Il contratto diventa a tempo indeterminato se il termine è prorogato più di una volta
Attenzione ai contratti a termine per sostituzione dei lavoratori in ferie prorogati per più di una volta, rischiano di diventare a tempo indeterminato. Lo precisa la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 23685/10.
La sentenza
L’articolo 2 della legge 230/62 prescrive e impone che il rapporto può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato una volta sola e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingenti e imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per il quale l’«accordo» è stipulato.
L’articolo 23 della legge 56/1987 ha devoluto alla competenza della contrattazione collettiva la determinazione delle ipotesi in cui è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro (nel presupposto dell’idoneità di tale competenza a fornire tutela adeguata contro i possibili abusi), ma le ipotesi in questione sono state innestate nella disciplina generale dettata in materia dalla legge 230/1962 e inserite nel sistema da questa delineato, con la conseguente applicazione delle disposizioni dell’articolo 2 della predetta legge.
Una sostanziale riforma del tipo contrattuale, nel segno di una minore rigidità (ma non certo di una liberalizzazione: cfr. Corte costituzionale 41/2000) della disciplina dello strumento negoziale, si è avuta soltanto con il D.Lgs 368/01, che reca l’abrogazione delle disposizioni della legge 230/62, e delle altre disposizioni modificative o integrative (articolo 11). Si tratta, peraltro, di una disciplina dettata senza alcuna efficacia retroattiva, che non spiega, quindi, effetti sui contratti a termine stipulati nel vigore della previgente normativa, neanche nel caso in cui gli effetti di tali contratti siano destinati a protrarsi nel tempo fino a epoca successiva alla sua entrata in vigore.
L’impianto di fondo del sistema delineato dalla legge 230/62, non è stato modificato neppure dalla previsione dell’articolo 12 della legge 196/97, che, sostituendo soltanto il secondo comma dell’articolo 2 della legge 230/1962, ha disegnato un nuovo quadro normativo limitatamente alle sanzioni comminate per la violazione dei limiti posti alla stipulazione dei contratti a termine. Dunque, non è stato toccato il primo comma dell’articolo 2 della legge 230/62, contenente la regolamentazione delle ipotesi di proroga del contratto, e specialmente il principio che richiede, per la legittima prosecuzione del rapporto, esigenze «contingenti e imprevedibili» relative alla stessa attività lavorativa. Sarà ora il giudice del rinvio a mettere la parola “fine” alla vicenda.
La sentenza
L’articolo 2 della legge 230/62 prescrive e impone che il rapporto può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato una volta sola e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingenti e imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per il quale l’«accordo» è stipulato.
L’articolo 23 della legge 56/1987 ha devoluto alla competenza della contrattazione collettiva la determinazione delle ipotesi in cui è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro (nel presupposto dell’idoneità di tale competenza a fornire tutela adeguata contro i possibili abusi), ma le ipotesi in questione sono state innestate nella disciplina generale dettata in materia dalla legge 230/1962 e inserite nel sistema da questa delineato, con la conseguente applicazione delle disposizioni dell’articolo 2 della predetta legge.
Una sostanziale riforma del tipo contrattuale, nel segno di una minore rigidità (ma non certo di una liberalizzazione: cfr. Corte costituzionale 41/2000) della disciplina dello strumento negoziale, si è avuta soltanto con il D.Lgs 368/01, che reca l’abrogazione delle disposizioni della legge 230/62, e delle altre disposizioni modificative o integrative (articolo 11). Si tratta, peraltro, di una disciplina dettata senza alcuna efficacia retroattiva, che non spiega, quindi, effetti sui contratti a termine stipulati nel vigore della previgente normativa, neanche nel caso in cui gli effetti di tali contratti siano destinati a protrarsi nel tempo fino a epoca successiva alla sua entrata in vigore.
L’impianto di fondo del sistema delineato dalla legge 230/62, non è stato modificato neppure dalla previsione dell’articolo 12 della legge 196/97, che, sostituendo soltanto il secondo comma dell’articolo 2 della legge 230/1962, ha disegnato un nuovo quadro normativo limitatamente alle sanzioni comminate per la violazione dei limiti posti alla stipulazione dei contratti a termine. Dunque, non è stato toccato il primo comma dell’articolo 2 della legge 230/62, contenente la regolamentazione delle ipotesi di proroga del contratto, e specialmente il principio che richiede, per la legittima prosecuzione del rapporto, esigenze «contingenti e imprevedibili» relative alla stessa attività lavorativa. Sarà ora il giudice del rinvio a mettere la parola “fine” alla vicenda.
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