La critica politica non può diventare discredito: è diffamazione
dal sito web http://www3.lastampa.it/i-tuoi-diritti/sezioni/cittadino-istituzioni/news/articolo/lstp/379791/
La critica politica non può sconfinare nell’offesa alla reputazione professionale dell’avversario. Insomma, è diffamazione screditare sul piano professionale il proprio contendente politico.
Il diritto di critica politica, infatti, non legittima espressioni lesive della dignità personale e professionale, non sussistendo alcun interesse a che la collettività ne venga messa al corrente. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza 37220/10 con cui ha annullato il verdetto d’appello che aveva riconosciuto la scriminante dell’esercizio del diritto di critica in favore di un sindaco e di un consigliere di maggioranza che avevano offeso la reputazione professionale di una collega di minoranza che svolgeva il lavoro di avvocato.
La Suprema corte ha accolto il ricorso della professionista ritenendo che il discorso fatto dal primo cittadino e dal consigliere conteneva frasi indubbiamente diffamatorie della «dignità e credibilità professionale» dell’avversaria. Insomma, non si era trattato di una legittima critica politica diretta a mettere in luce gli sbagli della minoranza, ma di una vera e propria opera di discredito professionale e personale a danno della ricorrente. Sul punto la quinta sezione penale del Palazzaccio ha sottolineato, per eliminare ogni dubbio, che la contesa politica non può svolgersi sul piano dell’invettiva personale. Non è lecito che una parte politica, per acquisire consensi, diffonda in pubblico considerazioni denigratorie di aspetti personali o professionali degli oppositori.
Il diritto di critica politica, infatti, non legittima espressioni lesive della dignità personale e professionale, non sussistendo alcun interesse a che la collettività ne venga messa al corrente. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza 37220/10 con cui ha annullato il verdetto d’appello che aveva riconosciuto la scriminante dell’esercizio del diritto di critica in favore di un sindaco e di un consigliere di maggioranza che avevano offeso la reputazione professionale di una collega di minoranza che svolgeva il lavoro di avvocato.
La Suprema corte ha accolto il ricorso della professionista ritenendo che il discorso fatto dal primo cittadino e dal consigliere conteneva frasi indubbiamente diffamatorie della «dignità e credibilità professionale» dell’avversaria. Insomma, non si era trattato di una legittima critica politica diretta a mettere in luce gli sbagli della minoranza, ma di una vera e propria opera di discredito professionale e personale a danno della ricorrente. Sul punto la quinta sezione penale del Palazzaccio ha sottolineato, per eliminare ogni dubbio, che la contesa politica non può svolgersi sul piano dell’invettiva personale. Non è lecito che una parte politica, per acquisire consensi, diffonda in pubblico considerazioni denigratorie di aspetti personali o professionali degli oppositori.
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