Cassazione penale , sez. III, sentenza 29.11.2010 n° 42182
dal sito http://www.altalex.com/index.php?idstr=49&idnot=51148
La comunione è sciolta? L’azienda non evita la confisca: devono essere salvaguardate le pretese dei creditori dell’azienda.
Così i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato nella sentenza 29 novembre 2010, n. 42182, con cui hanno confermato la misura su un immobile (nello specifico un terreno ed un opificio) di proprietà di un imprenditore, che, inizialmente era caduto in comunione con la moglie, ma successivamente i due coniugi provvedevano allo scioglimento.
I giudici, quindi, respingevano, per ciò, il ricorso presentato da una donna che si opponeva alla confisca disposta dal Tribunale nei confronti del citato immobile, chiarendo, altresì, che la comunione de residuo, che considera in comunione ogni incremento dell’azienda, opera solamente al termine dell’attività imprenditoriale.
Tali condizioni nella fattispecie in oggetto non si sono verificate, in quanto non vi era stata la cessazione dell’impresa e nemmeno la sottrazione del bene immobile al suo esercizio.
Nella sentenza de qua si legge testualmente che: “In regime di comunione legale tra coniugi, lo scioglimento della comunione de residuo ex art. 178 c e . implica necessariamente che il bene che residui al momento della richiesta di scioglimento non faccia più parte dei beni strumentali all'esercizio dell'impresa e non venga più utilizzato a tale scopo, venendo altrimenti violata, mediante una cessazione fittizia o meramente formale della comunione, la ratio dell'istituto, con la conseguenza che è legittima la confisca del bene in comunione de residuo nella sua interezza qualora esso, anche dopo la cessazione della comunione, conservi la destinazione dell'esercizio all'impresa allorché è stato commesso il reato per il quale è stata disposta la misura cautelare”.
Da ciò discende la legittimità della confisca del bene nella sua interezza nella ipotesi in cui, anche dopo la cessazione della comunione, lo stesso conservi la destinazione dell’esercizio all’impresa, quanto sia stato commesso il reato per cui è stata disposta la misura cautelare.
(Altalex, 6 dicembre 2010. Nota di Manuela Rinaldi)
Così i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato nella sentenza 29 novembre 2010, n. 42182, con cui hanno confermato la misura su un immobile (nello specifico un terreno ed un opificio) di proprietà di un imprenditore, che, inizialmente era caduto in comunione con la moglie, ma successivamente i due coniugi provvedevano allo scioglimento.
I giudici, quindi, respingevano, per ciò, il ricorso presentato da una donna che si opponeva alla confisca disposta dal Tribunale nei confronti del citato immobile, chiarendo, altresì, che la comunione de residuo, che considera in comunione ogni incremento dell’azienda, opera solamente al termine dell’attività imprenditoriale.
Tali condizioni nella fattispecie in oggetto non si sono verificate, in quanto non vi era stata la cessazione dell’impresa e nemmeno la sottrazione del bene immobile al suo esercizio.
Nella sentenza de qua si legge testualmente che: “In regime di comunione legale tra coniugi, lo scioglimento della comunione de residuo ex art. 178 c e . implica necessariamente che il bene che residui al momento della richiesta di scioglimento non faccia più parte dei beni strumentali all'esercizio dell'impresa e non venga più utilizzato a tale scopo, venendo altrimenti violata, mediante una cessazione fittizia o meramente formale della comunione, la ratio dell'istituto, con la conseguenza che è legittima la confisca del bene in comunione de residuo nella sua interezza qualora esso, anche dopo la cessazione della comunione, conservi la destinazione dell'esercizio all'impresa allorché è stato commesso il reato per il quale è stata disposta la misura cautelare”.
Da ciò discende la legittimità della confisca del bene nella sua interezza nella ipotesi in cui, anche dopo la cessazione della comunione, lo stesso conservi la destinazione dell’esercizio all’impresa, quanto sia stato commesso il reato per cui è stata disposta la misura cautelare.
(Altalex, 6 dicembre 2010. Nota di Manuela Rinaldi)
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