Dignità umana e diffamazione a mezzo stampa
di Giovanni Catalisano 22.06.2010
dal sito http://www.altalex.com/index.php?idnot=50280
di Giovanni Catalisano 22.06.2010
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SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Onore e reputazione - 3. Delitti contro l’onore: verso una nuova concezione
1. Premessa.
Il Codice penale italiano, nel Libro secondo, Titolo XII, Capo II, contiene le disposizioni riguardanti i Delitti contro l’onore. In esso hanno trovato posto due distinte ipotesi di reato, l’ingiuria e la diffamazione.
Secondo un’indicazione consolidata, il dato oggettivo della presenza dell’offeso caratterizzerebbe ictu oculi il reato di ingiuria, così come il dato oggettivo, speculare al primo, dell’assenza della persona offesa connoterebbe fondamentalmente il reato di diffamazione[1].
Il Legislatore nel 1930, al fine di individuare l’oggetto dell’offesa, utilizzò due concetti, quello di onore per il delitto di ingiuria e quello di reputazione per il delitto di diffamazione, su cui furono costruite le due fattispecie di reato. Questo criterio di distinzione non era seguito da Codice penale del 1889 (art. 393 e ss.), il quale, uniformandosi alla disciplina contenuta nei codici sardo-italiano del 1859 e toscano del 1853, impostava la differenza tra ingiuria e diffamazione nel senso che la prima si esauriva nella semplice contumelia, fosse presente o meno l’offeso, la seconda consisteva nella lesione dell’altrui onore arrecata mediante l’attribuzione di un fatto determinato[2].
Evidente è l’esigenza di approntare un sistema difensivo contro tutte quelle esternazioni che possono ledere l’onore o la reputazione di una persona quando il comportamento di un individuo travalica i confini dell’ordinaria e civile manifestazione del proprio pensiero per arrivare alla formulazioni di considerazioni che esulano dal fisiologico per entrare nel patologico rappresentato dal reato di diffamazione a mezzo stampa, nella consapevolezza che nessuno può ergersi a giudice dell'indegnità altrui[3].
L’art. 595, 1° c. del c.p. delinea i tratti della fattispecie di reato denominata diffamazione[4]. Il 3° comma introduce un carattere specifico del reato in esame, in riferimento ad una particolare modalità operativa, che è l’utilizzo del mezzo stampa come canale per veicolare l’offesa[5]. Ulteriori riferimenti si trovano nei seguenti articoli del c.p.: 596 bis (Diffamazione col mezzo della stampa)[6]; 57 (Reati commessi col mezzo della stampa periodica)[7]; 57 bis (Reati commessi col mezzo della stampa non periodica)[8] e 58 (Stampa clandestina)[9].
Inoltre, a completamento del quadro normativo, va segnalata la Legge 47/1948, c.d. Legge sulla Stampa, in particolare l’art. 13[10] che detta la disciplina delle pene per la diffamazione.
Altre disposizioni strettamente collegate al tema in esame vengono citate in nota[11].
2. Onore e reputazione.
Nel corso del tempo sono state formulate varie definizioni di onore, l’onore è stato definito come il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona[12], come l’opinione che delle qualità di una persona ha essa stessa o l’ambiente sociale[13]. Accanto a queste esemplificative citazioni vi è chi, in una visione lungimirante, ritiene che il concetto di onore non può essere definito una volta per tutte, per ogni tempo e per ogni luogo, perché si correrebbe il rischio di isolare l’oggetto da tutelare dal contesto storico dei rapporti sociali, politici, economici e giuridici, che formano il tessuto connettivo di una data civiltà[14].
L’onore ha più una valenza soggettiva che oggettiva, anche se c’è chi discute di ”onore oggettivo”, o interpersonale, punto di riferimento di valutazioni obiettive che si riflettono sulla persona, in senso favorevole o sfavorevole, ed attengono alla stima che la persona offesa ha presso gli altri membri della comunità per il complesso delle sue doti morali e sociali, essenziali o accessorie, che del pari concorrono alla sua considerazione nelle relazioni umane[15]. La duplice prospettazione di onore in senso “soggettivo” ed “oggettivo” risale alla Relazione ministeriale al Progetto definitivo del nuovo codice penale del 1930.
Un’ultima distinzione è quella che fa capo alle nozioni di onore minimo o comune e di onore specifico o qualificato: con la prima si vuol fare riferimento alla onorabilità che è propria di ogni individuo in quanto persona, a qualunque categoria sociale appartenga e qualunque sia il livello dei suoi meriti ed il rango del suo lavoro; con la seconda si intende specificare un tipo di onorabilità superiore alla media o quanto meno caratterizzata con riferimento ad una determinata categoria sociale o professionale o a meriti e funzioni particolarmente apprezzati dalla collettività. Questa distinzione, che certamente non si propone di violare il principio della uguaglianza della tutela giuridica, può essere accettata soltanto al fine di collocare la nozione di onore in una dimensione realistica, che tenga conto della indeterminatezza e della varietà della sua essenza pregiuridica[16].
Tuttavia, non ci si può esimere dal rilevare i cambiamenti che il concetto di onore ha subito nelle sue accezioni.
È stato saggiamente affermato che ogni società è portatrice di un suo senso dell’onore. In ogni società ci sono uomini onorati, cioè uomini cui si dà onore, e uomini privi di onore[17].
Questo però non significa che il concetto di onore abbia una valenza statica nel tempo, anzi, si riconosce che l’onore non può tramontare, può solo cambiare il suo senso, perché mutano le ragioni per cui si è onorati o si è ritenuti degno di onore[18].
Si deve ritenere che l’onore sia qualcosa che ci è data dagli altri. noi onoriamo persone già segnate ufficialmente (gli onorevoli) dall’onore. Ciò significa anche che l’onore dipende molto dall’opinione e dalla credenza che chi è onorato possegga i titoli adeguati per esserlo[19].
Come è stato osservato nel mondo antico la giustificazione dell’onore traeva la sua linfa dalle radici dell’etica[20]. Secondo Aristotele, solo la virtù è il fondamento dell’onore. L’onore non è altro che un riguardo verso qualcuno in riconoscimento della sua virtù di cui è la ricompensa esteriore[21]. L’onore è, quindi, il legame tra i valori intrinseci delle persone e il loro ruolo pubblico[22].
Tutto ciò è oggi un lontano ricordo considerato che oggi l’onore è riconosciuti anche a soggetti la cui condotta non è proprio virtuosa, infatti, si ritiene che, non a caso, ad esempio, non onoriamo la persona dell’onorevole, ma la funzione che rappresenta.
È opportuna una riflessione sulla valenza del concetto di “Delitti contro l’onore” e della sua effettiva attualità. Consapevoli del fatto che se si perde il senso dell’autorità e dell’autorevolezza, ogni dimensione etica dell’onore sembra scomparire nella società contemporanea[23], sarebbe opportuno interrogarsi sul concetto attuale di onore e di reputazione.
Di seguito vengono riportate le concezioni formulate in tema di onore.
La concezione dell’onore denominata fattuale, considera il bene giuridico delle fattispecie incriminatrici di ingiuria e diffamazione come un dato della realtà psichica/interiore, ovvero come un dato della realtà psico-sociale/esterna. Si assume come tutelato un unico bene giuridico, da riguardare e valutare, però, sotto due diversi profili, entrambi affermati reali, cioè meramente fenomenici: sotto il profilo soggettivo/interno, in maggiore, ma non esclusivo, rilievo nell’art. 594 c.p., l’onore viene fatto consistere nell’apprezzamento che l’individuo fa delle sue doti e, in sostanza, nel sentimento del proprio valore sociale, sotto il profilo oggettivo/esterno, in maggiore, ma non esclusivo, rilievo nell’art. 595 c.p., l’onore si risolverebbe nella considerazione in cui l’individuo è tenuto dal pubblico, cioè nella reputazione di cui egli gode nella comunità[24].
Contrapposta alla versione fattuale è la concezione dell’onore denominata “normativa”. Il bene giuridico tutelato si pone qui come mera dimensione di valore interiore della persona, come un settore, sempre e dovunque meritevole e bisognoso di protezione penale, della dignità umana, un aspetto della personalità di ogni singolo uomo in quanto tale. Dunque, l’onore scaturirebbe direttamente dall’esistenza morale della persona umana e sarebbe, nella sua consistenza, dipendente soltanto dal suo habitus e dal suo comportamento etico e, correlativamente, la comunità non potrebbe dare all’uomo niente di più di quanto egli già possegga in forza della propria dignità di singolo[25].
Nel delitto di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p. l’offesa all’altrui reputazione, resa mediante comunicazione a più persone, indica ciò che rende penalmente rilevante il comportamento dell’agente. Pertanto, è necessario interrogarsi sul concetto di reputazione per comprendere la reale essenza del bene offeso.
Il concetto di reputazione è stato analizzato dalla giurisprudenza che ne ha delineato i tratti caratteristici e ne ha fornito una definizione ben precisa. È stato coerentemente affermato che la reputazione consiste nel senso della dignità personale nell'opinione degli altri, ovvero nella stima diffusa nell'ambiente sociale nel quale l'uomo vive ed opera[26] che non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico[27] e nella consapevolezza che deve, allora, farsi riferimento alla sua posizione sociale e professionale in rapporto all’ambiente in cui vive e svolge la sua attività, alle sue peculiarità personali, familiari e lavorative, in quanto tale complesso di elementi è proprio ed esclusivo di ciascun individuo, cosicché una medesima espressione può essere innocua rispetto alla reputazione di un soggetto e lesiva della considerazione sociale di un altro[28].
La reputazione non è il risultato di ciò che il singolo pensa di sé, ma ciò che gli altri pensano di egli.
Ciò posto, l’attribuzione di fatti lesivi della reputazione altrui crea una frattura all’interno della predetta valutazione, generando nei consociati l’idea che il soggetto non possieda le qualità personali fino a quel momento riconosciute ma che sia necessario rivedere la posizione assunta nei suoi confronti, fino a mutare, eventualmente, l’opinione della comunità.
Se a ciò si aggiunge che l’utilizzo dei mezzi di telecomunicazione di massa produce l’effetto di portare a conoscenza di un numero indeterminato di soggetti i fatti accaduti e le generalità degli autori, si comprende maggiormente l’esigenza, avvertita dal Legislatore, dalla Giurisprudenza e dalla Dottrina, di prevedere dei requisiti che rappresentino la condicio sine qua non dell’esercizio legittimo del diritto di cronaca e di critica a cui deve corrispondere l’uso legittimo dei mezzi di comunicazione di massa affinché la divulgazione di una notizia di cronaca possa rientrare nell’esercizio legittimo di tali diritti.
Condivisibile è l’idea che la reputazione di una persona, che per taluni aspetti sia stata già compromessa, può formare oggetto di ulteriori illecite lesioni[29] che comportano una ulteriore diminuzione della considerazione che i consociati hanno della parte lesa[30]. L’operatività dell’obbligo di rispettare la reputazione altrui è anche presente, pertanto, in presenza di una persona la cui reputazione sia stata già compromessa, ciò perché il fatto stesso d’essere uomo attribuisce ad ogni individuo il diritto ad un minimo di rispetto sociale, quali che siano le di lui qualità morali, nella consapevolezza che la dignità personale non può essere negata a nessuno, per il valore inalienabile dell’integrità morale di ciascuno, dovendosi riconoscere un minimo etico comune ad ogni persona in quanto tale[31].
3. Delitti contro l’onore: verso una nuova concezione.
L’onore e la reputazione hanno entrambi come destinatari naturali la persona. Tuttavia, essi non sono sovrapponibili, pertanto, l’inserimento nel medesimo Capo II, delitti contro l’onore, delle due fattispecie di reato può apparire oggi, consci dell’elaborazione giurisprudenziale, concettualmente inesatto.
L’onore e la reputazione si possono considerare due ambiti concettuali legati dalla presenza del concetto di stima ma riferiti a diversi modi di essere della persona, fisica o giuridica, ben si comprende che sarebbe più corretto ed attuale denominare il Capo II dei “Delitti contro la stima”, in cui il singolo verrebbe inteso sia come persona fisica sia come persona giuridica, al fine di porre l’accento sul reale punto d’incontro tra il delitto di ingiuria e diffamazione, che non è l’onore leso, che nella diffamazione non è presente in quanto si discute di reputazione, ma, piuttosto la stima che può essere letta sia come la stima che il soggetto nutre nei propri confronti, o più semplicemente l’onore, sia la stima che i consociati riservano al loro simile, che non è altro che il frutto della reputazione di cui gode il soggetto all’interno del contesto sociale.
In effetti non si può tacere che la giurisprudenza ormai ritiene che anche le persone giuridiche possono essere destinatarie di atti che ledano la loro reputazione e, poiché, come è facilmente desumibile, in tale ipotesi si tratta di offese recate ad entità impersonali, si comprende come, a maggior ragione, l’etichetta “Delitti contro l’onore” non sia applicabile alle persone giuridiche che vedono il loro ambito d’azione collegato all’esercizio strumentale che viene effettuato da chi le rappresenta nel porre in essere atti concreti.
A ciò si aggiunga che la giurisprudenza ha ritenuto che per le persone giuridiche si debba discutere di diffamazione e non di ingiuria, proprio perché la persona giuridica presenta delle caratteristiche che sono incompatibili con l’offesa che si può recare all’onore di una persona fisica.
Riconoscere la possibilità che una persona giuridica possa diventare soggetto passivo del reato di diffamazione rende necessaria e proficua una rielaborazione delle considerazione che sono state fino ad oggi sviluppate.
Se ormai si ammette che la lesione della reputazione può riguardare anche le persone giuridiche, non si può non rilevare che l’antica concezione dell’onore, veicolata attraverso l’etichetta “Delitti contro l’onore”, non appare più in grado di reggere il confronto con una costruzione teorica basata sul modus operandi delle persone giuridiche che agendo grazie a persone che le rappresentano, non possono essere trattate come le persone fisiche. Mentre ha senso ritenere che dare dell’ignorante ad uno studioso può integrare gli estremi della diffamazione, o dell’ingiuria, lo stesso non si può affermare delle persone giuridiche che possono essere offese ma con un bagaglio espressivo differente.
Da ciò emerge la necessità di ripensare alla validità teorica dell’etichetta “Delitti contro l’onore”, per propendere per una nuova formulazione “Delitti contro la stima” che permette di adattare la concezione penalistica retrostante alla mutata situazione della società di oggi e per evitare difficoltà concettuali difficilmente superabili, ad es. che senso avrebbe affermare che le persone giuridiche meritano “rispetto”. Mentre si può accettare la presenza di una lesione alla reputazione di una persona giuridica prestigiosa, lo stesso non si può dire di una lesione diretta a mettere in dubbio l’intelligenza o l’onestà[32] di tale figure.
________________
[1] P. Siracusano, Ingiuria e diffamazione, (voce) in Digesto, Discipline penalistiche, Utet, Torino, p. 38. Vedi anche bibliografia ivi citata.
[2] M. Spasari, Diffamazione e ingiuria, (voce) in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano, p. 482.
[3] Cass. penale, sez. V, 19 aprile 2006, n. 19148.
[4] “Chiunque, fuori dai casi indicati dall’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad € 1.032”.
Per una visione completa della disposizione in esame vedi: M. Freno, Commento all’art. 595 del c.p., in M. Ronco e S. Ardizzone, Codice penale ipertestuale, Utet, Torino. Vedi anche: F. Mantovani, Diritto Penale, Parte speciale, Delitti contro la persona, Cedam, Padova, 1995; G. Marini, Delitti contro la persona, II ed., Torino, 1996; AA.VV., Tutela dell’onore e mezzi di comunicazione di massa: atti del convegno giuridico ”Informazione, diffamazione, risarcimento”, promosso dal Centro di Iniziativa Giuridica Piero Calamandrei, Milano, Feltrinelli, 1979; M. Liotta, Onore (voce), in Enc. dir., Vol. XXX, Giuffrè, Milano, 1980, p. 202 e ss.; G. Lattanzi, E. Lupo, Codice penale: rassegna di giurisprudenza e dottrina, Vol. X Libro II, Giuffrè, Milano, 2000.
[5] “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad € 516”.
[6] Art. 596 bis: “Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore ed allo stampatore, per i reati preveduti negli artt. 57, 57 bis e 58”.
[7] Art. 57: “Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dai casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”.
[8] Art 57 bis: “Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile”.
[9] Art. 58: “Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se non sono state osservate le prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica.
[10] Art. 13 L. 47/1948: “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a € 258”.
[11] Art. 348 c.p. Abusivo esercizio di una professione.
Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro.
Art. 622 c.p. Rivelazione di segreto professionale.
Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 200 c.p.p. Segreto professionale.
1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
Art. 204 c.p.p. Esclusione del segreto.
1. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale nonché i delitti previsti dagli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 del codice penale. Se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari su richiesta di parte.
1 bis. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si considerano violazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata esperita l’apposita procedura prevista dalla legge, risulta esclusa l’esistenza della speciale causa di giustificazione.
1 ter. Il segreto di Stato non può essere opposto o confermato ad esclusiva tutela della classifica di segretezza o in ragione esclusiva della natura del documento, atto o cosa oggetto della classifica.
1 quater. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.
1 quinquies. Quando il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga di confermare il segreto di Stato, provvede, in qualità di Autorità nazionale per la sicurezza, a declassificare gli atti, i documenti, le cose o i luoghi oggetto di classifica di segretezza, prima che siano messi a disposizione dell’autorità giudiziaria competente.
2. Del provvedimento che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Art. 114 c.p.p. Divieto di pubblicazione di atti e di immagini.
1. È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto.
2. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni.
4. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia.
5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4.
6. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare all’identificazione dei suddetti minorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione.
6 bis. È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta.
7. È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.
Art. 115 c.p.p. Violazione del divieto di pubblicazione.
1. Salve le sanzioni previste dalla legge penale, la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli articoli 114 e 329 comma 3 lettera b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
2. Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l'organo titolare del potere disciplinare.
[12] F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Giuffrè, Milano, 1986, vol. I, p. 153.
[13] V. Manzini, Trattato di diritto penale, Utet, Torino, 1964, p. 475 e ss.
[14] Vedi il contributo di F. Scutellari, in F. Stella e G. Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Padova, 1992, pag. 1352.
[15] M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Cedam, Padova, 1998, p. 26. Vedi anche: G. Cassano, La tutela della reputazione nel quadro dei diritti della personalità, in Danno e Responsabilità, 2000, 10, p. 974; G. Corrias Lucente, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, Cedam, Padova, 2000; C.F. Grosso, Responsabilità penale per i reati commessi col mezzo della stampa, in Studi Urbinati, 1967, XXXVI, p. 103.
[16] M. Spasari, Diffamazione e ingiuria, (voce) in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano, p. 482-483.
[17] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, Giappichelli, Torino, 2000, p. 1.
[18] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, op. cit., p. 1.
[19] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, op. cit., p. 2.
[20] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, op. cit., p. 3.
[21] Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 16, 1163 b 3; IV, 7 1123 b 35-36.
[22] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, op. cit., p. 3.
[23] F. Viola, Etica e metaetica dei diritti umani, op. cit., p. 3.
[24] P. Siracusano, Ingiuria e diffamazione, (voce) in Digesto, Discipline penalistiche, op. cit., p. 33. Vedi anche bibliografia ivi citata.
[25] P. Siracusano, Ingiuria e diffamazione, (voce) in Digesto, Discipline penalistiche, op. cit., p. 33. Vedi anche bibliografia ivi citata.
[26] Cass. 28 febbraio 1995, in Cass. Pen., 1995, p. 2534.
[27] Cass. sez. V, 24.03.1995, n. 287.
[28] M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Cedam, Padova, 1998, p. 27.
[29] Cass. 04.12.1991, in Cass. Pen., 1993, p. 296.
[30] Cass. penale, sez. V, 22.09.2004, n.47452.
[31] M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Cedam, Padova, 1998, p. 54-55.
[32] L’onestà e la disonestà sono riferite ad un agire concreto delle persone fisiche che rappresentano la persona giuridica. Un amministratore di una società può essere disonesto, potrà essere mosso a lui un eventuale rimprovero ma la società in sé non è in grado di decidere come essere perché la natura impersonale rende arduo adattare certe concezioni teoriche costruite sull’agire umano ad entità impersonali. Tuttavia, ciò non significa che una società non possa essere condannata ma la natura di tale condanna sconta un ostacolo insormontabile, mentre ben potrà una società essere condannata al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni, lo stesso non si potrà dire per le pene detentive. Ciò posto, esiste un ambito concettuale plasmato sulle persone fisiche che può essere traslato ipso facto nei confronti delle persone giuridiche ma esiste un ambito che non ammette ciò.
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