbe escludersi la circostanza che il soggetto sia nel frattempo uscito e di nuovo rientrato nel territorio dello Stato prima della scadenza di quel termine di otto giorni da cui nasce l'obbligo di richiedere il permesso di soggiorno.
Pertanto, anche in tali casi, potrebbe essere richiesta l'archiviazione non essendovi elementi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio.
Infine, è appena il caso di aggiungere che un ulteriore restringimento all’applicazione dell’art. 10 bis è determinato dalla clausola di salvezza ivi contenuta la quale fa sì che detta contravvenzione debba ritenersi assorbita nei più gravi reati apparentemente concorrenti di cui agli artt. 13 comma 13 e 14 commi 5 ter e 5 quater del medesimo testi unico.
Si può dunque concludere che, se tale percorso esegetico fosse sostenibile e quindi venisse condiviso dalla giurisprudenza, i casi di applicazione sia dell'art. 10 bis, sia del rito speciale, dal punto di vista statistico, potrebbero essere meno significativi del previsto e il tributo da pagare alla “propaganda” potrebbe essere meno esoso.

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