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ALTALEX NEWS


mercoledì 4 luglio 2012

Due richiami alla Costituzione

Valerio Onida, Presidente emerito della Corte costituzionale, giustamente richiama con moderata ed attenta cautela, al rispetto del principio di legalità tutti, magistrati compresi. Per l'ennesima volta ci si ritrova di fronte alla violazione del rispetto della giurisdizione speciale del Tribunale dei Ministri

STATO E MAFIA

Due richiami alla Costituzione

STATO E MAFIA
Due richiami alla Costituzione
Caro direttore, all'opinione pubblica, che assiste con distratta preoccupazione alle polemiche sulle indagini giudiziarie riguardanti la presunta trattativa fa lo Stato e la mafia, è bene offrire due elementi di informazione e di valutazione, non certo nuovi, ma forse talvolta trascurati.
Primo. Uno dei temi della presunta trattativa sarebbe stato l'applicazione del cosiddetto 41-bis, cioè del regime carcerario speciale previsto nei confronti dei detenuti che non abbiano interrotto i loro collegamenti con la criminalità organizzata. Un regime carcerario caratterizzato da rigorosa separazione rispetto agli altri detenuti, sorveglianza più stretta e deroghe alle regole ordinarie: riduzione e modalità controllate dei colloqui e delle telefonate, riduzione dei tempi trascorsi fuori dalle celle. L'applicazione del regime speciale avviene sulla base di decisioni prese in sede amministrativa, dal ministro di Giustizia. Vale la pena di ricordare che su questa disciplina di eccezione erano state sollevate, proprio all'inizio degli anni Novanta, numerose questioni di costituzionalità da tribunali di sorveglianza, dubitandosi che essa fosse rispettosa dei diritti fondamentali dei detenuti. La Corte costituzionale, con ripetute pronunce (n. 349 e n. 410 del 1993, n. 351 del 1996, n. 376 del 1997, ribadite ancora di recente dalla sentenza n. 190 del 2010), ha ritenuto che tale disciplina, pur giustificata dall'esigenza di ridurre al minimo il rischio di perduranti collegamenti fra detenuti mafiosi e fra questi e i loro complici in libertà, non violasse la Costituzione solo a patto di darne una interpretazione costituzionalmente orientata: il contenuto delle restrizioni non può essere tale da trasformare la pena in un trattamento contrario al senso di umanità o da rendere impossibile perseguire la finalità rieducativa e i provvedimenti ministeriali sono soggetti a un pieno controllo giurisdizionale, sia in ordine ai loro presupposti, sia in ordine al loro contenuto. E lo stesso legislatore è intervenuto per adeguare la norma ai principi enunciati dalla Corte. Difficile dunque prescindere da questo sfondo nel valutare le condotte degli organi responsabili, non potendosi certo intendere tout court come un «favore» fatto alla mafia l'adozione di indirizzi e determinazioni tendenti a contenere l'applicazione del 41-bis in termini rigorosi e tali da non travalicare i confini costituzionali.
C'è poi un secondo punto. La «trattativa» di cui si parla avrebbe coinvolto (e difficilmente avrebbe potuto non coinvolgere) anche componenti del governo dell'epoca: e infatti si fanno i nomi di diversi ministri dell'Interno e della Giustizia e perfino quello di un capo dello Stato. Ma le Procure che indagano non possono ignorare che nel nostro sistema costituzionale i reati commessi da ministri nell'esercizio delle loro funzioni (reati ministeriali) sono soggetti a una disciplina processuale speciale: la Procura alla quale perviene la notizia di reato deve trasmettere gli atti entro 15 giorni, «omessa ogni indagine», al cosiddetto tribunale dei ministri, il quale, svolta una rapida istruttoria, deve entro 90 giorni (prorogabili al massimo di altri 60) o disporre l'archiviazione, ovvero chiedere l'autorizzazione a procedere alla Camera competente. Questa a sua volta può negare l'autorizzazione, deliberando a maggioranza assoluta, solo se ritiene, con valutazione insindacabile ma motivata, «che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo». Quanto ai capi dello Stato, poi, com'è noto, essi possono essere chiamati a rispondere, per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni, solo in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione: l'accusa è riservata al Parlamento e il giudizio alla Corte costituzionale.
Dunque le Procure, se viene ipotizzato un reato di questo genere, non possono né protrarre ad libitum le loro indagini né indagare ministri o ex ministri. Accusare tali soggetti di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero, in relazione a procedimenti formalmente diversi ma per dichiarazioni che coinvolgano condotte suscettibili di configurare, in ipotesi, reati ministeriali, rischierebbe di rappresentare un espediente elusivo della disciplina costituzionale.
Anche senza conoscere nel dettaglio origini, fondamento e sviluppi delle indagini in corso, è spontaneo domandarsi se e quanto esse siano in linea con questi caratteri del nostro sistema costituzionale.
Valerio Onida
Presidente emerito della Corte costituzionale

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