Alla banca basta il piano di ammortamento per pretendere la restituzione del mutuo
dal sito web http://www3.lastampa.it/i-tuoi-diritti/sezioni/consumatore/news/articolo/lstp/381269/
Se la banca rivuole i soldi del mutuo, le basta il piano d’ammortamento nei confronti del cliente inadempiente destinatario dell’ingiunzione: il documento è prova scritta nel giudizio di opposizione al decreto. Lo precisa la sentenza 23972/10, emessa dalla prima sezione civile della Cassazione.
Il caso
Sbaglia il fideiussore-liquidatore della società ingiunta da cui l’istituto di credito pretende la restituzione del mutuo: nell’ambito del giudizio di opposizione contro il decreto ottenuto dall’istituito mutuante ai danni dell’azienda mutuataria, il piano di ammortamento del finanziamento può ben equivalere all’estratto conto ai fini della prova scritta del credito richiesta in sede monitoria; il documento dimostra le somme dovute dal cliente alla banca alle singole scadenze. Il piano di ammortamento del mutuo ha natura di clausola negoziale: se infatti il contratto si estingue prima della sua naturale scadenza, è soltanto al percorso “di rientro” del finanziamento che bisogna fare riferimento per calcolare le somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale oppure degli interessi.
E' inutile, per il debitore, sostenere che anche l’accredito al correntista della somma mutuata non costituirebbe una fattispecie che perfeziona il finanziamento (l’obiettivo è sempre escludere il valore di prova scritta al documento contestato). L’importo, in effetti, non fa altro che passare dalla banca al conto intrattenuto dal cliente-beneficiario presso lo stesso istituto mutante: questo trasferimento risulta tuttavia sufficiente a determinare l’uscita del denaro dal patrimonio dell’erogante e la relativa acquisizione in quello del mutuatario. Insomma, il fatto che la somma al centro del prestito sia portata sul conto del cliente costituisce un autonomo titolo di disponibilità in capo al mutuatario: non si può negare, dunque, che la circostanza configuri un trasferimento idoneo a perfezionare il mutuo. E soprattutto non si può escludere, ai fini della prova scritta nel giudizio monitorio, l’equivalenza tra l’accredito su conto corrente e il piano di ammortamento: quest’ultimo, infatti, fa sorgere in capo al mutuatario l’obbligo di pagare gli interessi e restituire la somma alla banca secondo i tempi e i modi indicati nella road map pattuita (se invece le richieste del mutuante dovessero differire dal piano di ammortamento concordato si configura un fatto impeditivo che deve essere eccepito e provato dal debitore). Infine, c’è la presunta violazione della norma ex articolo 1283 del codice civile che vieta la capitalizzazione degli interessi sul capitale. Affinché l’anatocismo risulti rilevabile d’ufficio, è indispensabile che non si rendano necessarie indagini di fatto: fa bene allora il giudice del merito a stabilire che la questione non poteva essere posta per la prima volta nella comparsa conclusionale d’appello, in quanto contrastante con la domanda di pagamento del solo capitale e degli ulteriori interessi.
Il caso
Sbaglia il fideiussore-liquidatore della società ingiunta da cui l’istituto di credito pretende la restituzione del mutuo: nell’ambito del giudizio di opposizione contro il decreto ottenuto dall’istituito mutuante ai danni dell’azienda mutuataria, il piano di ammortamento del finanziamento può ben equivalere all’estratto conto ai fini della prova scritta del credito richiesta in sede monitoria; il documento dimostra le somme dovute dal cliente alla banca alle singole scadenze. Il piano di ammortamento del mutuo ha natura di clausola negoziale: se infatti il contratto si estingue prima della sua naturale scadenza, è soltanto al percorso “di rientro” del finanziamento che bisogna fare riferimento per calcolare le somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale oppure degli interessi.
E' inutile, per il debitore, sostenere che anche l’accredito al correntista della somma mutuata non costituirebbe una fattispecie che perfeziona il finanziamento (l’obiettivo è sempre escludere il valore di prova scritta al documento contestato). L’importo, in effetti, non fa altro che passare dalla banca al conto intrattenuto dal cliente-beneficiario presso lo stesso istituto mutante: questo trasferimento risulta tuttavia sufficiente a determinare l’uscita del denaro dal patrimonio dell’erogante e la relativa acquisizione in quello del mutuatario. Insomma, il fatto che la somma al centro del prestito sia portata sul conto del cliente costituisce un autonomo titolo di disponibilità in capo al mutuatario: non si può negare, dunque, che la circostanza configuri un trasferimento idoneo a perfezionare il mutuo. E soprattutto non si può escludere, ai fini della prova scritta nel giudizio monitorio, l’equivalenza tra l’accredito su conto corrente e il piano di ammortamento: quest’ultimo, infatti, fa sorgere in capo al mutuatario l’obbligo di pagare gli interessi e restituire la somma alla banca secondo i tempi e i modi indicati nella road map pattuita (se invece le richieste del mutuante dovessero differire dal piano di ammortamento concordato si configura un fatto impeditivo che deve essere eccepito e provato dal debitore). Infine, c’è la presunta violazione della norma ex articolo 1283 del codice civile che vieta la capitalizzazione degli interessi sul capitale. Affinché l’anatocismo risulti rilevabile d’ufficio, è indispensabile che non si rendano necessarie indagini di fatto: fa bene allora il giudice del merito a stabilire che la questione non poteva essere posta per la prima volta nella comparsa conclusionale d’appello, in quanto contrastante con la domanda di pagamento del solo capitale e degli ulteriori interessi.
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